L’esposto dei detenuti trasferiti al carcere di Modena

Hanno deciso di metterci il nome e la pelle e non dobbiamo lasciarli soli. Di seguito alcuni aggiornamenti sui 5 coraggiosi detenuti, minacciati e trasferiti dal carcere di Ascoli a quello di Modena, in seguito al loro esposto in procura:

Ciao a tutti e tutte,
vi metto in allegato l’esposto fatto da 5 detenuti di Ascoli alla procura di Ancona.
Sono i primi detenuti che denunciano pubblicamente, mettendoci la faccia, le torture e le uccisioni nel carcere di Modena ed Ascoli.
Da venerdì sono stati riportati a Modena, luogo in cui si trovano i loro massacratori.
Oggi alcuni nostri avvocati di Bologna verranno nominati da questi detenuti, sia per tutelarli, sia per supportarli nel portare avanti la denuncia. Dall’altra questi detenuti per lettera hanno espresso che nonostante la diffidenza sul ruolo della stampa, han dichiarato che in questo caso chi ha contatti può far girare il loro racconto. Da quello che so, oggi dovrebbe uscire un articolo su dirittiglobali da parte di una giornalista che già ad agosto aveva fatto uscire delle testimonianze anonime.

Da parte nostra sabato in 8-9 città abbiamo raccontato per filo e per segno questa storia, sia sotto le carceri che per le strade.
Qui a Trieste venerdì faremo un altro comizio in cui parleremo anche di questi fatti e non solo.
Invitiamo tutti a scrivere a questi detenuti:

Cipriani Claudio, Bianco Ferruccio, Palloni Mattia, D’Angelo Francesco, Belmonte Cavazza
Str. Sant’Anna, 370, 41122 Modena (MO)

Se prima lo Stato ha torturato, ucciso barbaramente, se quel piombo è monito per tutti noi, se non ha avuto problemi a cremare i corpi per non far vedere i segni dell’assassinio, ora è compito nostro tutelare le
vite di questi 5 uomini coraggiosi.
Ognuno scelga i suoi modi, ma ora è importante far capire al DAP che queste persone non sono sole.

Fate girare il più possibile.

IL TESTO DELL’ESPOSTO

Casa circondariale Ascoli

20/11/2020

N°protocollo 18072
Alla procura generale della repubblica di Ancora

Oggetto: Richiesta e verifica su eventuali ipotesi di reato di cui all’art.28 della costituzione della repubblica italiana; art. 3 convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo L. 4 agosto 1955 n°848; art. 608 c.p; art. 575 c.p ; 593 c.p ( tortura; abuso di autorità contro detenuti o arrestati; omicidio; omissione di soccorso). Perpetrati presso la casa circondariale di Modena e presso la casa circondariale di Ascoli Piceno; falso in atti.
In capo alla direzione della casa circondariale di Modena e della casa circondariale di Ascoli Piceno per “culpa in vigilando” e “culpa negligendo” ed al comandante ed al corpo della polizia penitenziaria della casa circondariale di Modena, Ascoli Piceno, Bologna, Reggio Emilia. Richiesta di essere ascoltati da codesta procura per rilasciare deposizioni collettive, individuali, specifiche e dettagliati sui fatti occorsi c/o la casa circondariale di Modena in data 08/03/2020 e c/o la casa circondariale di Ascoli Piceno in data 09/03/2020 e nei giorni successivi al nostro arrivo.

I richiedenti udienza come persone informate dei fatti:

1) Cipriani Claudio …
2) Bianco Ferruccio …
3) Palloni Mattia…
4) D’Angelo Francesco…
5) Belmonte Cavazza…

Premesso:

a) che Cipriani Claudio, Bianco Ferrucci, Palloni Mattia, D’Angelo Francesco, Belmonte Cavazza in data 09/03/2020 venivano tradotti c/o la C.C di Ascoli Piceno a seguito della rivolta scoppiata c/o la C.C di Modena

b) che tutti gli scriventi dichiarano di essersi trovati coinvolti seppure in maniera passiva nella rivolta scoppiata in data 08/03/2020 c/o l’Istituto Penitenziario di Modena.
A tale proposito gli scriventi dichiarano di aver assistito ai metodi coercitivi e ad intervento messo in atto da parte degli agenti della polizia penitenziaria di Modena e successivamente di Bologna e Reggio Emilia intervenuti come supporto.
Ossia l’aver sparato ripetutamente con le armi in dotazione anche ad altezza uomo.
L’aver caricato,detenuti in palese stato di alterazione psicofisica dovuta ad un presumibile abuso di farmaci, a colpi di manganellate al volto e al corpo, morti successivamente a causa delle lesioni e dei traumi subiti, ma le cui morti sono state attribuite dai mezzi di informazione all’abuso di metadone.
Noi stessi siamo stati picchiati selvaggiamente e ripetutamente dopo esserci consegnati spontaneamente agli agenti, dopo essere stati ammanettati e private delle scarpe, senza e sottolineiamo senza, aver posto resistenza alcuna.
Siamo stati oggetto di minacce, sputi, insulti e manganellate, un vero pestaggio di massa

c) che, dopo esserci consegnati, esserci fatti ammanettare, essere stati privati delle scarpe ed essere stati picchiati, fummo fatti salire, contrariamente a quanto scritto in seguito dagli agenti, senza aver posto resistenza sui mezzi della polizia penitenziaria usando i manganelli.
Picchiati durante il viaggio fummo condotti c/o alla C.C di Ascoli Piceno. Al nostro arrivo molti di noi furono spostati dai mezzi provenienti da Modena nei mezzi parcheggiati in uso alla penitenziaria di Ascoli Piceno.
Uno alla volta e quasi tutti senza scarpe fummo accompagnati prima in una stanza ove venimmo perquisiti e successivamente alla classica visita medica ,dove a molti di noi non fu neanche chiesto di togliersi gli indumenti per constatare se avessimo lesioni corporee.
Alcuni di noi furono picchiati dagli agenti di Bologna anche all’interno dell’Istituto di Ascoli Piceno, nello specifico nei furgoni della polizia penitenziaria alla presenza degli agenti locali.

d) Che, la mattina seguente al nostro arrivo e nei giorni seguenti molti di noi furono picchiati con calci, pugni e manganellate, all’interno delle celle all’opera di un vero e proprio commando di agenti della penitenziaria. Ricordiamo a codesta Ecc.ma Procura che l’art 28 della costituzione della repubblica italiana cita: “ I funzionari e i dipendenti dello stato […] sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali […] degli atti compiuti in violazione dei diritti […]. L’art 3 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo sancisce che il “divieto della tortura” ove “nessuno” può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti, si veda anche l’art. 608 C.P. sull’abuso di autorità contro arrestati o detenuti oltre a voler dipanare i fatti occorsi a Modena, poiché molti, noi compresi, siamo stati oggetto di sanzioni disciplinari infondate e immotivate, ove non è stata fornita prova alcuna né a mezzo di supporti di videosorveglianza, filmati, nè in altro modo volevamo per una questione di giusta giustizia in rispetto ai morti della rivolta far luce sulle dinamiche a nostro dire onubilate. Nello specifico vorremmo essere ascoltati per la morte del detenuto Piscitelli Cuono Salvatore deceduto in data 09-03-2020 verso le 10:30 ℅ la C.C. di Ascoli Piceno come espletato al capo sub e).

e) Che, il detenuto Piscitelli Salvatore, già brutalmente picchiato ℅ la C.C di Modena e durante la traduzione, arrivò ℅ la C.C di Ascoli Piceno in evidente stato di alterazione da farmaci tanto da non riuscire a camminare e da dover essere sorretto da altri detenuti. Una volta giunto alla sezione posta al 2° piano lato sx gli fu fatto il letto dal detenuto D’angelo Francesco poichè era visibile a chiunque la sua condizione di overdose da farmaci. Appoggiato sul letto della cella n°52 gli fu messo come cellante il detenuto Mattia Palloni. Tutti ci chiedemmo come mai il dirigente sanitario o il medico che ci aveva visitato all’ingresso non ne avesse disposto l’immediato ricovero in ospedale. Tutt facemmo presente al commissario in sezione e agli agenti che il ragazzo non stava bene e necessitava di cure immediate. Non vi fu risposta alcuna. La mattina seguente in data 09-03-2020 fu fatto nuovamente presente sia da parte di Cipriani Claudio che Piscitelli non stava bene, emetteva dei versi lancinanti e doveva essere visitato nuovamente ma nulla fu fatto. Verso le 09:00 del mattino furono nuovamente sollecitati gli agenti affinché chiamassero un medico, qualcuno sentì un agente dire “ fatelo morire “, verso le 10:00 – 10:20 dopo molteplici solleciti furono avvisati gli agenti che Piscitelli Salvatore era nel letto freddo, Piscitelli era morto. Il suo cellante fu fatto uscire dalla cella e ubicato nella cella n°49 insieme al D’angelo. Piscitelli fu sdraiato sul pavimento, giunta l’infermiera la stessa voleva provare a fare un’iniezione al Piscitelli ma fu fermata dal commissario che gli fece notare che il ragazzo era ormai morto. Messo in un lenzuolo fu successivamente portato via. Successivamente abbiamo notato che molti agenti, il garante stesso dei detenuti asserivano che il Piscittelli fosse morto in ospedale, se questo dovesse essere vero confermerebbe, cosa assai grave, la presenza di atti e dichiarazioni mendaci costituenti falsi. In merito a quanto citato nel capo sub e), chiediamo di verificare l’eventuale ipotesi degli articoli citati in oggetto. Altri rapporti disciplinari sono stati fatti rilasciando deposizioni mendaci come il rapporto ai danni del detenuto Bianco accusato di essersi rivolto ad un’infermiera usando termini non consoni. A nulla sono servite le sue spiegazioni volte a dimostrarne il contrario.

Si è parlato molto della rivolta di Modena ma nessuno si è interrogato su cosa fosse realmente accaduto. È inopinabile che vi siano stati dei disordini ma nessuno di noi è stato interrogato o sentito come persona informata sui fatti, partecipe o altro, tutto si è basato sulle sole dichiarazioni delle direzioni che nulla hanno fatto per fare vera chiarezza. Le nostre dichiarazioni non sono state raccolte sminuendo di fatto la nostra persona. Il sistema carcere è in evidente stato di crisi vivendo condizioni di sovraffollamento e degrado in maniera tacita e accondiscendente tende a sminuire e tollerare atteggiamenti violenti e repressivi ad opera di chi indossando una divisa dovrebbe rappresentare lo stato. È chiaro che si tratta di una minoranza, non vi sarà mai una riformabilità efficace. Le direzioni a nostro parere sono responsabili dell’accaduto non potendo non sapere.

Chiediamo a codesta Ecc.ma Procura di verificare in maniera alacre quanto citato ai capi sub a), b), c), d), e). Eventualmente di avallare le nostre richieste di trasferimento e di ascoltarci in modo collettivo o individuale.

I nostri avvocati, elencati, sono al corrente di quanto esposto e ne hanno copia, disponibili ad eventuali confronti.

Porgiamo deferenti ossequi

Ascoli Piceno 20-11-2020

con osservanza

Cipriani Claudio

Bianco Ferruccio

Mattia Palloni

D’angelo Francesco

Belmonte Cavazza

Leggi anche Pestaggi, mancato soccorso e morte: la denuncia di 5 detenuti sulla rivolta di Modena da Il Dubbio

Da fabbrica-galera a galera e basta: gli sbocchi “occupazionali” del moderno fascismo intorno all’ex Acna di Cengio

Da Proletari comunisti

La storia capitalistica si diverte – vogliono trasformare la ex-Acna di Cengio in carcere

Da simbolica fabbrica-galera, da fabbrica strage di operai si trasforma in carcere: “rappresenterebbe infatti la rinascita del territorio valbormidese”… 

Ma non vi vergognate!

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Dai Comuni l’ok a trasformare l’ex Acna di Cengio in un carcere

Realizzazione del nuovo carcere della provincia di Savona nelle aree ex Acna di Cengio (che ancora non è stata completamente bonificata, n.d.r.). Si è parlato dell’ipotesi stamane (venerdì 11 dicembre) in videoconferenza tra amministratori e sindaci liguri. Il vice presidente della II Commissione Giustizia Franco Vazio e il presidente della Provincia di Savona Pierangelo Olivieri hanno valutato la necessità di stabilire una cabina di regia prendendo in considerazione le differenti posizioni dei rappresentanti del territorio. Il progetto, infatti, oltre il comune di Cengio, interessa anche Cairo Montenotte dato che un nuovo penitenziario darebbe risalto alla Valle Bormida dal punto di vista occupazionale. Il sindaco di Cengio Francesco Dotta, durante il suo intervento, ha riportato il pensiero dell’amministrazione di Saliceto che si è detta «pronta a collaborare».
«Auspichiamo che il progetto del carcere possa essere realizzato, ritenendo l’opera una importantissima risorsa, sia in fase realizzativa che a regime – scrivono il sindaco Luciano Grignolo e i consiglieri -. L’intervento rappresenterebbe infatti la rinascita del territorio valbormidese che orgogliosamente condividiamo, determinando la svolta socio-economica attesa da anni, dopo il lungo periodo buio di cui tutti siamo a conoscenza. Ritenendo quest’idea progettuale la migliore tra quelle proposte in questi ultimi anni, sia per la ricaduta occupazionale, sia per la salvaguardia ambientale, Saliceto quindi è disponibile a sostenere la scelta della localizzazione del nuovo carcere della provincia di Savona all’interno del sito ex Acna e a collaborare in tale direzione con il Comune di Cengio in primis e con tutti gli enti interessati».
Nei prossimi giorni, l’onorevole Vazio porterà la proposta all’attenzione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e del sottosegretario alle Politiche Penitenziarie Andrea Giorgis. Quindi prima di Natale, il presidente Olivieri, nel suo ruolo di coordinatore, organizzerà un altro incontro al quale parteciperanno anche i consiglieri regionali liguri.

Lettera delle detenute del carcere di Vigevano

Vigevano 04/12/20

Siamo alcune detenute della sezione AS3 femminile del carcere di Vigevano e vogliamo raccontare come il nostro quotidiano viene attualmente sconvolto dal Covid.

Da marzo scorso siamo anche noi sottoposte a misure anti-contagio ma la situazione ha preso una svolta una decina di giorni fa quando sono stati scoperti dei casi di contagio nella sezione comune del femminile.

Ne siamo venute a conoscenza solo quando era diventato impossibile nasconderlo in quanto le detenute che lavoravano in cucina sono state chiuse e messe in quarantena, di conseguenza sono stati distribuiti solo pranzi al sacco rendendo visibile a tutte ciò che stava accadendo.

A parte ripeterci di stare tranquille e di non preoccuparci non ci è mai stato comunicato niente di formale riguardo la situazione e tutt’ora facciamo fatica a sapere il numero delle persone affette dal virus e quali misure sono state adottate.

L’unica cosa che sappiamo è che da sezione aperta che era, ora le compagne della sezione comune sono chiuse nelle loro celle e sono stati sospesi i momenti di socialità.

Tutti i lavori e le attività da loro effettuati vengono adesso svolti dalle detenute dell’AS.

L’unica precauzione presa nei nostri confronti è che quando si ricordano ci viene misurata la temperatura.

Da tanti mesi siamo costrette a subire le varie restrizioni dovute al Covid: sospensione delle rare attività e dei corsi esistenti, divieto di far entrare il prete e la suora, complicazioni nel seguire udienze e processi in corso dato che vengono svolti quasi tutti in video conferenza, difficoltà a sentire i nostri parenti perchè a volte loro stessi sono affetti da Covid, sospensione dei colloqui in presenza, crescenti difficoltà di curare le nostre patologie preesistenti avendo sospeso quasi tutte le visite in ospedale.

Ora però la situazione sta giungendo al culmine mettendo a dura prova le nostre capacità di affrontare la situazione con lucidità.

Dopo qualche giorno di quarantena, per la disperazione, una detenuta della sezione comune ha incendiato il suo materasso provocando anche molti disagi e tanta paura.

Tutta questa situazione ha fatto emergere le gravi lacune nel gestire la situazione da parte dell’amministrazione penitenziaria che a distanza di un anno dall’inizio della pandemia si trova ancora impreparata.

Ci troviamo ancora una volta davanti all’accanimento da parte di chi ha il potere e si rifiuta di scarcerare i detenuti con pene basse o con patologie, non applicando neanche le misure contenute nell’ultimo decreto svuota carceri.

Il carcere assassino continua ad infierire con chi ha il coraggio di denunciarne le responsabilità: insabbiato l’esposto dei detenuti di Ascoli, prontamente trasferiti nella macelleria del carcere di Modena

Da una mail ricevuta oggi:
URGENTI NOTIZIE DAL CARCERE DI ASCOLI-MODENA
È di qualche minuto fa la notizia che un pugno di detenuti di Ascoli – trasferiti a marzo dal carcere di Modena – sono stati riportati proprio a Modena. Perché? Perché venerdì 20 novembre hanno fatto un esposto alla Procura di Ancona in cui denunciavano i fatti accaduti in quel carcere e quelli relativi alla morte di Piscitelli. All’inizio questi detenuti tramite domandina hanno chiesto il numero di protocollo e copia dell’esposto. Lunedì 23 questo esposto non era ancora partito, la motivazione era legata al fatto che doveva passare per la Direzione, cosa non necessaria per un esposto in Procura. Lo stesso giorno i detenuti hanno cercato di contattare i propri avvocati per fare pressione alla partenza dell’esposto. Questi detenuti erano ben consapevoli che avrebbero avuto problemi, anche grossi, ma per loro era più giusta la strada della verità.
Questo sono le poche informazioni a disposizione. Invito tutti domani 12 dicembre, viste le varie iniziative, a raccontare questi fatti. La minaccia, le angherie, gli omicidi non avvengono solo dagli apparati di sicurezza egiziani come con il Regeni. Il DAP ha deciso di incutere paura a chi ha ora il coraggio di dire la verità su fatti che sappiamo gravi. Ognuno domani trovi il taglio e il modo di raccontare queste novità.
Forse entro sta sera si avranno aggiornamenti. Vi farò sapere.
Ora io non so chi di preciso sta organizzando i vari presidi a Milano, Torino, Parma, Napoli ma fate girare la notizia a chi conoscete
Da uno scritto di anarchiche e anarchici, in occasione dell’ anniversario della strage di Stato del 12 dicembre:

A NOVE MESI DALLA STRAGE DI STATO NELLE CARCERI

Durante le rivolte di marzo nelle carceri, lo Stato italiano ha compiuto una strage: 14 detenuti vengono ritrovati morti nelle patrie galere

Tredici di loro dentro i corridoi dei penitenziari di Modena, Alessandria, Verona, Ascoli, Parma, Bologna, Rieti; uno di loro morirà successivamente dopo il ricovero nell’ospedale di Rieti

Non una parola pronunciata dallo Stato su queste morti nel corso dei mesi, nemmeno alle famiglie, avvisate – e forse ad oggi nemmeno tutte – a distanza di tempo, dagli avvocati che seguivano le vicende legali dei propri cari detenuti

Se questi morti ad oggi hanno un nome è per opera di chi individualmente si è attivato per ricercarli e renderli noti

Quello che si è visto fino a qui, non è che un copione degno delle peggiori dittature: insabbiare l’accaduto, costruire una verità ufficiale rimescolando qualche carta, trovare qualcuno da incolpare (i morti stessi, detenuti e tossici, oppure la regia esterna dei mafiosi, o degli anarchici), far sparire i testimoni o terrorizzarli a morte

Un copione che si è già spesso ripetuto nella storia della democratica Italia: dalle stragi di Stato note, seppur mai ufficialmente riconosciute come tali, alle morti in carcere o nei CPR, da quella di Cucchi sino a quella di Vakhtang Enukidze, ucciso dalla Polizia a gennaio di quest’anno nel CPR di Gradisca d’Isonzo

Sappiamo bene che le inchieste ufficiali condotte dalle Procure di Stato non diranno MAI la verità su queste morti, già in parte liquidate infatti con ipotesi di suicidio, più di preciso avvenuto per tutti con un’overdose di farmaci

Ne siamo convinte, non solo perché non abbiamo fiducia nello Stato e perché ci è nemica la sua concezione di giustizia

Ma perché di fronte a quanto accaduto sarebbe troppo ingenuo, addirittura contraddittorio, pensare possibile che uno Stato possa arrivare a condannare se stesso con l’accusa di strage nei confronti dei detenuti, la più grande dal dopoguerra

Le torture a suon di pestaggi e umiliazioni e le minacce inferte nei confronti di chi ha assistito a quel massacro e ne è sopravvissuto sono un monito chiaro, soprattutto nei confronti di chi è ancora detenuto e si trova quindi ancora tra le mani dei suoi aguzzini

Le inchieste delle procure e i provvedimenti disciplinari volti a punire i rivoltosi di tutte le carceri per quelle giornate, non fanno che riprodurre la violenza di quelle torture, contribuendo perfino a legittimarle

Per ora le inchieste note sono quelle di Bologna, Modena, Frosinone, Milano Opera, Milano San Vittore e Roma Rebibbia, con accuse a vario titolo di devastazione e saccheggio, sequestro, incendio, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale

A queste ritorsioni punitive, si aggiunge poi l’espressa esclusione dai benefici delle pene alternative legate all’emergenza Covid in modo specifico per coloro, tra gli altri, che hanno preso parte alle rivolte di marzo

Il messaggio è chiaro: per Bonafede e i suoi alleati, chi non tiene la testa bassa, in galera ci può morire

Chi è accusato e inquisito dallo Stato per essersi rivoltato trova tutta la nostra solidarietà e, ora più che mai, questo si rende necessario: non soltanto perché quelle rivolte erano comprensibili e giuste, come d’altronde crediamo lo sia ogni atto di ribellione fatto per conquistarsi la libertà da una galera

Ma ancor di più, in tempo di pandemia, perché scatenate dalla necessità dei detenuti di salvarsi la pelle dalla diffusione incontrollata del COVID negli istituti penitenziari e dalla rabbia per l’adozione di misure (blocco dei colloqui in primis) che nulla avevano a che vedere con la tutela della salute

La diffusione del virus nelle carceri, causata dalle nulle o minime misure di sicurezza sanitaria adottate, dagli ingressi e uscite di secondini e altre figure e dalla deliberata scelta di non concedere misure alternative ad ampio raggio, ha provocato il dilagare del virus e, secondo i dati ufficiali, 13 morti per COVID accertate da aprile ad oggi

Non esprimere aperta solidarietà verso chi si è rivoltato e verso chi continua a farlo, significherebbe legittimare il massacro avvenuto durante e dopo le rivolte di marzo e riconoscere allo Stato la licenza di uccidere o lasciar morire chi si trova carcerato, quando ciò gli serve a difendere le proprie prigioni

A nove mesi da quel 7 marzo, le carceri continuano a rimanere sovraffollate e nella metà degli istituti italiani si registrano veri e propri focolai del virus, la situazione sanitaria continua a essere drammatica e nel “decreto Ristori” di ottobre Bonafede replica le stesse misure farsa del “Cura Italia” di marzo: di nuovo, se già il numero delle persone detenute che potrebbero beneficiare di pene alternative è ristretto, nei fatti sono ancor di meno quelle che escono

Riprendono le proteste in diverse carceri, in particolare nelle forme delle battiture e dello sciopero della fame

Se in questo interminabile anno, si è cominciato a parlare di carcere e alcuni provvedimenti sulla situazione, seppur insufficienti, sono stati adottati, ciò è accaduto soltanto perché qualcuno a marzo si è rivoltato

Sarebbe troppo comodo e incredibilmente ipocrita non volerlo ammettere o fingere di dimenticarlo

Abbiamo sempre sostenuto convintamente che se anche 14 persone fossero morte per overdose, la responsabilità sarebbe comunque stata chiara: quella di uno Stato che ti abitua, in carcere, all’assunzione di una pillola quotidiana, che ti infligge quotidianamente la sua dose di disagio psichico e sofferenza e che ti rende, là dentro, tossicodipendente

Proprio come accadeva nel carcere di Modena dove peraltro, proprio nei giorni prima della rivolta e in coincidenza con il DPCM che disponeva la chiusura a doppia mandata delle carceri e dei colloqui con i familiari, era circolata la notizia dei primi detenuti positivi dentro al carcere, uno dei più sovraffollati d’Italia

Nonostante il terrore inferto dallo Stato per mettere tutti a tacere, alcuni prigionieri, con un atto estremo di coraggio, hanno deciso di rompere il muro di silenzio fatto calare su queste morti

Alle loro voci, che raccontano la verità su quanto accaduto l’8 marzo 2020 al Sant’ Anna, è stato dato pubblicamente spazio in piazza a Modena per la prima volta il 3 ottobre e il 7 novembre

“Quando è arrivato il corona c’era un uomo malato e non volevano farlo uscire e hanno vietato di farci vedere i famigliari

Dopo ciò è successa una rivoluzione e hanno bruciato il carcere e sono entrate le forze speciali e hanno iniziato a sparare

Sono morte 12 persone di cui 2 miei amici, sono morti davanti ai miei occhi

Sono ancora sotto shock

Io ero scappato fino al tetto del carcere così che non mi sparassero

Dopo ci hanno presi tutti e ci hanno messo in una camera e ci hanno tolto tutti i vestiti e hanno iniziato a picchiarci dandoci schiaffi e calci

Dopo ci hanno ridato i vestiti e ci hanno messo in fila e ci hanno picchiato ancora con il manganello

In quel momento ho capito che ci stavano per portare in un altro carcere

Da quante botte abbiamo preso che mi hanno mandato in un altro carcere senza scarpe

Poi quando siamo arrivati al carcere ci hanno picchiati ancora

Alla fine ho finito di scontare la mia pena

Io sono molto scioccato per i miei amici

Non sono riuscito a fare denuncia contro i carabinieri perché loro sono troppo forti

Altri occhi, altre voci hanno meglio precisato di chi fossero le braccia che hanno puntato le armi contro i detenuti, sparando e uccidendo: della polizia penitenziaria e delle centinaia di carabinieri in antisommossa, accorsi al Sant’Anna per sedare la rivolta

I media ufficiali, complici del silenzio venutosi a creare intorno a questa vicenda e della creazione di una verità costruita ad hoc per non far trapelare i fatti, mai hanno fatto menzione di questi non trascurabili dettagli nei giorni successivi alle rivolte

Eppure gli spari, anche dai video circolati, si sono sentiti in modo chiaro e distinto

Solo dopo diversi mesi, due giornaliste hanno pubblicato testimonianze anonime giunte da prigionieri testimoni del massacro modenese che parlavano di detenuti uccisi e non morti di overdose

La Procura ha aperto un fascicolo per “omicidio colposo”, chiamando le due giornaliste a testimoniare

È enorme la responsabilità che i media hanno avuto nella distorsione della verità di quanto accaduto in quei giorni

Quella che da tv e giornali è stata raccontata come una follia barbara scatenatasi nel penitenziario di Modena (e anche nelle altre carceri d’Italia dove ci sono state proteste e rivolte), ha in realtà origini ben precise

Chi era in quelle celle prima e durante la rivolta lo sa bene

I primi casi di detenuti positivi dentro al Sant’Anna, infatti, non sono stati nient’altro che la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso

Un vaso da tempo pieno di una sanità spesso assente all’interno degli istituti

I media hanno parlato di morti per overdose

Le voci di chi era presente testimoniano una razzia di farmaci in infermeria da parte di molti, ma fanno emergere anche l’indiscutibile responsabilità delle guardie che, noncuranti del palese stato di alterazione psicofisica di queste persone, hanno infierito sui loro corpi che giacevano inermi a terra, riempiendoli di manganellate in faccia e in testa

Probabilmente, senza questo barbaro regolamento di conti messo in atto da polizia penitenziaria e carabinieri in antisommossa, queste persone non sarebbero morte

Arrivato il momento della “resa”, decine di detenuti sono stati ammassati tra le due porte carraie del carcere, sono stati picchiati a sangue, lasciati in maglietta e senza scarpe

In queste condizioni sono stati caricati sui furgoni e trasferiti a decine verso altre carceri

Al loro arrivo nelle nuove destinazioni l’accoglienza è stata la medesima: squadre di penitenziaria con casco, scudo e manganello

In alcune “nuove destinazioni” questo trattamento brutale e vendicativo è proseguito per giorni dopo l’arrivo

In particolare c’è chi racconta di un carcere dove i nuovi giunti da Modena hanno preso botte e sono stati lasciati senza scarpe per oltre 10 giorni, denunciando poi il tutto ad un ben istituzionalizzato garante dei diritti dei detenuti

Costui, pur avendo visto con i suoi occhi le condizioni dei detenuti trasferiti, non ha detto nulla

Evidentemente questo è il suo ruolo

Salvatore Piscitelli è forse il nome che più è stato menzionato dai giornali negli scorsi mesi tra quelli dei detenuti uccisi durante e in seguito alla rivolta di Modena

Il suo corpo è stato cremato e le fonti ufficiali, poi riprese anche dal garante stesso, parlano di decesso avvenuto prima del suo ingresso nel carcere di Ascoli; altre sostengono che la morte sia avvenuta in ospedale, al cui ingresso Salvatore non avrebbe presentato lesioni compatibili con violenze o segni di intossicazioni

Ma chi era con lui racconta che, all’arrivo ad Ascoli, Salvatore stava talmente male che gli altri detenuti hanno dovuto fargli il letto mentre era accasciato a terra

La mattina dopo, i detenuti hanno sollecitato le guardie dalle 8

30 alle 10 per fare arrivare il medico che non è mai arrivato

Alle 10

30 i detenuti che erano con Salvatore hanno chiamato nuovamente le guardie, dicendo che era morto

Constatata la morte, gli agenti hanno spostato il suo compagno in un’altra cella, hanno messo il corpo di Salvatore in un lenzuolo e lo hanno portato via

Come si può credere che questi dettagli siano frutto di fantasia? Come si può non attribuire una responsabilità alle botte volutamente assestate dalle guardie su corpi inermi o alla voluta noncuranza nell’assistenza di coloro che mostravano già enorme sofferenza data dai pestaggi e dalle sostanze ingerite? Come si può liquidare tutto in “morti per overdose” anche laddove le autopsie hanno confermato questa versione? Per le inchieste delle Procure non hanno valore le testimonianze che raccontano verità in netto contrasto con quelle ufficiali, proprio in quanto anonime e forse anche proprio perché smentiscono del tutto le versioni emerse finora; ma per tutte/i noi ce l’hanno eccome

Comprendiamo bene le ragioni tutelanti di quegli anonimati e sappiamo a chi credere, sappiamo da quale parte stare

Spetta a noi dare eco a queste voci e supportare in ogni modo chiunque troverà il coraggio di farlo, pur nella consapevolezza che ciò che è a repentaglio è la sua propria vita

Nonostante sia stato il luogo di un massacro, una parte del carcere di Modena è ancora aperta e al suo interno sono ad oggi rinchiuse in regime a celle chiuse circa 200 persone nella sezione maschile, alcune delle quali da marzo stesso

Si hanno notizie di nuovi contagi al suo interno, ma ciononostante le risorse investite dal DAP sono state destinate alla ristrutturazione delle sezioni rese inagibili dalle rivolte, ai sistemi di videosorveglianza e alle nuove ingenti dotazioni di manganelli, scudi, caschi, giubbotti antiproiettile

Negli ultimi mesi, decine di solidali sono tornate in diverse occasioni sotto quelle mura, per portare ai detenuti solidarietà, vicinanza e condividere con loro quanto avvenuto nei giorni di marzo all’interno del penitenziario di Modena e di altre città

Siamo consapevoli che lo Stato possieda ogni strumento per provare ad intimidirci e ad occultare la verità

Tuttavia è fondamentale che essa emerga

Questa responsabilità spetta a chiunque abbia una coscienza, perchè ciò che è in gioco non è solo la restituzione di una verità storica, che già sarebbe molto; è in gioco la tutela della vita di ogni persona che, qualora rinchiusa dietro le sbarre, non tenga la testa chinata di fronte alle quotidiane angherie delle amministrazioni penitenziarie, alla violenza dei secondini, agli omicidi perpetrati da questi ultimi e dalle altre divise

Per questo motivo non possiamo tacere e ribadiamo, ancor più in occasione dell’anniversario della strage di Piazza Fontana, che stragista è lo Stato

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India – grandiosa manifestazione di massa per la liberazione dei prigionieri politici

E’ inutile dire che movimento che si occupa di carcere  e repressione in italia contina a ignorare quello che avviene in uno dei più grandi paesi del mondo

India farmer protest demand the freedom for political prisoners

 

తీవ్రమైన రైతుల ఉద్యమం ‍- రాజకీయ ఖైదీలను రిలీజ్ చేయాలని డిమాండ్

Repressione in Albania dopo l’assassinio poliziesco di un giovane durante il coprifuoco. Duri scontri a Tirana

Da radiondadurto

Serata di scontri a Tirana, capitale dell’, contro l’omicidio poliziesco di un 25enne, Klodian Rreshja, durante un controllo per il coprifuoco indetto dalle autorità in funzione antiCovid19. Nel tardo pomeriggio di ieri, mercoledì 9 dicembre migliaia di persone, soprattutto giovani, si sono radunate davanti ai palazzi del potere chiedendo le dimissioni del ministro dell’Interno Sander Lleshaj.

La polizia ha bloccato la folla che cercava di entrare dentro il palazzo del Governo, con lacrimogeni e manganelli. In risposta, dato alle fiamme e poi abbattuto il grande albero di Natale, allestito nel centro di Tirana. Tensioni anche davanti al Ministero dell’Interno, con la polizia che – a fatica – ha respinto i ripetuti assalti dei manifestanti. Diversi i fermi e le denunce.

Secondo la stampa albanese, il 25enne ucciso si trovava vicino a casa, per strada, quando la polizia gli ha intimato di fermarsi. Il giovane avrebbe tentato di fuggire, un agente lo ha inseguito, ha tirato fuori l’arma e sparato alla testa. L’agente, poi arrestato, ha spiegato di aver sparato poiché gli era sembrato di aver visto nelle mani del giovane un oggetto sospetto che assomigliava ad un’arma: cosa poi risultata essere non vera.

Con noi il giornalista Arber Agalliu, del portale albanianews.it. Ascolta o scarica