Ferrara, detenuto torturato in carcere: “Gli agenti mi hanno legato al letto e picchiato”

Mi hanno fatto spogliare e mettere in ginocchio. Poi mi hanno attaccato con le manette al letto. Mi hanno colpito con calci allo stomaco e colpi in faccia e in testa, anche con il ferro di battitura”. Antonio Colopi – detenuto a Reggio Emilia per l’omicidio dello chef ferrarese Ugo Tani, avvenuto a Cervia nel 2016 – ha parlato a lungo in aula nel corso del processo che lo vede persona offesa. Imputati a vario titolo per tortura (si tratta di uno dei primi processi in Italia per questo reato), lesioni, calunnia, favoreggiamento e falso sono due agenti di polizia penitenziariaGeremia Casullo e Massimo Vertuani, e un’infermiera in servizio al carcere dell’Arginone, Eva Tonini (difesi dagli avvocati Alberto Bova e Denis Lovison). Un terzo agente inizialmente indagato è stato già condannato con rito abbreviato. Secondo le accuse, i poliziotti avrebbero picchiato il detenuto e l’infermiera li avrebbe ‘coperti’. L’udienza di ieri è stata dedicata alla testimonianza della presunta vittima che ha ripercorso quanto accaduto il 30 settembre del 2017.

Colopi ha raccontato di essere stato svegliato dagli agenti per un perquisizione mentre si trovava in isolamento. I poliziotti lo avrebbero fatto spogliare e inginocchiare, ammanettandolo al letto con le mani dietro la schiena. Dopo le botte, ha continuato il detenuto, ci sarebbero stati cinque minuti di ‘vuoto’ al termine dei quali si sarebbe trovato “sempre ammanettato ma con le mani davanti”. In quel frangente, secondo la ricostruzione emersa in aula, la presunta vittima avrebbe colpito “con una testata” uno degli agenti. In seguito a questa reazione, “vengono in due (poliziotti, ndr ), mi bloccano in un angolo e mi picchiano ancora”. Uno degli agenti gli avrebbe poi “puntato un coltellino” a serramanico al collo, dicendogli “ti taglio la gola”.

La testimonianza di Colopi si è infine concentrata sulla decisione di denunciare. “In passato mi avevano picchiato e poi mi avevano denunciato dicendo che ero stato io ad aggredire, facendomi prendere delle condanne – ha spiegato – . Quella volta, invece, ho denunciato io”. Incalzato dall’avvocato Bova (che gli ha chiesto conto anche dei suoi precedenti “litigi” con altri detenuti), la persona offesa ha ammesso di avere denunciato il presunto pestaggio anche a seguito del consiglio della comandante della polizia penitenziaria, che verrà ascoltata nell’udienza del 10 novembre.

Da “Il resto del Carlino”

L’Italia arresta Emilio Scalzo, leader No Tav, su ordine della Francia. Un altro effetto dell’operazione “ombre rosse” per la repressione interimperialista dell’attivismo politico e sociale

Ieri è stata effettuata un’operazione ai danni di Emilio, No Tav storico, su cui pende un mandato di arresto internazionale, con tanto di richiesta di estradizione da parte della Francia.

L’accusa si basa sui fatti accaduti lo scorso maggio al confine tra Claviere e il paese d’oltralpe durante una delle tante manifestazioni in solidarietà ai tanti migranti che ogni giorno tentano il passaggio del Monginevro. Un passaggio estenuante e pericoloso, per il quale ogni anno si contano le morti allo sciogliersi delle nevi all’inizio della primavera. Un passaggio obbligato per tutte quelle vite in fuga dalla guerra o da condizioni inaccettabili per la realizzazione di un futuro libero. Centinaia di persone che arrivano in Italia, ma che in questo paese non trovano sostegno e che cercano di raggiungere altri Paesi di quell’Europa che si dice sensibile sulla carta, ma che poi utilizza la forza per respingerle.

Questa Europa in realtà per nulla solidale, è molto attenta invece a chi cerca con ogni mezzo di portare sollievo a chi ha già percorso migliaia di chilometri, siano essi in mare su qualche barcone o direttamente a piedi. L’Interpol che si è scomodata a costruire un tale impianto di accuse e di cattura, per Emilio la cui unica colpa è non essere rimasto indifferente di fronte alle brutali leggi che devastano la vita delle persone e dei territori.

Emilio, un compagno, un fratello generoso e irrinunciabile, nella lotta No Tav come nell’aiuto ai migranti. Una mano forte ed un cuore generoso, sempre a sostegno degli ultimi. E’ stato arrestato ieri mattina, proditoriamente, sulla soglia di casa sua, e portato via senza neppure poter avvisare la famiglia. Paga duramente la nostra comune lotta contro un sistema che devasta ed uccide. Emilio sei tutte e tutti noi: insieme, siamo il vento che si sta levando e spazzerà via ingiustizie, egoismi, viltà.

Ricordiamo l’appuntamento di questa sera alle ore 18 alle Vallette (capolinea del 3) per andare a portare la nostra solidarietà ad Emilio, detenuto da ieri nella Casa Circondariale Lorusso e Cutugno.

Là dove ancora si trova Fabiola, No Tav incarcerata da 9 lunghi mesi, il cui caso è ora all’esame del Tribunale di Sorveglianza senza che ancora siano arrivate risposte certe sulla sua scarcerazione. La vita di Fabiola e dei suoi familiari sono dunque in costante attesa di un sistema lento e ingolfato. Siccome ci aspettiamo di tutto, lo diciamo fin da subito che questa sera alle 18 ci ritroveremo distanti dall’ingresso principale dal quale dovrebbe uscire Fabiola, pertanto non vogliamo ci siano altri giorni di ritardo causati da scuse campate in aria solamente per ostacolare ulteriormente la sua uscita.

Fabiola ed Emilio Liberi subito! Libertà per i/le No Tav!

Da No Tav info

Qui sotto riportiamo un articolo di Frank Cimini sulla vicenda:

Il 26 settembre salutiamo Paola, con tutto il fuoco dell’amore che ha donato con generosità alla lotta rivoluzionaria, alla solidarietà con i prigionieri e le prigioniere politiche

“Sono felice, felice per quanto abbiamo vissuto e lottato insieme, con le mie compagne, i miei compagni” Queste le ultime parole che ci ha lasciato Paola.

Con queste sue parole, e con quelle dei compagni prigionieri, saremo presenti al brindisi in suo onore per salutarla ancora una volta.

Ciao bella, ciao

Ancora per Paola, un omaggio prezioso che viene dal fondo delle galere e, sopratutto, da chi rappresenta la coerenza e la continuità della lotta rivoluzionaria. Sono compagni e compagne delle Brigate Rosse, in carcere (passando dagli “speciali” alle sezioni d’alta sicurezza) dagli anni 80. E questo perché hanno rifiutato compromessi e svendite della loro identità, hanno continuato a difendere motivazioni e prospettiva rivoluzionaria, anche quando l’arretramento complessivo della lotta di classe rendeva molto difficile la continuità organizzativa. Paola ha sempre mantenuto un rapporto di solidarietà attiva e riconoscimento politico verso questi/e compagni/e. Pur nelle diversità politiche e malgrado il vento contrario, rivendicava l’appartenenza comune allo stesso campo proletario e comunista.