Soccorso Rosso Proletario

Soccorso Rosso Proletario

CAS/CPR= il governo, con il min. Bonafede, è il responsabile del suicidio in carcere di Chaka Ouattara nel carcere di Treviso.

Il giovane immigrato era tenuto in isolamento in carcere come rappresaglia di Stato per essersi ribellato!

Suicida in carcere a soli 23 anni: era uno dei rivoltosi dell’ex caserma Serena
Nelle scorse ore il maliano Chaka Ouattara si è tolto la vita all’interno del carcere di Verona dove si trovava in isolamento. Era accusato di sequestro, saccheggio e devastazione

Sequestro, saccheggio e devastazione. Erano queste le accuse che ormai dal tempo pendevano sul 23enne maliano Chaka Ouattara, un immigrato che aveva partecipato alla rivolta (il servile giornalista lo aveva definito “uno dei facinorosi della violenta rivolta”, ndt) avvenuta lo scorso giugno all’interno dell’ex caserma Serena di Dosson. Ouattara, infatti, insieme ad altri migranti ospiti dell’hub aveva improvvisamente aggredito alcuni infermieri dell’Ulss 2 intenti ad effettuare i dovuti tamponi a coloro che si trovavano nella struttura, il tutto a causa del fatto che l’hub stesso si era ben presto trasformato in un importante focolaio Covid. (L’articolo-questurino dimentica di informare che la quarantena aggrava le condizioni di detenzione di 300 immigrati nel lager di Stato italiano).

Una volta arrestato il 23enne era subito stato portato in carcere a Santa Bona ma, come riporta “la Tribuna”, da una decina di giorni il giovane era stato spostato in isolamento all’interno del carcere di Verona.

Il ragazzo, però, ha subito sofferto molto questo allontanamento dalla Marca e dagli altri arrestati di giugno, tanto da chiamare persino il suo avvocato il giorno prima di togliersi la vita nella sua cella. A determinare questo ultimo ed estremo gesto anche, forse, la difficoltà di poter richiedere gli arresti domiciliari non avendo lui un luogo dove poter risiedere e scontare un’eventuale condanna. Così, probabilmente con i lacci della sua tuta, Chaka nelle scorse ore ha deciso di farla finita senza che inizialmente nessuno si sia accorto di nulla. Proprio questo aspetto preoccupa ora il legale del 23enne che chiede al Pm incaricato di andare a fondo nella vicenda, anche solo per capire come sia stato possibile un tale gesto visto che un detenuto isolato dovrebbe essere più controllato di un detenuto ordinario.

L’impegno sociale non è pericolo sociale – solidarietà da palermo per Chadli Aloui. SRP aderisce all’appello

Condividiamo l’appello, lanciato dalla Palestra Popolare Palermo e dai centri sociali cittadini e sottoscritto da decine di associazioni e singoli, che chiede venga rigettata la richiesta di sorveglianza speciale nei confronti di Chadli Aloui. Ancora una volta un attacco diretto alla libertà di dissenso ed espressione.

Molti lo conoscono per la sua attività di istruttore sportivo, nel cuore del centro storico di Palermo. Altri per il suo ruolo nel mondo del teatro cittadino e le sue collaborazioni con artisti e musicisti. Altri ancora, hanno condiviso con lui anni e anni di impegno sociale nelle aule accademiche. Chadli Aloui, giovane studente palermitano e lavoratore dello spettacolo, rischia oggi di vedersi privare della sua libertà a causa di un disegno giudiziario che lo accusa di essere un soggetto socialmente pericoloso. Tutto questo a causa delle sue idee.

Studente appassionato di Storia e Filosofia all’Università degli Studi di Palermo, Chadli ha scelto sin da giovanissimo di prendere posizione contro le ingiustizie e di battersi per una società più giusta. E lo ha fatto in questi anni schierandosi a favore dei più deboli, degli ultimi, degli emarginati. Esternando sempre le sue idee senza paura e senza mai tirarsi indietro, senza mai nascondere il suo sincero antirazzismo e antifascismo.

Lo ha fatto dedicandosi al volontariato, insegnando i valori dello sport con il suo lavoro di istruttore alla Palestra Popolare Palermo. Una realtà sportiva che opera all’interno dei quartieri del Capo, della Vucciria, dell’Olivella e che coinvolge decine di bambini, ragazzi e ragazze del centro storico, all’interno della quale ha messo a disposizione le sue conoscenze ed esperienze di atleta per portare avanti attività sportive accessibili a tutti.

Lo ha fatto decidendo di intraprendere la carriera teatrale, attraverso la quale – dopo anni di formazione che lo hanno portato a ricoprire ruoli di rilievo e a essere molto apprezzato dalla critica – ha interpretato ruoli significativi per il messaggio sociale che trasmettono. Ne è un perfetto esempio lo spettacolo “Mario e Saleh”, di Saverio La Ruina – nel quale interpreta il ruolo di protagonista – con cui, affrontando il tema del conflitto interreligioso e interculturale, spinge lo spettatore a una riflessione sull’accettazione, la convivenza e la necessità del capire e riconoscersi nell’altro. Oppure gli spettacoli “Nel fuoco”, dedicato a Noureddine Adnane, martire di Palermo, e “Orli” dell’Associazione Culturale Sutta Scupa. O ancora il suo ruolo in “All’angolo” di Civilleri/Lo Sicco, in cui il pugilato diventa metafora del sogno di riscatto. E non per ultimo “Fiesta”, spettacolo organizzato insieme ai ragazzi del carcere minorile Malaspina, con la regia di Giuseppe Massa, in occasione del progetto “il palcoscenico della legalità”.

Lo ha fatto, anche e soprattutto, partecipando attivamente ai movimenti sociali. Decidendo di difendere la sua terra, la Sicilia; di prendere parte alle manifestazioni antifasciste, in difesa dei diritti dei migranti; di lottare contro gli inceneritori, gli impianti inquinanti, le grandi opere inutili e la devastazione del territorio. Di farsi avanti nei movimenti studenteschi, per il diritto a una scuola pubblica e gratuita per tutti. Si è mobilitato per gli artisti, i teatranti, per i lavoratori di un settore tra i più precari e tra i meno considerati e ascoltati dalle istituzioni.

Il 17 novembre, Chadli dovrà presentarsi in udienza al Tribunale di Palermo, a causa di una richiesta di applicazione di una misura preventiva nei suoi confronti: la sorveglianza speciale – misura repressiva ereditata dal Codice Rocco, il codice penale in vigore durante il ventennio, con cui il regime fascista controllava i dissidenti – che lo sottoporrebbe a una fortissima limitazione delle libertà personali. Questa misura prevede, infatti, il divieto di partecipare a qualsiasi riunione politica o manifestazione pubblica, l’obbligo di rientro alle 21.00 presso la propria abitazione, il ritiro della patente di guida, la necessità di richiesta di autorizzazione alla Questura per qualsiasi attività lavorativa che richieda lo spostamento dal Comune di Palermo. Tutto questo perché, a causa della generosità e del coraggio con i quali Chadli si è impegnato in questi anni nelle mobilitazioni cittadine, adesso viene disegnato come “soggetto socialmente pericoloso”, e dunque un delinquente; un criminale da rinchiudere e isolare.

Un attacco del genere alla libertà di dissenso e di espressione non può lasciarci indifferenti. Azioni di questo tipo non colpiscono solo un individuo, ma sono un grave attacco alla libertà di tutti. Creano precedenti molto pericolosi per il diritto al dissenso di tutti noi. Siamo davanti a un grave tentativo di criminalizzazione dell’attivismo politico. Un tentativo di reprimere e zittire chi decide di preoccuparsi non soltanto di sé e dei propri interessi, ma di spendere il suo tempo e le sue energie per il miglioramento della sua comunità.

E allora viene spontaneo chiedersi: chiunque prenda parte ai movimenti sociali deve essere recluso? Chi ha idee di giustizia sociale e si batte per un futuro migliore è un pericolo sociale?

Chiediamo con forza che il 17 novembre venga rigettata la richiesta di sorveglianza speciale nei confronti di Chadli Aloui, per la sua libertà e per quella di tutti e tutte!

Qui il link per sottoscrivere l’appello: https://forms.gle/7nFy4e3k5xpchbnS9

soccorso rosso proletario – costruiamo l’alternativa unitaria e di massa, composta, supportata e legata alle lotte proletarie

Di questo avremmo parlato alla la riunione nazionale di Soccorso rosso proletario a milano 8 novembre che siamo costretti a rinviarema il lavoro possibile deve continuare ed elevare il suo livello

con dispiacere comunichiamo ai compagni, che l’ultimo decreto governativo impedisce viaggi dei compagni da altre regioni a Milano e quindi vanifica la possibilità di poter tenere in questa occasione la riunione nazionale prevista

confermiamo tutto quello che abbiamo detto e scritto in merito e vedremo come e quando calendarizzare la nuova riunione

non intendiamo svolgere in forma telematica questa riunione – ma produrremo nelle prossime settimane materiali scritti che sarebbero stati usati nella stessa

per questo aspetto vi preghiamo di utilizzare l’indirizzo email

srpitalia@gmail.com

4 novembre 2020

G8Genova2001: Vincenzo Vecchi non sarà estradato. Lo ha deciso la corte di Appello francese di Angers

Non sarà estradato in Italia Vincenzo Vecchi il militante antagonista condannato a 9 anni di reclusione per devastazione e saccheggio in relazione alle manifestazioni del G8 a Genova e per un corteo a Milano.

Lo ha deciso la corte di Appello francese di Angers perché il reato non fa parte del codice d’Oltralpe. I giudici hanno ritenuto validi delle accuse italiane solo l’aggressione a un fotografo e il possesso di una molotov fatti per i quali c’è una pena di 1 anno 2 sei e 23 giorni che bisognerà decidere successivamente se Vecchi dovrà scontare in Italia o in Francia. Questo dipende dall’accettazione o meno da parte dell’Italia della sentenza di Angers.

Per la giustizia italiana si tratta di una sconfitta grave dipesa anche dal fatto che le nostre autorità non vollero scorporare i reati. Una sconfitta giuridica e politica che dimostra come la credibilità dei nostri tribunali all’estero sia abbastanza scarsa.

Dice l’avvocato Eugenio Losco: “Si tratta di un importante precedente perché stavolta giustizia francese è entrata nel merito accogliendo uno dei rilievi principali delle difese sollevato fin dall’inizio per il mancato rispetto della procedura. Il reato di devastazione e saccheggio è una fattispecie incostituzionale con delle pene incongrue spropositate e non conformi alla normativa di altri stati europei. La sua contestazione deve essere limitata a casi particolari assimilabili a eventi bellici e non certo alle contestazioni di piazza”.

Va ricordato che solo in Italia in Albania e in Russia per il reato di devastazione e saccheggio si rischiano condanne fino a 15 anni di reclusione.

 Vecchi che vive e lavora in Francia da otto anni era stato arrestato su richiesta dell’Italia poi le udienze per decidere su estradizione erano slittate anche a causa del Covid e nel frattempo il militante no global era stato rimesso in libertà perché la corte di Rennes allora competente non aveva ravvisato pericoli di fuga

Frank Cimini

da giustiziami

Covid, focolaio nel carcere di Alessandria: contagiati una trentina di detenuti

Allarme del garante dei detenuti: “C’è stato anche un decesso”. Positivi in Piemonte anche 36 agenti di custodia
Sono 29 i detenuti positivi al Covid  ad Alessandria, dove sabato si è registrato anche un decesso: si tratta di un italiano di 71 anni che aveva patologie pregresse e dall’istituto penitenziario Don Soria era stato trasferito alla clinica Salus. Altri detenuti positivi sono al carcere delle Vallette: secondo il garante dei detenuti sarebbero almeno 4, e desta preoccupazione il blocco “A”, quello di massima sicurezza, dove ora sono stati sottoposti a tampone anche diversi altri reclusi. Sono stati contagiati dal virus anche una mamma e due bambini che si trovano all’Icam 8 l’istituto a custodia attenuata per le mamme con figli piccoli). “Quest’ultimo allarmante dato e la morte del detenuto ad Alessandria riportano alla ribalta la necessità di provvedere quanto prima a rendere possibile l’esecuzione penale esterna per tutti quelli che già ne hanno diritto e per tutti coloro che rientrano nelle fasce deboli a rischio (anziani, persone con pluripatologie, diabetici, affetti da  problemi polmonari o alle vie respiratorie, ecc) – è il commento del garante dei detenuti Bruno Mellano –  Infine appare urgente ed improrogabile la verifica di soluzioni alternative al carcere almeno per le mamme con bambini”.

Detenute a Torino: «Siamo isolate dall’esterno e ammassate in carcere». Chiedono misure meno afflittive «non come un regalo di clemenza, ma come un diritto acquisito»

Pubblichiamo la denuncia ma, allo stesso tempo, affermiamo che una richiesta al governo senza una lotta/rivolta che porti avanti le giuste rivendicazioni dei detenuti, è come abbaiare alla luna. Le carceri annientano l’identità dei detenuti e questo Stato vuole proprio “gente sfiduciata” da fare marcire nelle prigioni

La denuncia ad Amnesty. Si respira aria di sofferenza mista a rabbia per l’essere inascoltati, ultimi tra gli ultimi. Siamo come un malato a cui vengono vietate le cure dal proprio medico

Mauro Ravarino
ilmanifesto 03.11.2020

Isolate nel sovraffollamento, distanziate dagli affetti e strette tra gli estranei. Il paradosso della pandemia vissuta in carcere è intriso di sofferenza. E viene raccontato in prima persona nella lettera aperta ad Amnesty International scritta da alcune detenute della Terza sezione femminile della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, che chiedono al governo di prendere in esame misure meno afflittive (indulto, libertà anticipata di 75 giorni, misure alternative), «non come un regalo di clemenza, ma come un diritto acquisito». Perché, anche nei casi in cui per le misure alternative ci sarebbero le «carte in regola», si contano – sostengono le firmatarie – «più rigetti che accoglimenti delle nostre istanze».

È il caso di Dana Lauriola, No Tav, in carcere dal 17 settembre alle Vallette, dove deve scontare una pena di due anni di detenzione per un episodio avvenuto nel 2012 durante un’azione dimostrativa pacifica sull’autostrada Torino-Bardonecchia, quando al megafono spiegava le ragioni della manifestazione. Una vicenda su cui si era espresso anche il presidente di Amnesty Riccardo Noury («Esprimere il proprio dissenso pacificamente non può essere punito con il carcere»), con un appello per la scarcerazione, a cui hanno aderito le detenute di Torino.

Tra le firmatarie della lettera aperta diffusa ieri c’è anche Dana. «Nonostante l’esistenza di leggi che propongano un’alternativa alla carcerazione e quindi una risoluzione sia al problema del sovraffollamento, sia a quello del reinserimento sociale, troppo spesso – scrivono le detenute – non vengono applicate poiché soggette alla discrezionalità del magistrato competente».

Ritengono di scontrarsi «con il muro della severità di alcuni magistrati, che tendono a non applicare le misure alternative sminuendone così l’importanza e sminuendo inoltre i percorsi rieducativi che un detenuto intraprende». In una situazione già complicata si intrecciano gli effetti della pandemia dietro alle sbarre.

«Le regole di distanziamento per evitare il contagio sono impossibili da rispettare, pur volendo, all’interno del carcere a causa del sovraffollamento, delle celle non a norma, delle docce comuni. Ma anche del fatto che, pur essendo un ambiente “chiuso ed isolato”, questo vale solo per noi detenuti perché in realtà gli operatori entrano ed escono. Eppure, il rigoroso rispetto dei protocolli sanitari viene imposto quando effettuiamo un colloquio con i nostri familiari. E c’è un semplice calcolo che descrive in modo elementare qual è il nostro diritto all’affettività: 6 ore al mese di colloquio consentite per 12 mesi, pari a 72 ore l’anno, tre giorni. Questo vale per i detenuti comuni. Chi è al 41bis ne ha ancora meno».

I tre giorni «durante questo anno sono stati ridotti e durante il lockdown sostituiti da videochiamate di 25 minuti». Le firmatarie della lettera, «certe di riportare il pensiero dei nostri compagni nei padiglioni maschili e nelle altre carceri», sottolineano: «La gestione della prima ondata qui dentro è stata fallimentare. Il ministero ha applicato misure insignificanti dal punto di vista sanitario, ma improntate solo sul rispetto della “sicurezza”. Si sta creando una bomba sociale.

Si respira aria di sofferenza mista a rabbia per l’essere inascoltati, ultimi tra gli ultimi. Siamo come un malato a cui vengono vietate le cure dal proprio medico. Veniamo trattati come numeri di matricola, non come persone, così è controproducente sia per noi, sia per lo Stato stesso, che accoglierà gente più sfiduciata».

la riunione nazionale di Soccorso rosso proletario a milano 8 novembre è rinviata

con dispiacere comunichiamo ai compagni, che l’ultimo decreto governativo impedisce viaggi dei compagni da altre regioni a Milano e quindi vanifica la possibilità di poter tenere in questa occasione la riunione nazionale prevista

confermiamo tutto quello che abbiamo detto e scritto in merito e vedremo come e quando calendarizzare la nuova riunione

non intendiamo svolgere in forma telematica questa riunione – ma produrremo nelle prossime settimane materiali scritti che sarebbero stati usati nella stessa

per questo aspetto vi preghiamo di utilizzare l’indirizzo email

srpitalia@gmail.com

4 novembre 2020