Sui 55 avvisi di garanzia arrivati ai detenuti di Rebibbia

LA GIUSTIZIA DELLO STATO: PRIMA LA VIOLENZA, POI LA VENDETTA.

Da Rete evasioni

Tra il finire di febbraio e inizi di marzo la presenza del Covid in Italia e nel mondo comincia a preoccupare e spaventare. Non se ne capisce bene l’entità né la reale pericolosità e scienziati, medici e politici si contraddicono a vicenda. Vengono istituite le prime “zone rosse” a livello locale, fino all’annuncio della chiusura a livello generale.
Le indicazioni governative sono quelle di mantenere la distanza di almeno 1 metro, di indossare la mascherina e di uscire di casa solo in caso di “necessità”. Bisogna insomma evitare il contatto con le altre persone, è questo l’unico modo per non essere contagiati.
Anche nelle carceri, tra le persone prigioniere cresce la paura: come è possibile proteggersi da questo virus quando si sta ammassati in celle di pochi metri quadri? Come farlo se la direzione penitenziaria non fornisce neanche il minimo di dispositivi di protezione (le mascherine)?
Vengono sospesi i colloqui e i permessi premio.
La paura si trasforma in rabbia nel momento in cui ci si rende conto che nel dibattito pubblico di quei giorni non trova spazio l’argomento carcere. A nessuno sembra interessare quello che potrebbe capitare nelle prigioni. A nessun ministro (né al ministro della giustizia Bonafede, né a quello della salute Speranza) viene in mente di cercare una soluzione che tuteli la salute e l’incolumità delle persone recluse.
Di fronte a tanto disinteresse l’unica scelta che rimane alle persone detenute è quella di alzare la voce, ribellarsi, rivendicare in maniera forte la necessità di uscire, cercare di smuovere questa situazione di immobilismo che rischia di nuocere seriamente alla loro salute.
A partire dal 7 marzo nelle carceri di Roma, Torino, Modena, Milano, Foggia, Napoli, Melfi (e di tantissime altre città) avvengono rivolte e tentativi di fuga. Nessuno vuole morire in gabbia, la situazione è altamente pericolosa e alla richiesta, rivolta alle istituzioni, di amnistia ed indulto si aggiunge quella che almeno chi ha pene brevi, età avanzata o patologie pregresse possa uscire da quelle mura onde evitare di contagiarsi.
Dall’esterno delle galere in varie città, parenti, familiari, solidali, amiche e amici delle persone prigioniere, si recano sotto quelle mura infami a gridare il proprio sostegno ai rivoltosi e alla rivoltose con cori, saluti e manifestazioni d’affetto. La presenza solidale tenta di amplificarne la voce e le richieste anche all’esterno.
Mentre l’epidemia avanza, nessuna ASL di competenza prende parola sull’insalubrità della condizione detentiva, rendendosi di fatto complice dei carcerieri e sarà solo grazie alle rivolte che finalmente saranno adottate alcune misure minime di prevenzione sanitaria.
La risposta dello Stato alle proteste è repressiva e brutale: pestaggi, violenze, soprusi e torture per ripristinare il proprio ordine, un valore che le istituzioni collocano ben al di sopra della salute della gente e che va difeso ad ogni costo!
Sono 14 i morti provocati dalla repressione delle rivolte. Alcune persone verranno anche trasferite da un carcere all’altro (in barba a tutte le misure consigliate per limitare la diffusione del contagio) per farne sparire le tracce o per punizione. La direzione del carcere di Santa Maria Capua Vetere ammette persino pubblicamente che, in ritorsione, sono state compiute torture ai danni delle persone prigioniere (lo stesso è avvenuto, pur senza ammissione, in svariate altre carceri).

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TARANTO – PROCESSO RENZI – TUTTI ASSOLTI!

La sentenza di ieri di assoluzione al Processo Renzi per tutti (ad eccezione di tre mesi per uno, per oltraggio) emessa a tarda ora dalla Giud. Misserini, rende verità e giustizia ad una manifestazione pienamente legittima e motivata, di protesta per la venuta a Taranto a fine luglio 2016 dell’allora capo del governo Renzi.
La manifestazione era stata organizzata dallo Slai cobas e in prima fila nella contestazione a Renzi erano infatti operai dell’Ilva, lavoratori cimiteriali, lavoratori e lavoratrici precarie. Via via la piazza di fronte al museo si riempì di varie associazioni, molte dei Tamburi, donne, madri che avevano visto anche figli e familiari morire, ambientalisti, cittadini, fino a più di 300 persone.
Che essa fosse legittima è stato riconosciuto ieri dalla stessa PM, “a fronte della sofferenza dei cittadini” – come ha detto; lavoratori, donne, cittadini che – come ha sottolineato l’avvocato venuto da Torino, Gianluca Vitale, difensore dello Slai cobas sc  – vedevano Renzi venire a Taranto dopo tanti decreti salva Ilva e nulla a difesa della salute e per
giunta andarsene a fare una cerimonia dentro il Museo, sottraendosi pure ad un rapporto con la gente. Sempre l’avv. Vitale, che ha messo soprattutto in luce il clima e il significato politico della manifestazione ma anche di quello che era successo oggetto del processo, ha evidenziato la contraddizione di Forze dell’ordine che prima non fanno alcun ostacolo alla manifestazione e poi improvvisamente (all’arrivo di Renzi) cercano di respingere indietro i manifestanti, quasi a dire che anche le sole voci di protesta non dovessero arrivare alle orecchie di  Renzi, e che, quindi, poichè arrivava Renzi non vi era più la libertà di manifestare…
La sentenza riconosce che nessuno reato è stato commesso e i fatti contestati non sussistono. Così come ha dovuto riconoscere che non vi è stato alcun reato nei confronti dell’On. Pelillo, a fronte invece di una evidente provocazione dello stesso Pelillo di passare sprezzante tra i manifestanti e di una legittima reazione da parte degli stessi.

Una giusta sentenza, quindi, venuta dopo alcune richieste di condanna spropositate e totalmente ingiustificate (in contrasto anche col riconoscimento inziale della legittimità della protesta) proposte dalla PM, addirittura di 2/3 anni.

Lo Slai cobas sc ad ogni udienza ha fatto sì che questo processo non avvenisse nel silenzio, nel chiuso del Tribunale; ha mantenuto vive e forti le ragioni della protesta. E questo non è stato irrilevante nella decisione.
Quelle ragioni sono vive e necessarie anche oggi. E questa sentenza deve incoraggiare tutti che quando la lotta è giusta si deve fare!

SLAI COBAS per il sindacato di classe

solidali con gli anarchici processati a Torino

info stampa

Scripta Manent, contestazioni al processo d’appello agli anarchici

Il primo grado si era concluso con 5 condanne e 18 assoluzioni
TORINO. Breve contestazione, oggi nell’aula bunker del carcere di Torino, all’udienza di appello di Scripta Manent, uno dei più importanti processi contro l’eversione di matrice anarchica. Ventitré gli imputati accusati di avere dato vita alle Fai-Fri, i gruppi che dal 2003 al 2016 si sarebbero resi autori di una quantità di «azioni dirette» – da ordigni a plichi esplosivi – contro politici, giornalisti, forze dell’ordine.
Poco prima che l’udienza iniziasse, un gruppo di anarchici, tra il pubblico, ha «espresso disprezzo per un meccanismo a cui non ci adegueremo mai» e ha salutato «i compagni» in carcere. «Viva l’anarchia, sempre a testa alta» hanno detto prima di uscire dall’aula.
Il processo di primo grado si era concluso con 5 condanne (Anna Beniamino a 17 anni, Alfredo Cospito a 20 anni, Nicola Gai a 9 anni, Marco Bisesti, a 5 anni, Alessandro Mercogliano a 5 anni) e 18 assoluzioni.
In primo grado era rimasta valida l’ipotesi dell’esistenza di una vera e propria associazione con finalita’ di terrorismo, i cui esponenti principali risiedevano a Torino. «Le cellule anarchiche delle Fai-Fri sono la Chiampions League dell’eversione» aveva spiegato il pubblico ministero Roberto Sparagna.
A cadere era stata l’accusa di istigazione a delinquere, legata agli innumerevoli articoli, proclami e testi di rivendicazione – almeno 300 – comparsi nel corso degli anni su riviste e siti di area (in particolare«Croce Nera»).

Il TAR annulla i Fogli di Via da Saluzzo.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte ha annullato i Fogli di Via emessi dal questore di Cuneo ai danni di un lavoratore agricolo stagionale e di un solidale in reazione alla manifestazione per il diritto alla casa del 18 giugno 2020.

Il 18 giugno oltre un centinaio tra lavoratori stagionali della frutta e solidali partecipavano ad un presidio sotto al Comune di Saluzzo. I braccianti, costretti a vivere per strada e nei parchi, chiedevano una soluzione abitativa (1). Dopo un tavolo insoddisfacente la manifestazione si era fatta strada per la città, bloccando il traffico e dando prova di grande determinazione, nonostante l’atteggiamento intimidatorio delle Continua a leggere