Giro di vite del governo: dalla Valsusa ai centri cittadini il diritto a manifestare viene calpestato

Di ieri è la notizia che saranno vietati i cortei nei centri cittadini per i prossimi tempi da parte del governo Draghi. Tutti i cortei. Chiunque voglia manifestare il proprio sdegno per qualcosa non potrà farlo nei centri delle città, né sotto i cosiddetti obbiettivi sensibili (cioè gli eventuali responsabili delle situazioni per cui si manifesta).
Tutto ciò perché secondo le stime di non si capisce bene chi, fatte non si capisce bene come, i commercianti dei centri storici avrebbero subito un’inflessione del 30% nelle vendite a causa dei cortei, dunque visto che si avvicina il periodo natalizio il consumo non va disturbato e se a qualcuno rode il culo (perdonate il francesismo) per qualcosa che faccia un sit in fuori dalle mura della città. Che poi chissà se questa inflessione è dovuta veramente veramente ai cortei o forse al fatto che le piattaforme multinazionali durante la pandemia hanno distrutto il commercio di prossimità e continuano a farlo, al fatto che il reddito delle persone si sta contraendo ecc… ecc… Ma si sa lo stereotipo del commerciante terrorizzato dalle manifestazioni piace sempre.
In Val di Susa sono anni che tra divieti, zone rosse, zone d’interesse strategico, reti e filo spinato e camionette in intere aree del nostro territorio ci vengono impediti il diritto di circolazione e quello di manifestazione. Tutto ciò per difendere il profitto di pochi contro un’intera popolazione che si oppone ad un’opera inutile ed inquinante.
Quanto sta succedendo nei centri cittadini risponde alla stessa logica. Era iniziata ieri con i decreti antiaccattonaggio, con i daspo urbani e adesso con i divieti a manifestare, ahinoi, spesso approvati tra gli applausi da una parte degli stessi che oggi scendono in piazza contro il green pass (l’indesiderabile è sempre l’altro… fino a che non diventi tu). Oggi si vuole continuare a imporre che nei centri vetrina delle città non succeda nulla, questa volta dietro la scusa grottesca di un possibile aumento dei contagi dovuti alla manifestazioni all’aria aperta mentre sui luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici e nei templi del consumo ci si stipa come prima a far arricchire i soliti noti che passano il loro tempo a piangere miseria sulle pagine dei giornali.
PD, Movimento 5 Stelle e la varia “sinistra” governista plaudono delle misure che neanche nella peggiore democratura sarebbero applicate a cuor leggero. I sindacati confederali? Assenti. Il diritto a manifestare diventa un privilegio di concessione reale.
Questa misura non ha nulla a che vedere col fatto di essere a favore o meno del green pass o del vaccino. Quanto avviene è la misura di una crisi di legittimità dello Stato senza precedenti, che indica quanto politici ed imprenditori siano consapevoli che il consenso nei confronti della loro gestione dello stato di cose presenti sia al minimo storico e si trincerano dietro autoritarismo, imposizioni e filo spinato, reale e metaforico. E ciò dà il senso di quanto la vera “emergenza democratica” siano loro.

Udine: Iniziative contro il carcere l’11 e 13 Novembre

Riceviamo e diffondiamo:

Giovedì 11 novembre, dalle 8.30, saremo ancora una volta fuori dal Distretto sanitario di Udine per informare utenti, pazienti e passanti che in quella struttura i funzionari e le autorità promuovono i trattamenti e gli abusi che, nel carcere di questa città, negli ultimi anni hanno portato sofferenza, abbandono, disperazione… e, ultimamente, alla morte del detenuto Ziad Kritz, di soli 22 anni, avvenuta per azioni e scelte deliberate – che lo stesso garante Corleone ha definito pubblicamente «discutibili».

Saremo in strada, fuori dal Distretto sanitario, perché quella mattina due nostr* compagn*avranno l’udienza al processo intentato dallo Stato con l’accusa di istigazione a delinquere e diffamazione nei confronti di funzionari pubblici: ovvero i responsabili della gestione sanitaria (scellerata) del carcere di Udine. In altre parole, pare che la Digos e la procura di Udine vogliano farci pesare penalmente ogni nostra parola che, superando la sterile libertà di indignarsi, rivendichi la libertà di lottare. E così, tanto per fare degli esempi dei nostri capi di accusa, affermare che è giusto colpire con l’azione diretta chi (veramente) istiga al razzismo e alla guerra tra poveri, come la Lega, diventa istigazione a delinquere. Dire che la malasanità in carcere è tortura e dunque denunciare come torturatori i medici che se ne fregano dei/delle detenut*, diventa diffamazione.

La farsa giudiziaria nasconde impercettibilmente una violenza sottile ma precisa. Contrariamente a quanto ritengono alcuni, indossare un’uniforme o utilizzare un distintivo non sono atteggiamenti professionali, come se si trattasse di un indumento o un utensile di lavoro. Attraverso essi viene perseguito l’obbiettivo di esprimere la legittimità di una funzione. Quale? Individuare gesti di ostilità, resistenza, refrattarietà al patriarcato e al capitale, inserirli nella logica del diritto penale per screditarli, sminuirli, trasformarli in banali comportamenti personali diretti contro altre persone (i funzionari), per oscurare le reali condizioni sociali e per consolidare i rapporti di dominazione.

Sabato 13 novembre, dalle h 8.30, contesteremo garanti, direttori di carcere, funzionari dell’amministrazione penitenziaria, magistrati, preti, scienziati sociali, esponenti del terzo settore,… in convegno presso la sala Ajace di Palazzo D’Aronco, sede municipale cittadina. Saremo là, perché non diamo nessun credito alla capacità delle istituzioni di assumersi la responsabilità collettiva dei problemi causati da privilegi e differenze strutturali di questa società, problemi per i quali i reietti sono rinchiusi dietro le sbarre, così da fare sparire tali problemi dallo sguardo di chi invece, in virtù delle decisioni del sistema giudiziario, può vivere fuori dalle mura. Queste iniziative possono concorrere a produrre solo nuove figure di operatori penitenziari, del tutto ideologiche, mettendo al riparo i dipendenti pubblici dalle loro concrete responsabilità.

GLI APPUNTAMENTI A UDINE SONO DUNQUE:

GIOVEDì 11 NOVEMBRE h 8.30, IN VIA S.VALENTINO, DAVANTI ALL’INGRESSO DEGLI AMBULATORI DEL DISTRETTO SANITARIO;

SABATO 13 NOVEMBRE h 8.30, IN PIAZZA LIBERTÀ ANGOLO VIA CAVOUR, PRESSO L’ACCESSO ALLA SALA AJACE

Assemblea permanente
contro il carcere e la repressione FVG

Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, la Cassazione conferma le accuse per 3 agenti

Da Fanpage

La Corte di Cassazione ha confermato le accuse e gli arresti domiciliari per tre degli agenti accusati delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) perpetrate il 6 aprile del 2020 ai danni dei detenuti.
A cura di Valerio Papadia

Confermate le accuse per tre agenti coinvolti nelle violenze sui detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, nella provincia di Caserta, perpetrate da alcuni poliziotti il 6 aprile del 2020. La Corte di Cassazione ha confermato le accuse e quindi la detenzione agli arresti domiciliari per tre degli agenti indagati, rigettando gli altri ricorsi nel merito. Per loro, come detto, sono stati confermati gli arresti domiciliari: non potranno tornare in libertà, come invece chiesto dai legali.

Le violenze sui detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere
La vicenda sulle violenze nel carcere del Casertano – venute a galla soltanto dopo, con gli arresti e le perquisizioni ai danni degli agenti e dei dirigenti del carcere e che ha tenuto banco sugli organi di informazioni nazionali e internazionali per settimane – si riferiscono al 6 aprile del 2020. In quella data, alcuni detenuti protestarono per le restrizioni anti Covid appena introdotte, a pochi giorni dall’esplosione della pandemia. Come rappresaglia alle proteste, alcuni agenti pestarono duramente i detenuti, in alcuni casi mettendo a punto vere e proprie torture.

Sono 120 gli indagati tra agenti e dirigenti
Le indagini, condotte dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, si sono concluse il 9 settembre del 2021: sono 120 le persone indagate per le violenze, tra agenti della Polizia Penitenziaria e funzionari e dirigenti del Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria. Tra questi, ci sono 12 indagati per la morte del detenuto Lamine Hakimi, deceduto il 4 maggio del 2020: vittima anche lui delle violenza, da allora era stato posto in isolamento.

India, continua la repressione e l’uccisione di militanti maoisti da parte del regime fascista di Modi

Un maoista è stato ucciso dalle forze di sicurezza nel distretto di Dantewada, nello stato di Chhattisgarh, venerdì. È stata un’unità paramilitare locale, la District Reserve Guard (DRG), a sparare a Ramsu Korram, comandante di sezione della guerriglia maoista. Nel frattempo, la polizia di stato del Kerala ha arrestato domenica un maoista noto come Ragavendra, Goutham e Murukesan a Valapattanam, nel distretto di Kannur. Era ricercato dal 2016 per l’organizzazione di un campo di addestramento per guerriglieri nelle foreste di Nilambur, nel distretto di Malappuram.

8 naxaliti arrestati nel chhattisgarh

Funzionari di polizia del distretto di Sukma hanno detto che otto naxaliti, Kawasi Raju, Kalamu Mada, Komram Kanna, Madkam Hidma, Tursam Mudraj, Madkam Enka, Madkam Soma e Madkam Mutta, sono stati arrestati nella foresta del villaggio di Morpalli sotto l’area della stazione di polizia di Chintalnar. Su sei di loro era stata messa una taglia

Il 31 ottobre, tre donne maoiste erano state uccise dalle forze di sicurezza nella zona di Katekalyan, nel distretto di Dantewada.

Le maoiste uccise erano Raje Muchaki, Geeta Markam e Jyoti alias Bhime Nuppo, che erano attive come membri del Comitato di area dei maoisti di Katekalyan, e sulla testa di ciascuna pendeva una taglia di 5 lakh di rupie.

L’antifascismo non si processa, sono gli squadristi no vax che dovrebbero sedere sul banco degli imputati per crimini contro l’umanità

Da Potere al popolo Genova

GENOVA: NOI STIAMO CON GLI ANTIFASCISTI!

Genova si sta per aprire il più grande processo politico della storia della città dal secondo dopoguerra. Infatti, oltre 50 attivisti antifascisti, tra cui un nostro militante, stanno per essere processati per i cosiddetti “fatti di Piazza Corvetto”, ovvero per essersi opposti, insieme ad altre migliaia di giovani e lavoratori ad un comizio di CasaPound.

La volontà della Procura è quella di dare una punizione collettiva a coloro i quali, insieme ad altre migliaia di manifestanti, hanno semplicemente agito, in senso militante, quell’antifascismo di cui ora proprio le forze istituzionali e i vari partiti fanno un uso di facciata per criminalizzare chi si oppone al massacro sociale guidato dal Governo Draghi.

In Piazza Corvetto il 23 maggio 2019 c’era la parte migliore di Genova, quella che ha ripreso la lunga tradizione antifascista della città emulando il giugno del 1960, opponendosi, così come allora, alla presenza di organizzazione neofasciste in città.

Insieme agli attivisti politici, agli studenti, ai camalli del porto, c ‘erano persone terrorizzate dalla violenza delle forze dell’ordine (le quali, dopo aver chiuso tutte le vie di uscita di una piazza hanno cominciato a lanciare gas lacrimogeni, e a pestare brutalmente chiunque si trovasse loro di fronte, giornalisti compresi) ma determinate a tenersi la piazza.

C’erano insomma una piazza ed una città intera che resistevano ad un’ ingiustizia, un comizio fascista in una città medaglia d’ oro alla resistenza, supportato da una strategia militare orchestrata dalle istituzioni.

Per questo motivo non possiamo che stringerci intorno agli imputati e denunciare la gravità dell’operazione repressiva. Al termine del nostro coordinamento nazionale abbiamo quindi pensato di mandare un saluto ai compagni e alle compagne denunciate, per manifestare loro la nostra vicinanza umana e politica, alla quale ovviamente daremo una continuità materiale nei prossimi mesi.

Roma, aggredita da un poliziotto attivista no borders. Massima solidarietà e denuncia da SRP

Da Femminismo rivoluzionario

Questa mattina alcune compagne ci hanno riferito che Sara Zuffardi, attivista no borders, nel tentativo di spiegare alle forze dell’ordine un’aggressione fascista nei confronti di due giovani arabi, veniva aggredita da un poliziotto che le procurava diverse contusioni.

Trattenuta e minacciata in commissariato per 8 ore,  Sara si è fatta medicare al Policlinico Umberto I.

Alla generosa compagna va la massima solidarietà del MFPR

Israele assassino! Un altro adolescente palestinese ucciso dai soldati israeliani

Ieri Mohammed Daadas, 13 anni, è stato colpito a morte allo stomaco dalle forze israeliane nel villaggio di Deir al-Hatab vicino a Nablus. Ricoverato in ospedale in arresto cardiaco, non poteva essere salvato. La sparatoria è avvenuta durante scontri a margine di una protesta nel nord della Cisgiordania occupata su una strada adiacente all’insediamento sionista di Elon Moreh a nord-est di Nablus. Venerdì, giorno di riposo settimanale, si tengono numerose manifestazioni in Cisgiordania per protestare contro l’espansione degli insediamenti sionisti. A Beita, due palestinesi sono stati feriti da proiettili di gomma sparati dalle forze israeliane durante uno dei raduni.

Il 2 ottobre a Jenin (a seguito di altre proteste) veniva prelevato da casa sua un ex prigioniero politico e sei membri di una stessa famiglia di contadini sono stati arrestati. A Hebron  un giovane palestinese è stato arrestato dopo essere stato colpito da colpi di arma da fuoco sparati da soldati israeliani