Val Susa: Sgomberata l’ex dogana di Claviere occupata dagli attivisti No border. Domani manifestazione nel centro di Oulx

Un presidio di solidarietà con i migranti di frontiera. Accusa di invasione di terreni ed edifici per 37 anarchici di Italia, Francia, Belgio e Germania

«Stamattina alle 6 ci siamo svegliati con i colpi di carabinieri, polizia e pompieri che distruggevano le barricate», hanno scritto a caldo gli occupanti dell’ex dogana di Claviere, in Alta Val di Susa, a due passi dal confine francese. «Cercano così di annullare la solidarietà spontanea e diretta su questa frontiera infame. Resistiamo, raggiungeteci. Incontriamoci dopo l’ultimo tunnel al primo parcheggio del paese», hanno aggiunto sui canali social. Gli attivisti No Border sono stati sgomberati ieri, all’alba, dalle forze dell’ordine.

Quell’edificio lo avevano occupato solo pochi giorni fa, il 31 luglio, per dare assistenza ai migranti che tentano di passare il confine tra Italia e Francia e che spesso vengono respinti dalla gendarmerie transalpina. Lo hanno fatto anche per mantenere una presenza frontaliera «in risposta agli sgomberi precedenti», quelli del rifugio Chez Jesus a Claviere, sotto la chiesa, nel novembre del 2018, e della Casa Cantoniera a Oulx, nel marzo del 2021. Una presenza che in questi anni ha aiutato molte persone in fuga dai conflitti e dalla povertà e in cerca di un futuro migliore. In un tragitto complicato, dalle onde del mare ai sentieri impervi (e innevati) delle nostre montagne. Vittime di un diritto alla mobilità tuttora negato.

L’occupazione dell’ex dogana è durata solo cinque giorni, fino all’arrivo della polizia e degli agenti Digos ieri mattina. La Questura di Torino ha comunicato di aver identificato 37 anarchici di Italia, Francia, Belgio e Germania: 31 attivisti si trovavano all’interno dell’edificio, mentre gli altri 6 erano nelle tende nel campeggio a ridosso della frontiera con la Francia. Gli occupanti saranno denunciati per invasione di terreni ed edifici.

Un’azione che ha ricevuto il plauso di tutto il centrodestra e del sottosegretario all’Interno del governo Draghi, il leghista Nicola Molteni. «È stata finalmente ripristinata la legalità e il rispetto della legge», ha detto. Sette migranti, che si trovavano già nel presidio dell’ex dogana, sono stati accompagnati al rifugio Fraternità Massi di Oulx, destinato dal 2018 ai migranti di passaggio in Alta Val di Susa.

L’operazione di polizia è avvenuta mentre a chilometri di distanza, nelle acque internazionali del Mediterraneo, l’ong Sos Méditerranée chiedeva un porto sicuro per la Ocean Viking, in mare da giorni e con a bordo centinaia di persone. Storie connesse per quanto distanti, perché ben rappresentano i percorsi accidentati dei migranti in questi tempi.

Lo sgombero dell’ex dogana era nell’aria. Mercoledì sera lo scrivevano sulla pagina Facebook, negli «aggiornamenti dalla frontiera di Claviere», gli stessi attivisti No Border: «Un possibile sgombero non è scongiurato, quindi servono fresche energie per monitorare la situazione diurna e notturna, nonché gente volenterosa per i lavori pratico-collettivi». E poi: «Servono ancora mobili o materiali da costruzione, divani, letti, materassi, strumenti da cucina, tutto ciò che pensate possa essere utile in un nuovo rifugio occupato». L’obiettivo era costituire un presidio permanente, «perché è qui che le persone in transito vengono ostacolate nel proprio viaggio dagli organi repressivi dello Stato italiano e francese». Un cartello dava il benvenuto: «Libertà di scegliere dove e come vivere, di camminare in ogni dove perché la terra non ha confini né razze né padroni». Gli attivisti hanno già detto che non si daranno per vinti, la solidarietà non si ostacola.

La prima risposta dei collettivi legati all’ex rifugio per migranti Chez JesOulx in seguito allo sgombero di giovedì mattina dell’ex dogana di Claviere occupata è una manifestazione indetta per domani alle 11 nel centro di Oulx. Attraverso la propria pagina Facebook i militanti che si richiamano all’ideale dell’abolizione di tutte le frontiere per favorire la libera circolazione delle persone, a partire dai profughi che ogni giorno tentano la rotta della Val di Susa in direzione di Francia e Spagna, ribadiscono di voler continuare «a lottare contro questa e tutte le frontiere».

L’appuntamento di domani è in programma a Oulx non a caso. Proprio nel paese al centro dell’Alta Valle, infatti, alcuni anni fa era stato allestito il rifugio autogestito per migranti che nell’ex casa cantoniera della Statale 24 occupata abusivamente ha dato a lungo ospitalità a decine di migranti di passaggio in direzione della frontiera. Proprio in seguito allo sgombero della casa cantoniera di Oulx nel mese di marzo è nata la successiva esperienza del campeggio No-Border di Claviere e, la settimana scorsa, la nuova occupazione dell’ex dogana a due passi dal confine italofrancese.

«Facciamoci sentire, la solidarietà non si sgombera!» è lo slogan con cui, anche attraverso i canali di comunicazione di Passamontagna, i collettivi sfrattati dall’ex dogana di Claviere lanciano l’iniziativa di domani che avrà come momento chiave l’assemblea che fornirà «aggiornamenti sullo sgombero e dalla frontiera». Nel corso della giornata previsti anche il pranzo di autofinanziamento denominato «Pranzo benefit inguaiat@ transfrontaliere!» e momenti di musica, canti popolari e rap d’Oltralpe.

No Tav: I violenti siete voi! Sulla narrazione delle “pecorelle indifese” e delle loro rocambolesche dichiarazioni

Riportiamo il comunicato dei Notav sugli avvenimenti di questi ultimi giorni nella Valle. È chiaro che è lo Stato con i suoi apparati reazionari che usano sempre la violenza contro le masse popolari che si ribellano… ma Ribellarsi è giusto!

Nei giorni scorsi abbiamo letto su diversi quotidiani nazionali e locali, le rocambolesche dichiarazioni di diverse figure politiche capeggiate da quelle della Ministra Lamorgese, tutte appiattite a condannare la violenza – a loro dire – inflitta dai No Tav.

Ma non solo, anche il solito Siulp con un fare da piagnisteo, si è ripetutamente lamentato che sono 15 anni che le forze di polizia si trovano a salvaguardare le zone d’interesse per il Tav Torino-Lione in condizioni di estremo pericolo per la vita degli agenti, come se fosse compito loro badare ai grandi cantieri.

Tutti urlano a leggi più severe, invocando provvedimenti come una legge sul terrorismo di piazza, l’introduzione dei proiettili di gomma per sedare la violenza e addirittura la galera per fatti considerati inaccettabili.

Ci piacerebbe ricordare a tutti loro, però, che, come ha detto bene anche il Sindaco di Venaus, il Tav Torino-Lione è di per sé un’opera violenta per il territorio e per la salute di chi lo vive.

Questa narrazione delle pecorelle indifese in balia dei No Tav non regge neanche per un secondo: di seguito alleghiamo foto e video dei lacrimogeni sparati ad altezza uomo puntando al volto o alla testa dei manifestanti o i lanci di sassi lanciati in testa agli stessi da un’altezza di circa 15 metri. Tutte testimonianze dello scorso sabato, in cui le forze dell’ordine hanno iniziato il tiro al manifestante appena i No Tav hanno cominciato a tagliare qualche metro di concertina. La recita del poliziotto indifeso è ridicola visto che oltre 10 No Tav sono stati feriti e medicati a causa della gragnuola di lacrimogeni (per questo ringraziamo le brigate sanitarie e gli amici e le amiche che si sono presi/e cura di chi è stato colpito). Lo stesso uso improprio dei lacrimogeni aveva portato alcuni mesi fa al ferimento grave di Giovanna e precedentemente di tanti altri.

Difendere un cantiere perché si è mercenari stipendiati non equivale in nessun caso a doversi difendere da un’opera ecocida e mortifera e da un’occupazione militare della propria terra.

Vorremmo fare notare anche che i mass media, ancora una volta, hanno sporto il fianco a questa kermesse patetica e noiosa, intervistando inoltre tutti i possibili candidati sindaci della città di Torino, senza ovviamente dare voce al Movimento No Tav che, siamo sicuri, sarebbe stato capace di fornire una fotografia basta su un vero piano di realtà. Quel piano di realtà che quotidianamente ci si trova a vivere in Valsusa e che vede un territorio devastato e occupato da fin troppi anni da chi ha solo cura del proprio portafoglio e del proprio profitto.

E quindi, chi pagato svolge il lavoro dalla poltrona di un ufficio a Torino, raccoglie le veline della Questura e su quello ricama storie  quantomeno inverosimili (come un petardo che si infila tra un casco e una maschera anti-gas) tralasciando, invece, che questi “poveri poliziotti” come vengono dipinti, sono invece individui che volutamente agiscono con il tentativo e spesso la volontà di fare davvero male ai No Tav, lasciatecelo dire, non svolge il suo lavoro in modo oggettivo e obiettivo, ma si inserisce perfettamente in un quadro d’insieme che spinge e urla alla criminalizzazione del Movimento senza se e senza ma.

Lasciamo a voi le conclusioni, noi che su quei sentieri, a differenza di tutti questi chiacchieroni, invece, c’eravamo continuano ad essere convinti, oggi più che mai, di essere dalla parte della ragione nel difendere la nostra terra con determinazione e coraggio.

Perché, lo abbiamo detto tante volte e lo vogliamo ribadire anche adesso alla luce delle molteplici e allucinanti dichiarazioni di questi giorni, fermarlo è possibile e fermarlo tocca a noi!

Pestaggi in carcere, nella commissione d’inchiesta presente anche chi guidò la catena di comando

Chi controlla il controllore?  Il Dirigente del Provveditorato regionale che dispose il trasferimento da Modena i reclusi, ora è nel pool del Dap che dovrà far luce sui pestaggi

Da Osservatorio repressione

Il 22 luglio scorso, su spinta della ministra della Giustizia Marta Cartabia, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ( Dap) ha istituito una commissione per far luce sui comportamenti adottati dagli operatori penitenziari per ristabilire l’ordine e la sicurezza. Parliamo delle segnalazioni riguardanti i presunti pestaggi avvenuti in diverse carceri italiane. Nel pool è presente anche Marco Bonfiglioli, il dirigente del provveditorato regionale che dispose e coordinò il trasferimento dei detenuti dal carcere Sant’Anna di Modena, tra i quali quelli che morirono durante il viaggio, o all’arrivo, verso le altre carceri.

Non è un dettaglio da poco, perché se da una parte c’è stata un’archiviazione del procedimento relativo alla morte di otto persone detenute del carcere modenese avvenuta all’indomani delle rivolte del marzo 2020, dall’altra rimane ancora in piedi la nona morte: quello del detenuto Salvatore Piscitelli, morto ad Ascoli durante il trasferimento. In ogni caso, anche se c’è stata un’archiviazione nei confronti degli altri detenuti, la commissione istituita dal Dap è una indagine interna, quella del ministero della Giustizia, che ha la possibilità di verificare le irregolarità al di là dei procedimenti giudiziari.

Il fatto che tra i componenti della commissione istituita dal Dap ci sia il dirigente Bonfiglioli, il provveditore che coordinò il trasferimento, espone il pool al rischio di non essere super partes. Ciò non significa assolutamente che sia responsabile dei fatti accaduti, ma se si vuole fare una indagine serena, forse sarebbe opportuno tenere fuori dal pool la catena di comando che operò in quei terribili e difficili giorni.

I trasferimenti disposti dal provveditorato rimangono il nodo cruciale. Secondo l’avvocata di Antigone Simona Filippi alcuni detenuti barcollavano, non stavano in piedi. «Secondo noi non si poteva procedere a quei trasferimenti che invece avvennero», ha spiegato l’avvocata Filippi. Alcuni detenuti arrivarono a destinazione già deceduti, altri durante il viaggio, altri ancora morirono una volta giunti nella nuova cella.

C’è appunto il caso di Salvatore Piscitelli sulla cui morte è stata aperta un’inchiesta dopo la denuncia di alcuni suoi compagni trasferiti anch’essi dal Sant’Anna di Modena. Secondo questi detenuti, Piscitelli era stato picchiato e stava malissimo a causa delle sostanze assunte. A più riprese, sempre secondo la loro testimonianza, fu richiesto l’intervento degli agenti penitenziari e quindi del medico senza che avvenisse nulla. Fino a che non venne, semplicemente, constatato il decesso.

Come detto, la commissione è stata costituita giovedì scorso con un apposito provvedimento firmato dal Capo del Dap, Bernardo Petralia, e dal suo vice, Roberto Tartaglia. Alla Commissione viene richiesto di procedere agli accertamenti e ai controlli necessari, con il supporto dell’Ufficio attività ispettiva del Dipartimento, «con un metodo di lavoro collegialmente organizzato, strutturato, coerente e omogeneo per tutti gli istituti interessati» e di riferire ai vertici del Dap entro 6 mesi dalla prima riunione.

La commissione sarà presieduta dal magistrato Sergio Lari, ex Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta e oggi in quiescenza, individuato – come si legge nel documento del Dap – per la sua «lunga e comprovata esperienza e capacità» alla direzione di un importante ufficio inquirente.

L’ex procuratore Lari sarà coadiuvato da 6 componenti, scelti – si legge nella nota del ministero della Giustizia – «fra operatori penitenziari di lunga e comprovata esperienza e capacità professionale». Ovvero Rosalba Casella, Giacinto Siciliano, Francesca Valenzi, Luigi Ardini, Riccardo Secci e Marco Bonfiglioli. Quest’ultimo, del quale non si mette in dubbio l’esperienza e la capacità professionale, essendo appunto il provveditore che dispose e coordinò il trasferimento dei detenuti del carcere di Modena, potrebbe risultare inopportuno.

La commissione nasce anche con lo scopo di fare luce sull’origine delle rivolte dei detenuti avvenute negli istituti nel marzo 2020. Per quello non serve scomodare vari retropensieri. La causa viene da lontano: un sistema penitenziario che, con la pandemia, ha messo a nudo tutta la sua fragilità preesistente. Le dietrologie ( si parlava di regia unica per ottenere benefici, una sorta di riedizione della “trattativa Stato- mafia”), invece, servono per mettere sotto il tappeto le complessità. Ma non sarebbe la prima volta.

Damiano Aliprandi

Paola è un fiore rosso che non muore mai, è il fiore della solidarietà, dell’amore rivoluzionario. Domani con lei nell’ultimo saluto

Care compagne e cari compagni,
per chi vuole salutare Paola, la camera ardente sarà aperta presso il policlinico Campus bio-medico di Roma, dalle 8 alle 9 di martedì 3 agosto. Paola verrà poi portata nei locali dell’associazione Lignarius e della Fondazione “La Rossa Primavera”, in Via Mecenate 35 dove la ricorderemo tutti insieme, dalle 9,30 alle 11. (Vi preghiamo entrando nei locali di usare la mascherina e di rispettare le precauzioni anti Covid). Chi lo desidera, potrà poi accompagnarla fino al cimitero di Prima Porta. Per espresso desiderio di Paola, a settembre ci sarà una grande festa in suo ricordo.

Paola

Sei stata e sei il coraggio della verità, la ragione della rivoluzione, l’amore universale del comunismo

Paola

Che hai dato voce ai senza voce, che hai sfidato il silenzio, il bigottismo e l’ipocrisia borghese sulle lotte dei proletari e delle proletarie rivoluzionarie

Paola

Che con il corpo, l’anima, la penna, con la paziente ricerca, la tenacia, la solidarietà proletaria, l’amore rivoluzionario, hai superato anche i confini, le sbarre delle nere galere, per portare alla luce quello che vogliono tenere in ombra, per dissotterrare le vite, le lotte e gli obbiettivi delle prigioniere e dei prigionieri rivoluzionari. Il dolore e la passione per la libertà e la lotta. La dignità della lotta e della vita, anche per i compagni e i proletari rinchiusi nelle carceri dell’imperialismo

Per portare alla luce la luce del tuo cuore, il cuore di una comunità rivoluzionaria che lottava e lotta per la libertà e l’uguaglianza, per la necessità, storica, della rivoluzione, per un mondo migliore

Né la malattia, né la prigione sono riusciti ad arrestare la tua coerenza e lotta contro questo sistema capitalistico assassino, fatto di repressione e guerre, desolidarizzazione, torture, devastazioni, nocività, sfruttamento, malattie, morte.

A te, Paola, grande guerriera vittoriosa di numerose battaglie, indimenticabile compagna, vogliamo salutare con l’inno “alla vita” di Nazim Hikmet.

Con te, Paola, vinceremo la guerra contro il capitalismo e le malattie che produce

Per la vita, per la libertà, per la bellezza, per la salute della natura e dell’umanità, ci prenderemo cura ogni giorno di quel fiore rosso che anche tu hai coltivato per tutta la vita

Il fiore rosso della rivoluzione, che illuminerà col bagliore dell’aurora una società di nuova democrazia.

Grazie Paola

Le compagne e i compagni del soccorso rosso proletario

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla dal di fuori o nell’al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.

Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.

Nazim Hikmet, 1948

Il Cpr di Milano è fuori dalla legge

Autolesionismo diffuso, grave carenza di cure sanitarie, mancanza di mediatori, sospensione dello stato di diritto: il Cpr di via Corelli è fuori dalla legge

Il Cpr di Milano va sequestrato: a chiederlo sono i due senatori Gregorio De Falco e Simona Nocerino, che a inizio giugno hanno visitato il centro. In seguito De Falco ha pubblicato il rapporto “Delle pene senza delitti,” che fornisce il quadro più completo, finora, delle condizioni di vita disumane al suo interno. Ora i due senatori hanno presentato due esposti penali: uno per il reato di tortura, relativo a un pestaggio avvenuto il 25 maggio con modalità molto simili a quelle rese tristemente famose dal carcere di Santa Maria Capua Vetere; uno per rifiuto di atti d’ufficio, chiedendo il sequestro preventivo della struttura per la “totale indisponibilità” di cure sanitarie specialistiche, dovuta al mancato accordo tra prefettura e regione.

Nel report, lungo 90 pagine, De Falco compila un duro resoconto di quello che ha potuto vedere durante i propri sopralluoghi. Tra le carenze più gravi che vengono denunciate:

    • L’assenza di un registro degli eventi critici, che sarebbe stato “nella sola disponibilità del direttore, in un non meglio precisato cassetto chiuso a chiave,” né un registro delle persone trattenute — al suo posto, c’era un file Excel modificabile.
    • L’assenza di un protocollo con l’Ats e con il Serd per la cura dei detenuti, che si traduce in una grave carenza di cure sanitarie e che rende il Cpr un “carcere fuori legge”: l’ambulatorio medico non è presidiato, i detenuti fanno un largo uso di sedativi e l’autolesionismo è all’ordine del giorno.
    • La dotazione insufficiente del personale e la mancanza di medici, psicologi e mediatori linguistici.
    • L’impossibilità di comunicare con l’esterno.

Nella seconda parte sono raccolti i colloqui con i detenuti, con alcune storie agghiaccianti: come il caso di L.A., rilasciato dopo un TSO e dopo un ricovero per atti di autolesionismo, senza poter avvisare il suo avvocato e senza telefono cellulare — di lui si sono quindi perse le tracce; o quello di G.M., tossicodipendente da sei anni e in cura al Serd, costretto a interrompere bruscamente la cura per la mancanza di un accordo tra il Serd e la prefettura; o quello di A.M.B., che viveva in uno stato europeo con una compagna europea in attesa di una bambina, chiuso nel Cpr (e fortunatamente liberato a fine giugno) senza poter completare le procedure per riconoscere la figlia e ottenere il permesso di soggiorno; o C.K., che vive in Italia dal 1992 ed è stato regolare fino al 2010, e ora si trova chiuso nel Cpr da gennaio nonostante una grave ipertensione.

Il rapporto si aggiunge alle numerose testimonianze che riescono a emergere dall’interno del centro direttamente da parte dei detenuti: l’ultima risale a pochi giorni fa, con un video che mostra i bagni senza porte, il cibo immangiabile gettato per terra per protesta, le docce non funzionanti. Non si può dire, insomma, che le condizioni di vita all’interno del centro non siano note — ma il governo, e nello specifico la ministra Lamorgese, finora hanno scelto di ignorare la realtà dei fatti. Entrare nei Cpr per giornalisti e attivisti è notoriamente difficile — Negli ultimi tempi, diverse prefetture hanno impedito ai giornalisti l’accesso, come ormai è consuetudine, e Melting Pot ha diramato un appello per chiedere a giornalisti e attivisti di avanzare richiesta in massa presso la prefettura che ha in gestione il Cpr più vicino.

Lo scorso 8 aprile avevamo già stilato un bilancio — drammatico — della situazione del Cpr di via Corelli dopo soli sei mesi di apertura. Il centro si è occupato prevalentemente del rimpatrio di migranti tunisini, ed è stata accertata la presenza indebita di minorenni al suo interno. Nel corso del tempo sono stati fatti diversi altri appelli per provare a sollevare il velo sull’orrore della vita nei Cpr: lo scorso dicembre la camera penale di Milano ne aveva chiesto la chiusura, parlando di “situazione disumana” in via Corelli. Mentre da parte della giunta, anche in vista della campagna elettorale, continua a registrarsi una sostanziale rassegnazione o connivenza con la presenza di un campo di concentramento sul proprio territorio comunale.

I diritti dei migranti e delle persone di origine non italiana nel paese sono sempre più messi in discussione — basti pensare allo sfruttamento schiavistico dei migranti nelle campagne, e al tramonto — si direbbe definitivo — delle timide proposte di legge sullo ius soli: l’eredità di anni di propaganda razzista e fascistoide si stanno facendo sentire anche dopo la pandemia. Il risultato è che ormai è discutibile anche il fatto stesso che l’Italia sia un paese sicuro in cui migrare. Un tribunale amministrativo del Nord Reno-Vestfalia ha deciso di non rimandare in Italia due richiedenti asilo “dublinanti” — che quindi sarebbero dovuti rientrare nel paese di primo approdo, appunto l’Italia — perché rischierebbero un “trattamento inumano e degradante,” a causa della mancanza di assistenza e servizi di supporto, senza accesso a una struttura di accoglienza e diritto all’alloggio.

Lettera dal carcere del Cairo di Patrick Zaki alla fidanzata

«Mi sento triste e penso alla libertà che si allontana» Dal carcere un nuovo messaggio dello studente dell’Università di Bologna: «Combatterò finché non tornerò a studiare»

«Nei nostri sogni più selvaggi mai avremmo immaginato questa situazione, e fin da quando sono partito per Bologna avevamo così tanti progetti, il primo era quello che tu mi raggiungessi e potessimo girare per l’Italia assieme. Mi rende veramente triste che questo non possa succedere presto visto che la mia situazione sta peggiorando giorno dopo giorno».

Sono le parole di Patrick Zaki in una toccante lettera scritta alla fidanzata: lo studente egiziano dell’Alma Mater di Bologna è incarcerato nel suo Paese dal febbraio 2020 con le accuse di terrorismo e propaganda sovversiva per aver scritto delle frasi critiche sul regime di al Sisi sui social network.

La lettera, pubblicata sulla pagina Facebook Patrick libero, è stata consegnata ai familiari che lo hanno visitato di recente nellcarcere del Cairo dove è imprigionato da oltre un anno e mezzo. «La mia indagine è ripresa», continua il ricercatore nella lettera che affronta anche la sua complicata situazione giudiziaria «il che potrebbe significare che un giorno andrò in tribunale e avrò un processo e questo è molto peggio di quanto mi aspettassi».

Le parole di Zaki arrivano a ridosso della decisione della Corte dello scorso 14 luglio di prolungare la sua custodia cautelare di altri 45 giorni, per l’ennesima volta.

Zaki esprime il suo stupore per la durata della sua detenzione e sa che non verrà scarcerato in tempi brevi: «Dopo un anno e mezzo non potevo fare a meno di pensare che avrò presto la mia libertà, ma ora è chiaro che non accadrà presto. So», conclude rivolgendosi alla ragazza e anche ai suoi familiari, «che siete stati pazienti e avete sopportato l’insopportabile, mi scuso sinceramente per questo: vorrei congratularmi con tutti coloro che sono stati lasciati andare di recente, ma non sono affatto ottimista sulla mia situazione. Con molto amore, Patrick».

«C’è il sollievo di avere sue notizie» dicono gli attivisti amici dello studente, «ma siamo preoccupati per la sua salute che si sta deteriorando, chiediamo l’immediato rilascio prima che le sue condizioni peggiorino».

Tutto tace, invece, sul fronte italiano dopo la doppia mozione parlamentare che chiede al governo di riconoscere la cittadinanza al giovane egiziano (prima il voto favorevole del Senato, poi quello della Camera poche settimane fa), ieri è stato l’europarlamentare del Pd Majorino a ricordare lo stallo: «Il governo italiano deve farsi una domanda semplice: sta davvero facendo tutto il necessario per ottenere la sua liberazione? A me non pare». Né sul fronte della cittadinanza, né tanto meno su quello del business militare (e non solo) con Il Cairo, mai interrotto.

A Paola Staccioli, donna, compagna, rivoluzionaria, dal MFPR

Ciao Paola, ciao compagna forte e tenace! 

Sarai sempre viva nelle lotte presenti e future che hai portato avanti con grande coerenza e sfida rivoluzionaria vivendo sempre come tu stessa hai detto fino alla fine di questo cammino “Sono felice di come ho vissuto e lottato con i miei compagni e le mie compagne”.
 
Le compagne del Mfpr

Paola – sempre dalla parte delle donne che fanno la scelta di combattere questo sistema, questo Stato

Dalla presentazione del libro:
Questo libro è nato per dare un volto e un perché a una congiunzione. Nel commando c’era anche una donna, titolavano spesso i giornali qualche decennio fa. Anche. Un mondo intero racchiuso in una parola. A sottolineare l’eccezionalità ed escludere la dignità di una scelta. Sia pure in negativo. Nel sentire comune una donna prende le armi per amore di un uomo, per cattive conoscenze. Mai per decisione autonoma. Al genere femminile spetta un ruolo rassicurante. In un’epoca in cui sembra difficile persino schierarsi «controcorrente», le «streghe» delle quali si racconta nel libro emergono dal recente passato con la forza delle loro scelte. Dieci militanti politiche (Elena Angeloni, Margherita Cagol, Annamaria Mantini, Barbara Azzaroni, Maria Antonietta Berna, Annamaria Ludmann, Laura Bartolini, Wilma Monaco, Maria Soledad Rosas, Diana Blefari Melazzi) che dagli anni Settanta all’inizio del nuovo millennio, in Italia, hanno impugnato le armi o effettuato azioni illegali all’interno di differenti organizzazioni e aree della sinistra rivoluzionaria, sacrificando la vita per il loro impegno. Non volevano essere eroine. Forse, avevano messo in conto la morte, come chiunque quando fa una scelta radicale. Dare e ricevere sofferenza. Non è semplice. Lo si fa perché si è convinti sia una necessità storica. Lo si fa per amore. Amore per la giustizia, per la libertà. Amore per la rivoluzione.
“Sebben che siamo donne” non è un libro di storia, ma di storie. Raccontate dalla parte di chi le ha vissute. Cercando di ricostruirne il senso, i pensieri, l’azione. Si possono non condividere le scelte di queste donne. Ma sicuramente sono interne al lungo percorso di progresso ed emancipazione sociale del proletariato e delle masse popolari. Sono parte di noi. Di chi nel mondo si batte per una società senza classi.