aberrazioni e confusioni rossobrune nel nostro campo.. in nome della lotta contro la repressione

 comunicato

mettere insieme la repressione verso avanguardie del movimento e lotte dei lavoratori e le inchieste contro fascio/nazisti Novax è gravemente sbagliato e disorientante e richiede che tutte le forze del sindacalismo di classe, dell’opposizione politica proletaria e rivoluzionaria si dissociano da simili aberrazioni che nulla possono avere a che fare con un patto d’azione anticapitalista e meno che mai con un fronte unico di classe

slai cobas per il sindacato di classe

18 settembre 2021

Il 17/09/2021 22:34, Il pungolo rosso ha scritto:
Care/i compagne/i,

abbiamo postato questa mattina la denuncia di un altro grave fatto repressivo contro il Movimento 7 novembre: l’imputazione per una sua attivista di associazione a delinquere. Ieri il compagno Emilio dei No Tav; oggi la compagna Maria del Movimento 7 novembre; ieri l’altro ingenti forze di polizia contro il picchetto alla Unes di Trucazzano e i fogli di via a 13 licenziati… e potremmo continuare a lungo in questo elenco, mettendoci dentro anche la ridicola accusa di “terrorismo” scagliata contro alcuni dei partecipanti alle proteste “no green pass”, al netto di ogni giudizio di merito su queste proteste.
Anche dal lato del contrasto alla repressione statale, sempre più stringente, urge una risposta di classe unitaria, urge dare forza alla preparazione dello sciopero generale dell’11 ottobre e all’Assemblea di domenica a Bologna.
Il Pungolo rosso – com.internazionalista@gmail.com

CAGLIARI: RINVIATE/I A GIUDIZIO 45 MILITANTI DI “A FORAS”. ACCUSE ANCHE DI TERRORISMO

Il Tribunale di Cagliari ha deciso di rinviare a giudizio 45 militanti antimilitariste/i del movimento sardo A Foras, mantenendo per 5 di loro la pesantissima accusa di terrorismo (per gli altri si tratta di un’aggravante). Il processo a compagne e compagni del movimento che si batte per la chiusura delle basi militari in Sardegna, le bonifiche e la restituzione delle terre alle comunità, è conseguenza dell’Operazione Lince, l’indagine con la quale la Procura di Cagliari aveva costruito un teorema che ha portato alla sbarra 45 attiviste/i con vari capi d’imputazione: da rapina, lesioni, lancio di oggetti, resistenza a pubblico ufficiale fino alle pesantissime, e surreali, accuse di associazione con fini terroristici e sovversione dell’ordine democratico. All’esterno del Tribunale si è tenuto un presidio di solidarietà con imputate e imputati.

 

UN PROCESSO POLITICO. TUTTE E TUTTI GLI INDAGATI RINVIATI A GIUDIZIO STAMATTINA A CAGLIARI

Il Tribunale di Cagliari stamattina ha disposto il rinvio a giudizio di tutti i 45 indagati e indagate, attivisti a vario titolo del movimento sardo contro l’occupazione militare, dell’operazione Lince. Per le contravvenzioni e i capi d’accusa meno gravi è intervenuto il non luogo a procedere, ma tutti gli altri sono stati confermati. Per 5 l’accusa più grave riguarda l’associazione eversiva e per gli altri 40 questo elemento rappresenta un’aggravante.

A Foras non è certo sorpresa da questa decisione, che conferma la natura politica di questa indagine e del processo che comincerà il 6 dicembre. La contestazione del reato associativo, come se gli attivisti sardi fossero mafiosi e non militanti politici, indica come il vero obiettivo del processo non sia quello di far luce sui singoli reati che gli indagati avrebbero commesso, tutti da dimostrare peraltro. L’obiettivo è quello di mettere sotto accusa e disperdere un movimento che gode di una diffusa simpatia popolare e che negli ultimi anni aveva rialzato la testa. Proprio a partire dalla grande manifestazione di Capo Frasca di cui ricorreva ieri il settimo anniversario. I 45 indagati e indagate sono stati scelti per spaventare tutti i sardi e le sarde che da decenni lottano contro le basi militari. Questo processo vuole spaventare i sardi con una chiara minaccia: chi lotta contro le basi è un terrorista eversore.

Il movimento sardo contro l’occupazione militare è un insieme di singoli e collettivi che lavorano, ognuno con le proprie modalità e senza un organismo direttivo, per liberare la Sardegna da una servitù odiosa. Lo Stato vuole sopprimere questo movimento, tanto che il ministero della Difesa si è costituito parte civile nel processo, mentre dall’altro lato fa di tutto per evitare di riconoscere risarcimenti alle vittime delle esercitazioni e per difendere gli ufficiali responsabili della sicurezza dei lavoratori, militari e civili, e della popolazione che vive intorno ai poligoni.

Il movimento però non si farà intimorire e risponderà sul piano politico, a cominciare da quest’autunno con la ripresa delle esercitazioni e dal 6 dicembre, giorno per cui è stata fissata la prima udienza.

Da Radio Onda d’Urto

 

[ALESSANDRIA] 54 lavoratori In’s di Tortona a processo per aver fatto sciopero: il 17/9 presidio operaio sotto il Tribunale

 in tanti in presidio sotto il Tribunale di Alessandria, a partire dalle ore 9, in occasione della prima udienza del processo, tutto politico, che la Procura di Alessandria vorrebbe muovere contro 54 lavoratori, colpevoli di aver dato vita agli scioperi nel 2018, davanti il magazzino In’s di Torre Garofoli!

Ribadiamo con forza che lo sciopero non si processa e che non saranno processi politici farsa a fermare lo sviluppo delle lotte!

Partecipiamo numerosi al presidio , non lasciamo soli questi lavoratori, che in tutti questi anni non si sono mai tirati indietro a sostenere scioperi e lotte di altri lavoratori e realtà!

17 SETTEMBRE, ORE 9, CORSO CRIMEA 81!

S.I. Cobas Alessandria e Tortona

Ferrara, detenuto torturato in carcere: “Gli agenti mi hanno legato al letto e picchiato”

Mi hanno fatto spogliare e mettere in ginocchio. Poi mi hanno attaccato con le manette al letto. Mi hanno colpito con calci allo stomaco e colpi in faccia e in testa, anche con il ferro di battitura”. Antonio Colopi – detenuto a Reggio Emilia per l’omicidio dello chef ferrarese Ugo Tani, avvenuto a Cervia nel 2016 – ha parlato a lungo in aula nel corso del processo che lo vede persona offesa. Imputati a vario titolo per tortura (si tratta di uno dei primi processi in Italia per questo reato), lesioni, calunnia, favoreggiamento e falso sono due agenti di polizia penitenziariaGeremia Casullo e Massimo Vertuani, e un’infermiera in servizio al carcere dell’Arginone, Eva Tonini (difesi dagli avvocati Alberto Bova e Denis Lovison). Un terzo agente inizialmente indagato è stato già condannato con rito abbreviato. Secondo le accuse, i poliziotti avrebbero picchiato il detenuto e l’infermiera li avrebbe ‘coperti’. L’udienza di ieri è stata dedicata alla testimonianza della presunta vittima che ha ripercorso quanto accaduto il 30 settembre del 2017.

Colopi ha raccontato di essere stato svegliato dagli agenti per un perquisizione mentre si trovava in isolamento. I poliziotti lo avrebbero fatto spogliare e inginocchiare, ammanettandolo al letto con le mani dietro la schiena. Dopo le botte, ha continuato il detenuto, ci sarebbero stati cinque minuti di ‘vuoto’ al termine dei quali si sarebbe trovato “sempre ammanettato ma con le mani davanti”. In quel frangente, secondo la ricostruzione emersa in aula, la presunta vittima avrebbe colpito “con una testata” uno degli agenti. In seguito a questa reazione, “vengono in due (poliziotti, ndr ), mi bloccano in un angolo e mi picchiano ancora”. Uno degli agenti gli avrebbe poi “puntato un coltellino” a serramanico al collo, dicendogli “ti taglio la gola”.

La testimonianza di Colopi si è infine concentrata sulla decisione di denunciare. “In passato mi avevano picchiato e poi mi avevano denunciato dicendo che ero stato io ad aggredire, facendomi prendere delle condanne – ha spiegato – . Quella volta, invece, ho denunciato io”. Incalzato dall’avvocato Bova (che gli ha chiesto conto anche dei suoi precedenti “litigi” con altri detenuti), la persona offesa ha ammesso di avere denunciato il presunto pestaggio anche a seguito del consiglio della comandante della polizia penitenziaria, che verrà ascoltata nell’udienza del 10 novembre.

Da “Il resto del Carlino”

L’Italia arresta Emilio Scalzo, leader No Tav, su ordine della Francia. Un altro effetto dell’operazione “ombre rosse” per la repressione interimperialista dell’attivismo politico e sociale

Ieri è stata effettuata un’operazione ai danni di Emilio, No Tav storico, su cui pende un mandato di arresto internazionale, con tanto di richiesta di estradizione da parte della Francia.

L’accusa si basa sui fatti accaduti lo scorso maggio al confine tra Claviere e il paese d’oltralpe durante una delle tante manifestazioni in solidarietà ai tanti migranti che ogni giorno tentano il passaggio del Monginevro. Un passaggio estenuante e pericoloso, per il quale ogni anno si contano le morti allo sciogliersi delle nevi all’inizio della primavera. Un passaggio obbligato per tutte quelle vite in fuga dalla guerra o da condizioni inaccettabili per la realizzazione di un futuro libero. Centinaia di persone che arrivano in Italia, ma che in questo paese non trovano sostegno e che cercano di raggiungere altri Paesi di quell’Europa che si dice sensibile sulla carta, ma che poi utilizza la forza per respingerle.

Questa Europa in realtà per nulla solidale, è molto attenta invece a chi cerca con ogni mezzo di portare sollievo a chi ha già percorso migliaia di chilometri, siano essi in mare su qualche barcone o direttamente a piedi. L’Interpol che si è scomodata a costruire un tale impianto di accuse e di cattura, per Emilio la cui unica colpa è non essere rimasto indifferente di fronte alle brutali leggi che devastano la vita delle persone e dei territori.

Emilio, un compagno, un fratello generoso e irrinunciabile, nella lotta No Tav come nell’aiuto ai migranti. Una mano forte ed un cuore generoso, sempre a sostegno degli ultimi. E’ stato arrestato ieri mattina, proditoriamente, sulla soglia di casa sua, e portato via senza neppure poter avvisare la famiglia. Paga duramente la nostra comune lotta contro un sistema che devasta ed uccide. Emilio sei tutte e tutti noi: insieme, siamo il vento che si sta levando e spazzerà via ingiustizie, egoismi, viltà.

Ricordiamo l’appuntamento di questa sera alle ore 18 alle Vallette (capolinea del 3) per andare a portare la nostra solidarietà ad Emilio, detenuto da ieri nella Casa Circondariale Lorusso e Cutugno.

Là dove ancora si trova Fabiola, No Tav incarcerata da 9 lunghi mesi, il cui caso è ora all’esame del Tribunale di Sorveglianza senza che ancora siano arrivate risposte certe sulla sua scarcerazione. La vita di Fabiola e dei suoi familiari sono dunque in costante attesa di un sistema lento e ingolfato. Siccome ci aspettiamo di tutto, lo diciamo fin da subito che questa sera alle 18 ci ritroveremo distanti dall’ingresso principale dal quale dovrebbe uscire Fabiola, pertanto non vogliamo ci siano altri giorni di ritardo causati da scuse campate in aria solamente per ostacolare ulteriormente la sua uscita.

Fabiola ed Emilio Liberi subito! Libertà per i/le No Tav!

Da No Tav info

Qui sotto riportiamo un articolo di Frank Cimini sulla vicenda:

Il 26 settembre salutiamo Paola, con tutto il fuoco dell’amore che ha donato con generosità alla lotta rivoluzionaria, alla solidarietà con i prigionieri e le prigioniere politiche

“Sono felice, felice per quanto abbiamo vissuto e lottato insieme, con le mie compagne, i miei compagni” Queste le ultime parole che ci ha lasciato Paola.

Con queste sue parole, e con quelle dei compagni prigionieri, saremo presenti al brindisi in suo onore per salutarla ancora una volta.

Ciao bella, ciao

Ancora per Paola, un omaggio prezioso che viene dal fondo delle galere e, sopratutto, da chi rappresenta la coerenza e la continuità della lotta rivoluzionaria. Sono compagni e compagne delle Brigate Rosse, in carcere (passando dagli “speciali” alle sezioni d’alta sicurezza) dagli anni 80. E questo perché hanno rifiutato compromessi e svendite della loro identità, hanno continuato a difendere motivazioni e prospettiva rivoluzionaria, anche quando l’arretramento complessivo della lotta di classe rendeva molto difficile la continuità organizzativa. Paola ha sempre mantenuto un rapporto di solidarietà attiva e riconoscimento politico verso questi/e compagni/e. Pur nelle diversità politiche e malgrado il vento contrario, rivendicava l’appartenenza comune allo stesso campo proletario e comunista.

Rivolte nelle carceri, giustizia a senso unico: 11 arresti a Melfi tra i detenuti, mentre l’inchiesta sulle violenze della polizia viene archiviata

Blitz della polizia nelle prime ore di oggi per eseguire un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di undici persone ritenute coinvolte nelle rivolte in carcere contro le misure anti-covid scoppiate durante la prima ondata della pandemia. La misura è stata disposta dal Tribunale del Riesame di Potenza e ha riguardato undici persone che sono state arrestate nell’ambito delle indagini sulla rivolta scoppiata nel carcere di Melfi, in provincia di Potenza, il 9 marzo 2020 in segno di protesta contro le misure anti-covid.

Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Potenza, sono state svolte dalla Polizia di stato e dalla Polizia penitenziaria. In totale l’inchiesta vede come indagate 44 persone identificate come partecipanti alle proteste ma l’inchiesta presto potrebbe allargarsi ulteriormente. Per altre 33 persone infatti “si è in attesa degli sviluppi dei ricorsi per Cassazione proposti dai rispettivi difensori”. Come spiega un comunicato diffuso dalla Dda di Potenza i 44 detenuti finiti nel registro degli indagati sono accusati a vario titolo dei reati di sono sequestro di persona a scopo di coazione e devastazione.

Nel giorno della rivolta al carcere di Melti, infatti, alcuni operatori sanitari e vari agenti della Polizia penitenziaria in servizio nella casa circondariale furono sequestrati per diverse ore dai detenuti in rivolta e liberati solo al termine di una lunga trattativa con le forze dell’ordine. Gli undici arrestati sono persone di età compresa tra i 49 e i 28 anni, residenti nelle province di Potenza, Benevento, Catania, Palermo, Siracusa, L’Aquila, Bari, Reggio Calabria e Asti. L’ordine di custodia cautelare nei loro confronti è scattato dopo che Tribunale del Riesame ha accolto l’appello presentato dalla stessa Direzione distrettuale contro il rigetto della richiesta cautelare da parte del gip del capoluogo lucano che “pur ravvisando il grave profilo indiziario, aveva concluso per il difetto di esigenze cautelari”.

Nella conferenza stampa che si è tenuta nel Palazzo di giustizia del capoluogo lucano, dal Procuratore distrettuale antimafia di Potenza, Francesco Curcio ha ricordato che il carcere di Melfi è di massima sicurezza e che “forse per la prima volta in Italia – ha aggiunto Curcio – è contestato il reato di sequestro di persona a scopo di coazione“.

Archiviata l’inchiesta sulle violenze commesse da agenti durante trasferimento

Rispondendo alle domande dei giornalisti, Curcio ha poi specificato che “è stata archiviata” l’inchiesta sulle presunte violenze commesse da agenti della polizia penitenziaria durante il trasferimento, avvenuto pochi giorni dopo, di alcuni indagati per la rivolta dal carcere di Melfi ad altri istituti penitenziari. Il Procuratore ha inoltre messo in evidenza che “sono state fatte indagini per accertare eventuali responsabilità degli agenti, sono stati ascoltati i detenuti che hanno presentato denuncia e sono stati esaminati i certificati medici. Non si è potuto procedere alla visione delle telecamere di sorveglianza perché perché erano state distrutte propri durante la rivolta. Non sono stati – ha concluso Curcio – rilevati riscontri a sostegno delle accuse di violenza”.