Corsica: Ucciso in carcere l’indipendentista Yvan Colonna. Migliaia di persone in piazza, scontri con la polizia


Le strade della Corsica sono attraversate ormai da una settimana da migliaia di persone, con durissimi scontri contro la polizia.
 In piazza sindacati studenteschi e realtà indipendentiste e autonomiste dopo l’omicidio in carcere, nel sud della Francia, di Yvan Colonna.

Lo storico indipendentista, condannato all’ergastolo per l’omicidio nel 1998 del prefetto Erignac (accusa da lui sempre respinta) sarebbe stato ucciso da un 38enne carcerato jihadist per un diverbio…religioso, terminato con un lungo pestaggio, senza che gli agenti penitenziari intervenissero.

La spiegazione delle autorità francesi non ha però convinto nessuno, in Corsica, tanto che ogni sera ci sono cortei, assalti dei commissariati, molotov e granate stordenti. Almeno due i feriti gravi, un 14enne e un 16enne a Bastia.

Nonostante questo la mobilitazione prosegue e si allarga: i lavoratori del “Sindicatu Travagliadori Corsi marinari” hanno impedito a un traghetto proveniente da Tolone di sbarcare rinforzi per gli agenti anti-sommossa, tenendolo bloccato per 14 ore e facendo infine sbarcare tutti i passeggeri tranne gli agenti, che sono tornati indietro.

La corrispondenza con Francesco Lanfranchi, giornalista di Alta Frequenza, storica emittente radiofonica della Corsica, dove trasmette dal 1981. Ascolta o scarica

da Radio Onda d’Urto

Contro la Repressione delle lotte il soccorso rosso proletario sottoscrive e invita a sottoscrivere questo appello

Io sto con Maria, Mimì, Eddy, Ciro, Antonio!

Appello pubblico contro gli avvisi orali notificati a Eddy, Mimì, Maria, Antonio e Ciro che minacciano le libertà personali e sindacali e il diritto al dissenso di tutti e tutte.

Il 23 febbraio 2022 a Napoli sono stati notificati degli “avvisi orali” dalla Questura di Napoli ad Eddy, Mimì, Maria, Antonio e Ciro, protagonisti/e del movimento di lotta per il lavoro “Disoccupati 7 Novembre” e del sindacato intercategoriale “Si Cobas”. Avvisi orali che esortano al buon comportamento e in cui il questore in persona “intima di tenere una condotta conforme alla legge” per evitare “l’applicazione di una delle misure di prevenzione previste”. Intimazione che si trasforma, nel caso di Eddy, in aperta accusa di essere dedito, tramite il proprio impegno sindacale, ad “attività illecite ai fini del proprio sostentamento”.

Quella fredda mattina di febbraio ha risvegliato una sensazione, mai sopita, di inquietudine e una consapevolezza poco gradita: chi oggi chiede possibilità occupazionali, un salario stabile, apertura di posti di lavoro o difesa di quelli esistenti, viene trattato come un soggetto dalla pericolosità sociale, indagato/a e perseguita/o come tale. Tutto questo accade a Napoli e in tanti altri posti d’Italia dove scelte politiche ed economiche hanno favorito nel corso degli anni la piaga del lavoro nero, l’aumento esponenziale di precarietà e della disoccupazione. Mentre da nord a sud risulta ormai assente qualsiasi forma di welfare, milioni di persone vivono in condizioni di indigenza o povertà assoluta con un aumento considerevole del numero di lavoratori e lavoratrici che o hanno perso il lavoro o sono state/i costretti/e a firmare contratti a tempo determinato.

Alla luce di questa situazione ci chiediamo e chiediamo a chi non ha smesso di riflettere criticamente sulla realtà che vive quotidianamente: è forse contro la legge lottare per il riconoscimento del diritto al lavoro sicuro e retribuito? È forse contro la legge il tentativo di tanti e tante di provare a sottrarsi alla marginalità sociale, vera e propria piaga che condanna ad una vita infernale fasce sempre maggiori della popolazione a Napoli come altrove? È forse contro la legge il diritto di sciopero, l’attività sindacale condotta senza compromessi a ribasso, per il rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro, delle norme di sicurezza, per la costruzione di presidi sanitari nei posti di lavoro in tempi di pandemia?

Al di là delle legittime valutazioni personali, siamo dinanzi all’ennesimo attacco nei confronti del movimento di lotta “Disoccupati 7 Novembre” e di un sindacato, il “Si Cobas”, sempre in prima linea nella difesa dei lavoratori e delle lavoratrici in diversi stabilimenti lavorativi. Attività perseguite non solo dalla Questura, ma anche da grandi aziende interessate nel mantenere intatti i propri profitti senza garantire diritti. Un’escalation fatta di multe, denunce, procedimenti di vario tipo, cinque processi da tenere nel solo mese di marzo, fino all’indagine per “Associazione a delinquere” che ha colpito alcuni/e di loro.

Oggi arriva la notifica dell’avviso orale, una misura dichiarata come preventiva ma che limita pesantemente i destinatari e le destinatarie, fondando la sua legittimità su congetture pretestuose, formulabili solo se si dà per assunto che la legge non valga per tutte e tutti e che dunque non esista libertà personale, sindacale e politica. La Questura di Napoli ritiene necessarie le notifiche di questi provvedimenti ai danni di chi porta avanti le sue battaglie in modo chiaro e trasparente per il diritto al lavoro in quella che è una delle città con il più alto tasso di disoccupazione, lavoro nero, sommerso e irregolare di tutta Europa. Una città che sta duramente soffrendo questi due anni di pandemia che hanno aggravato una preesistente crisi economica e sociale. In un momento così delicato le istituzioni, invece di dare risposte concrete al disagio sociale, alla disoccupazione, alla precarietà ed al lavoro nero, criminalizzano e reprimono chi si organizza per emanciparsi dalla povertà e dalla marginalità tramite la lotta.

Questo atteggiamento risulta difficilmente comprensibile se proviene dalle stesse istituzioni che accettano di sedere al tavolo con questi “pericolosi” individui. Basti pensare che il Movimento dei/delle disoccupati/e ha incontrato numerose volte il vescovo di Napoli, Mimmo Battaglia, in sedi istituzionali Prefetti, Sindaci, delegati di ogni ente locale, ha partecipato ai tavoli organizzati con i ministri del Lavoro, in ultimo Andrea Orlando, e ha interloquito perfino con la segreteria del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Deputati e senatori della Repubblica si sono espressi per sollecitare una soluzione alla vertenza dei “Disoccupati 7 Novembre”, oggi dichiarati/e come delinquenti dagli stessi organi dello stato. Lo stesso Movimento è tutt’ora in trattativa dopo aver conquistato, tramite la lotta, la possibilità di sedersi al tavolo interistituzionale convocato dalla Prefettura per l’Emergenza lavoro a Napoli.

La storia del Movimento “Disoccupati 7 Novembre”, è la storia di una lotta che non ha retroscena, segreti o scheletri nell’armadio. Essa ha il merito di essere diventata un presidio di democrazia diretta per l’accesso al lavoro, uno spazio di crescita per molti disoccupati e molte disoccupate e per chi ha sempre vissuto combattendo contro la miseria, in una città che ha fatto della conoscenza privata e del clientelismo l’unica via per un’occupazione stabile. Forse questa lotta, al pari della solidarietà tra lavoratori e lavoratrici e disoccupati/e, fa paura a qualcuno? Mentre si moltiplicano dubbi, domande e perplessità, esiste solo una certezza: non possiamo e non dobbiamo accettare che si reprima in questo modo il dissenso di chi lotta per i diritti di tutti e tutte. Precedenti, simili, tentativi di indagine da parte degli inquirenti, a Napoli come in altre città nei confronti di movimenti di lotta o attivisti/e, si sono rivelati un buco nell’acqua per la loro infondatezza. Resta la gravità dell’attacco portato avanti, anche nel caso di Eddy, Maria, Mimi’, Ciro e Antonio, con il solo obiettivo di provare a minare la possibilità di azione e organizzazione per settori sociali in crisi.

Dinanzi a questo pericolo ci rivolgiamo a chi ancora crede che cambiare le cose sia possibile, a chi ritiene inaccettabile tale procedimento, a chi guarda alla necessità di schierarsi al fianco di chi legittimamente combatte per una vita degna soprattutto in questa fase di crisi prolungata.

Ci rivogliamo ai giornalisti e alle giornaliste, interessate/i a raccontare la storia collettiva del Movimento “Disoccupati 7 Novembre”, e a chiunque, in giro per l’Italia, voglia confrontarsi con i/le protagonisti di questa lotta oggi sotto attacco.

Ci rivolgiamo alla società civile tutta, al mondo accademico, al mondo della informazione, ai giuristi e alle giuriste, agli artisti e alle artiste, agli e alle intellettuali, auspicando che in tanti e in tante sottoscrivano quest’appello*.

Siamo convinti/e che sia necessaria una presa di parola collettiva rispetto a questa vergogna.Non basta una difesa legale quando è lo stesso Stato colui che ti accusa. La risposta, in questo caso, deve essere sociale e collettiva. L’ isolamento è la più grande arma del potere, non lasciamo nessuno e nessuna da sola/o a subire la repressione. Difendiamo il nostro diritto al dissenso, resistiamo agli attacchi che subiamo e proseguiamo insieme le nostre battaglie per migliorare l’esistenza di tutti e tutte noi.

Io sto con Maria, Mimì, Eddy, Ciro, Antonio!

*Per chiunque volesse sottoscrivere l’appello può scriverci alla pagina fb “Laboratorio Politico Iskra” oppure alla pagina Ig “Laboratorio politico Iskra”

Modena, 11 e 12 marzo 2022: “Noi non archiviamo”

Incontri, dossier, video, mostra, musica, danza e poesia per il secondo anniversario delle strage del carcere Sant’Anna di Modena, 11 e 12 marzo 2022.

L’otto marzo del 2020 un’ondata di proteste e di rivolte ha attraversato le carceri italiane, provocata dalla paura dei contagi di Covid-19 e dalle misure che per decreto appesantivano insopportabilmente le condizioni di prigionia, come il blocco dei colloqui con i familiari, del lavoro esterno, delle attività scolastiche e formative.
Condizioni di prigionia già insopportabili da prima, per il sovraffollamento, la mancanza di assistenza sanitaria, la negazione di diritti basilari e la violenza insita nell’istituzione carceraria.
Le proteste e le rivolte del marzo 2020 hanno lasciato sul campo 13 detenuti morti, a Bologna, a Rieti e soprattutto al Sant’Anna di Modena.
Sull’inchiesta che riguardava otto di queste morti è stato steso, dal Tribunale di Modena, il sudario dell’archiviazione, rendendo impossibile un dibattimento che potesse approfondirne le circostanze e le cause, collegandole anche alle denunce sulle violenze da “macelleria messicana” subite dai detenuti e sulle testimonianze in merito al mancato soccorso di persone in overdose.
Ma se i tribunali archiviano, noi non archivieremo mai.

Modena, 11 e 12 marzo 2022, NOI NON ARCHIVIAMO

Venerdì 11 marzo:

18.00 : assemblea pubblica/presentazione del secondo dossier
20.30: proiezione di “Anatomia di una rivolta”, servizio per RaiNews24 di Maria Elena Scandaliato e Giulia Bondi
22.00: Banda POPolare dell’Emilia Rossa / Dandy Bestia / giorgiocanali in concerto
presso Vibra, viale IV Novembre, 40/a, 41123 Modena MO.
Ingresso con tessera arci, richiesto Green Pass.

Sabato 12 marzo:

16.00 : piazzale San Giorgio – Performance di danza contemporanea a cura di Rylab – Laboratorio Sperimentale di Danza Contemporanea diretto dalla danzatrice professionista Eleonora Di Vita @enoire / mostra itinerante a cura di Associazione Antigone Emilia Romagna.
17.00 : largo Sant’Eufemia – Reading poetico cura del collettivo Modena city rimers.
18.00 : piazzetta Pomposa – Poesie con Alberto Masala – Microfono aperto e birra per i detenuti presso Jutacafè Modena.

L’incasso del concerto dell’11 e dell’aperitivo del 12 sará impiegato per riportare in Tunisia Hafed Chouchane, morto al Sant’Anna e ancora sepolto al cimitero di Ganaceto (MO).

Comitato Verità e Giustizia per i morti del Sant’AnnaAssociazione Bianca Guidetti SerraAssociazione Idee in CircoloVibra.

Indonesia: bruciata la stazione di polizia in solidarietà con i prigionieri anarchici

Il 2 marzo una stazione di polizia è stata data alle fiamme nei pressi del Tugu Mahkota (il famoso “Monumento della Corona”) a Surakarta, sull’isola di Giava. Nella stessa città sono state lanciate bombe molotov anche alla fabbrica di Waskita Colomadu, una società di costruzioni statale indonesiana. Queste azioni sono state rivendicate con l’obiettivo di attaccare le autorità e le aziende responsabili di land grabbing ed ecocidi. Lo afferma il comunicato stampa“Il fuoco che abbiamo appiccato non è solo una forma di attacco senza senso alla proprietà statale e capitalista, ma il nostro fuoco è presente anche come forma di solidarietà per ogni combattente anarchico detenuto o in fuga dagli apparati mafiosi di Stato. E senza dimenticare che siamo dalla parte dei guerriglieri urbani anarchici in Ucraina e Russia che affrontano la guerra a modo loro ribellandosi contro ogni forma di autorità statale, che sia lo stato russo o lo stato ucraino, solidarietà con gli anarchici ovunque ! » 

India, arrestato leader maoista

Il membro del comitato centrale del Partito Comunista Indiano (maoista) Arun Kumar Bhattacharjee alias Kancha Da è stato arrestato dalla polizia di stato di Assam nel distretto di Cachar. Kanchan Da aveva responsabilità in diversi stati come Jharkhand, Chhattisgarh, Telangana, Andhra, Odisha. Anche uno dei suoi stretti collaboratori, Akash Urang alias Rahul alias Kajal, un membro del Comitato Organizzatore Statale CPI(M) Assam, è stato arrestato.

Russia: Oltre 6000 oppositori alla guerra arrestati

Oltre 6mila arresti per le persone che scendono in piazza a contestare l’invasione dell’Ucraina voluta da Putin. Si segnalano anche pestaggi e decisioni arbitrarie da parte delle corti giudiziarie. Ovd-info: «Russia, violati diritti umani per chi protesta contro la guerra»

di Daniela Galiè e Francesco Brusa

Mentre avanza, in mezzo ai timidi tentativi di negoziato, la conta delle morti in Ucraina, sale inesorabilmente quello degli arresti nella Federazione Russa. Migliaia e migliaia di persone hanno scelto di contestare la scelta del proprio presidente di invadere la vicina repubblica e la risposta è stata una dura repressione: oltre 6mila arresti sinora.

Fra le poche associazioni e realtà che rendono pubblici questi dati e che, oramai da decenni, si pongono a difesa dei diritti di chi manifesta in Russia c’è l’organizzazione non governativa Ovd-info. Abbiamo intervistato la sua portavoce Maria Kuznetsova per fare il punto su quanto sta avvenendo.

Come commentate la situazione dei diritti umani di chi in questo momento sta protestando contro la guerra?

Com’è purtroppo consueto, siamo di fronte all’evidenza di numerose violazioni dei diritti delle persone che vengono detenute nel corso di manifestazioni contro la guerra assolutamente pacifiche. Tanto per incominciare, le stesse detenzioni possono essere considerate delle violazioni del diritto di riunione e associazione. Inoltre, è possibile affermare che sono in corso trattamenti inumani e degradanti che avvengono presso le camionette della polizia e presso le stazioni di polizia. Alcune persone sono state picchiate pesantemente, fino a provocare concussioni e altri tipi di infortunio. È possibile infine affermare che sono in corso violazioni del diritto a un giusto processo, visto che molto spesso i giudici stanno emettendo verdetti solo sulla base delle dichiarazioni delle forze dell’ordine. Al momento, molta gente è stata sanzionata da una multa o arrestata.

Siamo già a oltre 6mila arresti. È una cifra che secondo voi indica un inedito livello di repressione? Ve l’aspettavate?

Difficilmente ci mettiamo a fare previsioni sul numero degli arresti, visto che le situazioni che si formano e il comportamento della polizia sono di solito indecifrabili a priori. Per fare un esempio, durante le precedenti manifestazioni di massa del 21 aprile 2021, la polizia non ha praticamente compiuto nessun arresto sul momento salvo poi recarsi successivamente alle abitazioni dei partecipanti e detenerli direttamente in quell’occasione. Ma ora è chiaro che le autorità stanno cercando di reprimere coloro che scendono in piazza. È difficile collocare il numero delle detenzione dentro un ideale scala del livello di repressione ma, sì, ci sono segni di una grossa tendenza repressiva contro la società civile.

Quali sono i rischi concreti che corre chi viene arrestato?

Stiamo assistendo a un alto numero di casi di violazione dei diritti di persone arrestate da parte delle corti giudiziarie in seguito allo stesso arresto. La ragione è che c’è così poco spazio nei centri di detenzione che alcuni dei manifestanti detenuti vengono riportati presso le stazioni di polizia e si ritrovano a passare le notti lì. Se una persona ha già ricevuto una condanna per aver partecipato a delle manifestazioni nel corso dell’ultimo anno, la successiva “violazione” viene considerata come recidiva e quella persona puà dunque essere multata fino a 300mila rubli o tenuta in prigione fino a 30 giorni. Altri tipi di illecito possono condurre a un arresto fra i 10 o i 15 giorni (o a diversi tipi di multa).

Si viene arrestati solo per il semplice fatto di prendere parte alle proteste?

Questa è la situazione cui abbiamo fatto fronte in tutti gli anni del nostro lavoro. Il fatto che le persone vengano arrestate semplicemente per aver preso parte a una manifestazione non concordata con le autorità è qualcosa di ordinario. Poster, slogan, addirittura il portare delle spille oppure avere con sé delle bandiere sono ragioni sufficienti per essere detenuti, oppure ancora sostare in un certo posto. La stragrande maggioranza delle persone vengono arrestate per non aver fatto nient’altro che partecipare alle manifestazioni.

E per quanto riguarda la vostra associazione? Riuscite a fare il vostro lavoro? Subite delle pressioni?

Sentiamo una pressione nei nostri confronti dalla fine dell’anno scorso. Allora siamo stati considerati come una sorta di “agente straniero” sul concludersi di dicembre, il nostro sito fu bloccato in seguito a una controversa decisione della corte competente, e l’intero procedimento giudiziario si è svolto con ripetute violazioni. Il nostro principale collaboratore, Memorial Human Center, è in attesa per l’appello. Tutto ciò ostacola il nostro lavoro, ma continueremo sulla nostra strada anche grazie al supporto di tante persone.

da DINAMOpress