Francia, passa la legge sulla “sicurezza globale”: vietato riprendere i pestaggi e gli abusi della polizia. Proteste di piazza in diverse città e spunta un video del pestaggio di un uomo di colore da parte della polizia

La legge è l’ultimo atto legislativo del presidente Macron, che con la scusa di controllare criminalità e terrorismo, impedisce la libertà di stampa, garantisce anonimato e impunità all’operato delle forze dell’ordine, maggiore autonomia alla polizia locale e più armi in dotazione all’apparato repressivo, espandendo l’uso di droni di sorveglianza nelle aree di più alta microcriminalità.  L’articolo 24 del provvedimento rende di fatto reato riprendere con fotografie e filmati gli agenti di polizia in servizio.


Proteste in numerose città al grido di  “Sicurezza globale = dittatura totale”, o “Polizia offuscata, giustizia cieca” o “Repubblica in marcia verso la dittatura”.

Questo all’indomani del violento sgombero di centinaia di senza tetto, che per protestare contro lo sgombero del campo di Saint-Denis si erano accampati in Place de la Republique. In molti hanno pubblicato online immagini e filmati di quella che verrà ricordata come “la notte della vergogna”, in cui si vedono le forze dell’ordine colpire i manifestanti, accorsi subito dopo che gli agenti avevano rimosso le tende dei migranti installate nella piazza per chiedere un alloggio.

Gli agenti sono stati visti sollevare con forza le tende mentre le persone erano ancora all’interno e scuoterle fino a farle cadere a terra. “Quelli che resistevano sono stati presi a calci o picchiati con i manganelli”, ha riferito il capo della ONG Medici Senza Frontiere in Francia, Corinne Torre. La maggior parte delle persone accampate proveniva da Afghanistan, Somalia ed Eritrea. “Ad alcune è stato rifiutato l’asilo mentre altre sono nel limbo burocratico o stanno tentando di fare domanda”, ha specificato la Torre.

Intanto, dopo le immagini scioccanti dello sgombero violento in Place de la Republique, affiora un altro video sulla stampa, che mostra il pestaggio, da parte della polizia, di Michel un produttore musicale di colore, che rientrava nel suo ufficio dopo essersi accorto di non avere con sé la mascherina. Gli agenti sono entrati subito dietro di lui urlandogli frasi offensive come “sporco negro”, quindi lo hanno immobilizzato nel suo studio e sottoposto a un pestaggio di violenza inaudita per circa 13 minuti. Hanno pestato anche gli altri artisti accorsi in aiuto di Michel

https://www.youtube.com/watch?v=-rSlwghJKYs

Engels e lo stato -ripreso da Lenin in Stato e rivoluzione – base teorica indispensabile nella lotta su carcere e repressione

28 novembre – giornata di celebrazione del 200° anniversario della nascita di Engels dalle ore 16 collegati con                  https://meet.google.com/ttp-vfog-idi

“Lo Stato dunque – dice Engels, arrivando alle conclusioni della sua analisi storica – non è affatto una potenza imposta alla società dall’esterno e nemmeno “la realtà dell’idea etica”, “l’immagine e la realtà della ragione”, come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'”ordine”; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato” [1] (pp. 177-178, sesta edizione tedesca).

2. Distaccamenti speciali di uomini armati, prigioni, ecc.

“…Il secondo punto è l’istituzione di una forza pubblica che non coincide più direttamente con la popolazione che organizza se stessa come potere armato. Questa forza pubblica particolare è necessaria perchè un’organizzazione armata autonoma della popolazione è divenuta impossibile dopo la divisione in classi… Questa forza pubblica esiste in ogni Stato e non consta semplicemente di uomini armati, ma anche di appendici reali, prigioni e istituti di pena di ogni genere, di cui nulla sapeva la società gentilizia… “. [2]

 

[ La forza pubblica] “…si rafforza nella misura in cui gli antagonismi di classe all’interno dello Stato si acuiscono …

 

 

Pestaggi nel carcere di San Gimignano: a giudizio 4 agenti per tortura

da osservatorio contro la repressione

Nel nostro Paese è il primo rinvio a giudizio per reato di tortura commesso dai pubblici ufficiali. Parliamo dei presunti pestaggi avvenuti nel carcere toscano di San Gimignano l’11 ottobre del 2018. Il giudice dell’udienza preliminare di Siena ha rinviato a giudizio quattro agenti penitenziari in servizio accusati di aver esercitato una inaudita violenza nei confronti del detenuto tunisino Meher. Nello stesso tempo condannato a 4 mesi un medico per omissioni d’atti di ufficio, perché non avrebbe visitato il detenuto quando era semi nudo e dolorante in cella di isolamento.«Parliamo di una importante pronuncia – spiega a Il Dubbio l’avvocato Michele Passione, parte civile per conto del Garante Nazionale delle persone private della libertà -, perché per la prima volta un reato di tortura viene sottoposto ad un vaglio di merito per condotte di pubblici ufficiali, questo perché la convenzione Onu ratificata dall’Italia consegna il particolare disvalore in fatto di reato quando commesso da pubblici ufficiali. Se lo Stato si dimostra inaffidabile – osserva sempre l’avvocato Passione -, è giusto che venga perseguito con un reato specifico qual è la tortura. Importante che il Garante e varie associazioni siano state in questa vicenda processuale accanto ai detenuti per non farli sentire soli».

Soddisfatte le difese di parte civile

Raggiunte da Il Dubbio anche le difese di parte civile per conto dell’Associazione Yairaiha e del detenuto, testimone dei fatti, che denunciò l’accaduto a San Gimignano tramite una lettera spedita all’associazione e che il nostro giornale ha pubblicato per la prima volta. «Oggettivamente un diverso risultato – spiegano le avvocate Caterina Calia, Simonetta Crisci e associazione Yairaiha -, alla luce degli elementi emersi dalle indagini, era difficilmente ipotizzabile. Le denunce sporte dai detenuti, le convergenti dichiarazioni delle persone sentite, la mole delle intercettazioni nonché le immagini tratte dai video di sorveglianza potevano avere una lettura unica e chiara. Il dato positivo è rappresentato, in ogni caso, dal fatto che in questa fase le richieste di accusa sono state interamente accolte ed il rinvio a giudizio è avvenuto per tutti gli imputati e rispetto a tutti i capi di imputazione. Il dibattimento potrà ancora meglio evidenziare come l’uso della violenza ingiustificata abbia integrato il reato di tortura. A nostro parere, l’uso della violenza, fisica e psicologica, da parte di appartenenti alle forze dell’ordine in servizio, nei confronti di una persona privata della libertà personale ed alla completa mercé delle figure che dovrebbero occuparsi non solo della sua sorveglianza ma anche della sua sicurezza, è una circostanza in grado di produrre uno stato di terrore ed afflizione, difficilmente descrivibile, anche in chi non viene immediatamente fatto oggetto dei medesimi ripetuti e brutali atti, ma assiste agli stessi come gli altri ristretti nella sezione di isolamento del carcere di San Gimignano».

Il detenuto sottoposto a un trattamento inumano e degradante

Ciò che sarebbe accaduto, tra l’altro supportato in parte anche dalle telecamere di video sorveglianza in servizio a San Gimignano, è ben descritto dalla pubblica accusa. Gli agenti avrebbero provocato al detenuto Meher acute sofferenze fisiche e psichiche  sottoponendolo ad un trattamento inumano e degradante, abusando dei poteri o comunque violando i doveri inerenti alla funzione o al servizio svolto, con il pretesto di doverlo trasferire da una cella ad un’altra «con condotte di violenza – sottolinea la procura – , di sopraffazione fisica e morale e comunque agendo con crudeltà e al solo scopo di intimidazione nei confronti del medesimo Meher e degli altri detenuti in isolamento».  Secondo l’accusa, il fatto sarebbe stato commesso attraverso una pluralità di condotte di violenza fisica, violenza psichica, ingiuria e gratuita umiliazione, avvalendosi della forza intimidatrice correlata al numero elevato di concorrenti.

Pugni, minacce  e insulti

Secondo quali modalità avrebbero commesso la tortura? Si sarebbero riuniti volontariamente in 15 unità, fra ispettori, assistenti e agenti, presso il reparto isolamento, dietro invito degli Ispettori e per poi dirigersi – tutti previamente indossando guanti di lattice – presso la cella di Meher. Gli agenti, cogliendolo di sorpresa, avrebbero preso per le braccia il detenuto che usciva dalla cella munito degli accessori per fare la doccia e lo avrebbero brutalmente sospinto verso il corridoio, facendogli anche perdere le ciabatte. Uno degli imputati, un assistente capo, facendosi largo tra i colleghi, gli avrebbe sferrato un pugno sulla testa. Poi lo avrebbe gettato a terra, circondandolo (in modo tale da creare una sorta di parziale schermo rispetto alle telecamere) e colpendolo con i piedi in varie parti del corpo. Il pubblico ministero poi sottolinea che l’agente avrebbe minacciato il detenuto che gemeva e gridava per la violenza che stava ricevendo. Lo avrebbe ingiuriato con frasi del seguente tenore: «Figlio di puttana!», «Perché non te ne torni al tuo paese»; «Non ti muovere o ti strangolo», «Ti ammazzo» e al tempo stesso avrebbe urlato contro tutti i detenuti presenti nel reparto: «infami, pezzi di merda, vi facciamo vedere chi comanda a San Gimignano! ».  Non solo, avrebbe rialzato da terra il detenuto e continuato a spintonarlo per farlo camminare per poi, di nuovo, gettarlo a terra.Tutto qui? No, Altri due agenti penitenziari, nel frattempo, avrebbero immobilizzato Meher mentre si trovava a terra, tenendolo rispettivamente per il braccio e per collo, ponendolo con la faccia a terra. Sempre l’assistente capo gli sarebbe montato addosso con il suo peso ponendogli un ginocchio sulla schiena all’altezza del rene sinistro. Lo avrebbe poi fatto rialzare togliendogli i pantaloni, per poi iniziare di nuovo a trascinarlo, mentre un altro agente lo avrebbe afferrato nuovamente per la gola e sempre l’assistente capo gli avrebbe torto un braccio dietro la schiena, per poi trascinarlo nella nuova cella. Ma non si sarebbero esaurite qui le violenze. Assieme ad altri cinque poliziotti, l’assistente capo avrebbe continuato a picchiarlo con schiaffi e pugni all’interno della cella di destinazione, per poi lasciarlo lì semi nudo e senza fornirgli coperte e il materasso della branda, almeno fino al giorno seguente.

Damiano Aliprandi

Sardegna. Nuova persecuzione contro gli indipendentisti – -Solidarietà da Soccorso Rosso proletario

Questa mattina la digos ha effettuato una perquisizione nell’hinterland di Cagliari, contro un giovane militante dell’area antagonista e indipendentista.

Il motivo delle perquisizioni sarebbe la ricerca di materiale informatico, audio, video o testuale riconducibile all’azione dimostrativa avvenuta lo scorso 6 novembre al Bastione di Saint Remy, quando una grande bandiera tricolore è stata data alle fiamme, propriola sera in cui entrava in vigore il coprifuoco notturno stabilito dall’ultimo dpcm come norma di contrasto alla diffusione del contagio da coronavirus.

I reati ipotizzati nel mandato di perquisizione comprenderebbero il vilipendio della bandiera italiana, l’incendio doloso e il danneggiamento, anche se al momento non è chiaro se questi reati siano contestati al compagno sottoposto a perquisizione, assistito dalle avvocate Cabras e Lai, e a cui va in ogni caso tutta la nostra solidarietà e il nostro appoggio.

Per il fatto sta procedendo la Direzione Distrettuale Antiterrorismo di Cagliari.

Quando abbiamo visto le immagini di quella bandiera data alle fiamme e abbiamo letto il messaggio di rivendicazione, non abbiamo potuto fare a meno di leggervi una contestazione ribellistica, con una venatura di “balentia” giovanile.

Però le radici politiche del gesto sono molto più serie, a prescindere dalle reali intenzioni degli autori.

La scorsa primavera è stato impedito deliberatamente che la Sardegna potesse difendersi dal ritorno dell’epidemia e ogni volontà di limitare il flusso turistico attraverso quarantena o tamponi obbligatori è stata ridicolizzata dal governo e dagli apparati dello stato italiano.

A causa di ciò l’economia della Sardegna vive una crisi senza precedenti e i sardi sono costretti a subire restrizioni dei propri diritti individuali.

Come possiamo non essere d’accordo che questo sia un trattamento di tipo coloniale, come scritto nella rivendicazione di quel falò notturno avvenuto lo scorso 6 novembre sulla scalinata monumentale del bastione che fu ribattezzato in onore del barone di Saint Remy, primovicerè piemontese che governò la Sardegna esattamente 300 anni fa.

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UDIENZA PRELIMINARE 12 OTTOBRE 2020 – SIT IN DINANZI AL TRIBUNALE DI NUORO

I PASTORI NON SI ARRESTANO.

Il pubblico ministero procede con la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di quattro pastori, tre dei quali difesi dagli Avv. Lai, Sollai, Zuddas e Cabras, per la protesta svoltasi a Lula il 13 febbraio 2019, con fissazione dell’udienza preliminare per il prossimo 12 ottobre, ore 9:00, presso il Tribunale di Nuoro.



Sulla richiesta di rinvio a giudizio deciderà, questa volta, il giudice per l’udienza preliminare Dott. Cannas.

Ricordiamo che per gli stessi fatti un altro giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nuoro, ha confermato l’archiviazione nei confronti di altri tre partecipanti alla medesima manifestazione.

Le ipotesi delittuose contestate sono le medesime: art. 1 d.lgs. 66/48 (blocco stradale) e art. 18 T.U.L.P.S (organizzazione di manifestazione non autorizzata), con l’aggravante delle più persone riunite.

Vogliamo ricordare in questa occasione che le proteste sono state provocate dallo sfruttamento di cui sono vittima i pastori sardi, che vedono il loro lavoro umiliato da un pagamento irrisorio del latte. E che in tutti questi mesi, nonostante si sia fermata la mobilitazione, le promesse non sono state rispettate lasciando che i prezzi rimanessero bassissimi e non facendo niente per rendere strutturale un pagamento equo degli stessi.

Per tutto questo invitiamo la popolazione a partecipare al sit-in davanti al tribunale di Nuoro, dalle ore 9:00, consci dell’importanza che la solidarietà tra i cittadini comuni e i soggetti colpiti dalla repressione sia il migliore strumento per non lasciare nessuno solo ad affrontare i procedimenti penali per fatti derivanti da legittime proteste.

Associazione Libertade

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