Torino – carcere tortura/carcere assassino. Intensificare denuncia e mobilitazione

Torino – carcere tortura/carcere assassino

Torino, torture in carcere. Il pm: «Tra gli agenti c’era un clima di omertà»

Chiesto il rinvio a giudizio per 22 imputati

Tra gli agenti in servizio nel carcere di Torino c’era un clima di «omertà» come quello che si respira in un «contesto criminale». Ha usato questo paragone il pm Francesco Pelosi per descrivere la reticenza degli uomini della polizia penitenziaria coinvolti nell’inchiesta sulle presunte torture e umiliazioni a cui venivano sottoposti i detenuti. Un trattamento riservato soprattutto a coloro che stavano scontando pene per reati a sfondo sessuale. Il magistrato ha chiesto il rinvio a giudizio per 22 dei 25 imputati. In tre hanno scelto il rito abbreviato: l’ex direttore del Lorusso e Cutugno Domenico Minervini, l’ex comandante della polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza (entrambi avrebbero ignorato le segnalazioni sui maltrattamenti) e un agente. Le loro posizioni verranno discusse il 31 maggio.

Gli episodi raccontati negli atti dell’inchiesta sarebbero avvenuti tra il 2017 e il 2019. Secondo la Procura, alcuni detenuti avrebbero subito «trattamenti degradanti» e «brutali vessazioni» da parte di una «squadretta» di agenti. Nella discussione, il pm ha rimarcato: «Tranne un paio di agenti, tutti gli altri imputati hanno detto di non aver mai visto né sentito di violenze sui detenuti. È chiaro che mentono». Poi ha aggiunto: «Anche coloro che hanno rotto il silenzio e hanno ammesso di essere a conoscenza di alcuni fatti, hanno spiegato di avere paura». Adesso sarà il gup Maria Francesca Abenavoli a decidere se disporre il giudizio.

A processo per aver contestato Salvini, solidarietà ai compagni di Genova

contestare Salvini è sempre giusto e necessario – difenderlo con la polizia invece non lo e’

Contestarono un comizio di Salvini a Genova nel 2015, a processo dopo 7 anni

Il corteo dei centri sociali era arrivato fino accanto al Carlo Felice. Da lì un gruppo aveva cercato di avvicinarsi al palco tra lanci di oggetti, fumogeni e cariche di alleggerimento della polizia

Genova. Dieci manifestanti considerati responsabili degli scontri con la polizia in occasione di un comizio elettorale del leader della Carroccio Matteo Salvini che si tenne in Largo Pertini a Genova il 26 maggio 2015 saranno processati a distanza di sette anni dai fatti. L’udienza preliminare che si è tenuta nei giorni scorsi, ha infatti fissato l’inizio del processo per il prossimo 8 giugno.

I reati ipotizzati sono a vario titolo resistenza aggravata, imbrattamento, getto di cose pericolose e travisamento. E se gli ultimi tre reati saranno sicuramente prescritti prima della fine del processo, la resistenza ha una prescrizione molto lunga, ben 15 anni, e pene molto pesanti, teoricamente fino a 15 anni di reclusione.

Gli scontri di quel lontano maggio, in cui Salvini venne a Genova a chiudere la prima campagna elettorale dell’attuale governatore Giovanni Toti, nacquero dopo che dal corteo dei centri sociali, che si era avvicinato fino allo sbarramento delle forze dell’ordine nei pressi del teatro Carlo Felice, un folto gruppo di manifestanti aveva cercato di avvicinarsi al palco dove parlava il leader della Lega dopo aver lanciato petardi e uova all’indirizzo delle forze dell’ordine.

Rigettata la richiesta di sorveglianza speciale per i due attivisti cosentini Jessica e Simone

Da Osservatorio repressione

Il tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di sorveglianza speciale avanzata nei confronti di Jessica e Simone, ritenendole assolutamente infondate. Ancor prima della sentenza, finanche la PM aveva richiesto in sede di udienza il rigetto della richiesta. Una decisione chiara che sbugiarda clamorosamente i vertici della questura di Cosenza.

L’attacco si conferma essere stato mosso da una chiara volontà politica di fermare le battaglie sociali presenti nel nostro territorio e coloro che le animano. Silenziare il dissenso, infatti, rappresenta a tutti gli effetti una priorità per la questura di Cosenza e una necessità per tutti quei potentati politico-affartistici che, operando con la connivenza della locale Procura, in Calabria detengono il potere grazie allo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, alla attenta distruzione del servizio sanitario pubblico e di tutto il welfare regionale.

Il teorema partorito dalla Questora  Petrocca e dal Capo della DIGOS De Marco è semplice: nulla in questa terra deve cambiare e gli interessi criminali dei soliti noti vanno tutelati a costo di soffocare le libertà democratiche di chi denuncia le terribili condizioni in cui siamo costretti a vivere.

Questa vicenda ci costringe a porci alcune domande urgenti:

E’ accettabile tollerare che il denaro pubblico venga così utilizzato da chi teoricamente dovrebbe fare gli interessi della collettività, mentre di fatto si adopera per architettare questi assurdi procedimenti giudiziari?

Possiamo sopportare che questi pseudo funzionari rimangano indisturbati a capo di una questura della Repubblica? Le conclusioni non possono che essere le dimissioni del Capo della DIGOS De Marco e della Questora Petrocca, reazionari e nemici della democrazia.

Se c’è qualcuno di socialmente pericoloso, dopo questa storia i cosentini e le cosentine sanno dove trovarli: in alcune stanze di via Palatucci 8.

Negli ultimi mesi, la città non ha esitato a sollevarsi schierandosi con convinzione dalla parte delle lotte sociali, dalla parte di chi si impegna ogni giorno per costruire un reale cambiamento, di cui questo territorio ha vitale bisogno. I pochi che, invece, non hanno preso posizione, sperando in un esito differente, al netto dei proclami, si sono confermati essere parte del sistema di cui dobbiamo urgentemente liberarci.

Contro la nuova inquisizione, Cosenza ha risposto in maniera chiara e inequivocabile, svelando il suo volto migliore e questo nessuno potrà dimenticarlo.

Questa vittoria, ci indica la necessità di continuare nella costruzione collettiva di una città più giusta con chi in questi mesi è stato al nostro fianco, perché si restituisca a tutti e a tutte diritti e dignità.

Questa vittoria, ci indica la necessità di continuare nella costruzione collettiva di una città più giusta con chi in questi mesi è stato al nostro fianco, perché si restituisca a tutti e a tutte diritti e dignità.” A Radio Onda d’Urto  Simone di Prendocasa Cosenza. Ascolta o Scarica

Speciale Sorveglianza