soccorso rosso proletario sta proponendo e lavorando per una assemblea nazionale contro la repressione

sulla base di un appello provvisorio lanciato nelle scorse settimane e pubblicato su questo blog

in vista di essa viene proposta una riunione preparatoria il 27 settembre a Bologna aperta a tutte le forze e i compagni interessati per prepararla insieme e ridefinendo data luogo  e appello

data la presenza a bologna il 27 per l’assemblea nazionale delle lavoratrici e lavoratori ccombattivi,- , sala Dumbo, in via Casarini 72.dalle 9.30 – di alcuni compagni lavoratori interessati alla riunione aperta di RSP l’appuntamento è alle ore 14 ad latere

soccorso rosso proletario

per contatti- info – adesioni

srp@inventati.org

 

Ravenna: condannati antifascisti per avere coperto simboli nazisti. Appello di proletari comunisti-Ravenna per una mobilitazione cittadina antifascista

https://www.fanpage.it/

Ravenna, coprirono le svastiche con dei fiori: attivisti condannati per imbrattamento.

Tre attivisti ravennati di 26, 38 e 54 anni della locale rete antifascista sono stati condannati per imbrattamenti aggravati a pene comprese tra venti giorni e un mese. Avevano coperto delle svastiche disegnando dei fiori e contestato, con una scritta, la commemorazione della morte di un gerarca fascista.
ATTUALITÀ 10 SETTEMBRE 2020  Disegnare dei fiori per coprire una svastica realizzata sul muro di una scuola o fare una scritta sulla recinzione di un cimitero per contestare la commemorazione
dell’anniversario della morte di un gerarca fascista sono atti vandalici, nient’altro che imbrattamenti. È questo l’orientamento del Gup del Tribunale di Ravenna che, come racconta il Resto del Carlino, ha condannato tre attivisti di 26, 38 e 54 anni della locale rete antifascista per imbrattamenti aggravati a pene comprese tra venti giorni e un mese.
Ai tre, che avevano presentato ricorso rispetto ad altrettanti decreti penali, erano stati contestati a vario titolo due episodi risalenti al 2018. L’avvocato Giovanni Fresa aveva chiesto l’assoluzione se non altro con la formula della particolare tenuità dei fatti, citando sentenza di Cassazione per episodio analogo avvenuto a Milano.
Il caso delle simbologie naziste coperte su una scuola d’infanzia ravennate risale a due anni fa ed aveva interessato anche la politica. Con il duro giudizio che allora aveva espresso il presidente dell’Anpi di Alfonsine Claudio Fabbri, in relazione alla presa di posizione del Comune di Ravenna contro la rete antifascista: “Da un Comune come Ravenna, decorato Medaglia d’Oro della Resistenza, mi aspettavo maggiore sensibilità antifascista. Per mesi svastiche e altri simboli hanno campeggiato indisturbati su quei muri, e non appena un gruppo di cittadini si è stufato di una simile vergogna e ha provveduto alla cancellazione di quello scempio, lo stesso Comune si è affrettato a puntare il dito contro la rete antifascista chiedendo di procedere penalmente”.

Il comunicato stampa di proletari comunisti Ravenna
La migliore solidarietà agli antifascisti condannati per aver coperto simboli nazisti a Ravenna va portata nelle piazze cittadine.
La risposta necessaria all’altezza della situazione è riorganizzare la Rete Antifascista.
Il Tribunale della borghesia e le forze dell’ordine di questa città non è certo la prima volta che si distinguono nella persecuzione di attività antifasciste che escono dai confini di un antifascismo sterile, elettoralistico, autoreferenziale.
Della svastica sul sacrario di Camerlona, dell’oltraggio neofascista a Ponte degli Allocchi di qualche mese fa, per citare solo gli ultimi esempi, uniti all’autorizzazione questurina della commemorazione dell’assassino fascista Muti, con tanto di scorta poliziesca, che, di fatto, legittima l’apologia di fascismo, al contrario, non hanno dato luogo ad alcuna azione repressiva.
Di quei simboli nazisti davanti ad una scuola non si è occupato nemmeno il comune a guida PD, nè tantomeno il direttore scolastico. Per loro, evidentemente, non c’era nessun problema di decoro o di apologia di fascismo!
L’assurdo provvedimento repressivo del Tribunale di Ravenna si inserisce in un clima generale che a livello nazionale punta a reprimere l’antifascismo militante, così come le lotte sociali e politiche anticapitaliste, antirazziste e antimperialiste, quelle dei lavoratori, la solidarietà con le rivolte carcerarie.
Se si comprende la portata dell’attacco repressivo non basta la difesa legale nelle aule dei Tribunali, ma bisogna riorganizzare le forze dell’antifascismo militante, coinvolgere studenti e lavoratori, portare la denuncia e l’appello alla mobilitazione nei quartieri.
Proletari comunisti fa appello per organizzare al più presto una mobilitazione cittadina. Prepariamo un’assemblea cittadina e un presidio nel luogo dove è stata fatta la giusta e necessaria pulizia dei simboli nazisti e davanti il Tribunale dei benpensanti borghesi.
Il fascismo non è un’opinione, è un crimine!
L’Antifascismo non si processa!
Ora e sempre RESISTENZA!
proletari comunisti-redazione di Ravenna
per contatti: prolcomra@gmail.com

Bolzano: Chieste condanne pesantissime per chi contestò “Il Muro del Brennero”

L’11 settembre ricomincia il processo contro le compagne e i compagni che hanno partecipato alla manifestazione contro la costruzione del muro al Brennero nel maggio 2016, per i quali la Procura di Bolzano chiede, come se nulla fosse, 338 anni di carcere.

Venerdì 7 febbraio 2020 un sostituto procuratore della Procura di Bolzano, Andrea Sacchetti, ha richiesto ad un giudice del Tribunale che 63 manifestanti scesi in strada al passo del Brennero nel maggio 2016 per impedire la costruzione del muro “antimigranti”, vengano condannati per 338 anni di carcere complessivi. Le pene richieste, attraverso l’accusa di “aver devastato e saccheggiato” non si sa bene cosa, vanno dai 15 anni ai 4 anni di carcere a persona, diminuite di un terzo per via della scelta del rito abbreviato. Non vogliamo qui entrare nel merito delle assurde e folli richieste del PM, su cui peraltro ci sarebbe molto da dire, deciso a seppellire sotto oltre tre secoli di carcere alcune decine di persone per aver manifestato o per essersi difesi dalle cariche della celere, ma vogliamo ricordare lo spirito che animò alcune centinaia di compagni in quella giornata.

I mesi che precedettero la manifestazione del 7 maggio di quattro anni fa furono difficili, e per certi versi, angoscianti. Ricordiamo le centinaia di profughi bloccati alla stazione di Bolzano, la violenta campagna politica della Lega e dei fascisti di tutte le risme, tesa a fomentare paura e disumanizzare stranieri e rifugiati, ricordiamo le marce di Forza Nuova e dei nazisti della Npd per le strade di Bolzano.

Ricordiamo le stragi nel Mediterraneo, le migliaia di uomini e donne, rimasti senza nome, morti scappando da guerre e miseria spesso provocata dalle armi o dalle multinazionali del capitale occidentale. Ricordiamo le persone morte mentre tentavano di fuggire dai lager della Libia, dove le donne venivano, e vengono, sistematicamente stuprate e gli uomini torturati per estorcere loro denaro.

Ricordiamo il racial profiling, i controlli al viso nella stazione dei treni di Bolzano, dove i carabinieri del reparto mobile venivano impiegati per impedire che persone di pelle scura salissero sui treni diretti a Monaco.

Ricordiamo le minacce di esponenti dello Stato austriaco con i suoi soldati e mezzi militari schierati al confine e le sue proposte “tecniche” per risolvere la crisi migratoria: muri, fili spinati e detenzione amministrativa. Ricordiamo le violenze subite dai profughi siriani ad Idomeni ed il muro di filo spinato fra Serbia ed Ungheria.

Negli ultimi anni la campagna di odio e contro i poveri che vengono “a fare la pacchia” è proseguita ed imbroglioni razzisti di diversi partiti ci hanno fatto credere che la nostra sicurezza sia messa in pericolo da povera gente che scappa dalle bombe o dalla povertà.

Dopo averci terrorizzato, i decreti di Minniti, seguiti da quelli “sicurezza” voluti da Salvini e dal movimento 5 stelle, venduti politicamente per “rassicurare” i cittadini, hanno aperto la strada alla crimininalizzazione e alla repressione di chi salva vite in mare, oltre ad aver legittimato gli aguzzini che gestiscono i lager libici e ad essere soprattutto strumenti di repressione delle lotte degli operai e delle operaie che scioperano contro lo sfruttamento del lavoro che sempre più persone, in particolare immigrati e senza documenti, sono costretti a sopportare.

Oltre a ciò si sono moltiplicati, dalla Francia all’Ungheria, dall’Italia alla Croazia, provvedimenti legislativi che intendono criminalizzare, attraverso multe oppure pene detentive, la solidarietà verso chi è un “clandestino” senza documenti, per isolarli, fomentando delazioni, paura, rabbia e solitudine. Abili demagoghi razzisti come Orban, Trump, Strache o Salvini hanno costruito politicamente la propria fortuna scaricando sugli stranieri la rabbia e le tensioni sociali provocate da politiche, da essi stessi sostenute, che difendono esclusivamente gli interessi grondanti di sangue, di grandi industriali, multinazionali e speculatori finanziari.

Centinaia di compagni e compagne sono scesi in strada al Brennero, 4 anni fa, per rompere l’indifferenza e l’inerzia con cui ormai troppe persone, accettano tutto, anche le peggior ingiustizie, consapevoli che non sarebbe stata sufficiente la marcia simbolica.

Centinaia di compagni e compagne si sono assunti una responsabilità, ed hanno voluto interrompere la tragica normalità con cui certe decisioni vengono prese, come le guerre, i bombardamenti o la possibile costruzione di un muro a dividere due popolazioni, muri che non appartengono al passato, come vorrebbero farci credere coloro che celebrano solo la caduta del muro di Berlino, ma costituiscono un tragico presente: dal muro fra Israele e territori occupati palestinesi al muro fra Messico e Stati Uniti, dal muro fra Turchia e Siria alle barriere fra Serbia e Ungheria. Muri e fili spinati producono morte, paura, odio e razzismo.

Centinaia di compagni hanno voluto rompere la mediocre apatia con la quale la maggioranza della popolazione vive ed apprende le più inaccettabili decisioni dei governi, attraverso uno schermo televisivo oppure limitandosi a commentare un inutile post su Facebook.

Non possiamo dimenticare la giovane etiope Rawda Abdu morta nel novembre 2016, investita da un treno a Borghetto dopo essere stata respinta dalla frontiera, il diciassettene eritreo Abeil Temesgen, morto nello stesso periodo nel tentativo di passare il Brennero, oppure i profughi morti assiderati in Austria il mese dopo, su un treno merci proveniente da Verona. Quella giornata è anche per loro, come per tutti coloro che sono caduti ricercando una vita migliore.

Così come oggi la propaganda politica razzista e fascista è costruita in massima parte sulla falsificazione e mistificazione della realtà, anche il processo inquisitorio istituito dal sostituto procuratore Andrea Sacchetti, animato probabilmente anche da un certo odio ideologico, non si discosta da tale impostazione retorica dominante. Le sue deliranti ed assurde richieste tuttavia non ci stupiscono perché sappiamo bene, come scriveva Stig Dagerman, che “chi costruisce prigioni s’esprime sempre meno bene di chi costruisce la libertà”.

SOLIDARIETA’ AI COMPAGNI SOTTO PROCESSO PER LA MANIFESTAZIONE DEL BRENNERO

Bolzano Antifascista

Il nemico interno: Il movimento NoTap a processo

Da osservatorio repressione

Che cos’è la violenza ?
Quanto ne è permeato il nostro ordinamento giuridico ?
Il diritto penale è uno strumento per combatterla o per esercitarla?
L’11 settembre a Lecce, in due luoghi diversi della città, avranno inizio in contemporanea le udienze per il maxiprocesso contro il movimento No TAP e quelle contro i vertici della società Trans Adriatic Pipeline.

Luoghi diversi, dicevo, perché 92 compagne e compagni salentini che in questi anni si sono oppost* alla devastazione del loro territorio verranno processat* nell’aula bunker attigua al carcere della città, mentre i 19 imputati di TAP e appaltatori si accomoderanno presso il tribunale di Lecce.

L’utilizzo delle aule bunker per i processi ai movimenti fa ormai parte di una tradizione consolidata, inaugurata nove anni or sono dalla magistratura di Torino che scelse l’aula bunker del carcere delle Vallette per il dibattimento a carico di due sindaci della Val Susa, inquisiti per una manifestazione No TAV.
Una decisione finalizzata evidentemente ad equiparare i movimenti per la difesa ambientale e sociale alla lotta armata di quasi mezzo secolo fa ed alla criminalità organizzata di ieri e di oggi, a cui l’aula in questione era destinata.
Quei sindaci vennero assolti, ma la criminalizzazione rimase.
Contro il movimento No TAV venne ancora ampiamente utilizzata l’aula bunker, così come gli strumenti della legislazione emergenziale sviluppati contro le organizzazioni armate ed applicati a un’opposizione popolare1.

La scelta della location ebbe un successo che riuscì travalicare i confini del Piemonte.
A Modena, come ci racconta su Carmilla Giovanni Iozzoli, l’aula bunker adiacente al carcere viene usata per i procedimenti contro gli operai e i sindacalisti del Si Cobas “colpevoli” di lottare alla Alcar Uno e all’Italpizza, in un territorio che ha fatto già da scenario al tentativo (fallito) della procura di trasformare le vertenze per la regolarità salariale in reato di estorsione, il riscatto della dignità del lavoro in attività delinquenziale.

Domani l’aula bunker del carcere di Lecce vedrà alla sbarra 92 compagne e compagni salentin*, riunit* in un maxiprocesso potpourri che accorpa tre procedimenti diversi, per fatti avvenuti in tempi e luoghi differenti.

La contestazione più frequente, con buona pace dei diritti costituzionali, riguarda il reato di manifestazione non preavvisata, attribuito a soggetti responsabili di aver “sventolato bandiere ed esibito striscioni con la scritta No TAP” , “usato il megafono per lanciare appelli e slogan“, “usato un fischietto per attirare l’attenzione dei passanti“.
Alcuni sono accusati di violenza per aver tentato di impedire il transito delle autovetture di TAP stendendosi sul cofano col proprio corpo, o ponendosi di fronte alle macchine.
E’ questa, dunque, la violenza, per gli esegeti del codice penale.

Fra gli imputati di domani vi sono anche i 52 che il 9 dicembre 2017, dopo un corteo contro il gasdotto, raggiunsero a piccoli gruppi attraverso le campagne uno dei cancelli posti a delimitazione dell’area di cantiere di San Basilio (Melendugno), fermandosi ad intonare dei cori di protesta.
Sulla via del ritorno vennero inseguiti nei campi dagli agenti in tenuta antisommossa, con lanci di lacrimogeni e con l’elicottero della polizia di Stato che calava bassissimo sulle loro teste.
Vennero catturati, ammanettati e costretti in ginocchio fra pietre e rovi, con i cellulari requisiti per impedire che chiamassero gli avvocati, aggrediti coi manganelli ad ogni tentativo di protesta.
Una delle ragazze inseguite dagli agenti, che era caduta rompendosi una gamba, rimase a lungo senza soccorso. L’ambulanza del 118, giunta a San Basilio su chiamata di altri manifestanti, venne infatti bloccata al varco e respinta dalle forze dell’ordine, che poi si preoccuparono di portare la compagna non all’ospedale ma alla questura di Lecce.
All’interno della questura, gran parte dei fermati vennero chiusi per ore nelle celle di sicurezza senza poter andare in bagno per molto tempo.
Le donne venivano accompagnate fin sulla soglia dei bagni da agenti di sesso maschile, e una delle compagne ha avuto modo di denunciare insulti sessisti e omofobi giunti a suo carico.
Solo dopo ore di attesa sotto la pioggia battente, gli avvocati presenti vennero informati del fatto che tutti i manifestanti sarebbero stati rilasciati, e che nei loro confronti sarebbe stata formalizzata una denuncia a piede libero per i reati di riunione non preavvisata, inosservanza dei provvedimenti dell’autorità ed accensioni pericolose2.
Con queste accuse andranno domani a processo, dovendo affrontare la violenza di un giudizio che li vede sul banco degli imputati e non su quello delle parti lese e, prevedibilmente, l’ulteriore violenza dell’impunità riservata ai loro aggressori.
Inutile dire che le loro denunce per il trattamento subito rimangono ancora “in fase di indagine e a carico di ignoti”, perché nel Belpaese – come altrove – l’obbligatorietà dell’azione penale è uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale che per altri.

Fra i militanti del movimento molti hanno già ricevuto pesanti sanzioni amministrative (soprattutto per blocco stradale) per aver tentato di ostacolare la costruzione di un’opera devastante, climalterante, platealmente speculativa.
Multe insostenibili per giovani disoccupati e precari o per chi vive del proprio lavoro, con mutuo e figli a carico, in una regione del sud e in tempo di crisi.
La repressione economica è una forma  di violenza ampiamente utilizzata contro i movimenti, secondo un copione ancora una volta sperimentato in Val di Susa3.
Una forma  di violenza particolarmente ricattatoria, nel momento in cui costringe a mettere su un piatto della bilancia la difesa della propria terra, e sull’altro quanto costruito col lavoro di una vita.
Al momento gravano sul Movimento No TAP € 240,000 per sanzioni amministrative a carico dei militanti e € 70,000 per spese legali.

Gravano le sanzioni comminate tramite i  decreti penali di condanna per le violazioni dei fogli di  via, distribuiti dalla questura a piene mani4.
Grava indirettamente il prezzo pagato da chi ha perso il lavoro a causa delle restrizioni nella libertà di movimento, visto che molti destinatari dei fogli di via da Melendugno lavoravano come dipendenti negli alberghi delle sue marine.

Ma al di là dei risvolti economici, al di là dei manganelli e delle restrizioni  alla libertà personale, la violenza più grande è quella degli uliveti espiantati, dei fondali marini distrutti, dei pozzi avvelenati, dei danni irreversibili causati alla Natura.
Alcuni aspetti di questa violenza saranno oggetto del processo contro i vertici di TAP: le violazioni delle prescrizioni della VIA, i lavori svolti in assenza di autorizzazioni ambientali, idrogeologiche, paesaggistiche ed edilizie, gli espianti irregolari.
L’inquinamento delle falde attorno al pozzo di spinta, avvelenate con nichel, arsenico, manganese, bromo e soprattutto cromo esavalente, un potente cancerogeno e genotossico5.
Tutte violazioni al vaglio di una magistratura che non ha comunque fermato il cantiere, attuate all’interno di una Zona Rossa sottratta al controllo popolare per decreto prefettizio, perpetrate davanti a un nutrito schieramento di forze dell’ordine che non solo non le ha bloccate, ma le ha difese manu militari contro una popolazione che voleva impedirle.
Non mi aspetto, dati i precedenti sull’impunità di chi inquina (dal disastro di Seveso all’Ilva di Taranto …), che qualcuno paghi per tutto questo.
Il diritto penale ambientale è strutturato per tutelare il profitto, e non nei tribunali otterremo giustizia.
Ma nel coltivare la capacità di una risposta dal basso, a partire dalla abilità del Movimento di trasformare il terreno della criminalizzazione giudiziaria in una occasione di lotta, in un momento di verità.

Sostieni la Cassa di resistenza No TAP !

Ci siamo.

L’11 settembre partirà il maxi-processo contro 92 attivisti notap, colpevoli di aver lottato per difendere un territorio e un ideale.
Quasi cento imputati riuniti in un’aula bunker, di massima sicurezza, come fosse uno di quei processi che fanno la storia dell’avvocatura Italiana.
E noi, in quell’aula, la faremo davvero la storia!
Perché continueremo a camminare a testa alta, rivendicando i diritti di un intero territorio, perché non ci tireremo indietro davanti a chi cerca di imporre un modello di sviluppo anacronistico e imposto.
Perché siamo sempre più convinti di non essere nel torto.
Tutto il territorio é a processo quel giorno.
Tutta quella popolazione che, unita, continua a dire NO a chi vuole costringerci a un sistema estrattivista che non ci appartiene.
Lo stesso 11 settembre andranno a processo anche i vertici di TAP e le ditte esecutrici dei lavori, per reati a nostro giudizio ben più gravi.
E noi saremo presenti anche a quel processo, perché la nostra lotta non si ferma davanti a nulla, la nostra lotta va avanti sempre più forte.
Non si potrà mai processare la voce di una lotta che cerca di difendere il futuro.
Il nostro crimine è soltanto quello di essere in grado di sognare…

Movimento No TAP

Alexik da Carmilla

  1. Per approfondire: Livio Pepino (a cura di), Come si reprime un movimento: il caso TAV. Analisi e materiali giudiziari, Quaderni del Controsservatorio Valsusa, Edizioni Intra Moenia, 2014. 
  2. Avv. Elena Papadia, Difendere i Difensori della Terra. un dossier sulla repressione dei movimenti salentini, opuscolo dell’Associazione Bianca Guidetti Serra, ottobre 2018, pp.56. 
  3. Per approfondire: Prison Break Project, Ultimi  sviluppi  della  criminalizzazione  delle  lotte:  la “repressione  economica, p. 9, luglio 2015. 
  4. Alcune sentenze, come questa, ne hanno ratificato l’illegittimità. 
  5. Agostino di Ciaula, Il rilascio di cromo esavalente da opere realizzate nel cantiere TAP impone la rapida adozione di misure finalizzate alla tutela di ambiente e salute, ISDE, 12 agosto 2019. 

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