Il tribunale di Modena sancisce il diritto dei padroni all’estorsione e allo schiavismo dei lavoratori, considerando lo sciopero un atto criminale e le manifestazioni di esso un “reato di piazza”. Solidarietà al Si Cobas, costruire un fronte unico di classe contro la repressione!

Per il Tribunale di Modena Italpizza è lo Stato e il sindacato deve risarcirla come tale

Riprendiamo dalla pagina facebook del Si Cobas di Modena la notizia sull’assurda decisione del Tribunale, l’ennesimo precedente che si inserisce nella strategia di normalizzazione del dissenso sociale che sta diventando sempre più articolata a livello nazionale

Oggi, lunedì 3 ottobre 2022, nel corso dell’udienza preliminare per il maxi-processo Italpizza, il Tribunale di Modena ha preso due decisioni che segnano un precedente epocale nella repressione al sindacalismo di base:

il giudice ha infatti accolto la richiesta dell’azienda di indicare il sindacato S.I Cobas come responsabile civile per i presunti danni produttivi all’azienda, con l’esorbitante richiesta (presentata senza alcun dettaglio o giustificativo) di “almeno 500.000 euro”.

Inoltre ha accolto il diritto di Italpizza di costituirsi come parte civile per tutti i reati presuntamente commessi nei lunghi mesi di mobilitazione davanti ai cancelli.

Il tribunale non solo quindi concede la possibilità di risarcire i danni derivati dai ritardi nelle consegne dovuti ai blocchi – considerando quindi lo sciopero un atto criminale, in barba a quarant’anni di giurisprudenza – ma anche per tutti i “reati di piazza”: resistenza, oltraggio a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, presunte lesioni a poliziotti…

Se un imputato venisse riconosciuto colpevole, ad esempio, di aver mandato a quel paese un ispettore, non solo dovrebbe scontare la condanna penale, ma anche risarcire Italpizza!!

In una parola: Italpizza si fa Stato…

Una decisione di questo tipo, unica nella storia giuridica repubblicana, costituisce un deciso passo in avanti nella costruzione del regime autoritario nel nostro Paese. È evidente come questi due assunti minaccino direttamente la vita stessa dei sindacati, di base e non solo.

Il S.I. Cobas non si lascia comunque intimidire e proseguirà nella lotta per la giustizia sociale, come prima, più di prima.

Russia, 2419 detenzioni durante le proteste contro la mobilitazione dal 21 al 26 settembre 2022. Ma le mobilitazioni contro la guerra continuano: “in trincea mandateci Putin!”

Contro i governi imperialisti crescerà inevitabilmente e sempre di più l’opposizione proletaria e popolare, organizzata, delle masse, l’odio contro i propri governi che hanno voluto questa guerra e l’hanno rovesciata sui popoli e i lavoratori.

Faremo controinformazione il più possibile con questo blog per fare crescere nel nostro paese la conoscenza e la solidarietà dei lavoratori e delle masse con chi, all’interno del regime russo, esprime la sua opposizione a questa guerra, una guerra provocata dall’espansione a est della NATO e dall’imperialismo occidentale.

La  via d’uscita a questa infamia imperialista è la lotta al proprio imperialismo, è la costruzione della forza proletaria che rovesci in ogni paese i propri governi, il proprio Stato. Vale per i proletari e le masse in Russia come in Italia, come nel mondo.

L’opposizione alla guerra all’interno della Russia ritorna in campo proprio in questi giorni, in particolare dopo l’annuncio di Putin di una “mobilitazione parziale” dei civili per combattere in Ucraina.

In questa fase la Russia sta registrando un arretramento militare sul campo subendo il contraccolpo dell’esercito ucraino armato e diretto dalla NATO e il 21 settembre Putin ha annunciato la mobilitazione di 300 mila riservisti. In quello stesso giorno in centinaia di migliaia si sono ammassati ai diversi confini della Russia formando km di code per lasciare il paese, su strada e per via aerea da Mosca verso qualsiasi destinazione possibile per evitare la coscrizione.

Ma non c’è solo la fuga, in migliaia sono scesi in piazza per protestare. In 42 città, le forze di sicurezza hanno arrestato 1.330 persone. “In trincea mandateci Putin” hanno gridato.

Un’opposizione al regime di Putin c’è sempre stata, ma era ed è un’opposizione “interessata” di elementi neonazisti, ricchi padroni, oligarchi sostenuti ed alimentati dall’imperialismo USA/NATO, che è altra cosa rispetto alle masse coraggiose che, fin dall’inizio della guerra d’aggressione all’Ucraina, hanno manifestato la loro opposizione alla carneficina in corso con proteste, manifesti, adesivi contro la guerra nei quartieri, con petizioni, sfidando la repressione, gli arresti o le condanne amministrative penali, i licenziamenti e le espulsioni di studenti dall’università da parte di un regime che, con la guerra che sta portando avanti in Ucraina, inasprisce sempre di più il giro di vite delle voci del dissenso.

Masse che non trovano ancora forze comuniste e/o democratiche pronte a sostenerle. Nessuna sorpresa da parte dei sedicenti comunisti che arrivano a sostenere il proprio imperialismo. I revisionisti, i falso comunisti e i trotzkisti come sempre fanno sentire ai proletari e alle masse tutta la loro nullità. Il Partito Comunista Operaio della Russia (Pcor) definisce «imperialista» l’aggressione russa ma subito ci aggiunge che «l’intervento armato della Russia contribuisce alla salvezza della popolazione del Donbass». Per questo, il partito russo assicura che «non si opporrà a tale reale sostegno», al contrario, «nel momento in cui le condizioni hanno reso necessario esercitare violenza verso il regime fascisteggiante di Kiev, noi non ci opponiamo nella misura in cui ciò favorisce il popolo lavoratore».

Il Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR) è presente nella Duma e in vari parlamenti nazionali. Il PCFR si è rifiutato di definire «imperialista» il conflitto, sostenendo che si tratta di una «guerra di liberazione nazionale contro l’internazionale del nazismo e il nuovo ordine degli Usa e della Nato». I trotkisti di Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (RWP) fanno un appoggio “critico” (sic!) al PCFR. Nel maggio 2019 parte della RWP si è divisa e si è fusa nella Tendenza Marxista Internazionale.

Le masse in Russia fanno da sole e si dovranno per forza sbarazzare con la lotta, la lotta rivoluzionaria, di questi parassiti.

Putin ha fortemente limitato la libertà di riunione delle masse russe e, nel corso di una guerra, chi si oppone è “traditore”, molti media hanno smesso di lavorare. Nonostante ciò, tra fine febbraio e inizio marzo, nei primi giorni dell’invasione dell’Ucraina, ci sono state partecipate proteste in decine di città russe, tra cui Mosca e San Pietroburgo, le due più popolose, proteste duramente represse dalle forze dell’ordine con 1900 arresti, e nelle settimane successive il regime russo aveva progressivamente intensificato la repressione del dissenso, con nuove norme ancora più stringenti sulla libertà d’espressione.

Secondo il sito indipendente russo OVD-Info, che si occupa di violazioni di diritti umani, della persecuzione politica in Russia, una ong nata durante le proteste di massa del dicembre 2011, nei giorni successivi e fino al 7 marzo erano state arrestate quasi 5mila persone in 69 città. Le fonti su cui attinge il proprio lavoro OV-Info si basano sui dati provenienti dai comunicati stampa del Ministero degli affari interni, dai rapporti dei servizi stampa dei tribunali, dai messaggi che ricevono sul loro sito e sui numeri di telefono che raccolgono le denunce.

Il 4 marzo è stata emanata una legge che criminalizza la “diffusione di informazioni deliberatamente false sulle forze militari della Federazione Russa”: da allora chi sia ritenuto colpevole di propagare feki (da fake news, in pratica tutto quello che si discosta dalla propaganda ufficiale), o anche solo di utilizzare la parola “guerra”, è passibile di condanna fino a 15 anni prigione.

L’8 aprile il ministero della Giustizia ha chiuso gli uffici di Amnesty International, Human Rights Watch, Carnegie Endowment e altre dodici organizzazioni straniere e internazionali in Russia. L’agenzia li ha esclusi dal registro delle succursali e degli uffici di rappresentanza di organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative estere senza fini di lucro per “violazione della legge”, senza specificare quali fossero le “violazioni”.

La coscrizione di 300 mila militari non ha ottenuto l’effetto sperato da Putin e si hanno notizie di migliaia di russi mobilitati per il servizio militare in Ucraina sono stati rimandati a casa dopo essere stati ritenuti non idonei al servizio. Il quotidiano russo indipendente in esilio Novaya Gazeta ha stimato a oltre 250.000 il numero di coloro che erano fuggiti dalla Russia dopo la mobilitazione (fonte: Aljazeera)

Anche tra le fila dei i militari russi aumenta il numero dei disertori, degli obiettori o degli evasori, e le pene sono l’arresto fino a 10 anni nel caso di conflitto. Soldati carne da cannone reclutati nelle zone più povere e periferiche.

Militari che si rifiutano di combattere ovviamente sono anche tra le fila ucraine e bielorusse.

L’opposizione alla guerra in Russia viene alimentata dalle madri dei soldati che chiedono e pretendono notizie sui propri figli di cui non sanno più nulla da settimane o che si attivano diffondendo informazioni utili per poter rifiutare l’arruolamento o il ritorno al fronte per chi è tornato per l’avvicendamento.

Di seguito i dati delle mobilitazioni dal sito OVD-Info sugli arresti in Russia di chi ha manifestato contro la guerra

24 febbraio: 1.965

25 febbraio: 643

26 febbraio: 533

27 febbraio: 2.857

28 febbraio: 516

1 marzo: 329

2 marzo: 852

3 marzo: 498

4 marzo: 80

5 marzo: 84

6 marzo: 5.572

8 marzo: 122

13 marzo: 936

2 aprile: 215

21 settembre: 1.382

22 settembre: 14

24 settembre: 847

25 settembre: 149

Torino, sgomberato il centro sociale Edera Squat. La solidarietà si è espressa subito con un primo corteo. Alle compagne e compagni occupanti massima solidarietà dal soccorso rosso proletario, BASTA SGOMBERI!

Nella casa occupata di via Panezza all’arrivo delle forze dell’ordine c’erano sette persone che saranno denunciate per occupazione abusiva.

Da osservatorio repressione

E’ scattato intorno alle 6.00 di questa mattina, lunedi 3 ottobre, il blitz per lo sgombero del centro sociale Edera Squat. Le camionette della polizia si sono presentate ancor prima che sorgesse il sole in zona Lucento. Non è chiaro al momento quante persone ci siano all’interno del centro sociale di via Pianezza. Sui social è subito scattato il tam tam sui vari profili autonomi, con inviti ad accorrere in zona per contrastare lo sgombero.

Uno spazio di socialità e aggregazione in un quartiere completamente dimenticato dalle amministrazioni cittadine, Vallette infatti funge soltanto da pass partout quando la stampa deve parlare del disagio e della povertà in stampo pietistico. L’ Edera ha organizzato momenti in quartiere per bambini e famiglie, incontri ed eventi musicali, sportivi e cineforum in piazza, è stato un luogo di scambio e confronto, un punto di riferimento per chi abita in territori di cui nessuno si cura.

Questo sgombero si inserisce in un clima che ormai da anni vede i movimenti sociali in città sotto attacco da parte delle istituzioni. Torino è una città piena di contraddizioni, la metropoli più povera del Nord Italia, dove tra il centro e la periferia le speranze di vita diminuiscono di 5 anni. E’ evidentemente una città sofferente dove le questioni sociali vengono sempre più gestite come problemi di ordine pubblico e le esperienze che provano a costruire alternative vengono costantemente poste sotto attacco.

Con lo sgombero dell’Edera prendono corpo le minacce mosse la scorsa estate dal Comune di cancellare gli spazi occupati e i centri sociali dal tessuto sociale torinese.

Queste scelte politiche e poliziesche evidenziano la totale cecità e incapacità di previsione delle amministrazioni di fronte a una città sempre più invivibile, vuota e in cui “la sicurezza” viene portata come vessillo per ogni problema. Forse una migliore gestione delle risorse, un’attenzione maggiore per i bisogni dei giovani, dare priorità ai servizi essenziali rendendoli efficienti e accessibili potrebbero essere alcune idee…

Ma invece a chi amministra interessa soltanto continuare a guadagnare sul debito di questa città, mandare in galera ragazzini e sgomberare spazi di possibilità e libertà.

La corrispondenza di Radio Onda d’Urto dal centro sociale Edera Ascolta o scarica

La corrispondenza di Radio Onda Rossa dal centro sociale Edera Ascolta o scarica

Iran, non si fermano le proteste contro il regime clerico-fascista. Manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo

Venti persone, compresi membri della polizia, sono state uccise in scontri armati a Zahedan venerdì 30 settembre. All’inizio i manifestanti hanno lanciato pietre contro una stazione di polizia, ma poi uomini armati hanno cercato di assaltare i tre centri delle forze dell’ordine. Diversi agenti di polizia sono stati uccisi così come il numero due dei servizi di intelligence delle Guardie Rivoluzionarie. Banche e centri commerciali sono stati attaccati da manifestanti inferociti e la repressione delle manifestazioni è stata mortale (finora sono stati contati 58 morti). Zahedan è la capitale provinciale del Sistan-Baluchistan è una regione svantaggiata al confine con Pakistan e Afghanistan.

Sabato si sono svolte manifestazioni in diverse università iraniane per denunciare la micidiale repressione del movimento di protesta. Manifestazioni “sono state organizzate anche in piazza Enghelab vicino all’Università di Teheran, nel centro della capitale, dove sono scoppiati scontri tra la polizia ei manifestanti, alcuni dei quali sono stati arrestati. La polizia iraniana ha arrestato diverse personalità che si erano espresse sui social network a favore dei manifestanti, tra cui l’ex calciatore internazionale Hossein Manahi o il cantante Shervin Hajipour, la cui canzone “Baraye” (“For”), composta da tweet sulle proteste, è andata virale su Instagram. La polizia ha anche arrestato una donna che ha mangiato in un ristorante a Teheran senza velo in un’immagine diventata virale sui social media. Almeno 29 giornalisti sono stati arrestati, tra cui Nilufar Hamedi ed Elahe Mohammadi, reporter che hanno contribuito a esporre il caso di Amini. All’estero, sabato si sono svolte manifestazioni di solidarietà, alla presenza della diaspora iraniana, in più di 150 città, tra cui Berlino, Bruxelles, Roma, Madrid, Atene, Bucarest, Londra, Lisbona, Varsavia e Tokyo.

Di seguito immagini della manifestazione a Milano

Francia: Georges Abdallah in sciopero della fame di solidarietà

Dal 25 settembre, 30 prigionieri palestinesi imprigionati senza accusa né processo in “detenzione amministrativa” hanno intrapreso uno sciopero della fame per chiedere la fine di questa politica, che attualmente imprigiona più di 740 prigionieri palestinesi sotto “prove segrete”. Sabato 1 ottobre, l’attivista comunista libanese Georges Abdallah ha annunciato che avrebbe iniziato uno sciopero della fame di un giorno in solidarietà con questa mobilitazione. In una lettera indirizzata al direttore del Centro Penitenziario di Lannemezan, ha dichiarato:“In solidarietà con i combattenti della Resistenza palestinese imprigionati nelle carceri sioniste che sono in sciopero della fame per denunciare la loro detenzione arbitraria e chiedere l’abrogazione della legge che consente la ‘detenzione amministrativa’, oggi 1 ottobre sono in sciopero della fame” . Imprigionato in Francia dal 1984, Georges Abdallah è un combattente della resistenza palestinese riconosciuto come parte del movimento dei prigionieri palestinesi. Regolarmente partecipa a scioperi della fame o rifiuto del set in solidarietà con i suoi compagni imprigionati dall’occupazione israeliana, in particolare nel 2016, 2017 e 2019.