L’antifascismo non si processa: solidarietà a Matteo… Operaio, Musicista militante

Quando la repressione mostra il suo vero obiettivo. Colpire pesantemente la classe operaia, che nella Eroica Resistenza Partigiana furono l’ossatura e protagonista principale della guerra di popolo che sconfisse il nazi/fascismo.

SIAMO TUTTI MATTEO. ORA E SEMPRE RESISTENZA

da La Bottega del Barbieri

… operaio e bassista della Banda POPolare dell’Emilia Rossa. Un appello

L’antifascismo non si processa. Solidarietà a Matteo, operaio e musicista.

Matteo Parlati, bassista della Banda POPolare dell’Emilia Rossa e operaio metalmeccanico alla Ferrari di Maranello, è stato condannato a 6 mesi di reclusione (con pena sospesa) e al pagamento di 3 mila euro come ammenda pecuniaria più le spese legali. La sua colpa è aver partecipato ad una manifestazione antifascista che il 28 ottobre 2011 si voleva opporre alla celebrazione della marcia su Roma indetta dall’organizzazione neofascista Fiamma Tricolore. Come troppo spesso accade, le istituzioni e la polizia anziché impedire l’ennesima apologia di fascismo si sono schierati a difesa dei fascisti ed hanno represso la manifestazione antifascista a colpi di manganello con cariche ripetute. Per buona pace di una retorica che vorrebbe la Costituzione essere nata dalla Resistenza al nazifascismo. In sede di processo, per colpevolizzare gli antifascisti, si è tentato di accusare Matteo di aver aggredito i celerini. L’accusa era talmente priva di fondamento che il tribunale è stato costretto a “limitarsi” a condannare Matteo, assieme ad altri 3 manifestanti, per “concorso morale”.

Ilreato di Matteo, secondo la “giustizia” italiana, è stato aver semplicemente partecipato ad una manifestazione antifascista. Dunque nella forma penale dell’istigazione penale a tutti gli effetti siamo di fronte ad un reato di opinione. Di più, con questa sentenza si sancisce per l’ennesima volta che colpevoli non sono gli squadristi, ma gli antifascisti che li contrastano. Quanto è lontana dai tribunali l’affermazione di Matteotti secondo cui il fascismo è un crimine e non un’opinione. Matteo è ora costretto, oltre ad avere la fedina penale sporca come se fosse un criminale, a pagare ben 3 mila euro più le proprie spese legali. Una cifra decisamente ingente per un operaio. Per questo chiediamo a tutte e tutti di sottoscrivere e contribuire in base alle proprie disponibilità a questa raccolta fondi per aiutare Matteo a pagare questa cifra. E’ un gesto di solidarietà militante ma è anche e soprattutto un modo per affermare e ribadire che l’antifascismo non si può e non si deve processare!

Modena City Ramblers

99 Posse

Zerocalcare

Daniele Sepe

Gang

Punkreas

Banda Bassotti

Radici nel cemento

Kento

Malasuerte

Tupamaros

Banda degli Ottoni a scoppio

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GENOVA 21 NOVEMBRE: MOMENTO SOLIDALE IN PIAZZA E DUE TESTI SULLA SORVEGLIANZA SPECIALE

il mese di novembre in corso, come molti sapranno, si presenta come ricco di sgraditi appuntamenti nei tribunali delle nostre città.

A Genova il 18 novembre si è svolta l’udienza per l’operazione Prometeo. Beppe, Natascia e Robert sono stati tutti rinviati a giudizio, nonostante le perizie e nonostante Robert sia stato già liberato. Sempre a Genova il giorno 24 si terrà un’udienza relativa al posizionamento di un ordigno nei pressi di una Posta della città di Genova nel 2016, fatto per il quale Beppe è l’unico accusato. Poste italiane in quel periodo subivano attacchi in tutta la penisola a causa della collaborazione nell’espulsione degli immigrati attraverso la compagnia Mistral Air oggi Poste Air Cargo.

Sempre il 24, a Torino presso l’Aula Bunker delle Vallette si terrà la sentenza in Appello per il processo Scripta Manent che vede imputati una ventina di compagni anarchici per i quali l’accusa chiede la condanna senza il riconoscimento di nessun tipo di attenuante.

A Genova mercoledì 25 si terrà l’udienza per la richiesta da parte della Procura di Sorveglianza Speciale nei confronti di una compagna anarchica. Il PM Manotti sostenuto dai Carabinieri del Ros e dalla Direzione Antimafia e Antiterrorismo (D.D.A.A) richiede l’applicazione di questo spregevole provvedimento per 5 anni con il pretesto dell’altissima pericolosità sociale della compagna in questione, basata di fatto (come tutte le volte che viene sostenuta la necessità della SS) sulle idee e sulle intenzioni.

In questo periodo in cui l’intensificazione del controllo viene agevolata dall’emergenza sanitaria e la repressione di qualunque forma di dissenso applicata senza tregua, compagne e compagni continuano ad essere processati e sottoposti ad infami misure coercitive in un’ottica di esclusione di tutti gli anarchici sempre più capillare.
Per far sentire la nostra vicinanza e la solidarietà a tutti i compagni sotto inchiesta in questo periodo diamo appuntamento per un momento in piazza.

Ci si vede:

SABATO 21 NOVEMBRE ALLE ORE 15 IN PIAZZA BANCHI (Caruggi, Genova)

In Allegato due testi riguardo alla Sorveglianza Speciale appena richiesta in città.

OGNUNO SCELGA DA CHE PARTE STARE

Ormai l’hanno capito anche le pietre che le attuali misure di contenimento della libertà imposte dai vari DPCM poco hanno a che fare con l’emergenza sanitaria in atto, mirano invece a svuotare le strade delle città da qualsiasi attività che non sia produttiva e funzionale al sistema, spianare qualunque dissenso, zittire le voci fuori dal coro dei privilegiati benpensanti, strozzare il conflitto sociale.

Non c’è bisogno di troppe analisi politiche, basta osservare semplicemente la realtà che si presenta brutalmente ai nostri occhi: al di là della retorica del “andrà tutto bene”, dello sforzo comune richiesto per il “bene di tutti”, con o senza pandemia, c’è un solo aspetto nel quale lo Stato si distingue per la sua solerzia, quello repressivo.

Si moltiplicano i divieti, sempre più assurdamente indipendenti da qualunque evidenza riguardo all’emergenza sanitaria, si moltiplicano a dismisura i numeri delle forze dell’ordine nelle strade, si moltiplica l’arroganza e la violenza con cui costoro pretendono di imporre le più restrittive limitazioni alla libertà individuale.

Nella nostra città si distingue ultimamente, tra gli altri, l’operato della Polizia Locale: il contagio virale da Covid ha operato in costoro una curiosa e mostruosa trasformazione, da impiegatucci pizzardoni compilamulte si sono trasformati in tracotanti sceriffi che spadroneggiano a destra e manca…

ma non è sicuramente un caso! Sono proprio loro l’espressione più diretta e genuina della spocchiosa ed inutile marmaglia di nuovi e vecchi politicanti che si è insediata al governo di questi territori.

In questo clima così disteso, alla fine di ottobre, vengo gentilmente omaggiata dalla Questura e dalla Procura della Repubblica di Genova di una richiesta di “sorveglianza speciale”, una tra le più pesanti fra le misure di prevenzione: nel mio caso prevederebbe il rientro notturno al domicilio, il divieto di uscire dal territorio comunale, il divieto di partecipare a manifestazioni pubbliche, il divieto di incontrare pregiudicati o persone sottoposte a misure preventive, il tutto per la durata di 5 anni, pena l’arresto in caso di violazione.

La data del giudizio viene fissata in uno stretto lasso di tempo.

La sorveglianza speciale viene applicata indipendentemente dal fatto di aver compiuto o no reati specifici ma sulla base di un profilo che le forze dell’ordine stilano a proposito del soggetto, che comprende un giudizio generico sulla sua condotta di vita da cui emergerebbe l’evidente (a loro dire!) pericolosità sociale della persona, tale da doverla sottoporre a misure di prevenzione, cioè prima del compimento di qualsiasi atto, cioè evidentemente un processo alle idee e alle intenzioni.

E questa richiesta, da cui scaturirebbe una misura di così rilevante limitazione della libertà individuale, non ha bisogno di essere supportata da prove, a cosa servono le prove! il giudice decide esclusivamente sulla base del profilo che le forze dell’ordine dipingono.

In questo caso la pericolosità sociale che mi viene ascritta, al di là delle tinte fosche che il pubblico ministero Manotti, polizia e Ros spandono a profusione, consiste nell’ideale che sostengo e che mi sostiene, l’anarchia; consiste nell’aver diffuso e promosso idee che coniugano il pensiero e l’azione nella rivendicazione della libertà di autodeterminazione dell’individuo e nell’urgenza di abbattere questo sistema politico ed economico profondamente ingiusto e le discriminazioni che produce; nell’aver praticato solidarietà e sostegno nei confronti degli anarchici imprigionati dallo stato.

Non stupisce il fatto di essere oggetto di questa richiesta di restrizione, è sempre stata manifesta la mia posizione sul campo del conflitto sociale, sempre dal lato opposto a quella dei cani da guardia dello stato.

Ed è evidente la sua funzione, far fuori chi dia voce al dissenso, evitare pericolose contaminazioni.

Non è certo la prima volta che qualcuno viene sottoposto a questo genere di misura o rischia di esserlo.

Io, nel caso, come molte altre compagne e compagni hanno fatto prima di me, affronterò al meglio delle mie intenzioni le conseguenze delle idee in cui mi riconosco.

Riflettendo su tutto questo mi sorge, malgrado tutto, un pensiero…stupendo, una sfida contro il condizionamento del giogo quotidiano che di questi tempi è ancora più pesante: che nelle strade, nelle piazze, sui sentieri si riversino in sempre più, insieme o da soli, nell’ombra o in piena luce, a violare senza compromessi le regole e i divieti di questo surrogato di vita che lo stato vorrebbe imporre, con il cuore e l’intenzione fissi sull’orizzonte da raggiungere, la libertà.

Una che non si ravvede

SS A ZENA


Lettera di Francesca dal carcere di Latina sulla situazione Covid19.

22 ottobre 2020

Mentre bevevamo il caffè dopo pranzo, nella cella dove faccio socialità, sentiamo dai passeggi delle voci maschili, il che è molto strano. Ci affacciamo dunque alla finestra e vediamo diverse persone, tra alcune prigioniere del piano di sotto, infermierx, guardie, comandante, medico e direttrice. Dev’essere successo qualcosa, non l’avevo mai vista da quando sono qui! Sentiamo discorsi un pò

sconnessi, concitati, una delle detenute piange e urla, ma non capiamo bene, sentiamo parole come “tampone”. Ecco, ci siamo, pensiamo e ci diciamo. É arrivato: il virus è tra noi. Dopo qualche minuto, sale uno con qualche grado, ci fanno uscire tutte dalla cella (con la mascherina!) e ci fanno

stare in corridoio: davanti a noi compaiono l’ispettrice, la direttrice e qualche sgherro. Ci dice in due parole che qualcuna di noi è stata in contatto con uno della scorta che ha avuto la risposta del tampone positivo, e quindi la metteranno in quarantena, e così alla sua concellina. Chiediamo chi sono, e ce lo dice. Proviamo a dire qualche parola, niente, arrivederci e grazie.

Quindi la storia è che questa donna è andata all’ospedale per una visita, e quello della scorta era asintomatico e la risposta del tampone di due giorni fa è arrivata oggi. Queste sono le news

sull’argomento della giornata.

Un giorno, un paio di settimane fa, ci chiamano a tutte e ci fanno il tampone. Lo faccio anche io. Prima chiedo di parlare con “qualcunx che conti qualcosa”, pongo le mie domande, sulle incoerenze della quarantena tra le nuove giunte (che avevano detto che per covid non sarebbero arrivate e dopo di me saranno venute almeno 15), sulla mancanza di informazioni che abbiamo, perché non viene nessunx a dirci niente, lx infermierx e le guardie ci danno informazioni diverse, ecc. fiato sprecato, come prevedibile.

Non ci hanno mai dato i risultati. Dopo dieci giorni, chiamano tre di noi per rifare il tampone: panico! Anche qui, informazioni discordanti sul perché. Alla fine viene l’ispettrice, ci racconta una storia, e poi si finisce a parlare d’altro. Io vado dal medico, mi fa vedere il mio risultato, mi dice che i tamponi delle tre in questione erano contaminati e quindi li hanno rifatti. Nel frattempo, si era scritto alla direttrice per porle alcune questioni, tra cui il fatto che abbiamo bisogno di informazioni sui rischi che corriamo per tutelare la nostra salute.

Ho cercato di fare un breve quadro generale, per far emergere uno dei dispositivi che sappiamo essere necessari al potere – in un caso come il covid, s’è visto anche fuori dal carcere, è notevole – : il controllo dell’informazione. Non potendo tenerci tutto nascosto, confondono. Noi vediamo il TG, e sappiamo cosa ci dicono per lettera o al telefono, abbiamo ovviamente una versione parziale e allarmistica.

C’è da qualche settimana una tensione palpabilissima, preoccupazione per sé, per lx proprx carx fuori, per figlx che hanno la propria madre in galera e non hanno i suoi consigli – e manco del padre, perché quasi tutte le donne che sono qui hanno marito, compagno, padre e a volte sorelle, madri, figlx grandx anche loro in carcere. Come potete immaginare, moltx delle figure che vengono qui, comprese le guardie, non sempre hanno la mascherina. E molte delle prigioniere hanno

condizioni di salute non buone, soprattutto quelle che sono qui da anni, problemi ai polmoni, al cuore per citare i più relativi al covid. L’altro lato della medaglia sono le comunicazioni con l’esterno. Noi al momento abbiamo quattro colloqui in videochiamata al mese di venti minuti l’uno dei quali due possono essere sostituiti da due colloqui visivi di un’ora l’uno, con vetro e citofono, e due chiamate al mese di dieci minuti l’una (chi ha figlx minorx ne ha di straordinarie). Prima

del covid erano quattro colloqui di un’ora al mese. Il Dap ha dato disposizioni di aumentare le comunicazioni con il fuori per l’emergenza sanitaria, ricordiamo le rivolte di marzo in molte prigioni, ma qui ce le hanno diminuite. Qui sostengono che il ministero ha dato loro tot. giga per maschile e femminile, e quindi solo quelli possiamo avere. Se così fosse, tutte queste nuove che sono arrivate, con che giga fanno la video? Se non c’era il personale (cosa che ci viene detta) come si facevano a fare le ore di colloquio in presenza prima? E perché vengono altre detenute se

non ci sono le strutture e le guardie? Non si sa. Si è in una situazione di stallo.

Voglio dire qualche parola su queste videochiamate. Prima del covid in carcere non esistevano. Ora invece si fanno pure tra carcere e carcere e qualcuna delle donne che sono qui è riuscita a “vedere” per la prima volta dopo diversi anni figlx, mariti, familiari rinchiusx in altre prigioni, così come familiari che per ragioni di salute non potevano spostarsi per i colloqui. Molte anche dopo che hanno riaperto i colloqui visivi, dopo mesi che erano chiusi, hanno preferito non far venire lx loro

carx, soprattutto lx bambinx perché è traumatico per loro vedere la mamma nell’acquario. Si è inaugurata così una nuova fase, come è successo in altri ambiti della società, dove alla presenza è sostituita la comunicazione tecnologica. In carcere è ovviamente molto più [incomprensibile], visto che è l’unico momento di scambio quello del colloquio, ciò che aspetti tutta la settimana con ansia ed impazienza.

Presidio a San Vittore e iniziativa sulla latitanza-Milano/sabato 21

ORE 11 PRESIDIO AL CARCERE DI SAN VITTORE A MILANO

Per portare solidarietà a tutte e tutti i reclusi e a coloro che sei mesi fa si sono coraggiosamente rivoltati e ora sono accusati di reati gravi come devastazione e saccheggio.
Per far sentire la nostra vicinanza a chi si è visto negare nuovamente i colloqui a causa del Covid, ma è costretto a stare a stretto contatto con le guardie, principale vettore del virus all’interno delle strutture, in una situazione di forte affollamento.

ORE 16 DISCUSSIONE SULLA LATITANZA, ALLA CASA OCCUPATA IGLESIAS, in via Iglesias 29 .

In solidarietà con chi ha scelto la strada della latitanza per sfuggire alla repressione e per far sì che questa possibilità non venga accantonata.
Proviamo a parlarne per quanto è possibile.
Gli interventi scritti di chi non può essere presente e la partecipazione di chi ha fatto in passato questa esperienza, forniranno la base per discutere.
Tante sono anche le persone senza “il giusto” documento, come gli immigrati, che devono ogni giorno eludere i sistemi di controllo e sorveglianza.
Partendo da queste esperienze, e con l’aiuto di compagni medici ed infermieri, proveremo anche ad introdurre la possibilità di una latitanza dal controllo sanitario.

In apertura dell’incontro presentazione del libro “In Incognito”, con i curatori della CASSA ANTIREPRESSIONE DELLE ALPI OCCIDENTALI.

DUE SETTIMANE DI MOBILITAZIONE PER GLI ANARCHICI E LE ANARCHICHE SOTTO PROCESSO E PER LA LIBERTÀ DI TUTTE E TUTTI I PRIGIONIERI NELLE CARCERI.
Nei mesi autunnali saranno diversi i processi che coinvolgeranno centinaia di anarchici e anarchiche.
In queste inchieste PM e giudici vogliono processare l’ideale anarchico. Ridurre le differenti tensioni e pratiche in farraginosi schemi giuridici – come l’odiosa e patetica divisione tra un anarchismo “buono” e uno “cattivo” – ha lo scopo di reprimere con decenni di carcere chi lotta.
In un periodo storico in cui le condizioni di vita imposte sono sempre più dure è fondamentale lottare. Rispondere alla violenza dello Stato, al regime di oppressione che vorrebbe imporre e al tentativo di attaccare chiunque esprima solidarietà a chi ha già scelto da che parte stare.
Porteremo alle nostre compagne e ai nostri compagni vicinanza e complicità ma non solo nelle aule di tribunale: lanciamo due settimane di mobilitazione dal 9 al 24 novembre, un’occasione per creare momenti di solidarietà attiva nelle piazze, nelle strade e ovunque si voglia esprimere.
AL FIANCO DI TUTTE LE ANARCHICHE E GLI ANARCHICI SOTTO PROCESSO
CONTRO IL CARCERE E PER LA LIBERAZIONE DI TUTTI/E I/LE PRIGIONIERI/E
TUTTE E TUTTI LIBERI

20/11 Trento – PORTIAMO IN STRADA LA VOCE DEI DETENUTI

I DETENUTI DEL CARCERE DI SPINI DI GARDOLO VOGLIONO FAR SAPERE ALL’ESTERNO QUESTE NOTIZIE
Venerdì 13 novembre un detenuto ha dato fuoco alla propria cella e si è dato fuoco. E’ stato portato via in ambulanza. Il gesto è motivato dal rifiuto, da parte delle guardie, di dargli gli effetti personali portati dalla moglie.
La posta è bloccata in entrata e in uscita.
I pacchi non entrano.
La direzione non da informazioni sui contagi (i detenuti parlavano di 6 o 7 positivi, alcuni parenti invece di oltre una sessantina).
I positivi vengono sbattuti nelle celle di isolamento punitivo o trasferiti in altre carceri.
Da settimane i colloqui con i famigliari sono completamente sospesi.
Solo dopo due settimane da quando si è saputo dei primi contagi sono stati fatti i tamponi ai lavoranti, che nel frattempo hanno dovuto continuare a girare per tutte le sezioni.
Per due settimane i medici non si sono visti e solo dopo una settimana di battiture si è ripresentato il personale sanitario.
I detenuti con patologie che necessiterebbero di trattamenti specifici non vengono seguiti in alcun modo, mentre vengono abbondantemente distribuiti psicofarmaci per mantenere deboli e sedati i detenuti.
I magistrati di sorveglianza (responsabili, con i loro rifiuti, di tre suicidi negli anni passati) continuano a non concedere misure alternative a chi ha i requisiti per accedervi.
Giudici e magistrati trattano i detenuti con intrinseco razzismo: a parità di situazione, se sei bianco e hai un cognome italiano hai più probabilità di uscire o accedere a misure alternative.

 
VENERDI’ 20 NOVEMBRE ALLE 17.00 IN PIAZZA D’AROGNO (TRENTO)
PORTIAMO IN STRADA LA VOCE DEI DETENUTI
Per rompere l’isolamento, voci e immagini dal carcere di Spini di Gardolo.
9 – 24 novembre mobilitazione contro il carcere, per la libertà di tutti i prigionieri, in solidarietà con chi lotta dentro e fuori le galere