Soccorso Rosso Proletario

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Tentativo di insabbiamento de “La Stampa” e Procura sul caso di Giovanna

La Stampa gioca di sponda con la Procura per tentare la strategia dell’ insabbiamento sul caso di Giovanna, la No Tav ferita pochi mesi fa da un lacrimogeno in piena faccia durante i giorni successivi allo sgombero del presidio di San Didero.

A distanza di un giorno dalla visita torinese della Ministra dell’Interno Lamorgese, del Capo della Polizia, del Questore e del Prefetto per parlare di “violenze in Val di Susa” il quotidiano torinese pubblica
un articolo in cui viene data notizia che la consulenza, effettuata per conto della Procura su Giovanna, neghi che sia stata colpita da un lacrimogeno presentandola come fosse una verità assoluta e strategicamente data in pasto alla stampa compiacente ancor prima di informare i legali di Giovanna.

Un tentativo di depistaggio bello e buono, a cui siamo fin troppo abituati nel nostro paese (si pensi ai casi Cucchi e Aldrovandi). Nonostante le pressioni, la testimonianza di Giovanna è molto nitida e la pratica degli spari ad altezza d’uomo è comune in Val Susa come testimoniano numerosi video e come ha dovuto ammettere persino la cassazione. Magari si dirà che Giovanna è caduta dalle scale ma il fatto è che ha dovuto affrontare diversi interventi maxillo facciali in seguito al forte trauma provocato dal colpo inflitto dallo sconsiderato lancio che ha attentato direttamente alla sua vita.

Quello de La Stampa è un gesto violento e servile che sminuisce i danni fisici subiti da Giovanna e che smaschera la malafede di chi ad ogni costo cerca di bloccare il dissenso che da oltre 30 anni si manifesta in Valsusa.

A vent’anni dalle violenze delle Forze dell’Ordine al G8 di Genova, pensiamo sia davvero svilente arrivare a tanto per tentare di zittire l’ennesimo abuso in divisa.

Quanti volti o quanti corpi devastati dalla violenza delle forze dell’ordine saremo ancora costretti a vedere? E quanti tentativi di insabbiamento dovremo ancora ascoltare?

Domani, lunedì 9 agosto alle ore 11, saremo in Piazza Castello con una piccola delegazione di No Tav in cui insceneremo un presidio comunicativo per mostrare alla Ministra, e al suo “parterre di vip della sicurezza”, le immagini della violenza delle sue amate forze di polizia, perché non siamo più disposti ad accettare questa quotidianità in cui, dal carcere alle lotte sociali, gli abusi in divisa sono all’ordine del giorno.

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Stufi delle solite nauseanti e ritrite dinamiche giornalistiche, abbiamo voluto sentire l’avvocato che segue Giovanna: l’avv.to Valentina Colletta che, amareggiata ma certamente non sorpresa dall’articolo comparso su La Stampa, ha osservato: “Ci si trova per l’ennesima volta davanti alla violazione del segreto istruttorio. Informazioni delicate – soprattutto perchè afferiscono ad una persona che ancora sta subendo gli esiti delle gravissime lesioni riportate ma anche perchè attengono ad argomenti estremamente divisivi e con i quali da anni si alimenta la stigmatizzazione del Movimento Notav – escono dalla Procura della Repubblica per approdare, senza alcun approfondimento critico e senza alcun interesse per la versione contraria, alle solite redazioni giornalistiche”.

La difesa di Giovanna non ha infatti avuto alcuna comunicazione circa il deposito della consulenza del dr. Testi: “Non conosco le conclusioni del dr. Testi e sarò in grado di valutarle, unitamente ai miei consulenti, solo se e quando la Procura mi darà l’occasione di leggerle” sostiene il difensore, che aggiunge “so soltanto che Giovanna ha riferito di essere stata colpita da un candelotto lacrimogeno sparato a distanza ravvicinata ed ad altezza d’uomo e non ho ragione per non crederle. Tanto più che in Valsusa non è neppure la prima volta che accade. Mi auguro che questa volta la Procura non voglia alimentare il già lungo elenco di procedimenti penali avviati da manifestanti per le violenze commesse dalle Forze dell’Ordine ed archiviati con motivazioni le più svariate e che non fanno onore alla magistratura”.

Noi, dal canto nostro, sappiamo come funziona la così detta giustizia e non ce ne stupiamo più. Continueremo a dare voce a Giovanna ed a sostenere chi ,come lei, conosce la verità e non ha paura di urlare le proprie ragione anche a chi, invece ed evidentemente, vorrebbe continuare a dipingere le Forze dell’Ordine come vittime immolate sull’altare della tutela di un ordine pubblico che sono i primi a destabilizzare ed a chi si premura di coprirli a dispetto di ogni evidenza.

Da NoTav info

Lamorgese a Torino contro i no tav: potenziare l’intelligence, impedire a manifestanti di avvicinarsi al cantiere, ma anche autorizzare l’uso di proiettili di gomma.

dalla stampa borghese
 
Assalti No Tav ai cantieri, arriva la ministra dell’Interno per una nuova strategia Tra le proposte da sottoporre alla ministra Lamorgese ci sono quelle di potenziare l’intelligence, impedire a manifestanti di avvicinarsi al cantiere, ma anche autorizzare l’uso di proiettili di gomma.
 

Vertice ai massimi livelli oggi a Torino sulla questione della Tav. L’apertura di un secondo cantiere della Torino- Lione, il rinvigorirsi delle proteste e delle violenze del movimento che da anni lotta contro l’alta velocità e il ferimento di alcuni agenti, hanno riportato ai primi posti dell’agenda il tema dell’ordine pubblico in Valsusa

È la prima volta che la ministra partecipa al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Segno che, di fronte a un nuovo capitolo che si sta aprendo sulla Tav, l’intenzione è di cambiare la narrazione, evitando che si ripeta il corso della storia così come è stata vissuto finora. La ministra aveva dato una risposta alle violenze dei manifestanti spiegando che in Valsusa c’era un rinforzo di 10 mila agenti per un mese.
Dichiarazioni che avevano fatto alzare la testa ai sindacati di polizia, che stamattina esporranno le proprie posizioni al capo della polizia Giannini: ” È importantissimo questo incontro e auspichiamo che dia risposte risolutive a un problema annoso – sostiene Eugenio Bravo, segretario del Siulp – Non possiamo andare avanti a fare la guardia ai cantieri, occorre cambiare strategia per evitare che i manifestanti arrivino fino alle reti del cantiere, gli agenti siano dei bersagli e corrano dei rischi “. Lo evidenzia anche Luca Pantanella, segretario Fsp: ” Il cantiere della Tav ormai è la palestra d’Europa per la lotta antagonista”.

 Da quando infatti ha aperto anche il cantiere di San Didero, oltre a quello storico di Chiomonte, anche ai più diffidenti sul futuro dell’opera è stato evidente che la costruzione andava avanti. Ed è per questo che la protesta si è ricompattata, costringendo tuttavia gli agenti a sdoppiarsi su due punti, che tra non molto diventeranno tre con i lavori in programma a Susa

“La violenza è della polizia”

 …i No Tav in presidio intendono portare all’attenzione della ministra “un’altra storia, qualla delle ruspe che devastano la natura e di volti sfigurati dalla violenza della polizia”, dicono a proposito di una manifestante che secondo la versione dei No Tav sarebbe stata colpita a un occhio da un lacrimogeno, sebbene la perizia della procura non lo riconosca.

BERGAMO: GIOVANE ITALIANO PER BENE, AMMAZZA A FREDDO DAVANTI ALLA FAMIGLIA IL PADRE IMMIGRATO TUNISINO ‘PER FUTILI MOTIVI’. LE RAGIONI CHE NON SONO BANALI, STANNO NELLA POLITICA RAZZISTA CHE AMMORBA L’ITALIA, NEL FASCIO POPULISMO CHE AVANZA, ELEMENTI COSTITUENTI ANCHE DEL GOVERNO DRAGHI, CHE TRASFORMA GLI IMMIGRATI IN BERSAGLI. E CHE CI CHIAMA A SCHIERARCI E RISPONDERE.

Date in ripresa per via del semestre bianco, concentrate sui porti e gli sbarchi, esaltate da Salvini e Meloni, la propaganda e la politica razzista contro gli immigrati in realtà non si sono mai fermate e restano un tratto pesantemente distintivo anche dell’intero governo.

Un clima di odio aperto crescente e una rete di leggi speciali che a prescindere hanno già fatto dell’Italia un paese razzista. Leggi fabbrica clandestini usate dai padroni per sfruttare manodopera in condizioni di forte bisogno, una giungla di documenti richiesti solo agli immigrati abusati dalle agenzie di lavoro come forma di ricatto verso i lavoratori, dalle amministrazioni comunali come deterrente, un’insofferenza generale che ha fatto tornare reale il ‘non si affitta agli immigrati’.

Anche la cronaca di questa esecuzione per un richiamo a fare attenzione alla bambina, ci restituisce i frutti marci di questo clima. Dopo i dettagli del fatto, l’omicida diventa un bravo ragazzo, calmo e tranquillo che lavora nell’azienda di famiglia; la vittima una persona disoccupata, che aveva già subito una condanna, controllato spesso dai carabinieri per urla che si sentivano in casa.

Non sono ancora passate 24 ore, e pare già dimenticata la dinamica di un assassinio a freddo verso un padre in compagnia della famiglia tutto a vantaggio di ricostruzioni fantasiose magari utili come attenuati per l’omicida.

Dopo Youns questo è un altro caso di giustizia dove le parole dei familiari non devono essere scordate: ‘adesso quel ragazzo deve pagare, deve fare l’ergastolo, non uscire tra qualche anno…’

NOTAV: oggi a Torino in presidio contro la ministra dell’Interno Lamorgese e la repressione di Stato

La repressione dello Stato non spegne ma alimenta la ribellione!

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Il comunicato Notav

Facciamoci sentire dalla ministra Lamorgese: lunedì 09/08 ore 11,00 presidio comunicativo in Piazza Castello.

Lunedì 9 agosto la ministra degli interni Lamorgese, accompagnata dal capo della polizia, sarà a Torino in piazza Castello presso la prefettura del capoluogo piemontese. Un evento assai inconsueto, un incontro ai massimi livelli che la dice lunga su come lo stato italiano intenda l’emergenza sicurezza. Non ricordiamo infatti di aver visto la ministra in trasferta per far sentire che le istituzioni ci sono in occasione dello scioglimento di intere giunte comunali per mafia o per le numerosi morti sul lavoro di operai: il nemico pubblico sono i No Tav.

Andrà quindi in scena un “siparietto” con cui la ministra viene a pagare il suo pegno ai sindacati di polizia dopo la “caporetto” dell’ordine pubblico (cit. Consap) che è andata in scena il 30 luglio a Chiomonte, tutto per cercare di rappresentare su un palco artificiale e “istituzionale” la favoletta de “le pecorelle indifese” delle forze dell’ordine.

Per quanto ci riguarda siamo stanchi di questa narrazione indecente e ancora una volta saremo presenti in piazza, con una delegazione, a portare altre immagini.

Sono quelle reali di un’altra storia, non quella dei giornali ma quella dei territori e delle persone. Volti sfigurati dalla violenza della polizia, natura stuprata dalle ruspe e criminali, non pecorelle che con una divisa e uno stipendio impunemente lanciano proiettili e sassi sui No Tav.

Ci vediamo lunedì 9 agosto alle ore 11,00 in Piazza Castello, portiamo le bandiere per dare vita a un presidio comunicativo in perfetto stile No Tav!

La Grecia brucia… e il governo usa i fascisti per zittire chi si ribella

Mezzo mondo è in fiamme come prodotto della distruzione sistematica del capitalismo-imperialismo e la Grecia è nel ben mezzo di questa tragedia!

Ma in Grecia oltre alla tragedia dei roghi il popolo deve subire anche quella del governo fascista che tenta di mettere a tacere le proteste!

Il governo “sta ricorrendo a bande di picchiatori fascisti, probabilmente controllate dai suoi ministri di estrema destra, per cercare di censurare i pochi mezzi d’informazione che stanno correttamente informando sul disastro senza precedenti che sta affrontando il paese.” dice il Manifesto di oggi.

Quello di mettere a tacere le proteste di piazza contro governi reazionari con mezzi sempre più apertamente fascisti sta diventando la normalità di tutti i governi, sia nei paesi imperialisti che in quelli oppressi.

“Nelle prime ore del mattino di ieri una squadraccia di una quindicina di energumeni ha aggredito due reporter e il cameraman della Tv privata Open che stava seguendo gli sviluppi dell’incendio nella località Thrakomakedones, nei sobborghi di Atene. Hanno picchiato i due giornalisti, distrutto i loro strumenti di lavoro, rotto i finestrini della macchina e rubato la borsa con gli attrezzi del cameraman.”

E come in tante occasioni che conosciamo bene anche qui da noi la polizia dà di fatto una mano ai fascisti: “L’AGGRESSIONE È AVVENUTA di fronte a un nutrito gruppo di poliziotti che non ha ritenuto opportuno intervenire in difesa dei giornalisti, malgrado le ripetute grida di aiuto. Il tutto con il sonoro registrato dalla telecamera rimasta accesa ma prima otturata con una mano di fronte all’obiettivo e poi gettata giù dal cavalletto.”

“LA RABBIA SI ESPRIME con il grido “Mitsotakis fottiti”, ripetuto da pacifiche casalinghe e tranquilli padri di famiglia in lacrime di fronte alla casa e la bottega ridotta in cenere. Molto probabilmente è stato questo sfogo popolare in diretta, spezzando il monopolio comunicativo del governo, che ha scatenato la componente estremista del governo, rappresentata dal ministro dell’Interno Makis Voridis, dal vice presidente di Nuova Democrazia Adonis Georgiadis ma anche da vari deputati della maggioranza, tra cui Thanos Plevris, figlio di Kostas, l’uomo dei colonnelli in Italia all’epoca delle stragi.”

Le giuste invettive contro i governi borghesi devono trasformarsi in rabbia organizzata, diretta a rovesciare questo sistema di morte e distruzione.

Bangkok: lacrimogeni e proiettili di gomma contro i manifestanti

Un ufficiale di polizia spara con un’arma durante gli scontri con i manifestanti che protestano contro quello che chiamano il fallimento del governo nella gestione della pandemia di coronavirus [Soe Zeya Tun/Reuters]

La polizia thailandese ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere i manifestanti che a Bangkok, sabato 7 agosto, hanno protestato contro l’incapacità del governo di gestire la pandemia di coronavirus e i suoi effetti economici.

Più di 1.000 manifestanti sabato hanno sfidato le restrizioni sugli incontri pubblici e hanno marciato verso la Government House, l’ufficio del primo ministro Prayuth Chan-ocha, chiedendo le sue dimissioni. La polizia ha chiuso una strada vicino al Monumento alla Vittoria usando container e ha usato i gas lacrimogeni e proiettili di gomma per respingere i manifestanti. “Stiamo mantenendo questa linea”, ha annunciato la polizia tramite un altoparlante. Circa 100 ufficiali sono stati visti in tenuta antisommossa a pochi metri da dove si erano radunati i manifestanti.

A partire dal 18 luglio, diversi gruppi hanno organizzato proteste di piazza contro il governo, mentre crescono le frustrazioni per la sua gestione dell’epidemia di coronavirus e i danni che le misure pandemiche hanno inflitto all’economia.

La protesta di sabato è stata in parte innescata dal lento lancio del programma di vaccinazione COVID da parte del governo thailandese. 

“La politica di vaccinazione sbagliata ha davvero irritato i cittadini in Thailandia”, ha detto il giornalista Franc Han Shih, che ha aggiunto che il governo ha fatto un accordo per 10 milioni di dosi del vaccino AstraZeneca, ma finora ne ha ricevuto solo la metà. “Sebbene la Cina abbia fornito più di 6 milioni di dosi di Sinovac, non è abbastanza”, ha aggiunto.

Sabato, la Thailandia ha registrato un record di quasi 22.000 nuovi casi di COVID-19 segnalati e il numero più alto di decessi giornalieri: 212. Nel complesso, ha segnalato 736.522 casi di coronavirus, inclusi 6.066 decessi, dall’inizio della pandemia lo scorso anno.

Con solo il 6,31% circa dei 70 milioni di thailandesi completamente vaccinati contro il virus a partire da giovedì, l’ultima ondata ha spinto il sistema sanitario pubblico del paese sull’orlo del collasso. Mentre gli ospedali della capitale Bangkok si riempiono, le autorità si sono affrettate a creare reparti di isolamento ad hoc nei terminal aeroportuali, nei magazzini e nei vagoni ferroviari dismessi. Un ospedale ha fatto ricorso all’affitto di container per immagazzinare cadaveri dopo che il suo obitorio ha esaurito lo spazio.

“Sono preoccupato per la situazione, ma dovremo continuare a combattere nonostante la grave epidemia di COVID”, ha detto all’agenzia di stampa AFP il 27enne manifestante Nat.

I manifestanti si riuniscono durante una protesta contro quello che chiamano il fallimento del governo nella gestione della pandemia di coronavirus [Soe Zeya Tun/Reuters]

Le proteste in corso in Thailandia sono nate come un movimento pacifico organizzato on-line a inizio 2020 da gruppi studenteschi che hanno poi coinvolto più strati della popolazione, scesa nelle piazze dal 18 luglio 2020. Con il passare del tempo, alcune giornate di protesta sono sfociate in violenze. Il movimento di dissenso è nato di fronte alla crescente influenza dell’Esercito nel governo e al ruolo della monarchia. Oltre alle dimissioni del governo, i manifestanti chiedono la democratizzazione del paese, con l’adozione di una nuova costituzione che limiti i poteri del re, Maha Vajiralongkorn, e il reindirizzamento dei fondi di bilancio dall’acquisto di armi dell’esercito all’acquisto di vaccini mRNA COVID-19, Pfizer e Moderna. Gli unici vaccini attualmente in uso sono infatti AstraZeneca, che viene prodotto internamente ma in quantità insufficienti, e Sinovac, che non è altrettanto efficace contro la nuova variante Delta.

La rabbia nei confronti del governo è cresciuta parallelamente alle infezioni, rinvigorendo il movimento di protesta, nonostante la risposta repressiva della reazione.

Alla fine del mese scorso, la polizia ha accusato il rapper adolescente Danupha “Milli” Kanateerakul di diffamazione per un tweet che ha pubblicato a giugno accusando il governo di una lenta risposta alla pandemia. La polizia ha detto ai giornalisti all’epoca che anche più di due dozzine di altre celebrità erano indagate, la maggior parte per post simili.

Prayut è salito al potere dal 2014, dopo aver realizzato un colpo di Stato. Nel 2017, il premier thailandese aveva adottato una nuova Costituzione ampliando i poteri della corona e conferendo all’Esercito il compito di nominare i membri del Senato che, a loro volta, nominano il premier. Prayut è poi rimasto alla guida del Paese anche dopo le ultime elezioni nazionali, organizzate nel 2019, alle quali è risultato vincitore, nonostante in molti ritengano che le votazioni siano state manipolate in suo favore.  Gli attacchi alla monarchia, invece, avrebbero dimostrato che è in corso un generale cambiamento sociale interno al Paese. In Thailandia, rivolgere critiche alla corona è un reato, secondo la legge di lesa maestà, che prevede pene fino a 15 anni di reclusione. La stessa Costituzione thailandese sancisce poi che alla monarchia spetti una posizione di venerazione.

La Thailandia è diventata una monarchia costituzionale il 24 giugno 1932 quando tale forma di governo ha sostituito la monarchia assoluta, in seguito all’azione di un gruppo di militari e civili che si definiva Movimento del Popolo. Da allora, però, il Paese ha adottato almeno 18 Costituzioni e ha assistito a 13 colpi di Stato. Nel tempo, si sono verificate più ondate di protesta a sostegno della democrazia che nel 1973 e nel 1992 videro una violenta repressione da parte delle autorità e che portarono alla morte più manifestanti.

Patrick Zaki, in carcere da un anno e mezzo: «Cella rovente, condizioni disumane»

Patrick Zaki è in carcere da un anno e mezzo, esatto. Lo studente egiziano dell’università Alma Mater di Bologna dorme per terra, in un’affollata cella del famigerato carcere di Tora alla periferia del Cairo.

18 mesi di detenzione illegale

Quella mattina del 7 febbraio 2020 Patrick Zaki era appena arrivato all’aeroporto del Cairo. Una breve vacanza per rivedere la famiglia per poi tornare ai suoi studi all’Università di Bologna. Fuori lo aspettano i suoi famigliari, lo chiamano al telefono mentre fa la fila ai controlli dei passaporti, non vedono l’ora di riabbracciarlo. Non succederà. Nel giro di pochi minuti comincia un incubo che oramai dura da un anno e mezzo. Zaki viene arrestato, è sospettato di “attività sovversiva” e anti-governativa per alcuni post scritti su Facebook. Diciotto mesi, senza un processo, con la carcerazione “preventiva” prolungata ogni volta dal tribunale di 45 giorni, senza fine, in udienze che si ripetono identiche e che i suoi amici definiscono una “farsa”. Amnesty International ha denunciato “il diciottesimo mese di detenzione illegale, arbitraria, senza processo e senza possibilità di difendersi, con accuse tra l’altro di terrorismo, istigazione alla violenza, basate su post social da un account che i suoi avvocati non ritengono sia il suo”. La mobilitazione delle ong continua, come ha ribadito Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

“Per la nostra campagna questo anno e mezzo è trascorso veloce, ricco di mobilitazioni e di iniziative che hanno cercato di tenere alta l’attenzione sulla sua situazione. Ma per Patrick, chiuso nella sua cella della prigione di Tora, è stato un tempo lentissimo, pieno di angoscia, di dolore fisico, di sofferenza mentale”. Zaki soffre di asma e mal di schiena, il supercarcere è affollato e durante la pandemia sono state prese precauzione minime. E’ a rischio, soprattutto di un crollo psicologico, regge con l’aiuto degli amici e degli attivisti, riesce a fare avere all’esterno lettere, messaggi, e da ultimo anche i pezzi di una scacchiera scolpiti a mano da alcune saponette. Ma più passa il tempo, più la lotta è dura. Per l’attivista Amr Abdelwahab il caso è diventato soltanto una “questione politica: comincio a pensare e che tutto quello che ha fatto o farà non conti più niente, tutto dipende da una decisione dei governi italiano ed egiziano”. Oggi è in arrivo il nuovo ambasciato italiano al Cairo, Michele Quaroni, con il difficile compito di salvare il giovane studente.