Svizzera – Andi liberata! massimo sostegno

Lundi 10 octobre dernier, l’audience d’appel dans le procès contre Andi, secrétaire du Secours Rouge International, à propos de l’attaque du consulat turc de Zurich en 2017, a eu lieu au Tribunal pénal fédéral de Bellinzone. Le verdict vient de tomber: après avoir été condamnée à 14 mois (sans sursis ni possibilité d’aménagement de peine) en première instance en novembre 2021, elle a été acquittée. En première instance le Tribunal pénal fédéral avait prononcé une condamnation sans preuve, ouvertement politique, basé uniquement sur l’histoire politique, l’identité d’Andi et de son organisation (Revolutionarer Aufbau), son influence sur la jeunesse radicale etc. Une large campagne politique avait remplie de plusieurs événements et actions de solidarité dirigée contre le fascisme turc et ses complices avait eu lieu à cette occasion

Torino – Gli Extinction Rebellion tornano a manifestare: con lo scotch sulla bocca per dire no ai fogli di via

 

La protesta di fronte al Palazzo della Regione in piazza Castello in solidarietà con gli altri attivisti che erano stati denunciati

A due mesi di distanza, Extinction Rebellion torna in piazza con un presidio “silenzioso”, in solidarietà con le persone del movimento colpite da numerose denunce e fogli di via.

Protesta contro denunce e fogli di via

Siamo tornati simbolicamente sotto il Palazzo della Regione Piemonte, lì dove – il 25 luglio – due attiviste si sono arrampicate sul balcone dell’ufficio del presidente Cirio, per appendere uno striscione con scritto “Benvenuti nella crisi climatica. Siccità è solo l’inizio”. L’obiettivo quel giorno era denunciare, ancora una volta, la responsabilità e l’inazione della Regione Piemonte davanti alla siccità devastante di quest’estate“, hanno detto i manifestanti in una nota.

Durante il presidio, alcuni attivisti con la bocca chiusa da un pezzo di scotch nero, si sono posizionati al centro della piazza con un cartello sulla schiena riportante il nome di una delle persone colpite dalle denunce e/o  fogli di via, delle quali sono stati letti discorsi e testimonianze.

una petizione piattaforma dei detenuti – info

Riceviamo e pubblichiamo volentieri questa petizione dei detenuti al Ministro Cartabia. L’appello raccoglie i bisogni dei detenuti di fronte al sovraffollamento, alla mancanza di affettività e all’utilizzo di strumenti detentivi inutilmente crudeli che negli ultimi anni sono stati ampiamente applicati nel diritto penale e penitenziario.

Petizione dei detenuti al Ministro Cartabia

Al Ministro della Giustizia

Dott.ssa Marta Cartabia

OGGETTO: petizione ad opera dei detenuti firmatari della C.C.-C.R. di richiesta di interpellanza parlamentare volta a vagliare le seguenti richieste:

A) Abolizione ergastolo ostativo;

B) Abolizione e/o eventuale riforma art. 41bis;

C) Abolizione recidiva specifica infra-quinquennale ex art.99 – Legge Cirielli;

D) Inserimento, ampliamento corsi professionali interni;

E) Ripristino gg.75 di liberazione anticipata per tutte le fasce, 4 bis compreso;

F) Concessione permanente n.10 telefonate mensili;

G) Elezione di un detenuto ad opera di altri detenuti che vada a ricoprire il ruolo di “garante interno”;

H) Pieno reinserimento del detenuto in ambito lavorativo e sociale dopo l’espiazione della pena;

I) Introduzione colloquio intimo con il proprio coniuge.

Ecc.mo Ministro, siamo tutti coscienti della crisi che ha esacerbato il nostro paese negli ultimi anni. L’Italia si trova ad affrontare un periodo storico di cambiamento, una rivoluzione interiore che ha cambiato le dinamiche quotidiane. Lei come altri è stata chiamata a far parte di questo percorso di cambiamento, fautrice di una giustizia più celere e garantista si è adoperata affinché ciò avvenisse. Credendo in questo momento La invitiamo ad un confronto aperto su tematiche a noi care. Convinti che si possa andare verso una riforma nuova, che tuteli l’individuo, Le chiediamo di portare la nostra petizione in Parlamento, facendovi portavoce di richieste di giustizia ed umanità.

CAPO A) ABOLIZIONE ERGASTOLO OSTATIVO

La legge del 26 luglio 1975 n.354 sull’Ordinamento Penitenziario pone come elemento fondamentale l’obiettivo di rendere esecutivo il principio rieducativo della pena. Tale principio perde la sua funzione davanti a quella che di fatto è una pena perpetua. L’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario esclude dai benefici alcune categorie di reato:

  1. Reati di particolare pericolosità
  2. Reati commessi all’interno di Organizzazioni Criminali o Terroristiche
  3. Che presuppongono il rifiuto del condannato a collaborare con la giustizia. Tale esclusione “osta” alla concessione delle misure alternative, rendendo di fatto inammissibile ogni richiesta del detenuto, a meno che il detenuto non chieda l’applicazione dell’art.58 ter O.P. Al di là di quelle che sono le norme giuridiche è nostro intento mettere in risalto l’aspetto civico. A fine ‘800 in Italia venne abolita la pena “capitale”, succesivamente ripristinata nel 1926, nel 1944 fu nuovamente abolita a seguito di un “referendum popolare”. Nel nostro paese, sino al 2018 ultimi dati da noi raccolti, si contavano 1700 detenuti condannati a vita o condannati a morte, il che non è solo anticostituzionale, ma è l’antitesi stessa del principio della pena. Oggi non vogliamo porre l’accento sul reato in sé, che porta a una condanna all’ergastolo ostativo. Siamo consapevoli che chi commette degli errori dovrà assumersene la responsabilità dinanzi alla legge. Quello che chiediamo non è l’impunità, ma la speranza nell’individuo e nel cambiamento. Condannare un essere umano ad una lenta ed inesorabile pena di morte, dare per scontato che per alcune persone non vi sia spazio per un recupero, per un “vero” reinserimento, anche quando non vi sia nulla da offrire o da barattare, significa il fallimento stesso della società in cui viviamo. Tra gli esseri viventi siamo l’unica specie in grado di rinchiudere i propri simili […] “L’assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante”, F. Dostoevskij. Nessun cittadino si vorrebbe macchiare di questo delitto, ma in molti chiedono allo Stato di perpetrarlo. Una giustizia sana non può punire chi ha ucciso con l’uccisione, in una logica più di vendetta che di giustizia. Avallare un delitto ci rende tacitamente partecipi del delitto stesso.

Pertanto chiediamo l’abolizione dell’ergastolo ostativo adeguandoci a molti Paesi dell’Unione Europea.

CAPO B) ABOLIZIONE E/O RIFORMA ART. 41 BIS

Legge 10/10/1986 n.633, la riforma Gozzini introduce l’art. 41 bis O.P. Tale articolo venne inzialmente studiato per i detenuti con reati di terrorismo e coloro che organizzavano rivolte carcerarie, sino al 1992, anno in cui venne esteso ai detenuti indagati o condannati per reati di criminalità organizzata, quindi per reati esterni al contesto carcerario. Ciò che era nato come un isolamento totale, sospendendo il trattamento al fine di annichilire i più facinorosi e rivoltosi, diventa di fatto uno strumento dello Stato per abbattere la criminalità organizzata puntando ad una vera e propria destrutturazione della mente umana. Più volte la Corte Europea dei Diritti Umani ha riscontrato le violazioni della norma che vieta trattamenti inumani e degradanti nella misura in cui il regime di 41 bis veniva applicato. Più volte tale regime è stato considerato alle soglie della tortura. Chi ne è sottoposto vive costrizioni e restrizioni perenni. La restrizione della corrispondenza dà agli agenti ampia discrezionalità nella valutazione dei contenuti, ossia nel decidere quale frase o parola può apparire “pericolosa”. Restrizioni sulle telefonate, si fa presente a codesto Ecc.mo Parlamento, che i famigliari dei detenuti reclusi al regime del 41 bis, devono recarsi nel carcere più vicino alla propria abitazione per effettuare la telefonata con il proprio famigliare qualora venisse accettata. Ciò crea una limitazione non da poco per i detenuti con le famiglie residenti all’estero. Poiché anche le telefonate ricevute dal detenuto sono ascoltate e registrate dall’Amministrazione il bisogno di far recare il famigliare in un istituto non sussiste. Restrizioni dei colloqui. I colloqui visivi per i detenuti al 41 bis sono nella misura di uno o due colloqui mensili, a seconda delle disposizioni. Vorremmo portare all’attenzione di questo Parlamento che i detenuti sottoposti al regime di 41 bis sono sottoposti ad una completa separazione dai famigliari, a mezzo vetro alto sino al soffitto o gabbiotto isolato, i contatti fisici sono assolutamente vietati, il controllo audio-visivo è costante e gli standard di sicurezza sono altissimi. A questo punto ci chiediamo a cosa serve la restrizione del numero dei colloqui se non ad incidere sui già flebili rapporti famigliari, dove si colloca la rieducazione? Decurtare i colloqui consiste più in una punizione che in un contesto di recupero sociale. Anche il non potersi cucinare un semplice piatto di pasta, le limitazioni del vestiario fini a se stesse, le limitazioni dei canali televisivi assumono una veste prettamente punitiva. Pertanto sembra doveroso chiedere l’abolizione di tale regime o la sua riforma. Chiediamo che vengano fissati dei canoni per la valutazione della corrispondenza. Che venga ampliato il numero delle telefonate e dei colloqui mensili, la concessione del fornellino in cella come previsto anche per i detenuti in regime di A.S. e la concessione di un maggior numero di ore destinate ai passeggi, migliorando di fatto le condizioni di vita del condannato.

CAPO C) ABOLIZIONE DELLA RECIDIVA SPECIFICA INFRA-QUINQUENNALE EX ART.49

Altra causa del sovraffollamento è da sempre l’applicazione della legge ex Cirielli, ex art.99. Entrata in vigore nel 2005 collocava il soggetto all’interno di un gruppo identitario tracciando vari tipi d’autore: “il terrorista, l’affiliato, il recidivo, ecc.”, aumentando di fatto la pena del condannato da un terzo fino a due terzi e portando l’accesso ai benefici di legge sino a tre quarti della pena per i recidivi già reduci di tale applicazione. Tale norma non si limita a valutare una singola incriminazione condannandone il “reo”, ma si estende al contesto e allo storico del detenuto, valutando non il reato in sé ma tutta la sua backstory in un’ottica di diritto d’autore. Questo approccio oscura le garanzie del diritto penale diventando l’antitesi del garantismo, valutando la persona non per ciò che ha commesso, ma per chi è stato. La legge Cirielli ha di fatto contribuito in maniera perspicua al sovraffollamento carcerario raggiungendo livelli catastrofici. Pertanto ne chiediamo la revoca in virtù di una massima forma di garantismo.

CAPO D) AMPLIAMENTO CORSI PROFESSIONALI ALL’INTERNO DEGLI ISTITUTI DI PENA

Non possiamo non portare come problematica concreta la carenza di corsi con qualifiche professionali all’interno degli stituti di pena italiani. Sebbene nell’ultimo ventennio tali corsi siano aumentati, ad oggi il sistema presenta ancora grandi lacune nell’offrire gli strumenti necessari affinché il detenuto possa intraprendere un proficuo percorso di reinserimento. Spesso si parla di principio rieducativo della pena come punto cardine per abbattere la recidiva. Noi crediamo che sia doveroso aiutare il detenuto a costruirsi una seconda opportunità. In Italia sono pochi gli istituti di pena che offrono un lavoro e una crescita professionale durante il percorso detentivo. Un detenuto che si trova a scontare una condanna, lunga o breve che sia, se lasciato a se stesso e non motivato avrà un’alta probabilità di tornare a fare esattamente quello che faceva prima del suo ingresso. Offrire un percorso professionale interno e seguire il detenuto durante le fasi del reinserimento, offrirgli una collocazione lavorativa, di fatto può incidere sulla recidiva abbassandone il tasso. In consulto chiediamo un aumento dei corsi professionali interni agli Istituti; un aumento delle collocazioni lavorative interne ove sia possibile con un ingresso di un’azienda; seguire il detenuto in un percorso lavorativo che lo conduca dall’interno all’esterno.

CAPO E) RIPRISTINO GG.75 DI LIBERAZIONE ANTICIPATA PER TUTTE LE FASCE

Tutti siamo consapevoli di come il sovraffollamento carcerario sia stato una tematica ricorrente nell’ultimo ventennio. Più volte sono state adottate misure emergenziali per fronteggiare il problema. Più volte siamo stati invitati dalla Corte Europea a fornire soluzioni efficaci affinché tale problema venisse risolto. In Italia l’articolo 54 C.P. prevede che il detenuto che serbi un buon comportamento possa accedere al beneficio della liberazione anticipata nella misura di giorni 45 per ogni semestre maturato. In realtà non è propriamente esatto. Per maturare il semestre il detenuto deve aspettare il compimento dei sei mesi prima di inoltrare la richiesta, tale richiesta verrà correlata di relazione comportamentale e inoltrata al magistrato competente per la valutazione. Così facendo l’ultimo semestre viene quasi sempre perso in automatico. Portiamo un esempio a sostegno della nostra tesi: il detenuto che si trova a scontare un anno di condanna potrà chiedere, allo scadere del primo semestre, giorni 45 di liberazione anticipata, dovrà in seguito attendere lo scadere dei successivi sei mesi per richiedere il nuovo semestre che di fatto “perderà” perché giunto a fine pena. Così strutturato, il beneficio consentirà a chi deve scontare un anno di carcere di accedere ad un solo semestre nonostante egli abbia serbato un buon comportamento. Ripristinare i 75 giorni di liberazione anticipata garantirebbe a chi sta scontando la pena di recuperare quasi del tutto l’ultimo semestre. Questo beneficio e introdotto all’interno dell’Ordinamento Penitenziario avrebbe una funzione complementare, andando ad incidere sul sovraffollamento da sempre presente nelle carceri. Ciò troverà la sua efficacia solo se il beneficio verrà esteso a tutte le fasce.

CAPO F) CONCESSIONE PERMANENTE DI 10 TELEFONATE MENSILI

Durante la prima fase emergenziale dovuta al Covid-19 che ha portato le direzioni delle carceri ad applicare delle restrizioni in termini di colloqui visivi, restrizioni ancora in vigore, il Dipartimento ha ampliato il numero di video colloqui e telefonate al fine di garantire una maggiore comunicazione con i propri famigliari. Fermo restando che ci auspichiamo di tornare alacremente alla normalità, ripristinando i colloqui in presenza chiediamo: che le dieci telefonate mensili, già in vigore dall’inzio della pandemia, diventino effettive, inserendole a pieno titolo nell’Ordinamento Penitenziario migliorando di fatto la comunicazione detenuto-famiglia.

CAPO G) ELEZIONE DI UN DETENUTO AD OPERA DI ALTRI DETENUTI CHE VADA A RICOPRIRE IL RUOLO DI GARANTE INTERNO

Da molti anni a questa parte lo Stato ha inserito a tutela del detenuto la figura del “garante delle persone  sottoposte a limitazioni della libertà personale”. Ad ogni istituto fa capo un Garante, i vari Garanti in ordine piramidale fanno capo al Garante Regionale, il quale fa capo al Garante Nazionale. Ci duole dire che, da informazioni ricevute dai vari compagni collocati in vari istituti tale figura è a volte latente. Non sempre la figura del garante riesce ad imporre la propria presenza, inoltre non vivendo personalmente la realtà quotidiana interna all’istituto, la sua prospettiva e il criterio di valutazione sarà generato tramite le informazioni ricevute, sia da parte dei detenuti che del Corpo della Penitenziaria. Al fine di fornire una maggiore forma di tutela del detenuto, la nostra proposta è quella di inserire la figura complementare del Garante Interno in supporto a quella già esistente. Ossia, un detenuto eletto dai detenuti stessi dell’Istituto in totale democrazia. Tale detenuto dovrà sicuramente avere dei requisiti, dalla conoscenza dell’ordinamento al fine pena on imminente, al fine di garantirne la presenza. Dovrà essere autorizzato a spostarsi per i vari reparti, rapportandosi con gli altri detenuti, verificando quali siano le problematiche e vagliando le loro istanze. Dovrà relazionare e comunicare con il Garante esterno fungendo da trait d’union tra il detenuto e l’esterno. Potrà, in caso di assenza o inadempienza del Garante di ruolo, rivolgere formale reclamo al Garante Regionale al fine di dipanare eventuali problematiche causa di nocumento. Tale figura non si va assolutamente a sostituire a quella già in vigore. I Garanti interni degli Istituti dovrebbero poter comunicare tra di loro in ambito regionale a mezzo video-colloquio, al fine di valutare e protare all’attenzione problematiche comuni. Tale figura dovrà essere inquadrata e retribuita a “norma di legge” in maniera “eguale” per ogni Istituto. Questo obbiettivo consente un approccio più garantista che sicuramente si affaccia ad una vera riformabilità del sistema.

CAPO H) PIENO REINSERIMENTO DEL DETENUTO IN AMBITO LAVORATIVO E SOCIALE AD ESPIAZIONE PENA

Ci teniamo ad un’ulteriore osservazione per noi fondamentale, sulla quale non possiamo non cercare un confronto. Considerato quanto citato al capo D, è importante fornire a chi è stato detenuto una seconda possibilità, come già avviene in molti Paesi della Comunità Europea, al termine della pena il detenuto viene completamente riabilitato e reinserito all’interno del tessuto sociale. Ciò in Italia non avviene. In base ai precedenti e alla tipologia di reato viene applicata un’interdizione ai pubblici uffici che varia da un minimo di cinque a un massimo di dieci anni. Un pregiudicato, in quanto tale, non può accedere a molti albi professionali, né ad alcune tipologie di lavoro. Portiamo un esempio ad avvalorare la nostra tesi: un ex detenuto, gravato da diversi precedenti penali, anche solo contro il patrimonio, escludendo “mafia e terrorismo”, nonostante abbia conseguito una laurea durante il percorso detentivo, che sia in giurisprudenza piuttosto che in architettura, nonostante un ottimo percorso, espiata la pena non potrà di fatto iscriversi all’albo professionale ed esercitare, causa precedenti. Di fatto qualora una persona cercasse di riprendere in mano la propria vita verrebbe comunque ghettizato e relegato in una sorta di girone dei marchiati. Noi crediamo che in un Paese “garantista”, fautore della “libertà”, terminare la pena significh aver pagato il proprio debito e rientrare a pieno titolo nella società. Significa una rinascita, senza dover anteporre il passato al presente.

CAPO I) INTRODUZIONE COLLOQUIO INTIMO CON PROPRIO CONIUGE

In consunto, vogliamo chiudere questa petizione, ricordando ai membri di codesto Parlamento come in molti Paesi della Comunità Europea sia già in vigore da molti anni il colloquio intimo con il proprio coniuge. E’ acclarato come una lunga detenzione abbia effetti devastanti sia sul condannato che sui propri famigliari. Psichiatri, psicologi, medici e studiosi, hanno più volte dimostrato come una lunga detenzione porti ad una destrutturazione e disumanizzazione dell’individuo, producendo effetti negativi sullo stato psico-fisico del detenuto, i quali si ripercuotono sui famigliari. La “violenza” della pena si estende così a tutti i famigliari, la lontananza, la mancanza di rapporto intimo tra coniugi, porta spesso a decisioni dolorose come quella di cessare i rapporti, causando a volta dei gravi stati depressivi nel condannato che, nei casi più estremi, vede nei gesti come il suicidio “l’estrema ratio” della sofferenza. Pertanto crediamo sia fondamentale per chi è sottoposto a lunghe carcerazioni coltivare i rapporti intimi con il proprio partner.

Osserviamo come sia importante una riforma epocale dell’Ordinamento Penitenziario. Vi chiediamo un approccio non di diniego, bensì un’apertura verso un contesto molte volte messo ai margini. Chiediamo che il nostro Paese sia pronto ad assicurarsi la responsabilità di un sistema penitenziario garantista, volto ad un vero reinseriemento del condannato.

Sperando nel dialogo porgiamo cordiali saluti.

I detenuti

preparano lo sgombero di Askatasuna cominciando a vietare i concerti

seminano vento raccoglieranno tempesta – soccorso rosso proletario

Africa Unite, Willie Peyote, Bluebeaters e altri sul palco di Askatasuna, ma la Questura vieta il concerto

Maratona musicale dal vivo al centro sociale di Torino dalle 17 a difesa dello spazio occupato da oltre 26 anni ma la questura contesta l’inottemperanza alle norme che regolano eventi di questo tipo

 

C

Venti avvocati denunciano l’accanimento penale contro gli anarchici

documento redatto dagli avvocati difensori in sette diverse città italiane.

6 luglio scorso la Corte di Cassazione ha deciso di riqualificare da strage contro la pubblica incolumità (art 422 c.p.) a strage contro la sicurezza dello Stato (art. 285 c.p.) un duplice attentato contro la Scuola Allievi Carabinieri di Fossano, avvenuto nel giugno 2006 (due esplosioni in orario notturno, che non avevano causato nessun ferito) e attribuito a due imputati anarchici.

L’originaria qualificazione di strage prevede l’applicazione della pena non inferiore a 15 anni di reclusione, l’attuale, invece, la pena dell’ergastolo. Sembra paradossale che il più grave reato previsto dal nostro ordinamento giuridico sia stato ritenuto sussistente in tale episodio e non nelle tante gravissime vicende accadute in Italia negli ultimi decenni, dalla strage di Piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, da Capaci a Via D’Amelio e Via dei Georgofili ecc.

Nel mese di aprile 2022 uno dei due imputati era stato inoltre destinatario di un decreto applicativo del cd. carcere duro, ai sensi dell’art. 41 bis comma 2 O.P. (introdotto nel nostro sistema penitenziario per combattere le associazioni mafiose e che presuppone la necessità di impedire collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale all’esterno per fini criminosi), altra vicenda singolare essendo notorio che il movimento anarchico rifugge in radice qualsiasi struttura gerarchica e/o forma organizzata, tanto da far emergere il serio sospetto che con il decreto ministeriale si voglia impedire l’interlocuzione politica di un militante politico con la sua area di appartenenza piuttosto che la relazione di un associato con i sodali in libertà.

Sempre nel mese di luglio u.s. è stata pronunciata una ulteriore aspra condanna in primo grado, a 28 anni di reclusione, contro un altro militante anarchico per un attentato alla sede della Lega Nord, denominata K3, anche per tale episodio nessuno ha riportato conseguenze lesive. Inoltre, nell’estate del 2020 altri cinque militanti anarchici sono stati raggiunti da una ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati di terrorismo, trascorrendo circa un anno in AS2 (Alta Sorveglianza, altro regime carcerario “duro”), nonostante i fatti a loro concretamente attribuiti fossero bagatellari, quali manifestazioni non preavvisate, imbrattamenti, ecc.

Altri processi contro attivisti anarchici sono intentati per reati di opinione, ad esempio due a Perugia, qualificati come istigazione a delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo, in quanto i rei avrebbero diffuso slogan violenti anarchici; quegli stessi slogan e idee che soltanto alcuni anni or sono sarebbero stati ricondotti alla fattispecie di cui all’art. 272 cp, propaganda sovversiva, fattispecie abrogata nel 2006, sulla base dell’assunto che la 2 propaganda, anche di ideologie di sovversione violenta, debba essere tollerata da uno Stato che si dica democratico, pena la negazione del suo stesso carattere fondante.

Altre iniziative giudiziarie per reati associativi sono state intentate a Trento, nuovamente a Torino, a Bologna a Firenze, contro altri militanti anarchici, con diffusa quanto incomprensibile applicazione di misure cautelari in carcere.

La narrazione mediatica sempre degli ultimi due anni, costruita sulla scorta di dichiarazioni qualificate del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, vede inoltre gli anarchici responsabili, istigatori, delle rivolte in carcere del mese di marzo 2020, salva recente successiva smentita da parte della commissione ad hoc istituita per stabilire le cause dell’insorgenza dei detenuti.

Più in generale, in epoca recente, all’indistinta area anarchica è stata attribuita una enfatica pericolosità sociale da parte delle relazioni semestrali dei servizi segreti.

E’ lecito domandarsi cosa stia avvenendo in questo paese e se gli anarchici rappresentino effettivamente un pericolo per l’incolumità pubblica meritevole di essere affrontato in termini muscolari e talvolta spregiudicati oppure se, in coerenza con il passato, rappresentino gli apripista per una ristrutturazione e/o un rafforzamento in chiave autoritaria degli spazi di agibilità politica e democratica nel paese.

Chi scrive svolge la professione di avvocato ed è direttamente impegnato nella difesa di numerosi anarchici in altrettante vicende penali ed è così che riscontra la sempre più diffusa e disinvolta sottrazione delle garanzie processuali a questa tipologia di imputati: in primo luogo in tema di valutazione delle prove in ordine alla riconducibilità soggettiva dei fatti contestati; oppure di abbandono del diritto penale del fatto, a vantaggio del diritto penale del tipo d’autore, realizzato attraverso l’esaltazione della pericolosità dell’ideologia a cui il reo appartiene.

Siamo consapevoli che la genesi di un possibile diritto penale del nemico si radica nella storia recente di questo paese nel contrasto giudiziario alle organizzazioni combattenti, nel corso dei processi degli anni 70/80 del secolo scorso, e che poi le continue emergenze susseguitesi negli anni hanno permesso di condividere ed estendere ad altre categorie di imputati (ad esempio ai migranti, ma non solo) l’atteggiamento giudiziario tenuto ieri nei confronti dei militanti della lotta armata. Atteggiamento che oggi viene riproposto verso gli anarchici, rei soprattutto di manifestare una alterità irriducibile all’ordine costituito.

Da avvocati e avvocate ci troviamo ad essere spettatori di una deriva giustizialista che rischia di contrapporre ad un modello di legalità penale indirizzato ai cittadini, con le garanzie e i 3 diritti tipici degli stati democratici, uno riservato ai soggetti ritenuti pericolosi, destinatari di provvedimenti e misure rigidissimi, nonché di circuiti di differenziazione penitenziaria.

Tutto ciò ci preoccupa perché comporta un progressivo allontanamento dai principi del garantismo giuridico, da quello di legalità (per cui si punisce per ciò che si è fatto e non per chi si è) a quello di offensività, sino ad un pericoloso slittamento verso funzioni meramente preventive e neutralizzatrici degli strumenti sanzionatori, come gli esempi sopra richiamati dimostrano.

Da Roma: Avv. Flavio Rossi Albertini, Avv. Caterina Calia, Avv. Simonetta Crisci, Avv. Ludovica Formoso Avv. Ivonne Panfilo; Avv. Marco Grilli; Avv. Pamela Donnarumma; Avv. Gregorio Moneti; Avv. Leonardo Pompili.

Da Torino: Avv. Gianluca Vitale, Avv. Claudio Novaro, Avv. Gianmario Ramondini.

Da Bologna: Avv. Ettore Grenci, Avv. Daria Mosini,Avv. Danilo Camplese

Da Milano: Avv. Margherita Pelazza, Avv. Eugenio Losco, Avv.Benedetto Ciccaroni, Avv.Tania Bassini

 Da Firenze: Avv. Sauro Poli

Da La Spezia: Avv. Fabio Sommovigo

Da Napoli: Avv. Alfonso Tatarano

 

Prigionieri palestinesi in sciopero della fame contro l’uso della detenzione amministrativa – info e sostegno

Trenta prigionieri politici palestinesi in detenzione amministrativa nelle carceri dell’occupazione israeliana sono ancora in sciopero della fame a tempo indeterminato per il 15° giorno, per protestare contro la loro ingiusta detenzione senza accuse né processo, lo riferisce la Palestinian Prisoner’s Society.

L’Associazione dei Prigionieri Palestinesi, un gruppo di difesa dei prigionieri, ha dichiarato che 28 dei 30 detenuti in sciopero della fame sono stati messi in isolamento nella prigione israeliana di Ofer da quando hanno iniziato lo sciopero della fame.

Il gruppo ha dichiarato la scorsa settimana che, nel caso in cui Israele esegua altri ordini di detenzione amministrativa, si prevede che altri prigionieri si uniranno allo sciopero.

Il mese scorso, i detenuti amministrativi nelle carceri israeliane hanno inviato un messaggio in cui affermavano che la lotta contro la detenzione amministrativa continuerà e che le pratiche dei Servizi penitenziari israeliani “non sono più governate dall’ossessione per la sicurezza come effettivo motore dell’occupazione, ma piuttosto sono atti di vendetta dovuti al loro passato”.

Israele ha intensificato la sua politica di detenzione amministrativa contro i palestinesi, dato che il numero di detenuti amministrativi supera attualmente i 760, compresi minori, donne e anziani. Secondo la Commissione per gli Affari dei Prigionieri, l’80% dei detenuti amministrativi sono ex prigionieri che hanno trascorso anni nelle carceri, la maggior parte dei quali erano proprio in detenzione amministrativa, un modello ereditato dall’occupazione coloniale britannica e da questa applicata in tutte le sue colonie imperiali, Irlanda del Nord inclusa.

La politica di detenzione amministrativa di Israele, ampiamente condannata, consente la detenzione di palestinesi senza accuse o processo per intervalli rinnovabili che di solito vanno dai tre ai sei mesi, sulla base di prove non rivelate che persino l’avvocato del detenuto non può visionare.

Amnesty International ha descritto la politica di detenzione amministrativa di Israele come una “pratica crudele e ingiusta che contribuisce a mantenere il sistema di apartheid di Israele contro i palestinesi”.