Rimpatri a sorpresa e violenze dopo l’ultima rivolta nel CPR di Gradisca

Da https://nofrontierefvg.noblogs.org

AGGIORNAMENTI

Ci dicono che sabato 15 mattina, verso le 4:00, sono stati rimpatriati a sorpresa diversi detenuti di origini tunisine del CRP di Gradisca, ritenuti parte della rivolta terminata poche ore prima e almeno uno di loro con la scusa di essere portato in prigione. Altri tre sono stati effettivamente portati in prigione. Nessuno ha più notizie di tutti loro da quella sera, ci dicono che i cellulari delle persone rimpatriate sono ad oggi irraggiungibili e non si ha alcuna notizia di loro.

PESTAGGI E FERITI NEL CPR DI GRADISCA – notte 14/08

Questa sera alcuni detenuti raccontano che ci sono stati degli incendi a seguito del pestaggio di alcuni altri detenuti nella zona rossa. Il fuoco, nel CPR di Gradisca, ci raccontano che c’è ogni sera! Ogni sera, a seguito di una giornata di pesanti soprusi, nel CPR di Gradisca avvengono piccole rivolte. Ma oggi la repressione sembra essere stata più violenta ed i fuochi un po’ più grandi: nel video che alleghiamo si vede un ragazzo che uscendo un po’ dalla cella viene preso di mira da due forze dell’ordine una in seguito all’altra, una volta rientrato in cella ci rimane insanguinato e richiedendo il suo zainetto. Condividiamo anche le foto di un altro detenuto a terra con la bava alla bocca. Per tutelare la sua identità non metteremo i video da cui sono stati estratte queste immagini, ma questa persona sembra avere urgente bisogno d’aiuto. Non sappiamo né come stia ora né dove sia! Chiunque possa faccia qualcosa!

Sappiamo che è possibile che abbiano ritirato i cellulari ad alcuni detenuti. Alle 2 la situazione sembrava essere più calma ma fino a dopo la mezzanotte non sembrava essere finita. Stavano venendo tagliate delle inferriate con una flex e pompieri e f.d.o. sono entrate in alcune stanze. I media locali, per l’ennesima volta, hanno prontamente diffuso una narrazione della vicenda parziale che, in questo caso, vedeva come vittima un carabiniere e come carnefici i detenuti.

Senza il coraggio dei detenuti che, rischiando la loro incolumità, diffondono le notizie con l’esterno, non sapremmo mai le atrocità quotidiane del lager, e la storia dei CPR la scriverebbero solo le loro guardie.

I CPR sono luoghi di morte e oppressione anche quando non ci muore nessuno, ma a Gradisca sono già morte due persone. Oggi è passato un mese dalla morte di Orgest Turia. La violenza nei CPR è costante, ad un trattenimento ingiusto e al terrore di essere deportati, si aggiungono costanti soprusi (secondo quanto ci raccontano nel CPR di Gradisca il cibo viene passato sotto le sbarre, le persone sono costrette tutto il giorno in gabbie, non vengono forniti cambi vestiti o lenzuola, l’attenzione medica è scadente e difficilmente accessibile, il cibo causa problemi intestinali e molto altro).

Negli ultimi giorni sembra siano state trasportate nel CPR, direttamente da Lampedusa, diverse persone appena arrivate.

I CPR sono dei lager letali. Che i muri dei cpr possano cadere e tutti i detenuti siano liberati!

AGGIORNAMENTO 15/08 MATTINA: Verso le 4 di notte sembra siano entrati in CPR ad arrestare almeno un detenuto tra i testimoni dei pestaggi avvenuti ieri notte in un’area dell’ala rossa. La situazione ci sembra strana: La maggior parte dei detenuti sostiene che la rivolta di ieri fosse come quelle che accadono molto spesso.

(Attenzione : video ed immagini con contenuti forti)

 

Trasferimento ora

In questo momento stanno venendo trasferite 15 persone dal CPR di Gradisca, tra cui c’è H., il ragazzo testimone degli orrori di Piacenza.

Si tratta di 13 persone dal Marocco e 2 dall’Algeria, alle quali stanno dicendo che le stanno portando al CPR di Ponte Galeria (Roma),  cosa che loro non sanno se sia vera o meno. Alcuni dicono che se arriveranno nel CPR di Ponte Galeria gli verranno poi tolti i telefoni.

Colombia, violenta repressione delle comunità indigene per conto delle multinazionali

Da Dinamo press

Ieri violenta repressione contro il Movimento di Liberazione della Madre Terra nelle terre indigene del popolo Nasa nel Cauca. La polizia e l’esercito sono entrati nei territori liberati assieme alle guardie private dell’impresa Asocaña ed hanno assassinato a colpi di armi da fuoco Jhoel Rivera, comunero del movimento indigeno e Abelardo Lis, giornalista indipendente di Radio Payumat Nación Nasa, colpito mentre faceva le riprese per denunciare la repressione in corso, causando diversi altri feriti.
I territori indigeni del Resguardo Páez de Corinto sono stati recuperati nel 2014 dalle comunità Nasa, in lotta per recuperare le terre ancestrali usurpate da imprese multinazionali e colombiane legate alle monoculture della canna da zucchero. Ieri, scortati dall’esercito, i trattori delle imprese hanno distrutto le coltivazioni delle comunità indigene mentre i militari sparavano sulle comunità in resistenza. L’Organizzazione Nazionale degli Indigeni della Colombia ha denunciato le gravi responsabilità politiche del governo Duque e la sistematica violazione dei diritti umani e dell’accesso alle terre riconosciute dalla Costituzione come terre ancestrali. Recuperare il proprio territorio, in un paese tra i più diseguali al mondo per l’accesso alla terra e devastato dalla violenza, è una delle principali rivendicazioni dei tanti popoli indigeni in Colombia e in tutta l’America Latina. La violenza continua a colpire nel paese, dove secondo il Centro Studi per la Pace Indepaz dalla firma degli accordi di pace nel 2016 fino al 15 luglio del 2020, sono 971 i leader sociali assassinati in Colombia, mentre sono 218 gli ex guerriglieri assassinati dopo aver lasciato le armi. Per quanto riguarda il primo semestre di quest’anno, sono ben 166 leader sociali e 36 ex combattenti a essere stati uccisi, con un incremento pesante durante il periodo di isolamento obbligatorio e di quarantena ancora in vigore nel paese.

Ancora repressione in Turchia – Fermiamo lo stato fascista turco!! Viva la solidarietà internazionale!!

Gli avvocati del popolo hanno comunicato che l’insegnante Acun Karadag, Nazan Bozkurt e Gulnaz Bozkurt sono state arrestate. In un comunicato del #CHD ,#AvvocatidelPopolo si dice che la polizia di Ankara avrebbe fatto un irruzione stamattina presso a casa loro e avrebbe perquisito le loro abitazione e le avrebbe portata in stazione di polizia ad Ankara. Dopo #Nuriye due giorni fa e stamattina altre licenziati, insegnanti e docenti.. Il fascismo non si ferma, hanno vietato il concerto di #grupyorum e hanno arrestato decine di sostenitori di grup yorum e anche Nuriye Gülmen, e stamattina #AcunKaradag, #NazanBozkurt e #GülnazBozkurt.

Gli aggiornamenti sugli arresti di stamattina; l’ufficio degli avvocati #CHD #avvocatiDelPopolo trasmette che anche le persone sotto indicate sono state arrestate insieme con Acun,

Nazan Bozkurt

,

Gulnaz Bozkurt
inoltre la casa di #AlevSahin è stata perquisita, nel momento della perquisizione, Alev non si trovava a casa. é evidente che anche lei verrà arrestata….
Libertà per gli arrestati!!
La resistenza di #Yuksel non si fermerà!!
Fermiamo lo stato fascista turco!!
Viva la solidarietà internazionale!!
La resistenza a #Yuksel è il nostro onore!!

Parla Denis, il ragazzo preso al collo da un poliziotto: “Ho avuto paura, non respiravo”

Lunedì pomeriggio a Vicenza, un ragazzo, Denis, 21 anni di origini cubane, è stato immobilizzato con una presa al collo da parte di un agente di polizia. Il video dell’intervento, girato da Paolo, un amico di Denis, mostra i momenti concitati in cui l’agente afferra con una presa al collo il 21enne.
Secondo la ricostruzione dei ragazzi, gli amici camminavano fuori da un supermercato quando ci sarebbe stata una rissa tra due uomini, senza alcun legame con loro.
Uno dei poliziotti intervenuti per sedare la rissa si sarebbe poi avvicinato a Denis e ai suoi amici che nel mentre scherzavano e ridevano – “per cose nostre” assicurano a Fanpage Paolo e Denis.
Così, raccontano i due amici, prima di chiedere i documenti a Denis il poliziotto lo avrebbe strattonato e alla richiesta dei documenti l’ha poi afferrato al collo.
Denis è stato arrestato – arresto convalidato mercoledì 12 – e sarà processato il 18 settembre per resistenza a pubblico ufficiale

Da fanpage

Il fascismo è reato! Libertà per Maya e tutt*gli/le student* antifascist*

 Il tribunale di Torino nega il “diritto al lavoro” anche a Maya

Maya era stata arrestata il 13 febbraio insieme ad altri due studenti durante una contestazione  nata spontanea in Università contro un bieco ed infame volantinaggio del Fuan come sempre reso possibile e tutelato da decine e decine di celerini schierati con scudi e manganelli. Quattro giorni dopo è stata rilasciata con una misura violenta e schiacciante: il divieto di dimora a Torino,  suo luogo di nascita, residenza, studio e lavoro! Il pretesto per l’applicazione di questa misura è allontanare la persona che la subisce dal luogo del “delitto”. Ciò che sottende in realtà a questa misura subdola è lo sradicamento della persona dal suo contesto di vita, dalla sua casa e dal suo mondo relazionale e sociale. Un evidente tentativo di annichilimento punitivo a cui Maya ha resistito in questi 6 mesi nei quali si è vista negare permessi per sostenere esami, per sottoporsi a visite mediche e ha dovuto faticare per ottenere permessi per fare la spesa utilizzando i buoni.  Ora però l’azione repressiva della magistratura torinese ha voluto per l’ennesima volta ricordare a Maya e ai 19 studenti antifascisti sottoposti da circa un mese a misure che vanno dalle firme giornaliere, al divieto di dimora ai domiciliari per la medesima contestazione di febbraio che essere antifascisti è un reato e che  a chi lo porta avanti verranno negati e schiacciati tutti i diritti: Maya aveva infatti presentato istanza di permesso per poter andare a lavorare sabato 8 agosto…lavoro che chiaramente è la sua unica fonte di reddito e sostentamento.
La risposta è prontamente arrivata:
“attesa la GRAVITA dei fatti contestati all’indagata – ( eh si perchè Maya non è ancora stata né sottoposta a processo né giudicata per i fatti di quella giornata)- e il contesto nel quale sono stati commessi, la richiesta non è compatibile con le esigenze cautelari poste a fondamento del provvedimento applicativo e tuttora sussistenti, tenuto conto del NON RILEVANTE – (6 mesi!!!!!!) – periodo di tempo dall’esecuzione della misura”.
Avremmo delle domande da porre al giudice Edmondo Pio che ha negato l’istanza: come pensa che Maya possa mantenersi in questi mesi e quale ritiene sia il tempo necessario per  smettere di espiare la grave colpa di essere antifascisti. Ci terremmo anche a ricordare ai signori giudici che nè Maya né gli altri 19 studenti antifascisti repressi hanno affrontato alcuno dei tre gradi di giudizio ma ci pare vengano già ritenuti drammaticamente colpevoli.
Ormai il tribunale di Torino ci ha abituato ad ogni distorsione della legge a scopo politico contro i movimenti sociali. Persino il “diritto al lavoro” su cui sarebbe basata questa presunta Repubblica viene negato se si è antifascisti e attivi nelle lotte della nostra città. Ma accanto a Maya siamo in tanti e tante e non ci faremo intimidire da queste persecuzioni.

«Nessun abuso può passare sotto silenzio!»: Vicenza sostiene Denis

Si è svolto ieri, 12 agosto, il processo per Denis, il ragazzo fermato e bloccato con una presa al collo da un agente lunedì scorso. Il Tribunale di Vicenza ha convalidato l’arresto, sulla base del rapporto di polizia, anche se Denis rimane a piede libero. Di seguito il comunicato stampa di Welcome Refugees Vicenza e del centro sociale Bocciodromo.

Una settantina di persone si sono date appuntamento davanti al Tribunale di Vicenza, per portare solidarietà a Denis, il ragazzo fermato e bloccato con una presa al collo dalle forze dell’ordine lunedì scorso. «Nessun abuso può passare sotto silenzio!». Durante il presidio si sono susseguiti numerosi interventi che hanno denunciato gli abusi in divisa e le ingiustizie che ogni giorno le persone non bianche subiscono.
Gli interventi hanno fatto emergere come il problema del razzismo sia reale, attuale e diffuso durante i controlli della polizia e non solo. Basti anche solo vedere come sui social network, sotto i vari articoli  e post usciti sull’accaduto, i commenti violenti e razzisti si stiano susseguendo: ad esempio si trovano frasi come «ha fatto bene, peccato che non è morto» oppure «noi italiani dobbiamo cacciare o uccidere tutti ‘sti neri di merda» oppure «a me l’unica cosa che fa schifo sono ‘sti immigrati di merda lezzi e luridi».
Commenti che confermano il fatto che viviamo in una società che non riesce a mettersi in discussione e affrontare fino in fondo i propri problemi: il dibattito pubblico non si interroga sulla reazione assolutamente sproporzionata dell’agente e sull’arresto di un ragazzo a causa di una rissa tra italiani scoppiata in precedenza, ma diventa un’ulteriore occasione per vomitare odio verso i non-bianchi, per alimentare il pregiudizio e la discriminazione.
Molte sono state le testimonianze questa mattina di ragazze e ragazzi che hanno raccontato di come vengano costantemente presi di mira dalle forze dell’ordine quando passeggiano tranquillamente per il centro, di come nelle comitive meticce i documenti vengano chiesti solo a chi ha la pelle scura.
Salta all’occhio anche la narrazione costruita da alcune testate della stampa locale, in cui si pone l’accento sul fatto che il ragazzo arrestato fosse straniero chiamandolo “l’immigrato” e l’episodio in cui l’agente prende per il collo Denis diventa “parapiglia”.
La semantica è importante quando si raccontano le cose, ed è fondamentale analizzarla. Per fortuna stanno continuando a emergere foto e video che smentiscono la versione costruita nella piccola e sterile bolla mediatica berica.
In questo momento la situazione in città è molto polarizzata, complici anche le rocambolesche dichiarazioni da parte della destra locale che non perde l’occasione di difendere in maniera acritica le forze dell’ordine, come un assessore del Comune di Vicenza che sentenzia che Denis “o è un delinquente o è un vigliacco”. Fino a prova contraria Denis è un giovane operaio senza che a suo carico ci sia, fino ad ora, nessun procedimento penale.
Dipingerlo in altro modo, come un delinquente quindi, anche se non crediamo sia compito di chi amministra la città, è il modo per restare nella narrazione razzista di cui parlavamo prima.
Un altro mantra della destra è: “più potere alle forze dell’ordine per difendersi”, all’agente che si diverte a prendere per il collo le persone potremmo dare un bel taser come premio per il suo zelo a questo punto, ci sentiremmo tutti più sicuri.
L’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine non è mai un caso isolato, vediamo Piacenza, Cucchi, Aldrovandi, solo per citarne alcuni, e spesso, però, questi abusi rimangano impuniti o taciuti.
Pensiamo, per questo, che sia necessario non rimanere in silenzio e far emergere il problema aprendo un dibattito pubblico e politico che metta fine all’intoccabilità delle forze dell’ordine e ponga in maniera urgente la richiesta dell’introduzione immediata dei numeri identificativi sulle divise. In Italia non c’è una vera tutela di chi viene fermato e controllato dalle Forze dell’ordine visti gli scandali più e meno recenti legati all’abuso di potere.
Questo processo sarà fortemente politicizzato e mediatizzato, si spera che a farne le spese non sia un ragazzo che il 10 Agosto 2020 si è trovato, inconsapevolmente, nei pressi di una rissa ed è stato preso di mira per il colore della sua pelle.
Sarebbe questa l’ennesima inaccettabile vergogna.

Welcome Refugees Vicenza, centro sociale Bocciodromo

La strage nelle carceri. Ora ci sono i testimoni…- E’ stata strage! come abbiamo sostenuto dal primo momento .. ora costruiamo in settembre una giornata nazionale di assedio alle carceri – denunciamo in ogni luogo gli sbirri assassini, il ministro della giustizia, il governo che ha coperto tutto questo – soccorso rosso proletario 12 agosto –

E’ la stata la più grande mattanza di detenuti nella storia italiana del dopoguerra. In seguito alla più diffusa e spolicitizzata delle rivolte. Isolata e senza sponde nella “società civile” (figuriamoci in quella politica, ormai popolata solo di mostri uniformati sullo slogan “legge e ordine”) è passata nel dimenticatoio nello spazio di un mattino.

Tredici morti tutte attribuite ad “overdose di farmaci dopo il saccheggio delle infermerie”. E’ la nuova versione dell’antico “caduto dalle scale”

Nel Paese che finge di solidarizzare col movimento Black Lives Matter, finché è limitato agli Stati Uniti di Trump (con altri presidenti non sarebbe e non è accaduto), si chiudono gli occhi e anche gli occhiali sulla realtà di polizie fuori controllo, abituate da decenni a interpretare il proprio ruolo come “potere di vita e di morte sui normali cittadini”, al di fuori di ogni legge.

Ma la prepotenza si associa sempre con la vigliaccheria, e dunque non troverete mai che simili atti di violenza gratuita siano esercitati contro signori ben vestiti alla guida di auto di lusso. Le conseguenze, in quel caso, ci sarebbero. Eccome… E i poliziotti di ogni grado lo sanno benissimo.

La storia carceraria italiana, così come la cronaca quotidiana, è piena di “morti sospette”, spesso determinate da pestaggi gratuiti e violenze commesse nella certezza dell’impunità. Ricordiamo i casi più noti (Stefano Cucchi, Fedeerico Aldrovandi, Giuseppe Uva, ecc) solo grazie alla determinazione delle famiglie, assistite da validi avvocati. Di tutti gli altri si è persa traccia.

Proprio i casi più noti definiscono il format tipico di tutti questi omicidi.

Quasi sempre non ci sono altri testimoni oltre agli agenti di polizia o, quando ci sono, sono “colleghi della vittima”, facilmente rubricati tra gli “inattendibili” o più facilmente ancora tacitabili con minacce e ritorsioni certe.

Sempre – ed è uno degli elementi più osceni – c’è la complicità dei medici penitenziari. L’esempio più famoso e clamoroso è quello della caserma di Bolzaneto, a Genova nel 2001, dove alcuni medici penitenziari partecipavano direttamente ai pestaggi e alle torture.

Sempre c’è un magistrato “disattento”, o apertamente condiscendente, che prende per oro colato i rapporti di servizio degli agenti. Chi crede ancora nel ruolo della magistratura astratta (l’idea di giustizia) farebbe bene a leggersi un po’ di atti processuali relativi a queste morti. Scoprirebbe la magistratura reale.

Questo format ricorre anche nel caso delle rivolte e della mattanza di inizio marzo, ma su scala infinitamente più grande.

L’agenzia di stampa Agi, la seconda dopo l’Ansa, ha ricevuto due lettere di testimoni diretti di almeno un pestaggio conclusosi con la morte di un detenuto in quei giorni. Probabilmente questa “eccezione” rispetto agli altri dodici morti è dovuta al fatto che in questo caso si tratta di un cittadino di cittadinanza, origine, nome e colore della pelle inequivocabilmente “italiani”. Degli altri sappiamo che erano quasi tutti extracomunitari e variamente “colorati”.

Per chi proprio non volesse o potesse credere nella abitudine al pestaggio e alla tortura delle varie polizie italiane (nonostante le centinaia di casi, ultimo – ma già sparito dai media mainstream – il caso dei carabinieri di Piacenza), consigliamo di guardare il video girato in una piazza di Vicenza, ieri.

Lì, un poliziotto qualsiasi, chiamato per controllare ed eventualmente sedare una lite tra due persone, risolto rapidamente “il caso”, non trova di meglio da fare che prendersela con un gruppo di ragazzi che, relativamente vicino alla scena, sta ridendo per fatti propri.

Il poliziotto interpreta quelle risate come rivolte a lui e si scaglia contro uno di quei ragazzi: guarda caso “un negro”… Soggetto socialmente e politicamente debole per definizione, nonostante sia in questo caso in posizione burocratica “regolare”, incensurato, operaio regolarmente assunto presso una ditta locale…

La scena ripresa dalla telecamera è fin troppo esplicita per richiedere una descrizione o un’interpretazione.

E fin qui siamo alla ripetizione in piccolo del solito format, fortunatamente senza tragedia (il ragazzo è stato comunque poi arrestato per “resistenza e violenza a pubblico ufficiale”, dovrà dunque subire un processo e rischiare il posto di lavoro per colpa dell’arbitrio di un poliziotto violento e probabilmente razzista).

Ma il punto che vi dice qualcosa sul “sistema” che utilizza questi poliziotti è fornito – involontariamente, certo, dal questore di Vicenza, Antonino Messineo.

I miei uomini hanno detto a tutti di allontanarsi e di evitare di stare lì intorno, ma questi continuavano a ridere e schernirli. Hanno chiesto i documenti a uno di loro e si è rifiutato di darli, continuando a ridere in faccia ai poliziotti. A quel punto l’operatore l’ha preso per un braccio e poi nel modo in cui si vede nel video. La presa non è durata più di 4 secondi, perché poi sono finiti entrambi a terra. Dopo tutto questo il giovane è scappato ma è stato fermato da un’altra volante e arrestato per violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Il poliziotto, medicato in pronto soccorso, è stato dimesso con una prognosi di 3 giorni”.

Ricapitolando: a) “chiedere i documenti” è nei poteri di un agente di polizia, ma ci deve essere un motivo valido, non è un potere assolutamente discrezionale; b) il ragazzo cui l’intimazione viene rivolta è “di colore”, scelto tra tanti; c) la “presa al collo” non sarebbe un problema, per il questore, perché “è durata quattro secondi” (qual’è il limite “lecito” secondo lui?); d) la suddetta “presa al collo” non è stata però volontariamente sospesa dal poliziotto; insomma, è drata poco solo perché entrambi sono finiti per terra; e) il poliziotto, come di abitudine in questi casi, si è fatto “refertare in pronto soccorso”, dove i “tre giorni di prognosi” per un agente sono il minimo del minimo (significa che non ti sai fatto proprio niente) e gli garantiranno qualche giorno di esenzione dal servizio.

Perché sottolineiamo tutti questi dettagli? Perché nell’insieme costituiscono “il format” della violenza poliziesca e della certezza dell’impunità.

Perché una società davvero “civile” non esiste fin quando non ci si rende conto che quel ragazzo o quei detenuti morti “sono io”. Quella cosa può accadere a me in qualsiasi momento, per qualsiasi motivo.

E’ il meccanismo che è scattato in buona parte della popolazione degli Stati Uniti guardando il video dell’omicidio di George Floyd. “George sono io, mi può accadere in qualsiasi momento e non è giusto”.

Perché ciò accada deve morire l’idea che “queste cose accadono a chi se le cerca o se le merita”. Puoi avere un buon lavoro e uno stipendio decente, e dunque sentirti parte della “classe media” (è una “classe mobile”, da cui si entra e si esce molto rapidamente, ma fa niente…). Ti senti al sicuro e al di sopra del “mondo di sotto”, e credere che la polizia stia lì per proteggere proprio quelli come te…

Ma è un attimo perdere il lavoro. E’ un attimo ritrovarsi soli nel mondo e con la difficoltà di vivere. E’ un attimo il cercare di non pensarci e bere un bicchiere di troppo. E’ un attimo cercare di stordirsi con una qualche sostanza. E’ un attimo cercare di “arrangiarsi” per sbarcare il lunario, essere “beccato” e finire in galera (anche da innocente, capita spesso…).

E’ un attimo, e George Floyd sei tu.

E quel poliziotto sta lì ad aspettarti.

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Manuela D’Alessandro – Agenzia Agi

L’8 e il 9 marzo, mentre gli italiani iniziano la fase più dura della pandemia chiudendosi in casa, una settantina di carceri da nord a sud viene attraversata dalle violente proteste dei detenuti innescate dal divieto di colloquio coi familiari per evitare che il contagio dilaghi tra le mura.

Nella bolgia degli istituti incendiati e devastati perdono la vita 13 persone, nove nel carcere di Modena, di cui quattro durante il trasporto da qui ad altri istituti, uno alla ‘Dozza’ di Bologna e tre nella prigione di Rieti.

La maggior parte di loro sono giovani e tossicodipendenti che stavano scontando condanne per reati legati alla droga, stipati in celle di pochi metri.

Dai primi riscontri emerge che il loro decesso sarebbe dovuto all’ingestione di metadone e psicofarmaci saccheggiati dalle infermerie. È questa l’ipotesi su cui si concentrano le indagini per ‘omicidio colposo’ e ‘morte in conseguenza di altro reato’ delle procure che hanno disposto gli esami tossicologici i cui primi esiti confermano l’assunzione delle sostanze, letali se prese in grande quantità.

Ma gli avvocati dei morti, che portano avanti le istanze delle famiglie, le associazioni attive nel mondo delle carceri e alcuni testimoni ritengono che non basti l’overdose a spiegare quanto accaduto.

I testimoni, “spogliati e picchiati, il nostro amico morto non è stato curato”

In particolare, due detenuti denunciano di avere subito “abusi” nel carcere di Modena e che le persone decedute nel trasporto verso altri penitenziari subito dopo la rivolta non sarebbero state visitate dai medici prima di essere trasferite altrove, nonostante stessero male. E’ uno scenario, tutto da verificare e nell’ambito di una vicenda che apre molti altri interrogativi, raccontato in due lettere, di cui l’AGI è in possesso, firmate dai compagni di viaggio di Salvatore ‘Sasà’ Piscitelli, uno dei 13 morti, secondo i primi riscontri, a causa dell’abbuffata di medicinali.

Entrambe le persone che riferiscono di essere state vittime di violenze gratuite hanno viaggiato da Modena ad Ascoli assieme a Piscitelli, il quarantenne per il quale i suoi compagni di teatro di Bollate, dove era recluso prima di Modena, avevano chiesto in una lettera resa pubblica a giugno di sapere la “verità” sulla sua scomparsa. Preferiscono restare anonime “per timore di ritorsioni”.

E’ domenica 8 marzo quando inizia a ribollire il carcere di Modena coi detenuti che protestano anche per le restrizioni ai colloqui coi familiari. “A me dispiace molto per quello che è successo – è scritto nella prima delle due lettere – Io non c’entravo niente. Ho avuto paura… Ci hanno messo in una saletta dove non c’erano le telecamere. Amatavano (ammazzavano?, ndr) la gente con botte, manganelli, calci e pugni. A me e a un’altra persona ci hanno spogliati del tutto. Ci hanno colpito alle costole. Un rappresentante delle forze dell’ordine, quando ci siamo consegnati, ha dato la sua parola che non picchiava nessuno. Poi non l’ha mantenuta”.

I pestaggi, stando a questa testimonianza, sarebbero proseguiti durante il viaggio verso Ascoli dove “Sasà è stato trascinato fino alla sua cella e buttato dentro come un sacco di patate. Era debole, forse aveva preso qualcosa”.

E anche qua – dice – veniva la squadra. Come aprivi bocca per chiedere qualcosa, prendevi delle botte. Ci mettevano con la faccia al muro. Venivano a picchiare col passamontagna, per non far riconoscere le facce”.

Il secondo detenuto conferma che “Sasà stava malissimo e sul bus lo hanno picchiato, quando è arrivato non riusciva a camminare. Era nella cella 52, ho visto che nessuno lo ha aiutato”. Sostiene inoltre che nessuno dei compagni di viaggio sia stato visitato dai medici, come sarebbe stato obbligatorio per il ‘nulla osta’ per il trasferimento.

il resto su contropiano