A Roma contro la repressione – portiamo la battaglia per la liberazione dei prigionieri politici

Il Patto d’azione anticapitalista per il fronte unico di classe e l’Assemblea nazionale delle lavoratrici e lavoratori combattivi ha deciso per il 19 giugno una manifestazione nazionale a Roma.

Sicuramente la più importante manifestazione, con operai e lavoratori in lotta classisti, combattivi contro governo Draghi, possibile oggi in italia – al di là dei numeri, che comunque saranno significativi

Licenziamenti e repressione al centro della mobilitazione

Sarebbe ben strano, gruppettaro ed elitario che noi che ci battiamo contro la repressione e la liberazione dei prigionieri politici nel mondo, il 19 giugno fossimo altrove e non portando questa battaglia tra i proletari in lotta.

Per questo il 19 giugno saremo a Roma con una postazione per i prigionieri politici di tutto il mondo – l’iniziativa in presenza prevista a Milano e rinviata ad altra data

ci sarà  un appuntamento on line il 20 giugno dedicato ai prigionieri politici

Chi sequestra un archivio, attacca la libertà di ricerca

Segnaliamo questo appello di Elisa Santelena, per aderirvi cliccate qui

Pochi giorni fa, la procura di Roma ha accusato il collega Paolo Persichetti di «divulgazione di materiale riservato acquisito e/o elaborato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio dell’on. Aldo Moro».

Con un incredibile e ingiustificato spiegamento di forze (una pattuglia della Digos e altri agenti appartenenti alla Direzione centrale della Polizia di Prevenzione, e della Polizia postale) è stata eseguita la perquisizione del domicilio di Persichetti (durata 8 ore) con contestuale sequestro di telefoni cellulari e di ogni altro tipo di materiale informatico (computers, tablet, notebook, smartphone, hard-disk, pendrive, supporti magnetici, ottici e video, fotocamere e videocamere e zone di cloud storage).

La polizia ha anche esaminato quantità di libri e portato via materiale archivistico raccolto dopo anni di paziente e faticosa ricerca.

L’accusa è di divulgazione di «materiale riservato». Il materiale sequestrato riguarda documenti raccolti da anni in diversi archivi pubblici e quindi previa autorizzazione ed accordo degli stessi per l’accesso), e, secondo la procura della Repubblica, si sarebbe concretizzata in due reati ben precisi: associazione sovversiva con finalità di terrorismo (ex art. 270 bis c. p.) e favoreggiamento (ex art. 378 c. p.) e il 270 bis. I reati ascritti avrebbero avuto inizio l’8 dicembre 2015.

Più in generale e più incredibilmente, sempre secondo la procura, da 5 anni sarebbe attiva in Italia un’organizzazione sovversiva di cui però non si conoscono ancora il nome, i programmi, i testi e proclami pubblici e soprattutto le azioni concrete (e violente, soprattutto, perché senza di quelle il 270 bis non potrebbe configurarsi).

È legittimo, a questo punto, chiedersi se il richiamo al 270 bis sia stato un espediente per consentire un uso più agevolato di strumenti di indagine invasivi e intimidatori (pedinamenti, intercettazioni, perquisizioni e sequestri), in presenza di minori tutele per l’indagato.

Cosa in realtà abbia giustificato un tale imponente dispositivo poliziesco rimane un mistero. Ci verrebbe però da dire che non ci interessa saperlo. È fin troppo facile, infatti, giocare sulla biografia di Paolo Persichetti, coinvolto nella stagione della violenza politica in Italia e che per questa ha «saldato i conti con la giustizia» ed oggi è un ricercatore affermato che ha collaborato e collabora con diverse testate giornalistiche oltrechè autore, insieme a Marco Clementi ed Elisa Santalena, del volume: “Brigate Rosse: dalle fabbriche alla ‘Campagna di primavera’”, presso la casa editrice DeriveApprodi.

Qui, però, non si tratta di personalizzare una causa, né di santificare nessuno, bensì di fare un passo in avanti e cogliere la grave portata generale di questo evento.

Questa vicenda è solo l’ultima di una serie che dimostra l’attacco alla libertà della ricerca storica (e non solo): basti pensare alla proposta di legge che vorrebbe introdurre il reato di negazionismo sulla questione delle Foibe, contro la quale diversi studiosi e molte associazioni si stanno esprimendo da diversi mesi.

Ancora, è necessario ricordare le minacce allo storico Eric Gobetti, autore di un libro sempre sulle Foibe o l’incredibile vicenda della ricercatrice Roberta Chiroli, prima condannata e poi fortunatamente assolta per aver redatto una tesi sul movimento No-TAV.

Sugli anni ‘70 (e, aggiungiamo, su qualsiasi altro periodo “scomodo”), si può e si deve fare ricerca storica: si tratta di un importante periodo della nostra storia nazionale che va approcciato senza complessi e preconcetti, bensì con i molteplici strumenti che le discipline delle scienze storiche e sociali ci forniscono e con le svariate fonti (documentali, audiovisive, orali) che si hanno a disposizione, tanto negli archivi quanto nella società.

È venuto il momento di chiudere una “tradizione”, dominante nel discorso pubblico e politico, che considera quel periodo, ormai vecchio di 50 anni, come un tabù, intoccabile e innominabile, oppure narrabile solo secondo la vulgata mainstream.

Per questo, il sequestro di materiale d’archivio assume un carattere di enorme gravità.

Lo assume sempre, ma lo assume in particolare in questo caso.

Ad oggi, un collega ricercatore non ha più il suo archivio costruito con anni di paziente e duro lavoro, raccolto studiando i fondi presenti presso i seguenti istituti:

·       l’Archivio centrale dello Stato;

·       l’Archivio storico del Senato;

·       la Biblioteca della Camera dei deputati;

·       la Biblioteca si storia moderna e contemporanea;

·       l’Emeroteca di Stato;

·       l’Archivio della Corte d’Appello di Roma

A ciò va aggiunta la personale raccolta di documenti reperiti presso fonti aperte, portali on line istituzionali, testimonianze orali, esperienze di vita, percorsi biografici, e appunti, schemi, note e materiali con i quali stava preparando libri e progetti di ricerca, anche insieme ad altri studiosi e studiose.

Ripercorrete la lista: sono gli archivi che tanti e tante di noi conoscono e attorno ai quali gravitano.  Sono gli archivi presso i quali tante volte ci siamo incontrati e sui quali sono basati tanti libri che abbiamo nelle nostre biblioteche, soprattutto dopo le varie declassificazioni portate avanti negli ultimi anni, al netto dei tanti limiti del caso.

Cosa dobbiamo fare adesso? Cosa dovremmo fare?

Portare in salvo i nostri archivi, sperando che non ci vengano confiscati?

Cambiare specialità e rientrare nei ranghi, studiando le cose “giuste”?

Chiedere ai nostri dottorandi di andarci piano con la ricerca, che non si sa mai, come se già non fossero penalizzati abbastanza per il periodo di studi scelto?

Quel che succede al nostro collega Paolo Persichetti ci riguarda tutti da vicino: si tratta di un’intimidazione gravissima che deve allertarci tutti e tutte, in modo particolare chi lavora nella ricerca storica sugli anni ‘70, ma anche in tutta la ricerca.

Per questo pensiamo sia necessario manifestare una risposta civile ferma, forte e indignata contro quanto accaduto.

Una giusta battaglia di civiltà, perché pensiamo che il vero motivo per cui si insegna, si indaga, si narra la storia è perché questa fornisce un’identità, ci dice cosa siamo oggi e da dove proveniamo. Anche quando la provenienza è scomoda. Pensiamo che il passato ci strutturi come individui attivi e partecipanti in un contesto sociale, mentre l’assenza di memoria storica ci rende manipolabili.

Gli archivi devono essere dissequestrati, la storia non si imbavaglia!

Da Osservatorio repressione.

Marcia delle bandiere nazisioniste a Gerusalemme: la polizia israeliana reprime e arresta ma viene respinta dal lancio di pietre dalla “collera” dei palestinesi

Solo 2 giorni dopo il voto di fiducia al nuovo governo israeliano e al neo-premier Naftali Bennett, l’estrema destra marcia oggi per affermare e ribadire il controllo israeliano sull’intera Gerusalemme, inclusa la città vecchia e la parte est.

La polizia israeliana ha picchiato e arrestato i palestinesi, dopo aver chiuso la Porta di Damasco per far posto ad almeno un migliaio di israeliani che si erano radunati per l’inizio di una provocatoria marcia nazionalista attraverso la Città Vecchia di Gerusalemme Est occupata, nel primo grande test per il nuovo governo israeliano.

La cosiddetta marcia delle bandiere, fissata per iniziare alle 17:30, è stata riprogrammata a martedì dopo essere stata annullata durante un periodo in cui le ripetute repressioni israeliane nella moschea di al-Aqsa e la minacciata espulsione di famiglie palestinesi stavano causando tumulto a Gerusalemme. Quella tensione ha portato alla guerra di 11 giorni del mese scorso tra Israele e Hamas.

Dopo aver chiuso alcune strade e la Porta di Damasco, la polizia israeliana ha arrestato i palestinesi a Gerusalemme prima della marcia.

La Mezzaluna Rossa ha detto che 27 persone sono rimaste ferite durante gli scontri con le autorità israeliane intorno al centro storico di Gerusalemme, tra cui tre da proiettili di acciaio ricoperti di gomma, uno da  essere  battuto e uno che era stato colpito da parte di una granata sonora. Due persone sono state ricoverate.

Le autorità hanno picchiato i venditori che lavoravano nei negozi vicino alla Porta di Damasco e li hanno allontanati dalla Città Vecchia. L’intera area intorno al cancello è stata sigillata nel primo pomeriggio di martedì, fatta eccezione per i membri della stampa, con diverse barricate erette per spianare la strada alla marcia dei coloni.

L’AFP ha riferito che più di mille israeliani sventolando bandiere nazionali si sono radunati nel bacino della Porta di Damasco all’inizio della marcia, cantando gli inni del movimento dei coloni dello stato ebraico.

Le autorità israeliane hanno anche deviato i voli verso la “Rotta del Nord” in entrata e in uscita da Israele, in previsione di una possibile escalation a Gaza.

La marcia correrà lungo le mura della Città Vecchia dalla Porta di Damasco alla Porta di Giaffa, prima di dirigersi verso il Muro Occidentale.

Sono attesi anche contro-manifestanti palestinesi a Gerusalemme e nelle città israeliane con un numero significativo di palestinesi, con alcuni gruppi palestinesi che chiedono un “giorno di rabbia” denunciando la marcia di estrema destra.

Il primo test del nuovo governo

La marcia della bandiera si tiene solitamente in occasione della Giornata di Gerusalemme, che segna l’occupazione da parte di Israele di Gerusalemme est nella guerra del 1967 in Medio Oriente.

La marcia riunisce migliaia di giovani israeliani religiosi di estrema destra, che cantano slogan anti-palestinesi e sventolano bandiere israeliane mentre attraversano le stradine della Città Vecchia di Gerusalemme est.

Inizialmente previsto per il 10 maggio, il percorso della marcia delle bandiere era stato deviato dal punto di infiammabilità della Porta di  Damasco tra le proteste palestinesi contro la prevista rimozione forzata dei palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah e le violente incursioni delle forze israeliane alla moschea di al-Aqsa .

La marcia delle bandiere sarà il primo test per il fragile governo di coalizione di Bennett, messo insieme dal centrista laico Yair Lapid, un ex presentatore televisivo, e comprendente otto partiti, che vanno dal partito di estrema destra Yamina di Bennett al partito laburista di sinistra e un partito islamista rappresentanti dei cittadini palestinesi di Israele.

Mentre Bennett è un membro di spicco dell’estrema destra israeliana, Netanyahu ha etichettato il nuovo governo come un governo “pericoloso” di “sinistra” e lo ha accusato di essere “la più grande frode elettorale nella storia” di Israele.

I suprematisti ebrei, tra cui il deputato israeliano Itamar Ben-Gvir , hanno nel frattempo promesso di partecipare alla marcia indipendentemente da ciò che il nuovo governo – o i palestinesi – potrebbero dire.

I coloni e l’estrema destra israeliana, inoltre, non sembra vogliano fermarsi alla manifestazione di oggi: è stato lanciato un appello per ulteriori marce e dimostrazioni contro il “furto delle terre da parte dei palestinesi”, da organizzare il prossimo 21 giugno in varie località della Cisgiordania. Mentre a Gerusalemme est, nei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan si continua a manifestare contro la confisca delle case palestinesi da parte della società immobiliare dei coloni israeliani ed è probabile che i palestinesi protesteranno contro la marcia degli estremisti israeliani, tentando di raggiungere e fermare il corteo.