Soccorso Rosso Proletario

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La CIA ha addestrato i torturatori ucraini?

Lucas Leiroz * | mronline.org 

Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

19/05/2022

I media occidentali accusano la Russia di perpetrare crimini di guerra in Ucraina e di commettere violazioni dei diritti umani contro civili e prigionieri. Tuttavia, queste stesse agenzie sono assolutamente silenziose di fronte alle evidenti pratiche di tortura degli agenti di Kiev contro i loro nemici, che, curiosamente, presentano diverse analogie con le già note tecniche di tortura applicate dalla CIA, secondo un recente rapporto di un giornalista. La questione solleva sospetti su una possibile “istruzione” che sarebbe stata trasmessa dall’intelligence americana ai neonazisti ucraini su “come torturare”.

Il 6 maggio si è tenuta una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per discutere dei crimini di guerra commessi da Kiev contro la popolazione del Donbass durante gli otto anni di conflitto. Sono state presentate diverse prove che dimostrano che tali crimini sono reali e costituiscono un problema serio nella regione. Le prove includevano foto, video, testimonianze orali dei residenti di Donetsk e Lugansk, oltre a molti altri materiali raccolti dai giornalisti sul campo.

Uno dei leader del team di giornalisti è la reporter indipendente olandese Sonja van den Ende, che afferma categoricamente che esistono prove inconfutabili della collaborazione tra le forze ufficiali ucraine e i battaglioni neonazisti nell’esecuzione di tali crimini, dimostrando che la pratica è istituzionalizzata e non limitata a gruppi paramilitari isolati. L’autrice afferma inoltre che, nonostante il materiale presentato, alcuni Paesi occidentali, soprattutto Stati Uniti, Regno Unito e Francia, hanno mostrato un atteggiamento “arrogante”, mancando di rispetto alla delicatezza dell’argomento e ignorando le prove della sofferenza della popolazione del Donbass, oltre a disprezzare il lavoro dei giornalisti.

Queste sono state alcune delle sue parole:
“Ho partecipato alla riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla formula Arria il 6 maggio 2022(…) L’obiettivo di questa riunione era di presentare ai membri delle Nazioni Unite (ONU) le prove dei crimini di guerra commessi dall’esercito ucraino in collaborazione con il Battaglione Azov che sono state fornite da noi, giornalisti sul campo, nel Donbass. Le prove sono state presentate sotto forma di video e testimonianze orali, da parte dei residenti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, in particolare di Mariupol, Volnovakha e Melitiopol (…) [Tuttavia] Loro (i Paesi occidentali) ci hanno completamente ignorato e non hanno fatto alcuna domanda (…) Io personalmente ho fatto alcune osservazioni alla fine dell’incontro. Ho chiesto loro se vogliono la terza guerra mondiale e perché non ascoltano noi giornalisti che lavoriamo sul campo”.

Più che ignorare la gravità dei fatti, i rappresentanti delle potenze occidentali hanno persino cercato di negare le prove inconfutabili di tali crimini. Continue reading

Il fuoco della lotta non si esaurisce mai, laddove sembra spegnersi si accende altrove. Documenti per tutt, repressione per nessun!

Prosegue sui giornali lo ‘scandalo’ dei ricatti all’ Ufficio immigrazione di Torino, che ha portato a 9 misure cautelari e almeno 24 indagati, tra cui il vice commissario e un agente scelto della Questura di Corso Verona 4.
Ci eravamo lasciati settimana scorsa al primo interrogatorio del vice commissario Nettis, che accusava il suo sottoposto Rubino di averlo incastrato in un ‘sistema collaudato’ di ricatti manovrato da lui con Bitani, mediatore afgano, descritto in termini eccentrci come il ‘boss’ dell’ organizzazione. I ricatti andavano da servizi di qualsiasi genere a soldi, fino a diverse migliaia di euro, a seconda del favore.
Rubino sarebbe colpevole di aver chiesto anche prestazioni sessuali in cambio.
Dall’ interrogatorio dell’ agente scelto Rubino, appena uscito sui giornali, emergono nuovi elementi sulla vicenda : il ‘sistema collaudato’ descritto da Nettis esisteva da prima dell’ arrivo di Rubino in Corso Verona, dal primo lockdown del 2020. Nettis conosceva già da tempo il mediatore Bitani, e quest’ ultimo secondo un’intercettazione aveva riferito a Rubino di alcune tangenti versate negli anni a dei funzionari di Corso Verona da alcuni degli intermediari indagati, prima ancora di conoscere Nettis.
Scandalo o segreto di Pulcinella? Piu quest’ ultimo, per chi da anni conosce e vive queste dinamiche, assieme con il ricatto ‘normalizzato’ sostenuto dalle leggi nazionali ed europee sull’ immigrazione.
Sono queste che hanno permesso la creazione nel corso degli anni di un fruttuoso mercato illecito di compravendita di documentazione necessaria a poter ottenere o rinnovare il permesso, come contratti di lavoro (per poi lavorare in nero), contratti di residenza (per poi vivere altrove, nei ghetti o per strada), certificati come idoneità alloggiativa, prove di presenza sul territorio (per citare la famigerata Sanatoria 2020), e tanto altro ancora. Senza contare il costo del permesso in se, degli avvocati, dei caf eccetera. Tutto questo, per poi prima doversi presentare in coda fuori da una Questura, dove potrebbe essere necrssatio sottostare ad un ricatto finale, a cui cedere per disperazione e per necessità del pezzo di carta.
Non possiamo affidarci a questa giustizia, visto che già nel corso degli anni vi sono state altre operazioni simili diffuse per lo stivale. Solitamente, a fronte di prove dell’ esistenza di ricatti diffusi, la repressione finisce per colpire poco funzionari di polizia o altre figure di potere, e prendersela molto piu facilmente con le persone immigrate, coinvolte nel giro di procacciamento delle vittime o vittime stesse, assottigliando le differenze tra sfruttatori e sfruttati, senza che questo porti mai a rompere il giocattolo.
Non possiamo affidarci a questa giustizia, specie se questa giustizia viene amministrata dai nostri stessi carnefici. Dobbiamo affidarci alla lotta.
Nel frattempo a Torino è stato chiuso anche l’ ultimo rifugio per senza documenti e minori stranieri, in via Traves 7. I progetti di accoglienza non riescono a rispondere al numero di arrivi di minori non accompagnati, marginalizzandoli, o se necessario reprimendoli.
Ne sorge un altro di rifugio, questo autogestito, a Cesana Torinese, per tutte le persone che decidono di attraversare la frontiera in cerca di una nuova vita.
In Grecia, ad Atene, è in corso il tentativo di sgombero dell ultimo campo profughi della città, Eleonas, in una zona popolare della città, investita da forti processi di riqualificazione, ma le persone del campo continuano a resistere la fuori senza accennare a muoversi.
Il fuoco della lotta non si esaurisce mai, laddove sembra spegnersi si accende altrove.
Documenti per tutt, repressione per nessun!

Continua la lotta contro l’estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange. In Italia il 21 giugno iniziativa in Fnsi

Manifestazione per Assange fuori dall’Alta corte di Londra – Frank Augstein/Ap

Nonostante sia arrivata, nella giornata di venerdì, l’autorizzazione da parte del governo britannico all’estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange, la lotta del fondatore di WikiLeaks non è affatto finita. La moglie di Assange, Stella Morris, ha infatti prontamente fatto sapere che il via libera all’estradizione del giornalista rappresenti solo l’inizio di una nuova battaglia legale. «Il prossimo appello sarà davanti all’Alta Corte» di Londra, ha affermato a tal proposito la donna, sottolineando che Assange «non ha commesso alcun reato e non è un criminale».

L’appello, che deve essere presentato entro 14 giorni dal momento dell’autorizzazione all’estradizione, dovrebbe contenere nuove informazioni che precedentemente il team legale di Assange non è stato in grado di portare in tribunale. A renderlo noto è stato il fratello di Assange, Gabriel Shipton, che in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Reuters ha affermato che l’appello comprenderà «informazioni su come sono stati spiati gli avvocati di Julian e come sono stati organizzati complotti per rapirlo ed ucciderlo dalla CIA». Inoltre lo stesso Shipton, come riportato dalla Bbc, ha altresì dichiarato che porterà il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso in cui quello che verrà presentato presso l’Alta Corte non dovesse avere successo.

Oltre a tutto ciò, i sostenitori di Assange sembrano essere pronti a mobilitarsi in favore del giornalista. Sempre la moglie, Stella Morris, ha infatti affermato: «Combatteremo più forte e grideremo di più nelle strade, ci organizzeremo e faremo conoscere a tutti la storia di Julian». Quest’ultimo ha tra l’altro pubblicato prove relative al fatto che «il Paese che cerca di estradarlo ha commesso crimini di guerra insabbiandoli» ed ha «torturato e corrotto funzionari stranieri», ha aggiunto la donna, sottolineando che adesso «la loro vendetta consiste nel cercare di farlo sparire nei recessi più oscuri del loro sistema carcerario per il resto della sua vita». Del resto, come è noto Assange rischia una condanna a 175 anni di carcere in una prigione di massima sicurezza proprio per aver contribuito a diffondere documenti riservati contenenti informazioni sui crimini di guerra commessi dalla forze armate americane in Iraq e in Afghanistan.

Nonostante ciò, però, la vicenda è finora stata caratterizzata dal silenzio dei governi nazionali, che generalmente non si sono opposti all’estradizione ed anzi in alcuni casi, come l’Italia, hanno anche impedito di aiutare il giornalista.

A Roma comunque martedì 21 giugno 2022, alle 15.30, si terrà nella sala Walter Tobagi della Federazione nazionale della Stampa italiana (corso Vittorio Emanuele II, 349 a Roma) la presentazione dell’appello contro l’estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange, promosso dal premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel.

Il giornalista fondatore di WikiLeaks rischia una condanna a 175 anni di carcere per avere rotto il velo di silenzio sui crimini di guerra in Iraq e in Afghanistan.

All’iniziativa è prevista la partecipazione, insieme con il segretario generale Raffaele Lorusso e il presidente della Fnsi Giuseppe Giulietti, della giornalista Stefania Maurizi, del portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury, dell’ex magistrato Armando Spataro, della professoressa Grazia Tuzi, del presidente dell’AAMOD Vincenzo Vita.

(Per l’accesso alla sala Tobagi è richiesto l’uso della mascherina FFP2).

Un giorno buio per la libertà di stampa in tutto il mondo: firmata l’ordinanza di estradizione per il giornalista Julian Assange

«Estradiamo Assange»: Londra consegna agli Usa il bottino della war on terror

STATI UNITI. La ministra dell’Interno Patel firma l’ordinanza che cede il fondatore di WikiLeaks al paese di cui ha svelato gli abusi. La piattaforma: «È soltanto l’inizio di una nuova battaglia legale». Ma ora rischia due secoli di carcere

Protesta fuori dalla Westminster Magistrates’ Court di Londra – Ap/Alastair Grant

Molto è perduto per Julian Assange, ma ancora non tutto. Ieri la ministra britannica dell’Interno Patel ha firmato l’ordinanza di estradizione per il giornalista e hacker australiano, detenuto ormai dal 2019 nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, l’atto finora conclusivo di una saga giudiziaria che si protrae ormai da circa un decennio (Assange si rifugiò nell’ambasciata ecuadoregna a Londra nel 2012).

I suoi avvocati hanno due settimane per appellarsi nuovamente alla Corte suprema britannica e, laddove necessario, in ultima istanza alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Se anche queste due azioni in extremis fallissero, Assange decollerà per gli Usa, dove rischia 175 anni di carcere per spionaggio.

UN PORTAVOCE del ministero dell’Interno ha dichiarato: «In questo caso, i tribunali del Regno unito non hanno ritenuto che sarebbe oppressivo, ingiusto o un abuso procedurale l’estradare il signor Assange. Né hanno ritenuto che l’estradizione sarebbe incompatibile con i suoi diritti umani, compreso il suo diritto a un processo equo e alla libertà di espressione, e che mentre si trova negli Stati uniti sarà trattato in modo appropriato, anche in relazione alla sua salute». È la stretta finale dell’ordito poliziesco tessutogli attorno.

Stella Moris, che Assange ha sposato in carcere, ha rivelato che il marito le aveva detto «recentemente» che se fosse stato estradato aveva in animo di togliersi la vita e che il prossimo appello includerebbe prove secondo cui la Cia avrebbe cercato di assassinarlo con il veleno quando ancora era rifugiato dentro l’ambasciata ecuadoriana a Londra.

In un proprio comunicato, WikiLeaks ha affermato che «oggi è un giorno buio per la libertà di stampa e la democrazia britannica. Chiunque in questo Paese abbia a cuore la libertà di espressione dovrebbe vergognarsi profondamente del fatto che il ministro dell’Interno abbia approvato l’estradizione di Julian Assange negli Stati uniti, il Paese che ha complottato il suo assassinio».

«OGGI NON È LA FINE della lotta – continua la dichiarazione – È solo l’inizio di una nuova battaglia legale il prossimo ricorso sarà dinanzi all’Alta Corte». Gli ha fatto eco Amnesty International: l’estradizione «metterebbe a rischio e manda un messaggio agghiacciante ai giornalisti».

Julian Assange è naturalmente reo di aver fondato WikiLeaks e aver mostrato lo zio Sam in flagranza criminosa mentre difendeva la democrazia, combatteva il terrore – diffondendolo con la war on terror, uno slogan che sembra il nome di un videogioco iper-violento – e, già che c’era, tutelava le proprie forniture di greggio a buon mercato.

WikiLeaks ha pubblicato migliaia di file riservati diplomatici e militari, nel 2010 e nel 2011, relativi alle guerre in Afghanistan e in Iraq, che documentano ciò che è anodinamente definito collateral damage ma che sarebbe tranquillamente ascrivibile alla categoria dei crimini di guerra.

E che rivelano come l’esercito americano abbia ucciso centinaia di civili – giornalisti compresi – in incidenti non denunciati durante la guerra in Afghanistan, mentre i documenti trapelati sull’invasione dell’Iraq indicavano in 66mila i civili uccisi dalle forze irachene o della coalizione.

UN CATASTROFICO danno d’immagine per gli Usa, punibile, in mancanza di peggio, con i due secoli scarsi di galera che vogliono affibbiare al reo non appena tocchi la (la la) land of the free. Anche per questo non hanno esitato a esercitare tutte le pressioni di cui erano capaci con l’alleato britannico.

Mentre l’Australia, il paese natale del giornalista, si comportava da diligente ex-colonia: bendandosi, turandosi le orecchie e tacendo sulla sorte del proprio fastidioso cittadino.

Quanto a Priti «Crudelia de Mon» Patel, era ampiamente previsto che avrebbe vergato il documento con meticolosa cura calligrafica. Facile anche immaginarle sfoderare il proverbiale, torvo sorrisetto mentre firmava: lo stessa smorfia nervosa con cui si difende da tutte le reazioni sdegnate – legali e politiche – relative all’altra deplorevole controversia in cui ha impantanato il suo dicastero, quella dei trasporti forzati di migranti in Ruanda.

Da Il manifesto

Sardegna: La musica antimilitarista è ritenuta un «oltraggio». Solidarietà al rapper Bakis Bekis, “oltraggiose” sono le basi Nato e la repressione del popolo sardo

Rapper alla sbarra. Nel 2018 Bakis Beks si era esibito in un concerto all’Exme di Nuoro contro i poligoni e le basi militari in Sardegna

di Costantino Cossu

Nel settembre del 2018 il rapper Bakis Beks, dopo essersi esibito in un concerto all’Exme di Nuoro con una canzone contro le basi militari in Sardegna, era stato raggiunto da un decreto penale emesso dalla procura della Repubblica. Lunedì scorso si è aperto il processo, davanti alla giudice monocratica del tribunale del capoluogo barbaricino Daniela Russo. L’accusa contro il rapper è di oltraggio a pubblico ufficiale, perché durante l’esecuzione del brano antipoligoni Bakis Beks si sarebbe rivolto ai poliziotti che erano lì per il servizio d’ordine con il dito medio della mano destra sollevato.

Nel mirino anche il testo della canzone «Messaggio», con la quale Bakis Beks si era pronunciato contro la presenza delle basi militari in Sardegna. «Non c’è tempo per mediazioni, indennizzi, conciliazioni,questo è un messaggio ai coloni. Basta, fuori dai coglioni!», questo il passaggio incriminato, accompagnato dal dito medio alzato dal rapper. «Non posso accettare l’accusa – ha spiegato il cantante prima dell’udienza – Sono ritenuto colpevole di atti che non ho compiuto, ovvero di aver inveito contro le forze dell’ordine quando in realtà ho soltanto fatto la mia performance contro le basi militari in Sardegna, esprimendo legittimamente la mia opinione». «Ci batteremo contro un’accusa infondata – aggiunge l’avvocata del rapper Giulia Lai – Nella canzone del mio assistito sono state pronunciate parole di opposizione alle politiche militari nell’isola e non insulti contro le forze dell’ordine».

 

Solidarietà al rapper dagli antimilitaristi nuoresi dell’associazione Libertade e dal gruppo Nuoro antifascista, che prima dell’udienza in tribunale hanno promosso un sit-in srotolando uno striscione con la scritta «L’arte non si reprime». «Siamo un bersaglio perché ci opponiamo, anche attraverso la musica, alle politiche militari in Sardegna – denuncia il presidente di Libertade Giampiero Cocco – Ma non ci faremo intimidire. Continueremo a lottare per liberare la nostra terra dalle servitù militari e a stare al fianco di Bakis Becks, a processo per aver espresso le proprie opinioni».

Contro le basi si batte in Sardegna un vasto fronte pacifista e antimilitarista. Sono oltre 35.000 gli ettari di territorio occupati nell’isola dalle forze armate: il 60 per cento di tutte le servitù militari italiane, concentrato in un’unica regione. Per dare un’idea dell’estensione basti pensare che in occasione delle esercitazioni viene interdetto alla navigazione, alla pesca e alla sosta uno specchio di mare di oltre 20.000 chilometri quadrati, una superficie quasi uguale all’estensione dell’intera Sardegna. Quasi tutte le basi sono state attivate dopo la seconda guerra mondiale, in un contesto geopolitico segnato dalla contrapposizione frontale tra Nato e blocco sovietico. Sull’isola ci sono poligoni missilistici (Perdasdefogu), per esercitazioni a fuoco (Capo Teulada), per esercitazioni aeree (Capo Frasca), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi di carburanti (nel cuore di Cagliari) alimentati da una condotta che attraversa la città, oltre a numerose caserme e sedi di comandi militari (di esercito, aeronautica e marina). Sono strutture al servizio delle forze armate italiane o della Nato. La base di Capo Frasca (sulla costa occidentale) occupa oltre 1.400 ettari. Le servitù del Salto di Quirra (nella Sardegna orientale) di 12.700 ettari e il poligono di Teulada di 7.200 ettari sono i primi due poligoni italiani per estensione.

L’ultima grande esercitazione militare in Sardegna è iniziata il 3 maggio scorso e ha visto la presenza, sino al 27 dello stesso mese, di più di 4000 effettivi di sette nazioni Nato, con navi, sommergibili, caccia, elicotteri, mezzi anfibi che hanno operato su tutta la costa meridionale dell’isola e sui tratti sud delle coste orientale e occidentale. Alla manovra, cui è stato dato il nome di “Mare aperto”, gli Usa hanno partecipato con il cacciatorpediniere Bainbridge, con la portaerei Harry Truman e con i caccia di stanza a Sigonella.

da il manifesto