Dichiarazione di Georges Abdallah -24 ottobre 2020

Cari/e compagni/e, cari/e amici/amiche,

All’alba di questo 37° anno di detenzione, eccovi di nuovo riuniti a pochi metri da queste mura abominevoli! Che emozione e che entusiasmo sapervi così vicini, in questo periodo di pandemia, blocco e coprifuoco! Questa mobilitazione di solidarietà nella diversità del vostro impegno mi apporta oggi molta forza e mi riscalda il cuore. Anzi, lungi dal passare inosservata, questa presenza solidale qui non lascia nessuno indifferente; dietro queste mura, crea un’atmosfera molto speciale di risveglio, entusiasmo e umanità. L’eco dei vostri slogan va oltre questo filo spinato e altre torri di guardia, risuona nelle nostre teste e ci trasporta lontano da questi luoghi sinistri.

Compagni, dopo tanti anni di prigionia e altrettanti anni di mobilitazione solidale, eccoci ancora insieme, fortemente risoluti, con immancabile determinazione, di fronte a questo 37° anno che si preannuncia ricco di lotte e speranze.

Certamente voi Compagni non ignorate che è anche grazie a queste diverse iniziative di solidarietà che possiamo resistere in questi luoghi cupi. Anni, lunghissimi anni di prigionia, mi rafforzano nella convinzione che di fronte alla politica di annientamento cui sono soggette le avanguardie rivoluzionarie prigioniere, sia sempre tramite la mobilitazione di solidarietà sviluppata sul terreno della lotta anticapitalista/antimperialista che possiamo fornire il supporto più significativo ai nostri compagni imprigionati, rafforzando così la loro resistenza.

Compagni, in questi tempi di crisi è chiaro che i detentori del potere del capitale cercano con tutti i mezzi di distogliere l’attenzione delle masse popolari dai veri interrogativi posti dalla crisi generale che scuote i pilastri del sistema. In questo periodo di pandemia nulla deve farci dimenticare che stiamo conducendo la lotta contro il Covid 19nell’ambito del capitalismo, sotto il regno della borghesia, del valore e del profitto. Sappiamo tutti, Compagni, che questa battaglia non sospende la lotta di classe, loro cercano di coprirla con parole di circostanza ..

Occorre capire che chi critica la gestione di questa “crisi sanitaria”, senza combattere il dominio di classe che la ispira, ne complica la comprensione. Va detto che i propagandisti del sistema fanno sempre quanto occorre per deviare la rabbia delle masse popolari, soprattutto in tempi di crisi. I lavoratori, anche i meno politicizzati, sanno fino a che punto il sistema ospedaliero sia disposto a spendere oggi qui in Francia e forse anche molto più che altrove si attui il dominio della finanza sugli ospedali.

Compagni, come vedete, la crisi del sistema si è diffusa dappertutto molto prima della pandemia e peggiorerà ancora durante e dopo. Non occorre essere un esperto per vedere che stanno facendo di tutto per far sopportare alle masse popolari il peso di questa crisi, gettando nella miseria milioni di uomini e donne.

Da un Paese all’altro, le misure raccomandate al servizio del capitale sono quasi sempre identiche: far sostenere ai lavoratori i costi di mantenimento del loro moribondo sistema operativo. È chiaro, Compagni, che queste misure non fanno che amplificare la portata dei sinistri e accentuare ulteriormente la dinamica della crisi.

Compagni, per avanzare nella costruzione dell’alternativa rivoluzionaria appropriata, la convergenza delle lotte è più che essenziale. Il blocco storico dei lavoratori si costruisce e si struttura nella dinamica globale della lotta in tutte le suecomponenti. Solo insieme, ed esclusivamente insieme, i proletari e le varie componenti delle masse popolari di questo Paese possono arginare e impedire la crescente importanza di tutti i processi di fascistizzazione in corso. Incoraggiamo sempre più Compagni a attivarsi per i vari processi di convergenza delle lotte a livello locale oltre che regionale e ancor di più a livello internazionale.

Come potete vedere, Compagni, la borghesia araba in maggioranza ora mostra in modo impeccabile il suo allineamento nel campo nemico. Ciò non manca, da un lato, di influenzare la lotta delle masse popolari palestinesi e, dall’altro, di affermare il ruolo speciale svolto dalla causa palestinese come una delle principali leve della rivoluzione araba. La Resistenza Palestinese ha e dovrà affrontare il blocco reazionario arabo-sionista diretto dalle potenze imperialiste.

Ogni giorno la Palestina ci fornisce ogni insegnamento in termini di abnegazione e coraggio di eccezionale significato. Più che mai le masse popolari palestinesi, nonostante tutti i tradimenti della borghesia, assumono il ruolo di vero garante della difesa dei propri interessi. Di fronte all’occupazione e alla barbarie dell’occupante, la prima risposta legittima da esprimere sopra ogni altra cosa è la solidarietà, ogni solidarietà, verso coloro che con il loro sangue affrontano la milizia dell’occupazione.

Le condizioni detentive nelle carceri sioniste stanno peggiorando di giorno in giorno, e come sapete Compagni, per affrontarle, la solidarietà internazionale si rivela un’arma essenziale. Naturalmente le masse popolari palestinesi e le loro avanguardie rivoluzionarie possono sempre contare sulla vostra mobilitazione e la vostra attiva solidarietà.

Che fioriscano mille iniziative di solidarietà a favore della Palestina e della sua promettente Resistenza!

Che fioriscano mille iniziative di solidarietà a favore dei “Fiori” e dei “Leoncini” palestinesi!

Solidarietà, ogni solidarietà ai combattenti della resistenza nelle carceri sioniste e nelle celle d’isolamento in Marocco, Turchia, Grecia, Filippine e altrove nel mondo!

Solidarietà, ogni solidarietà verso i giovani proletari dei quartieri popolari!

Solidarietà, ogni solidarietà ai proletari in lotta!

Solidarietà, ogni solidarietà verso le masse popolari yemenite!

Onore ai martiri e alle masse popolari in lotta!

Abbasso l’imperialismo, i suoi cani da guardia sionisti e altri reazionari arabi!

Il capitalismo non è altro che barbarie, onore a tutti coloro che vi si oppongono nella diversità delle loro espressioni!

Insieme compagni e solo insieme vinceremo!

A tutti voi compagni e amici/amiche i miei saluti rivoluzionari

Il vostro compagno Georges Abdallah

Nota a pié di pagina

“Fiori e Leoncini palestinesi”: i/le giovani palestinesi

Libertà per 5000 detenuti? Una fake per coprire con la cenere la brace. Solo la lotta unita e solidale paga

Di seguito un articolo di Francesco Lo Piccolo Giornalista, direttore di “Voci di dentro”

Al di là dei proclami, nulla è stato fatto per le carceri

Impreparati allora, impreparati adesso, con prigioni che con la pandemia sono diventate delle isole tipo Alcatraz

Se poco o nulla è stato fatto per aumentare i posti letto negli ospedali e nelle terapie intensive o per assumere medici e infermieri falcidiati negli anni dalle politiche dei tagli e dalle logiche del profitto là dove il profitto non dovrebbe essere di casa, ancora meno è stato fatto nelle carceri: non sono bastate le rivolte, ancora meno sono bastati i tredici morti di marzo e i tre morti da Covid in primavera. Qualche tenda mobile davanti alle carceri, vetri divisori, colloqui Skype o Zoom e la farsa della liberazione di alcune migliaia di detenuti (subito attaccata e giudicata come liberazione dei boss mafiosi da tanti media, da pezzi di centro destra, dai consueti giustizialisti) sono tutto quello che è stato capace di partorire il nostro esecutivo.

Impreparati allora, impreparati adesso, con carceri diventate delle isole tipo Alcatraz (vietate persino le attività trattamentali) ecco che ci troviamo a contare il primo detenuto morto da Covid in questa seconda ondata (è successo nel carcere di Livorno dove la vittima è un ultraottantenne con patologie pregresse, affetto da ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale, calcolosi e varie cisti epatiche), i primi contagiati tra i detenuti (145, due dei quali in terapia intensiva) e tra il personale penitenziario (199).

Un’emergenza nell’emergenza che anche questa volta viene affrontata con i soliti proclami e le solite fake news: “5 mila detenuti con pene sotto i 18 mesi a casa ai domiciliari grazie ai braccialetti elettronici”. Peccato che i braccialetti elettronici non ci sono, peccato che per uscire dal carcere quei 5 mila non devono avere avuto rapporti disciplinari (e per avere un rapporto basta ad esempio contestare un agente) e non avere compiuto reati ostativi (4 bis). Proclami inutili e di facciata: c’è già la 199 (peraltro applicata dai magistrati di sorveglianza con tantissime difficoltà) che prevede che coloro i quali hanno da scontare una pena sotto i 18 mesi possano essere mandati ai domiciliari.

Insomma, proclami e fake news contraddetti dalla realtà. Basta l’esempio accaduto due giorni fa a Chieti, ma sono certo che un episodio analoga possa essere accaduto in qualunque altro istituto penitenziario: ore 11, un’auto dei carabinieri si ferma all’ingresso, viene fatta scendere una persona in manette, questa persona viene consegnata alla matricola per le procedure di rito (identificazione, impronte, foto, denudamento, perquisizione e invio in cella). E sapete chi era? Era un uomo con una condanna alla pena del carcere di 4 mesi. Vi sembra normale in questi tempi? Vi sembra logico non aver applicato una misura diversa dal carcere per un individuo che ha compiuto un reato punibile con 4 mesi? Eppure è scritto chiaro nella nostra Costituzione: le pene devono tendere alla rieducazione. Pene…non pena del carcere è scritto all’articolo 27, terzo comma.

Parlo ancora per conoscenza diretta: sempre due giorni fa in carcere a Chieti, in un veloce giro tra i detenuti che seguono il laboratorio di Voci di dentro e di In carta libera (qui l’ultimo numero della rivista https://ita.calameo.com/read/0003421545e99ba86a1a6 ) scopro che c’è un ragazzo che deve scontare ancora 5 mesi dopo aver fatto 4 anni, un altro deve fare ancora due mesi dopo essersi fatto un anno e 4 mesi e un terzo ha già fatto 5 anni e gli resta un anno e mezzo. Domani usciranno, ho pensato. La loro risposta: “Nessuno di noi potrà uscire, per una cosa o per un’altra, per una sintesi che non viene chiusa o perché manca la relazione della psicologa…o per altro, alla fine resteremo qui, dimenticati, soprattutto soli e con il concreto rischio di prenderci il virus, di contagiarci e contagiare gli altri”.

Mi sono andato a guardare le statistiche pubblicate sul sito del ministero della Giustizia. Ho scoperto così che nella stessa situazione che ho verificato e visto con i miei occhi si trovano migliaia di persone in tutti i 188 istituti del nostro Paese: al 30 giugno di quest’anno si trovano detenuti 18.856 persone che hanno da scontare ancora tre anni di carcere, di questi 6.883 hanno un residuo che è inferiore a un anno, 6.850 fra uno e due anni e 5.173 con una pena ancora da scontare tra i due e i tre anni.

Ecco, se davvero si volesse fare qualcosa, ridurre il sovraffollamento e fare spazio per aree detentive per i detenuti scoperti positivi, si potrebbe agire veramente con i fatti, senza delegare ai giudici scelte che sono prima di tutto scelte di chi fa le leggi, e mandare sul serio a casa, ai domiciliari, quelle 18.856 persone che hanno scontato gran parte della pena e poi i malati e gli anziani.

Facendo sul serio, cioè con una legge e non propagandando ai giornali le solite fake per paura, per incapacità di uscire dalla logica della punizione a tutti i costi, della logica della vendetta, detto in altri termini. Quella vendetta che ha fatto sì, ed è solo un esempio, che questa estate venisse incarcerato (ancora a Chieti) per il furto di una tronchese un uomo di 44 anni, con gravi problemi di salute, ulcere sanguinolente alle gambe per trombosi, invalido, costretto un giorno sì e un giorno no ad essere portato in ospedale per cure specifiche, addirittura tossicodipendente al punto che ogni giorno – come mi dicono i suoi compagni di cella – si prende 100 ml di metadone, 150 di rivotril, oltre ad altri farmaci al bisogno. Quella logica della vendetta che tiene in carcere in attesa di giudizio (innocenti fino a prova contraria) oltre il 30 per cento delle persone detenute. E poi una cinquantina di mamme con i loro figli sotto i tre anni.

E questo in una situazione di emergenza come quella attuale. Ignorando le paure dei detenuti e il loro diritto alla salute che non può essere da meno di quello delle persone libere. Disattendendo le preoccupazioni degli stessi agenti di polizia penitenziaria e dei direttori delle carceri.

Riporto qui una storia raccontata da Riccardo Radi nel suo filodiritto: “Nell’estate del 2003, un ragazzo tossicodipendente di 22 anni commette tre rapine armato di un taglierino. All’epoca dei fatti, vive per strada di espedienti e reati per procurarsi i soldi per la droga. Viene arrestato e dopo circa 5 mesi liberato in attesa di giudizio. Nel maggio del 2006, il Gup del tribunale di Roma lo rinvia a giudizio: la prima udienza è fissata per il 19 settembre 2066. Il processo, dopo numerose udienze e rinvii, si conclude con una sentenza il 7 luglio 2014: sono trascorsi 8 anni dall’inizio del processo e 11 anni dai fatti. Viene interposto appello, la Corte di appello di Roma pronuncia la sentenza il 16 febbraio 2018, condanna ad anni 5 di reclusione per una delle rapine ed assoluzione per le altre due in contestazione. La sentenza diviene definitiva nel febbraio del 2020, a distanza di 17 anni dalla data di commissione del reato. Il ragazzo di allora è oramai un uomo maturo e viene arrestato e condotto in carcere per scontare la sua pena. Quest’uomo oggi è un’altra persona, ha risolto i suoi problemi di tossicodipendenza, lavora come fornaio, è sposato con due figli minori e conduce una vita regolare. Per usare un lessico sociologico-giuridico, si è perfettamente “integrato nella comunità sociale”. Ma tutto ciò verrà vanificato e spazzato via, dal nostro sistema punitivo-afflittivo che prevede la pena quale unico strumento di risposta al reato”.

Proprio in questi giorni Laterza ha mandato in libreria “Vendetta pubblica. Il carcere in Italia” scritto a quattro mani dal presidente del tribunale di Sorveglianza di Firenze, Marcello Bortolato, e dal giornalista del Corriere della Sera, Edoardo Vigna. Ho assistito alla presentazione fatta on line a cura della Camera penale di Padova. L’incontro lo trovate qui https://fb.watch/1r7xvyX-JL/ . Consiglio il libro, anche per uscire dalla vecchia idea, specie oggi in tempo di Covid, che il carcere serva a qualcosa. Dice bene Mauro Palma, garante dei detenuti: “La pena perde la funzione preventiva perché non ha capacità di intimidire, giacché porzioni di tempo da trascorrere nella reclusione sono soltanto segmenti periodici di vite segnate dalla marginalità sociale; perde la funzione di utilità sociale perché non rappresenta una effettiva tendenza rieducativa, in quanto non ricorre a quegli strumenti di modulazione dell’esecuzione che gradualmente avviino verso un diverso ritorno alla realtà sociale esterna; perde la stessa fisionomia retributiva, da molti attualmente auspicata e strillata come unica risposta al reato, perché in realtà si limita a una funzione simbolica volta a ottenere consenso politico e non a determinare effettiva capacità di riannodare quei fili che la commissione del reato stesso ha reciso”.

Mentre l’epidemia da Covid avanza, mentre fuori si invita, anzi si obbliga alla distanza, in cella si continuano a tenere anche dieci detenuti in una stanza.

“Amnistia e indulto” è lo slogan che comincia a girare tra le carceri. Lo faccio mio.

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30 ottobre a Napoli per chiedere amnistia/indulto

Oggi, insieme a tantissimi e tantissime parenti/e siamo scesi in piazza per rivendicare il diritto alla salute di tutti/e. I detenuti e le detenute non possono essere trattati/e peggio degli anamali. È da criminali, dopo le numerose morti di marzo (per malasanità e repressione) continuare a lasciare 10 persone in cella in condizioni inumane già normalmente, figuriamoci in una situazione di pandemia. Abbiamo chiesto, per questo, amnistia e indulto per tutti i detenuti e le detenute. E lo continueremo a chiedere fino a che non otterremo questo risultato.
Il 3 novembre saremo nuovamente fuori al carcere alle 10.00!
Tutti e tutte liberi!

Covid e carcere, ancora un decesso e aumenta in maniera esponenziale il numero dei contagi fra i detenuti. Liberatel* e in fretta!

Un detenuto del carcere di Alessandria, 71 anni e con patologie pregresse, è stato stroncato dal coronavirus.

“Nelle ultime settimane c’è stato un netto aumento di casi di Coronavirus nelle carceri italiane. Gli ultimi dati forniti dall’Amministrazione Penitenziaria ci dicono che sono positivi al virus 232 poliziotti penitenziari e 215 detenuti, quasi tutti seguiti e gestiti internamente agli istituti. Ventotto, invece, sono i positivi tra i dipendenti civili, appartenenti cioè alle Funzioni centrali. Particolare preoccupazione è quella riferita al focolaio concentrato nel carcere di Larino, in provincia di Campobasso, con 19 detenuti ad Alta sicurezza positivi al Covid-19, tenuto conto che il personale di Polizia Penitenziaria lamenta una dotazione insufficienti di Dispostivi di protezione individuale”. E’ quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che aggiunge: “La promiscuità nelle celle può favorire la diffusione delle malattie, specie quelle infettive. E’ indispensabile monitorare costantemente la questione e predisporre ogni utile intervento a tutela dei poliziotti e degli altri operatori penitenziari”.

E in 41 bis? Lì dove la promiscuità non esiste? Lì dove i detenuti sono tenuti all’oscuro di tutto, e intombati vivi?

Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia, ebbe a dire, purtroppo non solo lui: “Non si comprende il timore virus per detenuti in 41bis”. E per gli agenti che ci lavorano?

A L’Aquila su 166 detenuti in 41 bis, delle cui condizioni non si sa nulla, ci sono 156 poliziotti penitenziari, di cui 8 positivi al virus più un’addetta mensa, anch’essa positiva, e si corre il rischio di un vero e proprio focolaio.

Lo comprende adesso il procuratore nazionale antimafia il rischio che anche i prigionieri in 41 possono contrarre il virus, visto che i loro potenziali untori sono proprio le guardie?

La curva epidemiologica è in continua e costante crescita in tutto il Paese, con ripercussioni su diversi carceri che, come le RSA, per la loro vulnerabilità logistica e di utenza, rischiano di diventare dei veri e propri focolai, ma “sotto stretto controllo” come a Terni, con 3 infermieri a turno per oltre 500 detenuti di cui almeno 68 positivi, Livorno, Larino e adesso Alessandria, con 26 detenuti positivi

Mentre la situazione contagi in carcere diventa sempre più allarmante, continua la criminale gestione delle carceri, come i nuovi ingressi e i trasferimenti.

Amnistia / indulto, una proposta di legge costituzionale per cambiare la procedura di approvazione

Da Avvenire

Un cartello di associazioni e parlamentari si schiera in favore della proposta di legge costituzionale. Due articoli per incidere sulla procedura di approvazione dei provvedimenti collettivi

Chiediamo a ogni deputato, di maggioranza e di opposizione, di aggiungere la propria firma a quella degli attuali promotori, per sostenere il cammino parlamentare di questa proposta di legge in vista di una sua approvazione entro l’attuale legislatura…». È l’accorato appello di Grazia Zuffa, ex parlamentare e presidente dell’onlus “La società della ragione”, in favore della proposta di legge costituzionale che punta a innovare gli articoli 72 e 79 della Carta «in materia di concessione di amnistia e indulto». Il testo, depositato alla Camera lo scorso 2 aprile col numero 2456, è firmato dai deputati Riccardo Magi (+Europa), Enza Bruno Bossio (Pd), Roberto Giachetti e Gennaro Migliore (Italia viva), e si compone di soli 2 articoli, in grado di incidere chirurgicamente sulla procedura di ap- provazione dei provvedimenti collettivi di clemenza: «La revisione costituzionale proposta non mira alla concessione di una legge di amnistia e indulto, ma a riscrivere le regole per la sua deliberazione», considera Zuffa, in un appello che verrà diffuso oggi e al quale aderiscono, fra gli altri, le associazioni “Nessuno tocchi Caino” e “Antigone”, ma anche le toghe di Magistratura democratica e l’Unione delle camere penali.

L’asticella del quorum. L’amnistia, com’è noto, costituisce una causa di estinzione del reato, mentre l’indulto è una causa di estinzione della pena. Con la prima, pertanto, lo Stato rinuncia ad applicare la pena, col secondo invece si limita a condonarla, in tutto o in parte, ma senza cancellare il reato. Entrambi sono provvedimenti generali con efficacia retroattiva (a differenza della grazia, che è individuale e viene concessa dal presidente della Repubblica), ossia non si applicano ai reati commessi dopo la presentazione del disegno di legge. Attualmente, dopo la riforma costituzionale del 1992 (che ha sottratto al capo dello Stato la concessione di amnistia e indulto, affidandolo in toto al Parlamento), per poterli disporre occorre una legge approvata dai due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Un quorum così alto da rendere arduo il ricorso ai due istituti, tanto che dal 1992 a oggi si conta un solo caso di applicazione dell’articolo 79 della Carta (a fronte di decine di provvedimenti di clemenza prima di quella data). «L’attuale maggioranza dei due terzi rende quegli strumenti inutilizzabili, trasformando l’articolo 79 della Costituzione in lettera morta – argomenta il deputato Magi, primo firmatario della pdl –. Noi proponiamo da un lato di delimitare espressamente l’ambito di operatività attraverso il riferimento alle “situazioni straordinarie” e alle “ragioni eccezionali” e dall’altro di conservare un quorum qualificato, comunque più alto di quello previsto per le leggi ordinarie, ma che sia la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, non i due terzi».

L’incubo Covid-19. Secondo Magi, «situazioni straordinarie e ragioni eccezionali potrebbero anche essere quelle legate al gravare, Continua a leggere

Testimonianza sui prigionieri uccisi a marzo nel carcere di Modena

Riceviamo e pubblichiamo una lettera giunta ad OLGa a metà ottobre, che racconta quanto accaduto nel carcere di Modena a marzo di quest’anno.

Sono entrato in galera perché la polizia è venuta a fare un controllo e mi ha trovato senza documenti, mi hanno mandato in prigione.

Da quando ero lì in carcere sono iniziati i problemi, una volta è successa una rissa io non centravo niente. Poi è venuta la polizia sono entrati e ci hanno picchiati e ci hanno rotto le ossa, poi ci hanno messo 3 giorni in isolamento senza portarci all’ospedale. Alla fine un ragazzo è stato portato in ospedale e dai dolori è svenuto. Quando lo ha visto il dottore lo ha fatto entrare urgentemente. Il dottore ha detto alla polizia che doveva rimanere in ospedale almeno 3-4 giorni ma la polizia non voleva. Il dottore aveva chiesto che servisse una persona dentro il carcere che lo aiutasse a muoversi per un mese, però la polizia non ha fatto niente di tutto quello che ha chiesto il dottore e gli ha dato un certificato. Ha fatto una denuncia alla polizia in ospedale e ha preso con lui il fascicolo, alla fine quella sera lo hanno preso e portato subito al carcere di Modena dove ero stato spostato anch’io, in una cella dove c’erano anche dei miei amici della mia città, sono rimasto lì finché è venuto il corona virus e quando è venuto il corona c’era un uomo malato del virus e non volevano farlo uscire e hanno vietato di farci vedere i famigliari. Dopo ciò è successa una rivoluzione e hanno bruciato il carcere e sono entrati le forze speciali e hanno iniziato a sparare sono morte 12 persone di cui 2 miei amici, sono morti davanti ai miei occhi sono ancora sotto shock. Io ero scappato fino al tetto del carcere così non mi sparassero dopo ci hanno presi tutti e ci hanno messo in una camera e ci hanno tolto tutti i vestiti e hanno iniziato a picchiarci dandoci schiaffi e calci. Dopo ci hanno ridato i vestiti e ci hanno messo in fila e ci hanno picchiato ancora con il manganello in quel momento ho capito che ci stavano per portare un altro carcere. Da quante botte abbiamo preso che mi hanno mandato in un altro carcere senza scarpe. Poi quando siamo arrivati al carcere ci hanno picchiato ancora. Alla fine ho finito di scontare la mia pena io sono molto scioccato per i miei amici non sono riuscito a fare denuncia contro i carabinieri perché loro sono troppo forti. E io non ho né soldi né documenti. Sono molto ancora scioccato non riesco più a dormire né a mangiare bene. In fondo sto ancora molto male, ma nonostante tutto mi piace l’Italia, grazie a voi che mi avete fatto parlare.

Primo caso di detenuto positivo al Covid morto nelle carceri piemontesi

«L’unico carcere in provincia di Cuneo toccato dal Covid è stato Saluzzo, nella prima ondata così come oggi, in cui si contano 3 contagiati. Ci sono 56 positivi al tampone nelle carceri del Piemonte in questo momento: divisi equamente tra detenuti, agenti, addetti del ministero. Sono a Torino, Alessandria e appunto a Saluzzo». Così Bruno Mellano, garante regionale dei detenuti.
In Piemonte ci sono 4300 reclusi, 3 mila poliziotti penitenziari e 500 amministrativi. Ad Alessandria nella casa circondariale «Don Soria» c’è un focolaio con 26 contagiati e venerdì si è verificato il caso di un detenuto morto e positivo al Covid: non era mai accaduto in Piemonte.
Ancora Mellano: «Anche per i garanti è difficile avere dati aggiornati sulla pandemia. Saluzzo è il carcere più affollato in provincia, con oltre 400 detenuti. Altri 280 sono a Cuneo, un centinaio a Fossano e 40 ad Alba, dove però non si registrano positività. Tamponi e verifiche si fanno, ma con difficoltà: a marzo e aprile l’Asl Cn1 è stata l’unica che ha fatto tamponi a tutti i detenuti e operatori delle tre carceri di sua competenza, cosa non avvenuta ad Alessandria. C’è da tenere conto che in una situazione di reclusione il panico arriva prima. E mancano stanze per isolare chi ha sintomi o arriva da fuori». In Italia ci sono 150 reclusi e 200 tra agenti e amministrativi positivi al Covid. Nella prima ondata c’erano stati 290 positivi in Piemonte: 79 a Torino, 25 a Saluzzo e 4 ad Alessandria.