Soccorso Rosso Proletario

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CARCERE ASSASSINO! Morto dopo aver perso 30 chili in carcere, parla la sorella: “Non è stato curato, voglio giustizia”

La battaglia di Natascia Raddi: “Il suo corpo sembrava quello di Stefano Cucchi. Dicevano che facesse finta di stare male per ottenere benefici, invece aveva un’infezione che lo ha ucciso”

“A settembre mio fratello ha iniziato a scrivermi lettere in cui diceva di stare male, fisicamente e moralmente. Lettere così non me ne aveva mai mandate. Di solito quando mi scriveva dal carcere diceva che non vedeva l’ora di uscire, di salutare mio marito e i miei figli… Adesso invece chiedeva aiuto: era entrato in carcere ad aprile che pesava 80 chili, quando è morto ne pesava 49…”. Natascia ha 35 anni e due anni fa, nel dicembre 2019, ha perso suo fratello Antonio Raddi, morto a 28 anni per una sepsi mentre era detenuto al Lorusso e Cutugno.
Oltre alla famiglia, anche la garante dei detenuti Monica Gallo già mesi prima aveva denunciato le condizioni in cui si trovava il giovane. Sulla vicenda la procura di Torino aveva aperto un fascicolo con quattro indagati per i quali poi ha chiesto l’archiviazione, ma ora la famiglia – assistita dagli avvocati Gianluca Vitale e Massimo Pastore – ha fatto obiezione e ha chiesto di riaprire le indagini. “Chi sta in carcere ha sbagliato ed è giusto che sconti la sua pena: nessuno dice che deve uscire, ma non deve perdere il diritto di essere curato”, denuncia la donna.
Quando avete capito che suo fratello aveva gravi problemi di salute?
“Ad agosto ha iniziato a non mangiare e a deperire. I miei genitori hanno capito che qualcosa non andava e hanno iniziato ad andare più assiduamente alle visite. Prima magari andavano 2-3 volte al mese, poi hanno iniziato ad andare una volta a settimana o anche due. Lui chiedeva di aiutarlo e mio padre si è esposto, ha parlato con tante persone. Anche nelle lettere a me mio fratello diceva di andare a parlare con i magistrati di sorveglianza. Ma non è servito a nulla”.
Perché non si alimentava più?
“Dal carcere dicevano che il fatto di non mangiare era strumentale, che lo faceva per ottenere dei benefici e che la situazione era sotto controllo. Invece era proprio lui che non riusciva a ingoiare più niente perché stava male. L’ultima volta che i miei lo hanno visto era sulla sedia a rotelle perché non si reggeva più in piedi”.
Non lo stavano curando?
“Non ho mai visto una cartella clinica così scarna. E pensare che lì sopra dovrebbero segnare tutto. E comunque di qualcosa avrebbero dovuto accorgersi. Bastava vederlo per capire che stava male. Persino un agente della penitenziaria un giorno, facendo un rapporto, aveva scritto di lui che non stava bene e che doveva essere monitorato. Ma nessuno lo ha fatto. Quando l’ho visto poi in ospedale, in coma, ho sollevato il lenzuolo e ho visto le costole che spuntavano, la pelle sembrava coperta da ematomi, il volto scavato… Sembrava Stefano Cucchi, anche se le loro storie sono molto diverse”.
Non era mai stato ricoverato prima?
“A inizio dicembre una volta era stato portato al repartino delle Molinette, dopo che era collassato in cella. Era stato lui a chiedere di essere dimesso, questo è vero, però lo aveva chiesto perché lì diceva di stare peggio che in carcere: doveva stare legato al letto, senza neanche un’ora d’aria, senza potersi fumare una sigaretta, in mezzo ai malati psichiatrici. Ma non vuol dire che non volesse essere curato”.
E dopo le dimissioni?
“Continuava a stare male e infatti pochi giorni dopo lo hanno ricoverato d’urgenza al Maria Vittoria. Lì lo hanno sottoposto a molti esami, lo hanno visitato diversi specialisti e alla fine hanno scoperto che aveva una gravissima infezione da klebsiella, partita dai polmoni ma che oramai aveva intaccato tutti gli organi. E alla fine è morto per shock settico dopo 17 giorni di coma. Però i medici hanno detto che una persona non si riduce così da un giorno all’altro. Questo spiega anche perché non riusciva a mangiare: perché era malato. A malapena beveva un po’ d’acqua. Ed essendo così debole il suo sistema immunitario non è riuscito a combattere la malattia. E pensare che era un ragazzo di un metro e 80 di 28 anni…”.
Perché suo fratello era finito in carcere alle Vallette?
“Antonio stava scontando una pena in una comunità perché aveva avuto problemi con le droghe. Gli mancava un mese alla fine, ma lui non riusciva a stare in quel posto ed è andato via. Quando poi lo hanno fermato lo hanno portato alle Vallette e alla sua pena si è aggiunta l’evasione. Per quello era ancora in cella anche se in realtà lui aveva intrapreso un percorso con il Serd e non avrebbe dovuto essere in carcere. Mi dispiace che sia finito tutto così: quando eravamo piccoli, i miei genitori lavoravano e mi sono presa io cura di lui, lo accompagnavo a scuola, andavo a prenderlo”.
Cosa spera da una riapertura dell’inchiesta?
“Vorrei che chi lavora in carcere capisse che chi è detenuto non deve perdere il diritto a essere curato e assistito. Non si possono far morire le persone in carcere. Certe cose di come si sta in carcere io le ho sapute dai compagni di cella di mio fratello, quando sono usciti. Mai sapute prima perché certe cose i carcerati non le dicono… Mio fratello compreso”.

Morto in carcere a Torino dopo aver perso 25 chili, aperta un’inchiesta. La Garante dei detenuti: “Sembrava Stefano Cucchi”

Il giovane sosteneva di non riuscire a mangiare, gli agenti pensavano simulasse, ma aveva un’infezione polmonare.

Era entrato in carcere che pesava 80 chili ma ne aveva persi 30 in sei mesi e nel dicembre 2019  improvvisamente era morto, a 28 anni, nonostante un ricovero d’urgenza, che però è risultato tardivo. Il caso di Antonio Raddi era stato segnalato dalla garante dei detenuti di Torino, Monica Gallo, e ora i familiari stanno provando a far riaprire il caso e nei prossimi giorni si discuterà davanti al giudice l’opposizione all’archiviazione.
La procura di Torino, infatti, aveva aperto un fascicolo per omicidio colposo con quattro indagati e aveva dato due consulenze tecniche per chiarire le cause del decesso dell’uomo, detenuto al Lorusso e Cutugno da aprile per rapine, maltrattamenti ed evasione, e anche le modalità con cui era stato curato in carcere.
Era entrato in carcere che pesava 80 chili ma ne aveva persi 30 in sei mesi e nel dicembre 2019  improvvisamente era morto, a 28 anni, nonostante un ricovero d’urgenza, che però è risultato tardivo. Il caso di Antonio Raddi era stato segnalato dalla garante dei detenuti di Torino, Monica Gallo, e ora i familiari stanno provando a far riaprire il caso e nei prossimi giorni si discuterà davanti al giudice l’opposizione all’archiviazione.
Era stato chiarito che la morte era avvenuta per sepsi provocata da una polmonite da klebsiella che era improvvisamente degenerata. Secondo i consulenti lo stato di salute era molto peggiorato nel corso della detenzione e c’erano perplessità anche sul tipo di assistenza medica che aveva ricevuto.
L’uomo, con un passato di tossicodipendenza alle spalle, aveva iniziato a soffrire di anoressia, ma secondo i familiari gli agenti della polizia penitenziaria non avevano mai creduto al suo malessere, ritenendolo che fosse strumentale ad avere qualche beneficio. Ma non erano solo i parenti a chiedere un intervento.
Anche la garante, che da mesi seguiva il caso aveva denunciato: “C’è un drammatico peggioramento dello stato fisico e psichico. Ha bisogno di supporto psicologico, sostiene di avere visto solo una volta la psichiatra”. E aggiunge: “Ha le sembianze di Stefano Cucchi”. A fine novembre su un rapporto si legge che il detenuto “non riesce più a ingerire né solidi né liquidi”, poi inizia a muoversi con la sedia a rotelle, infine il compagno di cella riferisce che vomitava sangue.
Tuttavia secondo la procura anche l’atteggiamento poco collaborativo del detenuto aveva avuto un ruolo nella gestione della sua salute dal momento che, pur desiderando le cure, non aveva accettato il ricovero nel repartino delle Molinette. E solo all’ultimo dal carcere era stato mandato in ospedale, dove però è arrivato in condizioni disperate.
Per questo alla fine il pm Vincenzo Pacileo aveva chiesto l’archiviazione del caso sostenendo che il quadro clinico si era aggravato in modo irreparabile solo nelle ultime ore di vita. Ma la famiglia del giovane si è opposta e vuole far riaprire le indagini.

Fermare la repressione scatenata dal governo indiano!

lo slai cobas per il sindacato di classe aderisce alla campagna e invita lavoratori,organizzazioni sindacali,associazioni solidali con i prigionieri politici a parteciparvi
1 gennaio 2022 – aderiamo alla campagna nazionale e internazionale in tutte le forme possibili
prepariamo una azione a sorpresa nei prossimi giorni all’ambasciata a roma e al consolato india a milano

Fermare la repressione scatenata dal governo indiano!

Solidarietà con prigionieri politici in India!

Rilascio immediato di tutti coloro che sono stati illegalmente arrestati per il caso Bhima Koregaon!

Comitato Solidarietà India ha lanciato questa petizione anche in change.org e l’ha diretta a La Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH)
ambasciata indiana a roma, consolato India a Milano, Ministero degli esteri e Ministero della giustizia Italia, stampa nazionale

 

 

Fermare la repressione scatenata dal governo indiano!

Solidarietà con prigionieri politici in India!

Rilascio immediato di tutti coloro che sono stati illegalmente arrestati per il caso Bhima Koregaon!

Negli ultimi anni a livello internazionale è cresciuto in diversi paesi e nella stessa india un movimento di solidarietà per il rilascio incondizionato del leader del Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF), Prof. Saibaba, per l’intellettuale Prof. Anand Teltumbde, per lo scrittore rivoluzionario Varavara Rao e i tanti altri attivisti ingiustamente imputati nel caso Bhima Koregaon (BK-16).
Il 5 luglio scorso c’è stato l’omicidio di Stato di padre Stan Swamy, uno degli accusati nell’infame montatura Bhima Koregaon, a cui sono state cinicamente negate le cure mediche di cui necessitava.
Alcuni prigionieri politici maoisti sono stati uccisi in custodia e tanti altri ancora sono stati torturati.
Quella di Bhima Koregaon e del presunto piano per uccidere Modi non è che una montatura nell’interesse dei politici Hindutwa al potere e per coprire i criminali fascisti al loro servizio.
Sentiamo come nostra responsabilità difendere tutti gli attivisti sociali e oppositori politici falsamente accusati e imprigionati. Il solo loro crimine è essersi battuti e continuare a battersi per la democrazia e per tutti gli oppressi: i dalit, le minoranze tribali e religiose, le donne.
Varavara Rao, ottantenne, è stato rilasciato su cauzione per motivi di salute, ma il tribunale non gli ha concesso di vivere insieme alla sua famiglia nella sua residenza. Non è che un modo per mantenerlo sotto un altro tipo di detenzione.
Gowtam Navlakha e Sudha Bharadwaj soffrono gravi problemi di salute e hanno chiesto la libertà su cauzione ma il tribunale si è pronunciato a favore della polizia e non gliel’ha concessa. Giuristi di tutto il paese e all’estero hanno criticato questa decisione definendola niente di meno di un insulto alla Costituzione indiana.
Negli ultimi 20 quasi 2000 persone sono state uccise in custodia dalla polizia in tutta l’India. Ma solo 26 poliziotti sono stati riconosciuti colpevoli di questi omicidi.
Da quando il giudice Agarwal ha rivelato il suo rapporto, accusando la polizia dei massacri di Sarkenguda e Edsametta, in Chhattisgarh, sono trascorsi anni senza che un solo poliziotto sia stato arrestato.
Il mondo intero, la stessa ONU, ha condannato l’omicidio di padre Stan Swamy ma il governo indiano non ha intrapreso alcuna azione nei confronti dei responsabili.
Il Presidente della Corte Suprema dell’India, L. V. Ramana, ha dichiarato apertamente che gli articoli della Sezione 124A (sulla sedizione) sono obsoleti e che gli organi legislativi devono abrogare quella norma. Ma i legislatori non se ne curano.
Grazie a queste leggi draconiane posso mettere dietro le sbarre tutte le voci che contestano e si oppongono ai governi. Gli accusati sono richiusi in cella di isolamento, dette Anda.
Molte organizzazioni giornalistiche, tra cui Press Club of India, Editors’ Guild of India, Press Association, Indian Women Press Corps e Delhi Union of Journals hanno condannato le accuse di sedizione mosse contro giornalisti e intellettuali e si stanno battendo per l’abrogazione della legge UAPA e simili.
A dicembre Ganatantrik Adhikar Suraksha Sangathan si è fatto avanti condannando il linciaggio del leader della “Unione degli studenti Asom” Animesh Bayan. La legge sui poteri speciali delle forze armate del 1958 è in vigore da decenni in Nagaland, Asom, Manipur e Arunachal Pradesh e negli ultimi decenni ha consentito omicidi, atrocità e torture impunite contro il popolo della regione per mano dell’esercito indiano.
Il 5 dicembre, 13 persone sono state uccise in uno sparatoria nel villaggio di Voting, distretto di Mone, in Nagaland. L’incidente ha innescato una nuova ondata di proteste e lotta per la revoca della legge.
In questa situazione, tutte le forze democratiche a livello internazionale devono mobilitarsi per la liberazione immediata e incondizionata di tutti gli imputati nel caso Bhima Koregaon e per l’archiviazione della montatura giudiziaria contro di loro, per la fine delle operazioni repressive contro ogni voce di dissenso, la liberazione dei prigionieri politici e l’abrogazione delle leggi draconiane che danno “legalità” alla caccia alle streghe!

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info csgpindia@gmail.com

info slaicobasta@gmail.com

info srpitalia@gmail.com

disponibili testi, materiali foto video per ogni tipo di iniziativa

Stop the repression by the Indian government!
Solidarity with the political prisoners in India!
Immediate release for all those are illegally detained for the Bhima Koregaon case!

 

In recent years, a movement of solidarity for the unconditional release of the leader of the Democratic Revolutionary Front (RDF), Prof. Saibaba, the intellectual Prof. Anand Teltumbde, the revolutionary writer and many other political prisoners in India has grown internationally in various countries and in India itself.
Varavara Rao and the many other activists unjustly accused in the Bhima Koregaon case (BK-16).
On 5 July, there was the state murder of Father Stan Swamy, one of the accused in the infamous Bhima Koregaon case, who was cynically denied the medical treatment he needed.
Some Maoist political prisoners were killed in custody and many others were tortured.
That of Bhima Koregaon and the alleged plan to kill Modi is only a hoax in the interests of the Hindutwa politicians in power and to cover the fascist criminals at their service.
We feel it is our responsibility to defend all the social activists and political opponents falsely accused and imprisoned. Their only crime is having fought and continuing to fight for democracy and for all the oppressed people: the Dalits, tribal and religious minorities, women.
Varavara Rao, 80, was released on bail for health reasons, but the court did not allow him to live with his family in his residence. It’s just a way to keep him under another kind of detention.
Gowtam Navlakha and Sudha Bharadwaj suffer from serious health problems and have asked for bail but the court ruled in favor of the police. Jurists across the country and abroad have criticized this decision as nothing less than an insult to the Indian Constitution.
Over the past 20 years, nearly 2,000 people have been killed in police custody across India. But only 26 policemen were found guilty of these murders.
Since Judge Agarwal revealed his report, accusing the police of the Sarkenguda and Edsametta massacres in Chhattisgarh, years have passed without a single policeman having been arrested.
The whole world, the UN itself, has condemned the murder of Father Stan Swamy but the Indian government has not taken any action against those responsible.
The President of the Supreme Court of India, L. V. Ramana, has openly stated that the articles of Section 124A (on sedition) are obsolete and that the legislative bodies must repeal that rule. But lawmakers don’t care.
Thanks to these draconian laws they can put behind bars all the voices that contest and oppose the governments. The accused are locked up in solitary confinement cells, called Anda.
Many news organizations, including Press Club of India, Editors’ Guild of India, Press Association, Indian Women Press Corps and Delhi Union of Journals have condemned the sedition charges against journalists and intellectuals and are campaigning for the repeal of the draconian laws, UAPA and the like.
In December Ganatantrik Adhikar Suraksha Sangathan came forward condemning the lynching of the leader of the “Asom Student Union” Animesh Bayan. The Armed Forces Special Powers Act of 1958 has been in place for decades in Nagaland, Asom, Manipur and Arunachal Pradesh and has allowed unpunished killings, atrocities and torture against the people of the region at the hands of the Indian army. On 5 December, 13 people were killed in a shooting in the village of Voting, Mone district, Nagaland. The incident sparked a new wave of protests and a struggle for the withdrawal of the law.

In this situation, all the democratic forces at the international level must mobilize for the immediate and unconditional release of all the accused in the Bhima Koregaon case and for the dismissal of the case against them, for the end of repressive operations against every voice of dissent, the release of political prisoners and the repeal of the draconian laws that give “legality” to the witch hunt!

 

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