Corteo 20 giugno a Milano – “Non vogliamo tornare alla normalità”

FINITO IL LOCKDOWN, TORNA LA NORMALITÀ

Una normalità, che per molti aspetti non si è mai fermata, fatta di sfruttamento degli esseri umani, dei territori e delle risorse.
Questa è la normalità del sistema capitalistico, che produce cicliche crisi economiche e ha bisogno di continue ristrutturazioni per sopravvivere.

Il risultato e l’obiettivo sono però sempre gli stessi: accumulare con violenza.
La pandemia ha reso ancora più evidente che tutto può essere sacrificato tranne la produzione.
La gestione aziendale della sanità ha comportato continui tagli e privatizzazioni.

Il sistema sanitario è stato smantellato al punto da rendere difficile l’accesso alle cure.
I lavoratori e le lavoratrici sono sempre più sfruttati e sacrificati in nome del profitto, lo smart working crea individui ancor più soli e atomizzati e con sempre minore possibilità di organizzarsi, e la didattica online limita ancor più le concrete possibilità di incontro e crescita collettiva.

Le guerre non si sono mai fermate portando migliaia di persone a muoversi dai loro paesi d’origine, ulteriori finanziamenti agli armamenti ed esercitazioni militari.
Sia nelle città sia nelle campagne i lavoratori e le lavoratrici immigrate vivono in condizioni di schiavitù.

Questa normalità è però interrotta da crepe profonde.
I lavoratori hanno scioperato contro i licenziamenti e la mancanza di tutele sanitarie e scelto di bloccare le merci nonindispensabili.
I prigionieri hanno con coraggio deciso di rivoltarsi esasperati dall’aggravamento delle già insostenibili condizioni di oppressione che vivono. Lo Stato ha represso le rivolte nel sangue con pestaggi e violenze, provocando la morte di quattordici persone.
Scioperi e proteste si sono estesi nelle prigioni di tutto il mondo.

Non è casuale che in un contesto acceso come quello delle rivolte, chi si è mostrato solidale è stato duramente represso; un esempio lampante è quanto accaduto con l’operazione “Ritrovo”, l’ultima di una lunga serie.
Il 13 maggio, a Bologna e Milano, sette compagni e compagne anarchici sono stati arrestati e altri cinque sottoposti a misure cautelari. L’accusa è di 270bis: associazione con finalità di terrorismo. Viene imputato loro di aver portato solidarietà ai prigionieri di carceri e CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) e di aver lottato contro questo sistema capitalistico fatto di controllo tecnologico e sfruttamento.
Questa operazione ha lo scopo, dichiarato dalla procura stessa, di prevenire le tensioni sociali dovute alla crisi economica che accompagna quella sanitaria. Proprio in questo momento crediamo sia importante prendere parola e avere il coraggio di tornare in strada a lottare.

SOLIDALI CON LE RIVOLTE NEGLI USA
NELLA CRISI L’UNICO MODO PER POTER RESPIRARE SARÀ LOTTARE E COSPIRARE INSIEME
CORTEO
SABATO 20 GIUGNO 2020 A MILANO
ORE 16.00
CONCENTRAMENTO PIAZZALE LORETO ANGOLO VIA PADOVA MM LORETO

Manifestazioni per George Floyd. Cortei attaccati dalla polizia in Africa e in Sri-Lanka

Repressa dalla polizia una manifestazione antirazzista in Sri-Lanka in solidarietà alle proteste in corso negli USA a seguito della morte di George Floyd. Inevitabilmente anche il continente africano è stato scosso dal brutale assassinio dell’afroamericano George Floyd.

Il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, commentando l’omicidio di George Floyd per mano della polizia, ha detto che gli “Stati Uniti devono intensificare gli sforzi per eliminare le forme di discriminazione etnica e che l’UA respinge le pratiche discriminatorie in corso nei confronti dei cittadini neri degli Stati Uniti”.

Una retorica che non corrisponde alla realta’ dei fatti accaduti durante le manifestazioni di protesta che si sono tenute nel continente.

Centinaia di persone hanno manifestato l’8 giugno a Nairobi, capitale del Kenya, contro la brutalità della polizia. In marcia attraverso le baraccopoli di Mathare, i manifestanti hanno chiesto giustizia per le vittime di omicidi extragiudiziali. Secondo l’autorità indipendente di sorveglianza del Kenya, almeno 15 persone sono state uccise dalla polizia da quando le autorità hanno imposto il coprifuoco di coronavirus a fine marzo. Le forze di polizia del Kenya sono spesso accusate da gruppi di diritti civili di usare la forza eccessiva e di compiere omicidi illegali, specialmente nei quartieri poveri. Prima della pandemia di coronavirus, Human Rights Watch ha documentato otto casi di omicidi della polizia in meno di due mesi. “I poveri di Mathare sono solidali con i poveri d’America, i neri d’America. Vogliamo che sappiano che questa lotta è una di queste “, ha affermato Juliet Wanjira, 25 anni, co-fondatrice del Mathare Social Justice Center. Mentre le proteste globali hanno contesti localizzati, Wanjira vede un tema comune. “Questa è una lotta dei poveri”, ha detto. “I poveri sono trattati come criminali e non hanno dignità”. I manifestanti si sono fermati nei luoghi in cui le persone erano state uccise. La manifestazione si è conclusa vicino al condominio del tredicenne Yasin Moyo, che è stato ucciso dalla polizia a colpi di fucile mentre stava giocando sul suo balcone dopo il coprifuoco a marzo. Alla fine della marcia, la polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere la folla.

Sabato scorso attivisti del gruppo Economic Fighters League (Fighters) e attivisti antirazzisti avevano manifestato nella capitale del Ghana, Accra, in memoria di George Floyd. La polizia è intervenuta sostenendo che la manifestazione non era autorizzata e ha arrestato il leader del gruppo. I manifestanti si sono quindi diretti verso la stazione della polizia per chiederne la liberazione e per tutta risposta sono stati accolti da colpi di arma da fuoco. Una donna è rimasta ferita e soccorsa in ospedale. Secondo la polizia i colpi sono stati sparati da “una banda di agenti ribelli che sono saltati fuori da un pick up della polizia che si è scagliato contro la folla”.

Sostenitori del movimento “Black Lives Matter” si sono riuniti mercoledì 4 giugno davanti al parlamento sudafricano a Città del Capo. I manifestanti hanno anche reso omaggio oltre che a George Floyd anche a Collins Khosa, un uomo sudafricano brutalmente picchiato dai soldati impegnati a fare rispettare le misure di blocco a causa del COVID-19 ad aprile. L’uomo in seguito morì in ospedale. “La campagna di solidarietà nera vuole stabilire un processo di costruzione del movimento. Lo stato finale sarà la creazione di un movimento anti neo-coloniale, antimperialista, anti movimento di nuovo ordine mondiale. Dobbiamo iniziare da qualche parte, alcune persone nel mondo sono molto più avanti di noi. Ma solo perché alcune persone sono molto più avanti di noi, ciò non significa che non possiamo iniziare. È meglio tardi che mai “, ha detto Mategali, un manifestante.

Alberizzi Massimo Direttore Quotidiano Online Africa Express  Ascolta o scarica

La mattina del 9 giugno 2020 era prevista una iniziativa sotto l’ambasciata USA nella capitale del  Sri-Lanka, Colombo, promossa dal Partito Socialista Frontista (FSP), ma con il pretesto dell’emergenza legata alla diffusione di Covid19 la polizia ha dapprima vietato e poi arrestato alcune decine di manifestanti che avevano deciso di mobilitarsi ugualmente, annunciando di farlo mantenendo le distanze e utilizzando dispositivi di protezione.

Dopo questi primi arresti ne sono seguiti altri di avvocati che  si sono recati ai commissariati per chiedere le ragioni della detenzione.

In solidarietà alle arrestate e arrestati una nuova manifestazione è stata promossa poco dopo in un’altra zona della città. Anche in questo caso è intervenuta la polizia, picchiando i manifestanti e facendo nuovi arresti.  Al momento il bilancio della repressione è di 42 persone arrestate.

Nuove iniziative di solidarietà con le persone detenute si stanno realizzando e lanciando in altri paesi del mondo dove il FSP è presente.

Ci racconta quanto accaduto Vijith, compagno srilankese  dell’FSP, fra i curatori della trasmissione di Radio Onda d’Urto “Radio Vivara”, in onda ogni sabato alle 20.30 sulle nostre frequenze. Ascolta o scarica

da Radio Onda d’Urto

Solidarietà alla ragazza picchiata e arrestata a Torino da sbirri in borghese e in divisa

Da Repubblica
TORINO – Fermata con birra in bottiglia si ribella, arrestata: poliziotti accerchiati e insultati, “Siete violenti”

Urla, insulti e polemiche per l’arresto di una ragazza scattato nel cuore della movida torinese, avvenuto secondo i presenti con modi violenti. È successo questa notte, poco dopo l’una in una delle vie accanto a piazza Vittorio Veneto, la zona preferita dai giovani per trascorrere le serate del weekend.
La giovane, di 30 anni, era con alcune amiche quando gli agenti le hanno fermate per identificarle perché avevano in mano delle bottiglie di birra nonostante la vendita per asporto delle bevande alcoliche non fosse consentito già dalle 19.
Al loro primo rifiuto di mostrare i documenti, la situazione è degenerata: le ragazze hanno risposto con insulti e il tentativo di allontanarsi, così gli agenti hanno bloccato con forza la ragazza che ha provato a reagire. Due agenti sono finiti in ospedale per le ferite dovute ai calci e ne avranno per sette giorni.
Una scena che non è passata inosservata, in tanti si sono avvicinati per assistere e girare dei video, additando gli agenti per i loro modi e insultandoli. Nel frattempo la ragazza è stata portata in questura e arrestata.
Giulia, una ragazza che era presente (e che chiede di non rivelare il suo cognome), racconta così ciò che ha visto: “Stavo raggiungendo un amico in piazza Vittorio e mi imbatto in un’aggressione. Mi avvicino subito e scopro che il picchiatore era un poliziotto in borghese circondato da altri 5 agenti anche loro in borghese. Chiamiamo una volante sperando che possa risolvere la situazione, dato che la stavano praticamente trascinando per terra, strattonandola e spintonandola. Arriva la pattuglia e la ragazza viene aggredita nuovamente, stavolta dalla polizia in divisa. La afferrano violentemente, sbattendola sulla volante, le girano con forza le braccia all’indietro e nel suo volto si legge molto dolore. Lei cerca di liberare le braccia ma ne ottiene solo una violenza maggiore nei suoi confronti. Dopodiché viene inserita violentemente nella vettura e viene portata via senza aver rilasciato alcun verbale e senza avvertire nessun suo amico di dove la stessero portando”.

8 – 15 giugno: settimana di solidarietà anticarceraria per i prigionieri politici mapuche e della rivolta cilena.

Da Rete Bolognese di iniziativa anticarceraria

Facciamo una chiamata in tutti i territori per promuovere azioni di propaganda per i prigionieri politici mapuche in sciopero della fame dal 4 di maggio.
Loro sono 8 prigionieri politici mapuche nel carcere di Angol, Cile e il Machi Celestino Cordova nel carcere di Temuco, Cile.

– Puoi fare un cartello e pubblicarlo nelle rete sociale.
– Puoi fare uno striscione d’appendere.
– Puoi scattare una foto, registrare un video o scrivere un messaggio.
La creatività solidale non manca!

Da inviare anche a:
Wewain
https://www.facebook.com/Wewai%C3%B1-365319607628129/
https://www.facebook.com/riedpm/?ref=bookmarks
@Red internacional en defensa del pueblo mapuche

LIBERTÀ O MORTE !

Appello per una mobilitazione per la tutela dei diritti umani e la liberazione dei detenuti politici in Turchia

Dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, il governo turco ha dichiarato lo stato di emergenza. È stato rinnovato ogni tre mesi per un periodo totale di due anni. Lo stato di emergenza è stato applicato senza nessun quadro giuridico ed è stato concepito e utilizzato come strumento di repressione autoritaria contro gruppi di opposizione della società.

Innumerevoli sono state le violazioni dei diritti umani, della libertà di stampa, del diritto ad eleggere ed essere eletti, dei diritti sociali ed economici, della libertà individuale e della sicurezza personale. Il governo turco ha utilizzato lo stato di emergenza per ignorare la costituzione e i trattati internazionali, per minacciare col terrore la popolazione e reprimere i gruppi di Opposizione: per deprivarli dei loro diritti economici e sociali o per arrestarli. Sebbene lo stato di emergenza sia stato ufficialmente rimosso, continua ad essere applicato nelle province curde. Agendo attraverso con i decreti legge il governo turco ha esautorato, tra il 2016 ed il 2018, 95 delle 102 municipalità e arrestato 93 sindaci. I nostri ex co-presidenti Selahattin Demirtaş e Figen Yuksedag sono tra i 15 deputati di HDP arrestati e si trovano ancora dietro le sbarre. Nel mese di maggio 2020 sono state depositate presso l’Assemblea Nazionale turca i procedimenti di revoca dell’immunità parlamentare di 19 deputati di HDP tra cui Pervin Buldan Co-presidente del partito, Sezai Temelli, Saliha Aydeniz, Remziye Tosun, Ömer Faruk Gergerlioğlu, Şevin Coşkun, Feleknas Uca, Meral Danış Beştaş, Musa Farisoğulları , Tayip Temel , Ebru Günay, Kemal Bülbül, Pero Dündar, Nuran İmir, Gülistan Kılıç Koçyiğit, Ayşe Acar Başaran, Dersim Dağ, Mensur Işık, Ömer Öcalan.

La sconcertante repressione nei confronti dei politici democratici continua a pieno regime in Turchia. Il 4 giugno 2020 i deputati di HDP Leyla Guven e Musa Farisoğulları e il deputato del CHP Enis Berberoğlu sono stati privati del loro mandato parlamentare e incarcerati. Sebbene Leyla Guven e Musa Farisoğulları avessero l’immunità parlamentare dopo essere stati eletti come deputati nel 2018, il procedimento in tribunale contro di loro non è stato sospeso ed è proseguito. Il 24 settembre 2019 la Suprema corte di appello ha emesso la propria sentenza di condanna: 9 anni di pena detentiva per Musa Farisoğlulları e sei anni per Leyla Guven sulla base di accuse collegate al terrorismo.  Il 22 maggio a Diyarbakir un’operazione di polizia ha preso di mira l’associazione di solidarietà delle donne Rosa e 12 attiviste, tra cui l’ex sindaca di Bostanici Gulcihan Simsek e Havva Kiran delle Madri della Pace, sono state arrestate e incarcerate.

Più di 5,000 funzionari e militanti di HDP sono incarcerati per il loro impegno politico, e ciò rappresenta altro sintomo di come il regime turco non tollera alcuna forma di opposizione, reprimendo e privando della libertà tutti coloro che si oppongono al governo turco.

Alla privazione della libertà personale si accompagnano i trattamenti inumani e degradanti cui vengono sottoposti in carcere che hanno raggiunto il massimo della riprovevolezza durante l’attuale pandemia del COVID 19.

Il regime turco ha infatti di recente emanato un provvedimento di amnistia che ha interessato circa 90.000 detenuti condannati per reati talvolta di notevole gravità e pericolosità sociale escludendo dal beneficio tutti i condannati per reati di natura “politica” e tutti i prigionieri politici in attesa di processo in palese violazione degli articoli 2 e 10 della costituzione turca, nonché dell’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.  Tutto ciò ha impedito la liberazione di circa 50.000 detenuti tra i quali migliaia di politici, membri del parlamento, sindaci curdi, intellettuali, rappresentanti delle ONG, attivisti per i diritti umani, studenti, artisti, giornalisti, ecc.

L’attuale pandemia del COVID 19 ha inoltre ulteriormente peggiorato le condizioni dei reclusi.   Il 28 aprile il Ministero degli Interni ha affermato che sono stati rilevati 120 casi COVID-19 in 4 diverse carceri. Il 22 maggio il Ministero ha annunciato 82 casi COVID-19 nella sola prigione di Silivri e che un detenuto era morto.  Sulla base dei rapporti delle famiglie e degli avvocati dei detenuti il numero di casi COVID-19 nelle carceri è molto più elevato. I reparti e i corridoi delle carceri non vengono puliti regolarmente.  I prodotti per la pulizia vengono venduti nelle mense carcerarie a prezzi elevati e molti detenuti non possono permettersi di acquistarli.  Maschere e guanti non sono regolarmente distribuiti nelle carceri di tutto il paese.  Le autorità turche non seguono molti principi e linee guida specificati dall’Organizzazione mondiale della sanità, del CPT e dei commissari per i diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa. Tutto questo consente una maggiore diffusione del virus senza che siano assicurate ai reclusi le cure necessarie con l’intento di decimare i prigionieri politici senza che nessuno sia in grado di controllare quanto avviene all’interno delle carceri turche.

La pandemia di covid-19 rappresenta inoltre un grande rischio per la salute e la vita umana e le donne ed i bambini sono particolarmente vulnerabili non protetti contro l’epidemia.

Rivendichiamo il diritto ad un esistenza libera e dignitosa di ogni essere umano ed i principi cardine affermati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e ripresi da Convenzioni e Trattati del Diritto Internazionale che tutelano i diritti umani e le libertà fondamentali  devono essere assicurati a uomini e donne indistintamente in ogni parte e nazione del globo, quali che siano le loro opinioni politiche , il loro credo religioso, il loro orientamento sessuale  o il Paese di provenienza, in particolar modo in Turchia dove gli stessi vengono sistematicamente violati.

A tale fine chiediamo a tutti coloro che su tali principi fondamentali del Diritto si riconoscono ed agiscono ad aderire sia singolarmente che nelle formazioni sociali o politiche cui appartengono, al presente appello rivolto ad assicurare il rispetto dei Diritti Umani in Turchia e la liberazione dei detenuti politici, condividendone e sottoscrivendone il contenuto e nel contempo realizzando iniziative e presidi in ogni paese europeo e città italiana il giorno:

 27 giugno 2020 alle ore 17

 –       Per ottenere la liberazione di tutte le persone che a causa delle loro opinioni politiche in Turchia sono private della loro libertà personale, tra le quali tutti i co-sindaci, consiglieri comunali e provinciali dell’HDP, così che gli stessi possano esercitare la pubblica funzione che riveste la loro carica e nel contempo sia rispettata la libera espressione della volontà popolare come normalmente accade in ogni Stato di Diritto;

–       Perché siano tutelati i diritti fondamentali dei prigionieri politici ristretti nelle carceri turche, anche mediante la concreta applicazione delle linee guida redatte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, del CPT e dei commissari per i diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa, così che i detenuti possano essere preservati dagli effetti nefasti del COVID 19 ;

–       Per assicurare ai prigionieri politici i benefici di legge concessi ad altri detenuti senza che venga attuata alcuna discriminazione in loro danno;

–       Per assicurare una esistenza Libera e Dignitosa ad ogni persona, con particolare riguardo alle donne ed ai bambini che in Turchia godono di minori tutele e sono perciò maggiormente esposte ed esposti a discriminazioni soprusi; 

–       Per sostenere ogni altra forma di denuncia e manifestazione di solidarietà per la Libertà di Espressione e di Pensiero affinché anche in Turchia possa essere assicurata la Libertà di Opinione garantita in ogni Stato democratico

in tal senso

indirizzando la propria azione ai Governi, agli Organi e Rappresentanze Internazionali quali le Nazioni Unite, il Comitato per la prevenzione della tortura (CPT), l’Unione Europea, Amnesty International ed ogni altra organizzazione che opera a tutela dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, affinché  esercitino le necessarie pressioni politiche e diplomatiche sulla Turchia con la urgenza che la situazione attuale richiede così da poter salvaguardare la vita e le libertà fondamentali di tutti/e coloro che in detta nazione sono perseguitati e sottoposti a restrizione della loro libertà personale a causa soltanto delle loro opinioni politiche legittimamente manifestate ma mal tollerate dal regime turco.

 Ufficio informazione del Kurdistan in Italia, Rete Kurdistan Italia

 Per adesioni scrivere a  info@retekurdistan.it , info.uikionlus@gmail.com

Per un 19 giugno di mobilitazione nazionale contro la repressione

Appello:
19 giugno mobilitazione nazionale contro l’uso dell’emergenza coronavirus per intensificare la repressione antiproletaria e antipopolare – l’attacco al diritto di sciopero e alla libertà di manifestazione – contro il carcere assassino e il carcere tortura – a sostegno delle lotte nelle carceri e in solidarietà con i prigionieri politici nel mondo

A fronte della crisi economico/pandemica, frutto del modo di produzione capitalista nella fase imperialista, il governo sfrutta le lezioni dell’emergenza per imporre le leggi e gli interessi dei padroni ed affinare le armi della repressione a tutti i livelli.
La Fase 2 per padroni e stato è all’insegna delle leggi e i provvedimenti liberticidi. Ai vari decreti e pacchetti sicurezza si aggiungono misure emergenziali, sanzioni e controllo sociale sempre più capillare, per usare il distanziamento sociale e le leggi anti-assembramento per impedire le lotte sociali e i movimenti di opposizione politica anticapitalista, antirazzista e antimperialista
Il cuore è l’attacco preventivo al diritto di sciopero – già esercitato in occasione della giornata internazionale delle donne – al diritto di manifestazione sindacale e politica in un quadro in cui si vuole cancellare ogni forma di libertà di espressione, militarizzando ogni aspetto della vita sociale.
Ogni manifestazione di dissenso viene immediatamente punita, sia attraverso multe comminate a proletari sia utilizzando l’arresto ed il carcere per punire la solidarietà proletaria.
Il diritto alla salute viene usato dal governo per un lockdown a favore di padroni che deve essere solo “lavorare per produrre profitto”.

Così diventano numerose le sanzioni, i licenziamenti punitivi su lavoratrici e lavoratori che si sono rifiutati di lavorare in condizioni di insicurezza, o che hanno osato solo denunciare la mancanza di dpi sul luogo di lavoro; le cariche, il controllo militare, la repressione poliziesca delle lotte operaie e sindacali, sulle manifestazioni e scioperi di lavoratori, disoccupati, migranti, pur se effettuate rispettando le regole sul distanziamento sociale e l’uso delle mascherine; i divieti e le misure “cautelari” imposte a lavoratrici e lavoratori precari, denunciati per aver difeso lavoratrici e lavoratori sfruttati, come successo a Bologna con accuse gravissime, come tentata estorsione, diffamazione ecc.
La repressione padronale delle lotte proletarie è andata ben oltre i limiti della cosiddetta “legalità”, innescando vere e proprie aggressioni criminali sui posti di lavoro ai danni di lavoratori ribelli e delegati dei sindacati di base e di classe (ultimi esempi, l’episodio del bracciante di Terracina, picchiato e licenziato perché chiedeva una mascherina, oppure quello che ha colpito il delegato Slai Cobas s.c. a Taranto, vigliaccamente aggredito perché pretende il rispetto dei diritti dei lavoratori al Cimitero di Taranto.
Intanto la procura di Bologna avvalora l’arresto di 12 compagne e compagni, accusati di associazione sovversiva, costruendo una montatura con la «strategica valenza preventiva, volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica, in quanto gli indagati avrebbero partecipato negli ultimi mesi di lockdown a sit-in e proteste in favore delle rivolte nelle carceri per il rischio coronavirus».
A Milano viene imbastita una campagna contro la scritta ‘fontana assassino’ rivendicata dai CARC per criminalizzare tutti coloro che giustamente accusano la giunta regionale lombarda di aver contribuito a trasformare la pandemia in strage.
Intanto nelle carceri, dove dall’8 marzo è esploso il conflitto, si è abbattuta con virulenza la repressione, causando il massacro di almeno 14 persone, torture, pestaggi, riduzione alla fame, umiliazioni, trasferimenti punitivi e ulteriore aggravamento delle già tragiche condizioni sanitarie e di sovraffollamento, che hanno favorito il diffondersi dell’epidemia nel silenzio più totale.
Dobbiamo sostenere la legittima lotta dei detenuti per il diritto alla cura e all’affettività, per una vita dignitosa, la richiesta di amnistia/indulto.
Essa va sostenuta con la controinformazione e le iniziative dentro e fuori le carceri.
Per questo proponiamo una mobilitazione specifica, unitaria e organizzata contro la repressione sociale e politica, contro il carcere assassino e il carcere tortura, per la solidarietà di classe e militante nei confronti di tutti i prigionieri politici e dei proletari ribelli detenuti nelle carceri dell’imperialismo.
Un appuntamento da costruire insieme per il 19 giugno, giornata storica di solidarietà internazionale con i prigionieri rivoluzionari.

Soccorso rosso proletario srpitalia@gmail.com

Lo Stato fascista turco ha ucciso il partigiano Hasan Ataş (Şerzan) del TKP / ML TIKKO

Erdogan terrorista!
Imperialisti complici dello Stato fascista e terrorista turco, Italia in testa che lo arma e lo sostiene!
La Guerra popolare non è terrorismo!
I partigiani combattenti sono i figli migliori del popolo e sono immortali!
La partecipazione popolare al suo funerale è stata impedita dai militari
Turchia: combattente TKP / ML TIKKO ucciso dall’esercito turco
Martedì 2 giugno a Ovacık nella regione di Dersim, il combattente TKP / ML TIKKO Hasan Ataş (Şerzan) è stato ucciso durante gli scontri con l’esercito turco. Hasan Ataş era nella “lista dei terroristi ricercati” dallo stato fascista turco.
Lo scontro è avvenuto vicino al villaggio di Hacibirim, nel distretto di Ovacik nella provincia di Dersim. Le informazioni attualmente disponibili indicano che l’operazione delle unità speciali della gendarmeria è ancora in corso e che almeno quattro residenti nel villaggio di Büyükkaya (situato vicino all’area dello scontro) sono stati arrestati. Ieri sera, tre di loro sono stati rilasciati dopo aver rilasciato dichiarazioni al comandante della polizia locale, mentre uno è rimasto in detenzione. Gli abitanti del villaggio rilasciati hanno detto che i poliziotti li hanno minacciati.
Nel frattempo, una dichiarazione ufficiale è stata rilasciata dall’ufficio del governatore di Dersim, in cui si afferma che il guerrigliero Hasan Ataş è stata ucciso in un bombardamento condotto dall’esercito militare turco con l’uso di droni nell’area.
Tuttavia, fonti locali affermano che questo non convalida ciò che è realmente accaduto, in particolare perché la zona era molto nuvolosa quella notte, quindi le condizioni non erano adatte per l’uso dei droni.
Il suo corpo è stato portato dall’Istituto di medicina legale Malatya e a Mazgirt a circa 250 chilometri dal luogo del martirio dove l’esercito ha impedito al popolo di rendergli l’ultimo saluto.
striscioni al Politecnico della città di Atene