Oggi, 4 aprile, al Tribunale de L’Aquila, si è discusso dell’applicazione della Sorveglianza speciale, richiesta dalla Questura di Teramo, a un compagno del Campetto occupato, uno dei pochi spazi sociali ancora presenti in Abruzzo e del quale, nella stessa richiesta di sorveglianza, è annunciato lo sgombero, subito dopo l’applicazione della misura.
La Sorveglianza speciale è una “misura di prevenzione” che l’Italia ha ereditato dal fascismo ed è fortemente lesiva delle libertà personali. Basata sulla presunta pericolosità sociale dell’individuo per l’ordine pubblico, in totale assenza di reato e di formalizzazione di accuse, la sorveglianza speciale èin contrasto con la stessa Costituzione italiana e stigmatizzata dalla Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU). Essa prevede arresti domiciliari la sera, divieto di frequentazioni di luoghi e persone, obbligo di dimora con conseguente perdita del lavoro, se chi ne è colpito lavora fuori del territorio di dimora abituale, come nel caso del compagno in questione.
E’ quindi una misura molto restrittiva e tesa a colpire la persona per quel che é, per le sue idee e per le lotte che conduce. E oggi va a colpire uncompagno del Campetto occupato per le numerose attività portate avanti in quello spazio di libertà.
Uno spazio recuperato al degrado e all’incuria per essere restituito alla collettività con molteplici iniziative, da quelle culturali e sociali alle iniziative di solidarietà, dalle raccolte fondi all’accoglienza di chi non ha una casa e ha trovato nel Campetto uno spazio abitativo, fino al sostegno a tutte le varie forme di mobilitazione, da quelle antifasciste, antirazziste e in difesa dell’ambiente, a quelle contro le discriminazioni e la violenza sulle donne, da quelle operaie a quelle contro la repressione.
Tutte queste attività possono risultare “socialmente pericolose” soltanto per questo Stato di polizia, per la società borghese che detiene il potere e si illude che “tagliando le teste” le lotte si arrestino, usando la sorveglianza speciale anche come un monito per tutte e tutti.
Per questo oggi siamo stati/e a fianco del nostro fratello, per dire no alla sorveglianza speciale, no allo sgombero del Campetto occupato, no alla repressione delle lotte!
L’udienza si è tenuta a porte chiuse, in camera di consiglio. Il PM ha chiesto da 1 a 5 anni con l’obbligo di dimora, la giudice, la stessa che ha condannato le vittime del sisma per essere state rassicurate dallo Stato, si è presa qualche giorno di tempo per decidere (ascolta l’intervista di ieri a radio onda rossa del compagno).
l’intervista di ieri a radio onda rossa del compagno
Fuori del tribunale si è tenuto un presidio di solidarietà compatto e numeroso. Presenti tutte le realtà abruzzesi e compagne e compagni di Roma per la Cassa di solidarietà La lima.
All’uscita dalla camera di consiglio il compagno ha letto la sua dichiarazione spontanea che pubblichiamo di seguito:
“Visto l’impegno con cui la Questura cerca, affannosamente, di raccontare la mia storia, qualche parola vorrei spenderla anche io, su di me, dal momento che non é tanto qualche azione ad essere giudicata, quanto la mia persona a voler essere fatta passare come “socialmente pericolosa”.
Il lungo fascicolo parte addirittura dai tempi del liceo… E fanno bene!
Perché da allora, per quanto mi riguarda e per la mia visione del mondo, ben poche cose sono cambiate.
Infatti mi sono sempre adoperato, speso e ho lottato affinché esistesse una società più libera, più equa e più giusta. Ogni qualvolta ho visto o percepito vi fosse qualche ingiustizia non mi sono mai voltato dall’altra parte o fatto finta di niente, ma, nel mio piccolo, ho combattuto affinché tali ingiustizie non ci fossero.
Tutte quelle pagine della Questura parlano di questo e, francamente, ho ben poco di cui pentirmi. Anzi.
Credo che se piú persone si adoperassero in tal senso, vivremo tutte e tutti un po’ meglio.
Nella richiesta poi con cui mi si chiede l’applicazione della Sorveglianza, si fa particolarmente riferimento agli ultimi due anni… E di cosa si sta parlando?
Di lotte per dare a tutti un tetto, di recupero di spazi abbandonati per farne luoghi di socialità, cultura e lotta, di presidi in difesa delle donne, di proteste al fianco degli operai, di manifestazioni contro razzismo e discriminazioni, di mobilitazioni a sostegno di compagn*, di giornate per la salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema dove viviamo.
Vedete signori, io non vi parlo della “gravità” o meno giuridica di quello di cui sono accusato. Io vi parlo, di ciò che ho fatto, della sua giustezza etica. E, in tale ambito, ho ben poco da cui difendermi, perché non ci vedo nulla di sbagliato, anzi.
Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto con coscienza, convinzione e pensando fosse per migliorare la condizione di tutti, perché ho sempre pensato che non può esserci liberazione individuale se non c’è anche una liberazione sociale.
Ma l’accusa che oggi mi si muove, quella sí, non l’accetto e la rispedisco al mittente.
L’accusa di essere “socialmente pericoloso” e un “pericolo pubblico”, quella no, non l’accetto.
Non l’accetto perché la realtà dei fatti dimostra il contrario. Perché per quel che concerne la “società” ed il “pubblico” (e fermandoci alla definizione etimologica significano afferenti al popolo), che pericolo potrei essere?
Al contrario, per coloro i quali voi mi vorreste giudicare pericoloso, in realtà mi son sempre speso. E se conosceste un minimo la realtà, i rapporti sociali che vi sono, sapreste bene che é così.
Che per il “sociale” e per il “pubblico” non sono né un nemico né un pericolo, ma semplicemente un individuo che con altri si spende per migliorare le condizioni di tutti, e degli ultimi in particolare.
E il “pubblico” di cui parlate, questi aspetti li conosce e li riconosce, e testimonianza sono i tantissimi attestati di stima, vicinanza, solidarietà, affetto e complicità che ho ricevuto e che riecheggiano anche nelle carte.
Per questo, voglio semplicemente dire e ribadire che l’accusa che mi viene mossa non l’accetto e la rispedisco al mittente.
E dico che il vero pericolo sociale sono chi ci opprime ogni giorno, chi devasta l’ambiente, chi discrimina, chi ti toglie o ti nega un tetto sotto cui stare, chi crea e incentiva guerre tra poveri, chi finanzia e conduce guerre per il mondo, chi ne saccheggia i territori, chi reprime senza scrupoli, chi ci costringe a dover scegliere se fare la spesa o pagare le bollette, chi dopo averti sfruttato una vita ti butta per strada, chi fa morire persone in mare, nei luoghi di lavoro e nelle galere.
Per me, il vero pericolo sociale sono loro.
E questo pericolo io l’ho sempre combattuto.
Per questo, e non per altro, sono giudicato oggi.
E quindi, se dovete condannarmi, siate onesti almeno e dite: “Ti condanniamo perché ti sei sempre opposto all’ingiustizia. Perché, nel tuo piccolo, potresti rappresentare un pericolo per coloro che ogni giorno ci fanno fare una vita di miserie umane, materiali e sociali.”
Ma forse chiedo troppo e queste poche righe, a differenza dell’enormità del fascicolo con cui mi si accusa, sono soprattutto per le persone là fuori da quest’aula, nella società. Persone per cui mi si accusa di essere un pericolo.
Queste poche parole sono per loro.
A dire che, comunque vada, la dignità, la giustizia sociale e la libertà non possono indietreggiare neanche in un’aula di tribunale.
Perché un mondo di liber* e ugual* é il sogno più bello che si possa mai realizzare.”
In occasione della nuova udienza del processo contro i precari delle Coop Sociali, Giovedì 6 aprile dalle ore 10,00 iniziativa di denuncia e lotta davanti il Tribunale di Palermo
Lavoratrici e lavoratori sono sempre più sottoposti a denunce, provvedimenti repressivi, processi perché lottano per difendere il posto di lavoro, perché lottano contro condizioni di salario e di sfruttamento sempre più pesanti…
Ma la repressione di questo Stato colpisce tutti i settori sociali in lotta, e oggi il governo fascista Meloni accelera l’azione repressiva ad ampio raggio contro chi lotta per avere un reddito in attesa di un lavoro, chi lotta per la casa, in difesa della scuola pubblica, della sanità pubblica, contro la devastazione ambientale, colpisce chi lotta contro la guerra imperialista e gli strumenti di morte e distruzione al servizio della guerra per i profitti dei padroni capitalisti, si accanisce contro chi lotta seriamente per un vero cambiamento sociale…
Invitiamo tutti e tutte ad unirsi, a partecipare.
La solidarietà di classe è un’arma, lottare e fare fronte contro la repressione delle lotte una necessità.
Nel 2017, dopo quasi 30 anni di ritardo dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, l’Italia ha approvato una norma per punire quello che l’Onu considera un crimine contro l’umanità. Uno di quei crimini che danno la possibilità alla Corte Penale Internazionale di processare dittatori e criminali.
Prima dell’approvazione di quella legge l’Italia era stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per diversi fatti che accaddero nel paese: le torture nel carcere di Asti, nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz. In tutti questi casi l’Italia fu condannata perché non aveva una legge che permettesse di fare giustizia nei casi di tortura.
Ad oggi nessun paese nel quale la legge è in vigore la ha abolita.
Da quando la legge fu approvata sono state condannate, imputate, indagate, oltre 200 persone tra agenti, funzionari, operatori, medici, in processi riferibili a casi di presunte o comprovate torture. Tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini della “mattanza” avvenuta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Membri di Fratelli d’Italia hanno dichiarato, nel presentare richiesta di abolizione di questa legge, che le maglie troppo larghe rischiano di portare a subire denunce e processi strumentali. La storia di questi primi 6 anni ci dice che questo non sta avvenendo e in molti casi i processi, oltre che dalle testimonanze, sono sorretti anche da immagini che lasciano poco spazio al dubbio che un procedimento sia strumentale. Quelle di Santa Maria Capua Vetere che ricordavamo, quelle di quanto avvenuto nel carcere di San Gimignano, entrambi casi in cui le immagini sono state rese pubbliche. E altri in cui, ad oggi, le immagini sono parte degli elementi probatori nei processi in cui siamo costituiti parte civile.
Il Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT), nel report pubblicato lo stesso giorno in cui è stata presentata la proposta di legge aveva ribadito come in tutte le carceri visitate erano stati riferiti episodi di maltrattamenti e violenze. Sottolineando però come i detenuti abbiano chiarito che la maggior parte degli operatori li abbiano trattati nel pieno rispetto dei loro diritti. Mantenere la legge che punisce la tortura significa stare anche con questi operatori che svolgono un lavoro difficile e delicato, che spesso non riceve il giusto riconoscimento.
Sono questi i motivi per cui siamo convinti che l’impegno delle istituzioni, in un paese dove lo Stato di diritti sia solido, sia quello di contrastare la tortura e non la legge che permette di perseguire chi si macchia di questo crimine.
Giovedì 30 marzo è iniziato al tribunale di Gela il procedimento contro 29 attiviste/i NO MUOS, un nuovo processo di questo Stato borghese, che si unisce ad altri procedimenti giudiziari in corso, denunce contro attivisti, militanti sociali e politici, che lottano da anni contro le basi militari e tutti gli strumenti di morte e di distruzione al servizio della guerra imperialista che oggi, nella fase del nero governo Meloni, sono ancora più che in azione, vedi proprio il Muos di Niscemi al servizio della guerra in Ucraina.
Esprimiamo piena solidarietà di classe ai compagni processati!
La lotta contro la guerra imperialista e i suoi strumenti di morte come il Muos, contro i governi che si sono succeduti, e oggi contro il guerrafondaio e fascista governo Meloni al servizio del Capitale, per cui conta sempre più spendere miliardi di euro per le spese militari e per la guerra imperialista è più che giusta e non si ferma, neanche nelle aule dei tribunali.
Diventa necessario e urgente costruire un fronte unico di classe e contribuire alla battaglia nazionale contro i padroni, questo nero governo dei padroni, questo Stato borghese al servizio del Capitale, della guerra imperialista e della repressione delle lotte.
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La guerra un “servizio pubblico”? No Muos a Processo
Si è conclusa la fase delle indagini preliminari e il 30 marzo ci sarà la prima udienza in tribunale a Gela contro 29 attiviste e attivisti NO MUOS.
Si tratta dell’ennesimo processo in cui il tentativo è quello di criminalizzare un movimento antimilitarista, antimperialista e internazionalista che da anni si oppone alla nocività di una delle più grandi basi militari statunitensi, la base M. U. O. S. (Mobile User Objective Sistem): abusiva, situata in Sicilia nella sughereta di Niscemi, serve a coordinare le guerre agite dai più potenti governi mondiali mediante i droni che partono da Sigonella e, come se non bastasse, per via delle enormi emissioni elettromagnetiche emanate, arreca quotidianamente danni gravi alle terre e alla salute di chi abita nei pressi del largo raggio d’azione (di almeno 180 km) in Sud Italia.
Prima che le 3 megaparabole venissero installate all’interno della base NRTF, in cui dagli anni ’90 sorgevano 46 antenne già di per sé nocive e mortifere, le mobilitazioni riuscirono, occupando la base militare, a bloccarne il funzionamento: le accuse che ci venivano rivolte erano di “interruzione di pubblico servizio, per aver impedito le comunicazioni belliche tra 4 continenti”.
Ribadiamo che per noi la guerra non è un pubblico servizio bensì un crimine e continuiamo ad avanzare a testa alta la nostra contrarietà alle politiche belliciste di cui l’Italia si fa promotrice attraverso la produzione e lo spaccio di armi e munizioni, ultima in Ucraina.
Oggi ancor più vediamo gli effetti prodotti da basi militari come quella di Niscemi nelle guerre che la NATO e i governi imperialisti stanno portando avanti nel mondo. Attualmente 59 i conflitti: un circolo vizioso in cui sono condannate alla fuga, nella migliore delle ipotesi, intere popolazioni che respinte alle frontiere rischiano la morte in mare come è successo a Cutro, e, se riescono a sbarcare, vengono criminalizzate e costrette alla clandestinità per essere sfruttate bestialmente al limite della schiavitù.
Inoltre siamo consapevoli di quanto le guerre combattute abbiano un immediato riflesso anche sulla nostra vita con la guerra che i governi al servizio delle multinazionali ci fanno attraverso la dismissione e la svalutazione di servizi pubblici essenziali come sanità e formazione e portando avanti politiche economiche basate sull’estrattivismo, sullo sgretolamento del tessuto sociale e la criminalizzazione del dissenso.
Respingiamo le accuse false e pretestuose che ci vengono dirette ancora una volta in questa circostanza e rivendichiamo con forza la nostra presenza in quel territorio, per lo smantellamento del Muostro e di tutte le basi militari, per una società senza guerre e senza sfruttamento, per la liberazione da tutte le oppressioni.
NO MUOS FINO ALLA VITTORIA!