Estradare e incarcerare la storia? E perché non sequestrarla nel frattempo? Guai se qualcuno delle nuove generazioni imparasse qualcosa da un passato non troppo lontano!

Oggi 12 giugno doveva tenersi a Napoli un convegno/dibattito dal titolo “Estradare e incarcerare la storia?” con il contributo di Paolo Persichetti, Vittorio Bolognesi e Giovanni Gentile Schiavone. Il convegno è stato annullato, per il momento, per “sopravvenuti problemi di alcuni partecipanti”.

Oggi sul sito insorgenze.net scopriamo che i problemi non sono solo di alcuni partecipanti, ma di chiunque capisca l’importanza della ricerca e della storia e del loro ruolo nello sviluppo dell’umanità. Vi lasciamo perciò alle parole di Paolo Persichetti, a cui auguriamo vivamente di tornare in possesso di tutto quanto questo stato moderno fascista vorrebbe far sparire dalla faccia della terra, ossia un bel pezzo di ricerca e di storia!

Se fare storia è un reato

Paolo Persichetti

La libera ricerca storica è ormai divenuta un reato. Per la procura di Roma sarei colpevole di «divulgazione di materiale riservato acquisito e/o elaborato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio dell’on. Aldo Moro». Per questa ragione martedì 8 giugno dopo aver lasciato i miei figli a scuola, da poco passate le nove del mattino, sono stato fermato da una pattuglia della Digos e scortato nella mia abitazione dove ad attendermi c’erano altri agenti appartenenti a tre diversi servizi della polizia di Stato: Direzione centrale della Polizia di Prevenzione, Digos e Polizia postale. Ho contato in totale 8 uomini e due donne, ma credo ce ne fossero altri rimasti in strada. Una tale dispiegamento di forze era dovuto alla esecuzione di un mandato di perquisizione e contestuale sequestro di telefoni cellulari e ogni altro tipo di materiale informatico (computers, tablet, notebook, smartphone, hard-disk, pendrive, supporti magnetici, ottici e video, fotocamere e videocamere e zone di cloud storage), con particolare attenzione per il rinvenimento delle conversazioni in chat e caselle di posta elettronica e scambio e diffusione di files, nonché ogni altro tipo di materiale. Decreto disposto dal sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma Eugenio Albamonte che ha dato seguito ad una informativa della Polizia di Prevenzione del 9 febbraio scorso. La perquisizione è terminata alle 17 del pomeriggio e ha messo a dura prova lo stesso personale di polizia estenuato dalla quantità di libri e materiale archivistico (scampato pochi mesi fa a un incendio), raccolto dopo anni di paziente e faticosa ricerca. Singolare il fatto che non risultino effettuate perquisizioni in casa di quei giornalisti “confidenti” della Commissione, o direttamente al libro paga, che ricevevano informazioni di prima mano e diffondevano veline di stampo dietrologico.
La divulgazione di «materiale riservato» (sic!), secondo la procura della Repubblica si sarebbe concretizzata in due reati ben precisi, il favoreggiamento (378 cp) e l’immancabile 270 bis, l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo, che avrebbero avuto inizio l’8 dicembre 2015. Da cinque anni e mezzo, secondo la procura, sarebbe attiva in questo Paese un’organizzazione sovversiva (capace di sfidare persino il lockdown) di cui nonostante le molte stagioni trascorse non si conoscono ancora il nome, i programmi, i testi e proclami pubblici e soprattutto le azioni concrete (e violente, senza le quali il 270 bis non potrebbe configurarsi). E’ legittimo, a questo punto, chiedersi se il richiamo al 270 bis sia stato un espediente, il classico “reato chiavistello”, che consente un uso più agevolato di strumenti di indagine invasivi (pedinamenti, intercettazioni, perquisizioni e sequestri), in presenza di minori tutele per l’indagato.
L’8 dicembre del 2015 era un martedì in cui cadeva la festa dell’immacolata. In quei giorni la commissione parlamentare presieduta da Giuseppe Fioroni discuteva ed emendava la bozza finale della relazione che chiudeva il primo anno di lavori, approvata appena due giorni dopo, il 10 dicembre. Copie di quella bozza finale erano pervenute in tutte le redazioni d’Italia ed io presi parte, per conto di un quotidiano con il quale collaboravo, alla conferenza stampa di presentazione.
Cosa abbia giustificato un tale imponente dispositivo poliziesco, il saccheggio della mia vita e della mia famiglia, la perquisizione della casa, la sottrazione di tutto il mio materiale e dei miei strumenti di lavoro e di comunicazione, della documentazione amministrativa e medica di mio figlio disabile di cui mi occupo come caregiver, la spoliazione dei ricordi della mia famiglia, foto, appunti, sogni, dimensioni riservate, la nuda vita insomma, non so ancora dirvelo. Ne sapremo qualcosa di più nei prossimi giorni, quando la procura a seguito della richiesta di riesame avanzata dal mio difensore, avvocato Francesco Romeo, dovrà versare le sue carte.

Quello che è chiaro fin da subito è invece l’attacco senza precedenti alla libertà della ricerca storica, alla possibilità di fare storia sugli anni 70, di considerare quel periodo ormai vecchio di 50 anni non un tabù, intoccabile e indicibile se non nella versione quirinalizia declamata in queste ultime settimane, ma materia da approcciare senza complessi e preconcetti con i molteplici strumenti e discipline delle scienze sociali, non certo penali e forensi.
Oggi sono un uomo nudo, non ho più il mio archivio costruito con anni di paziente e duro lavoro, raccolto studiando i fondi presenti presso l’Archivio centrale dello Stato, l’Archivio storico del senato, la Biblioteca della Camera dei deputati, la Biblioteca Caetani, l’Emeroteca di Stato, l’Archivio della Corte d’appello e ancora ricavato da una quotidiana raccolta delle fonti aperte, dei portali istituzionali, arricchito da testimonianze orali, esperienze di vita, percorsi. Mi sono state sottratte le tonnellate di appunti, schemi, note e materiali con i quali stavo preparando diversi libri e progetti. Ho dovuto rinunciare in queste ore a un libro che dovevo consegnare nel corso dell’estate, perché i capitoli sono stati sequestrati. Forse qualcuno ha pensato di ammutolirmi relegandomi alla morte civile. Quel che è avvenuto è dunque una intimidazione gravissima che deve allertare tutti in questo Paese, in modo particolare chi lavora nella ricerca, chi si occupa e ama la storia.
Oggi è accaduto a me, domani potrà accadere ad altri se non si organizza un risposta civile ferma, forte e indignata.

19 giugno tutti a roma contro la repressione

 

il patto d’azione anticapitalista per il fronte unico di classe e l’assemblea nazionale delle lavoratrici e lavoratori combattivi ha deciso per il 19 giugno una manifestazione nazionale a roma

sicuramente la più importante manifestazione con operai e lavoratori in lotta classisti combattivi contro governo draghi possibile oggi in italia – al di là dei numeri, che comunque saranno significativi

licenziamenti e repressione al centro della mobilitazione

sarebbe ben strano, gruppettaro ed elitario che noi ci battiamo contro la repressione e la liberazione dei prigionieri politici nel mondo – il 19 giugno fossimo altrove e non portando questa battaglia tra i proletari in lotta –

per questo 1l 19 giugno saremo a Roma con una postazione per i prigionieri politici di tutto il mondo – l’iniziativa prevista aMilano e rinviata ad altra data

ci sarà  un appuntamento on line il 20 giugno dedicato ai prigionieri politici

 

Manifestare non è reato! Abolire i decreti Salvini, solidarietà ai pastori sardi sotto processo!

Pubblichiamo l’appello dell’associazione Libertade per una mobilitazione solidale davanti al tribunale di Nuoro il 17 giugno
MANIFESTARE NON È REATO!
L’8 febbraio 2019 a Siniscola ci fu una manifestazione di protesta dei pastori.
Poi di nuovo il 13 febbraio migliaia di persone manifestarono sul ponte della strada 131 dcn nei pressi di Lula, fra cui moltissimi cittadini solidali, le scolaresche e i sindaci dei paesi del circondario.
Furono solo due delle tante manifestazioni spontanee attraverso cui i pastori chiesero una remunerazione equa per il loro lavoro, durante una delle più importanti mobilitazioni che negli ultimi anni abbiano attraversato la Sardegna per i diritti dei lavoratori.
Ora alcuni pastori si trovano sotto processo, unicamente per aver preso parte a quelle due manifestazioni, imputati per il reato di blocco stradale.
Si tratta di un capo di imputazione estremamente grave, ripenalizzato dal Decreto Salvini nel 2018, che è punibile con una pena fino a 12 anni di carcere.
Sono decine i procedimenti aperti dalle procure di tutta la Sardegna, con centinaia di pastori coinvolti per gli stessi reati.
In alcuni casi le Procure hanno proceduto con i decreti penali di condanna (quindi applicando delle multe in sostituzione alla detenzione) mentre in altri casi hanno chiedesto il rinvio a giudizio davanti al Tribunale collegiale.
Questa ultima opzione è stata scelta proprio nei confronti di alcuni imputati per le manifestazioni di Siniscola e Lula, conosciuti per il loro impegno sociale e la loro passione politica, che proprio per questo motivo sono stati scelti come bersagli con lo scopo di intimidire tutti gli altri.
Il 16 e 17 giugno si terranno al Tribunale di Nuoro due udienze dei processi relativi alle manifestazioni di Siniscola e Lula.
In tutto lo Stato italiano non esistono altri precedenti di processi per blocco stradale dal momento in cui è stato reintrodotto tale reato.
Non possiamo restare in silenzio mentre dei lavoratori vengono processati solo per aver rivendicato i propri diritti.
Vogliamo la fine di tutte le ritorsioni giudiziarie per le manifestazioni del 2019.
Vogliamo la depenalizzazione del reato di blocco stradale, che come in questa vicenda può essere usato per negare ai lavoratori il diritto di esprimere pacificamente la propria protesta.
Per questi motivi giovedì 17 giugno 2021 davanti al Tribunale di Nuoro, l’associazione Libertade invita i pastori, le forze politiche, i sindacati e tutta la popolazione a manifestare contro il reato di blocco stradale e in solidarietà verso i pastori processati per le proteste del 2019 per il prezzo del latte.

Botte ai palestinesi in carcere, lo rivela un video diffuso ieri dal quotidiano Haaretz.

Nel filmato che risale a due anni fa, si vedono le guardie carcerarie trascinare, tra manganellate e calci, i prigionieri palestinesi. Quindici detenuti rimasero feriti. Solo una guardia è stata indagata, non è stato eseguito alcun arresto e il caso è stato chiuso.

Nel marzo 2019, nel carcere israeliano di Ketziot, nel Negev, dopo che due guardie erano state accoltellate e ferite da un prigioniero palestinese, 55 detenuti in maggioranza di Hamas furono brutalmente picchiati con manganelli e presi a calci da almeno dieci agenti e lasciati per ore ammanettati e sul pavimento uno sopra l’altro. A rivelarlo è un filmato delle telecamere di sorveglianza diffuso ieri dal quotidiano Haaretz. In un articolo firmato da Josh Breiner, il quotidiano ricorda che le autorità avevano parlato di sommossa che invece le immagini non mostrano. Piuttosto si vedono le guardie carcerarie trascinare, tra manganellate e calci, uno alla volta i prigionieri palestinesi. Quindici detenuti rimasero feriti, due in modo grave. Malgrado ciò solo una guardia carceraria è stata indagata, non è stato eseguito alcun arresto e il caso è stato chiuso. «Questo è uno dei video più scioccanti che abbia mai visto. Dozzine di detenuti sono stati sbattuti a terra dalle guardie e picchiati con manganelli e calci mentre erano indifesi. 15 sono rimasti feriti, due gravemente. E la polizia? Ha chiuso il caso perché i responsabili del crimine sono sconosciuti», ha commentato Josh Breiner su Twitter.

La diffusione del video del pestaggio è coincisa con una nuova giornata di tensione a Gerusalemme Est. Al mattino la polizia ha caricato un raduno di palestinesi in via Salah Eddin a sostegno delle famiglie dei quartieri di Silwan e Sheikh Jarrah minacciate di espulsione dalle case dove vivono da decenni. Al loro posto andranno coloni israeliani, che affermano di essere proprietari delle abitazioni e dei terreni dove sono state costruite. Nel pomeriggio la tensione è risalita quando il deputato di estrema destra Itamar Ben Gvir, sfidando il rinvio della «Marcia delle bandiere» alla prossima settimana, si è recato alla Porta di Damasco, assieme a un manipolo di seguaci, per sventolare la bandiera di Israele nell’anniversario dell’occupazione militare della zona araba di Gerusalemme nel 1967.

Le proteste palestinesi sono state immediate, così come l’intervento della polizia che usato il pugno di ferro contro i dimostranti. Le stesse scene si sono viste anche a Sheikh Jarrah mentre da Gaza Abu Odeida, il portavoce delle Brigate Al Qassam, ha fatto sapere che l’ala militare di Hamas segue con attenzione cosa accade a Gerusalemme ed è pronto ad intervenire di nuovo. Lo scorso 10 maggio, dopo l’ingresso massiccio di forze di polizia sulla Spianata della moschea Al Aqsa, Hamas sparò decine di razzi verso Israele e Gerusalemme. Il governo Netanyahu reagì lanciando l’offensiva aerea «Guardiano delle Mura» che ha ucciso circa 260 palestinesi a Gaza e causato gravi distruzioni. I razzi di Hamas e i suoi alleati hanno ucciso nove israeliani e tre lavoratori stranieri.

Ieri due agenti dell’intelligence militare palestinese e un presunto membro del Jihad sono stati uccisi a Jenin in Cisgiordania da uomini di una unità speciale israeliana entrata nella città di Jenin.

GUARDA IL VIDEO PUBBLICATO DA HAARETZ

Michele Giorgio

da il manifesto

Aggressione armata alla Fedex- Zampieri di Tavazzano (Lodi): un lavoratore è in fin di vita mentre la polizia sta a guardare. Massima solidarietà da SRP ai lavoratori aggrediti

Questa notte alla Zampieri di Tavazzano il presidio dei lavoratori Fedex di Piacenza è stato aggredito a colpi di bastoni. frammenti di bancali, sassi e bottiglie da una cinquantina di bodyguard assoldati dai padroni.
La squadraccia guidata dai capiclan di Zampieri, mimentizzatasi tra i lavoratori e col sostegno di qualche crumiro ha attaccato il presidio, composto da circa 40 lavoratori del SI Cobas a mani nude, e per circa 10 minuti è stato lasciato agire indisturbato dalla polizia che era a pochi passi e non ha mosso un dito.
Il risultato è un lavoratore di Piacenza con la testa fracassata, e attualmente ricoverato in fin di vita!!!
E’ oramai evidente la reale identità di Zampieri: un’organizzazione mafiosa che agisce col sostegno di Fedex e col beneplacito delle forze dell’ordine.
Come accaduto due settimane fa a San Giuliano Milanese, questi criminali hanno teso un agguato in maniera infame e vigliacca, approfittando della presenza meno numerosa del presidio rispetto ad altre sere a causa dell’impegno dei lavoratori su altri fronti di lotta.
La lotta eroica dei lavoratori di Piacenza, oltre ad imprimere pesanti perdite economiche al colosso americano e ai suoi scagnozzi di Zampieri, sta contribuendo a svelare una volta per tutte la reale identità di Fedex: un’associazione a delinquere che si serve della criminalità organizzata per reprimere col sangue le proteste dei lavoratori.
Lo abbiamo promesso tre mesi fa e stiamo mantenendo l’impegno: Fedex e Zampieri non avranno tregua finchè non sarà restituito il posto di lavoro ai facchini di Piacenza!
Le loro aggressioni non fanno altro che rafforzare la lotta dei lavoratori e indebolire e screditare il fronte padronale!
Continueremo a rispondere colpo su colpo alla loro violenza con la forza organizzata dei lavoratori di tutta la filiera e dell’intero settore della logistica.
Denunceremo in tutte le sedi che i complici del tentato omicidio di stasera sono il governo Draghi, il ministro Giorgetti e le forze di polizia che attaccano gli scioperi e assistono inermi alle aggressioni di bande armate contro i lavoratori!
Per questo il 18 giugno invitiamo tutti i lavoratori ad aderire allo sciopero nazionale del Trasporto merci e Logistica, e invitiamo tutti i proletari, i solidali e i movimenti che intendono opporsi alla brutalità di padroni e mazzieri a manifestare sabato 19 giugno a Roma.
Il SI Cobas si stringe al fianco del lavoratore colpito, augurandosi che tutto vada per il meglio, e chiama tutti i propri aderenti alla mobilitazione per far si che questa infame aggressione non resti impunita.
Qui il video integrale dell’aggressione

verso il 19 giugno Turchia – libertà per Ismail Yilmaz e tutti i prigionieri politici in gravi condizioni mediche

Freedom for Ismail Yilmaz and all prisoners with medical conditions!

Turkey has become an open prison as such no difference between prisons and outside. Another case has been added to prisoners with health conditions. Recently, the AKP-MHP alliance passed an amnesty in which nearly 100 thousand murderers and mafia members were released from prison. However, they played the 3 monkeys when the public call was made to release prisoners with health conditions. And the history of fascism has been repeated once again. No opposition prisoners who were on the verge of death released. When it comes to revolutionary prisoners, fascism is quick to step in.

Ismail Yilmaz Shall not be left for dead!

66-year-old male prisoner Ismail Yilmaz, currently in Kandira F-type prison is wanted to be left for dead by fascism. He has been in prison for 16 years now. Enemy law is applied against Yilmaz, who is punished with aggravated life sentence because of his political thoughts.

Ismail Yilmaz suffered a cerebral haemorrhage on 28th of April and was taken to hospital and was operated on the next day fitted with a drainage tube on his head. Ismail has the following, mostly chronic, medical conditions; heart condition, prostate, hypertension, visual impairment and numbing on his right arm.

İsmail Yılmaz was taken out of the hospital before his treatment was completed despite the severe surgery he had undergone and was taken back to prison. Keeping İsmail Yılmaz in prison, who is unable to take care of himself and cannot meet his needs, is against international human rights conventions and is torture.

According to the report from the ministry of justice, 2300 prisoners have lost their lives in the last 13 years. As of now 620 prisoners with health conditions 200 of them with serious medical conditions. During the pandemic, the number of sick prisoners has increased, and the life threats of many prisoners will increase unless precautions are taken.

Prisoners with medical conditions shall be released!

Between the dates 21st May and 1st of June, two revolutionary prisoners with serious medical conditions have lost their lives. Sabri Kaya who was in Osmaniye T-type prison for 10 years and Vefa Kartal who was in Edirne F-type prison for the last 26 years, both with serious health condition we refused to be released, despite countless number of applications,  with the excuse “state is doing what is required”. Sabri Kaya died in intensive care on 21st May and Vefa Kartal died in prison on 1st of June.

As Confederation of Workers from Turkey in Europe; In order not to receive news of new deaths from the prisons, we demand that all the prisoners, especially the sick prisoner İsmail Yılmaz, be released urgently in order to receive the necessary treatment. Also, we call on international social opposition and all democratic forces to be sensitive to the issue and to voice this demand!

Freedom for Ismail Yilmaz and all prisoners with health conditions!

Freedom for All Political Prisoners!