Torture e pestaggi al carcere di S. Maria Capua Vetere come nella scuola Diaz: ci sono i video e l’inchiesta potrebbe allargarsi

Il covid non è l’unico virus che minaccia l’incolumità dei detenuti. Nelle carceri si fa largo un altro e più pernicioso contagio: la sindrome della Dìaz. Umiliate, picchiate, torturate, decine di persone ristrette si sono rivolte agli avvocati. Il 5 aprile a Santa Maria Capua Vetere c’è una rivolta. Il 6 mattina arriva il magistrato di sorveglianza e parla con i detenuti. Torna il dialogo, i disordini rientrano e lui va via. Nel pomeriggio tra le 15 e le 16 trecento divise della polizia penitenziaria entrano per una “perquisizione straordinaria”. I quattro piani del padiglione Nilo sono occupati dai trecento agenti. È allora che ha inizio questa nuova Diaz, i detenuti trattati come bestie da macello. I malcapitati vengono fatti uscire dalle celle, una cella alla volta. E gli agenti iniziano a picchiarli. È una tonnara: gli agenti si dispongono a imbuto, nel corridoio. E in quel budello si incanala la carne umana: in fila, i detenuti passano attraverso spinte, calci, schiaffoni e manganellate.

«Pensavano di aver aggirato le telecamere, invece ci sono delle riprese», dice Samuele Ciambriello, garante per i detenuti della Campania. C’è un video. E così trovano conferma le denunce dei famigliari. Antigone le mette insieme e va in Procura, come ci riferisce l’avvocato Simona Filippi. «Sono arrivate decine di segnalazioni. Abbiamo depositato cinque esposti tra fine marzo e aprile, una mole importante. Normalmente se ne facevano due l’anno. Quest’anno cinque in un mese, un lavoro che implica per ciascun caso tantissime notizie, testimonianze, video e foto. Nel caso di Santa Maria Capua Vetere la distanza temporale tra le proteste e le rappresaglie è stata la più procrastinata nel tempo». Un passaggio-chiave, perché l’art.41 della legge penitenziaria dice che l’uso della violenza non è consentito, a meno che non sia indispensabile per prevenire o impedire un atto di violenza. Deve essere contestuale all’eventuale rivolta. Nel caso di Opera la reazione è stata immediata. A Santa Maria C.V. vanno il 6 aprile, a un giorno di distanza dai disordini. Un pestaggio organizzato su cui adesso la Procura di Caserta ha aperto un fascicolo.

Il garante Ciambriello: «Iniziarono a telefonarmi i famigliari dei detenuti, concitati. Il 9 aprile mandai al Procuratore capo una serie di segnalazioni di abusi. Da quel giovedì inizio ad ascoltare direttamente venti detenuti del padiglione Nilo, che sono in isolamento. Mando una seconda lettera per dire alla Procura che le notizie sono gravi. E chiedo ai famigliari di firmare le denunce. Avevano paura, ma l’hanno fatto. La Procura è andata diverse volte a raccogliere notizie. E sono state prese le immagini della videosorveglianza, che contrariamente a chi voleva manometterle, hanno ripreso alcune sequenze». Un detenuto trasferito dopo il pestaggio a Poggioreale ha chiamato ieri Ciambriello. Gli inquirenti gli hanno mostrato il video della mattanza: «Ti riconosci?» «Sono quello in ginocchio vicino al muro, lì è quando mi colpiscono con il manganello. Mi hanno spaccato i denti». Ha riconosciuto i picchiatori. Ha fatto i nomi. Quali? «Si sono mossi i gruppi speciali, i Gom». Sono i gruppi organizzati mobili che intervengono per risolvere le grane importanti.

«È un carcere dove convivono denuncianti e denunziati. Che facciamo? A me lo dicono i detenuti: continuiamo a vedere i nostri aguzzini tutti i giorni. Abbiamo parlato con la Procura, ma tutti i giorni viviamo a contatto con le persone di cui abbiamo fatto i nomi». «I Gom si allenano per menare le mani, fanno esercitazioni come le teste di cuoio. Inquietanti. Lavorano nei reparti 41bis, di loro tutti hanno paura e nessuno parla», ci racconta Pietro Ioia, garante detenuti di Napoli. A lui, due giorni dopo il pestaggio, i detenuti mandano foto raccapriccianti da Santa Maria Capua Vetere, carcere degli orrori dove non è mancato il morto: Lamine H, 28 anni, algerino, deceduto lo scorso 4 maggio, in isolamento. Era stato picchiato anche lui? Non si hanno notizie dell’autopsia, che pure era stata disposta. Ma d’altronde, aggiunge l’avvocato Filippi, di Antigone, «c’è un problema legato ai medici carcerari: ci sembra sempre che i riscontri si facciano con il contagocce e controvoglia.

Non sono rari i casi in cui il medico si rifiuta di refertare le lesioni derivanti dalle violenze dietro le sbarre. Perché fanno parte di una catena di complicità». E non c’è solo il caso campano. Si parla di tortura anche a San Gimignano: «Ci siamo costituiti, sono indagati cinque agenti carcerari e il medico che ha omesso di refertare», aggiunge il legale dell’associazione Antigone. «In tutto al momento seguiamo sedici procedimenti pendenti per violenze in carcere. Fascicoli dentro ai quali ci sono lesioni, violenze fisiche, violenze psicologiche e tortura. Un reato che si sta iniziando a integrare adesso».

Da Il riformista

Qui la videoinchiesta di Nello Trocchia

La nostra lotta è per il futuro di tutti, abbiamo una grande responsabilità. Lettera di Dana dal carcere

Car* tutt*,
sono al sesto giorno di detenzione ed ho iniziato a comprendere i complessi meccanismi che regolano la vita delle detenute. Anzi, mi correggo, inizialmente sono complessi, poi capisci un paio di principi base e tutto diventa più chiaro. Mi spiegherò meglio dopo.

Al mattino mi sveglio ancora convinta di essere a casa, poi non appena lo sguardo mette a fuoco qualche dettaglio, realizzo di trovarmi qui ed è e devo dire che la sensazione mi fa svegliare repentinamente. Le giornate sono scandite da una serie di eventi che si ripetono sempre uguali a se stessi: vitto (colazione), aria/doccia, vitto (pranzo), aria/doccia, vitto (cena). Mi sveglio però molto prima fuori è ancora buio, ma in sezione iniziano a pulire le lavoranti, si sente odore di caffè, le agenti parlano ad alta voce. Sono ancora nella sezione nuovi giunti, a metà dell’isolamento domiciliare (prevenzione covid) e qui le celle sono chiuse 24 ore su 24. Si esce solo per andare all’aria, farsi la doccia, incontrare avvocati ed eventualmente per chi lo richiede educatrici, psicologa, prete ecc.

Essendo praticamente in isolamento, ho avuto modo di conoscere solo le detenute che come me sono in isolamento domiciliare (passiamo  l’aria insieme) e sono davvero grata queste donne che mi hanno accettata come una sorella. La solidarietà è concreta, materiale ed umana, c’è qualcosa che fa la differenza perché nei momenti di sconforto c’è sempre qualcuno, che nel nostro caso da dietro le sbarre della cella, interrompe le attività che sta svolgendo per una chiacchierata, una battuta, ecc. Stamattina una detenuta ha cantato, benissimo oltretutto, per una mezz’oretta e ci ha tutte rilassate.
Devo ammettere che l’impatto col carcere, soprattutto se sai che dovrai rimanerci per un po’, è forte, violento.

Il sistema carcerario, nonostante se ne dica, non ha nulla di educativo. È una punizione, severa e bisogna fare appello agli strumenti più profondi di sé per poterlo affrontare. È una scissione netta perché improvvisamente non fai più nulla di quello che facevi il giorno prima, non hai vicino fisicamente le persone che ami, non puoi più fare quello che ti piace e nel mio caso, non ridete so che è cosa nota, non puoi stare con i tuoi amici animali.

Mi consolo con due piccioni (ormai sono sicura che siano sempre gli stessi) che vivono sulle mura che stanno di fronte alla finestra della mia cella. Se Nicoletta aveva dolci uccellini, io ho due piccioni, ma sono svegli e seguono con attenzione quello che faccio. Questa sciocca considerazione è per spezzare un po’ il clima cupo che ho creato nelle righe precedenti perché, nonostante il carcere sia un luogo brutto, io sto bene. Ma ne parlerò ancora però perché credo che luoghi così non dovrebbero esistere.

Ho visto al TG le immagini del mio arresto e della mia fiaccolata, da oggi ho iniziato a ricevere la posta. È stato molto emozionante, devo ammetterlo, e poco alla volta proverò a rispondere a tutti.
Leggo molto, anzi moltissimo, disegno e già solo queste due attività mi danno molta quiete e soddisfazione. Da oggi riceverò anche i giornali. Insomma, bene così.

Parlo di noi raccontandomi, della lotta al TAV e delle altre e sento un orgoglio infinito che mi dà molta forza e serenità.

In questo luogo di deprivazione e sofferenza, ciò che facciamo ha un gran bel valore e serve a mantenere viva la speranza per un futuro che speriamo possa essere più giusto per tutti, anche per gli ultimi che il sistema nasconde qui dentro. So che mi mancherà poter contribuire attivamente ai prossimi mesi di mobilitazione in Valle, ma so anche che il movimento saprà mettere in campo tutte le risorse per resistere ancora una volta alle aggressioni che verranno mosse da chi vuole a tutti i costi il TAV. La nostra lotta è per il futuro di tutti, abbiamo una grande responsabilità.

Per ora vi saluto, ringrazio la Cassa Antirepressione Alpi Occidentali, Riccardo per “La Valle degli Eretici” e tutti gli amici e compagni, lontani e vicini, che mi hanno già scritto. Un pensiero particolare va a Stefanino (anche lui agli arresti) a tutta l’Askatasuna e alla mia amata Valle. Vi voglio bene, state saldi.

Avanti No Tav!

Da notav.info

Carcere assassino: alla Dozza ancora un altro detenuto morto suicida

29 settembre 2020

Morte alla Dozza: suicida un detenuto
E’ successo nell’ultimo fine settimana: a togliersi la vita è stato un uomo di origine straniera che si trovava in custodia cautelare nel carcere bolognese da alcuni mesi ed era recluso in una cella condivisa. La vicenda segue i due suicidi verificatisi nel 2019.

Ne ha ha dato notizia il Garante comunale dei detenuti, Antono Iannello. Nel 2019 all’interno della Dozza si erano verificati altri due suicidi che rimarrano ancora .

A marzo alla Dozza c’è stata una rivolta dei detenuti per non morire per il coronavirus nelle carceri fatiscenti e disumane della borghesia italiana. Lo Stato, di fronte alla pandemia, con il ministro Bonafede e i direttori delle carceri, ha risposto con ulteriori restrizioni per i detenuti (colloqui con i familiari, blocco degli ingressi). Questo ha portato alle rivolte a livello nazionale (anche a Bologna) e alla rappresaglia violenta di Stato che ha ucciso 16 detenuti (a Sant’Anna di Modena – dove è bene ricordarlo sono deceduti 12 detenuti, altri 4 sono deceduti dopo le traduzioni in altri istituti), e ha pestato, torturato, trasferito coloro che avrebbe identificato nelle proteste. E sempre a Bologna, a maggio, ha arrestato 7 compagni che hanno espresso la loro solidarietà fuori dal carcere.