Una boccata d’ossigeno, una bocccata per ricordare, una per divulgare e una per ragionare.
Questo sostanzialmente il senso dell’iniziativa “Dietro le sbarre: testimonianze e riflessioni sul carcere”, organizzato dal Consiglio Popolare in piazza Grande sabato 7 novembre, nel tentativo di spezzare pubblicamente il silenzio anossico calato in città attorno alla strage dell’8 marzo nel carcere di Sant’Anna. Detta in altro modo, interromepere l’indifferenza, quel girarsi sempre dall’altra parte anche di fronte a nove morti e di un’istituzione, quella del carcere, che si vorrebbe totalmente staccata dalla città e non una sua propaggine in tutto e per tutto.
Quello forse anche il senso dello striscione, “Te lo ricordi l’8 marzo… al carcere?”, attaccato davanti al Duomo, principale strumento per catturare l’attenzione dei passanti nel primo weekend di coprifuoco.
Ad aprire la lunga scaletta di interventi e di collegamenti telefonici è proprio il ricordo di quella giornata, di nove mesi fa, col fumo che saliva dal carcere e che tutti in città potevano vedere, con la conta dei morti che saliva di ora in ora, con le notizie fornite col contagocce e un silenzio delle istituzioni, Comune compreso, che durerà per più di 48 ore, col sindaco Muzzarelli, che invece di chiedere chiarezza su quanto stava succedendo, si preoccuperà immediatamente di far cancellare qualche scritta apparsa sui muri della città, cosicché la parola “strage” non turbasse troppo la tranquillità cittadina. Si ricorderà come il carcere fosse stipato, in quel momento così drammatico, con la paura dei contagi e i colloqui familiari sospesi, ben oltre la sua capacità massima così come, quella struttura, si sia ridotta sostanzialmente a una discarica sociale senza più alcuna velleità rieducativa nemmeno malcelata o a come, forse, se ne sarebbe parlato molto di più in città se il fumo delle fiamme, quel giorno, si fosse alzato dalla vera discarica della città, senza bare, senza elicotteri e senza guardie a circondarla.
Il secondo intervento è di William Frediani, autore, ex detenuto che ha raccolto la sua esperienza in un saggio sul carcere. Frediani parla dell’inutilità del carcere, di un’istituzione che fallisce ormai da tempo tutti gli obiettivi che essa stessa si prefigge, come il reinserimento o lo scopo rieducativo della pena, con la recidiva che colpisce più o meno intorno al 70% dei detenuti usciti dal carcere e solo il 15% di chi è posto ai domiciliari. Racconta del processo di infantilizzazione e di decostruzione dell’identità a cui è soggetto ogni detenuto, costretto a chiedere il permesso a una guardia per ogni cosa, dal farsi la barba al farsi la doccia o all’abuso di psicofarmaci somminstrati ai detenuti come il latte per i bambini.
Successivamente viene letta una lettera dal carcere di Torino di Dana Lauriola, attivista NoTav, condannata a due di reclusione solo per aver parlato al megafono durante una manifestazione, dopodiché ci si collega telefonicamente con la giornalista Manuela D’alessandro, di Agi – Agenzia Italia – la prima a pubblicare gli stralci delle lettere di due testimoni oculari di quanto avvenuto dentro al carcere di Modena e che viaggiarono insieme a Salvatore Piscitelli (uno dei 9 morti) durante il loro trasferimento ad Ascoli. Lettere (qua) nelle quali si parla apertamente di pestaggi e abusi da parte della polizia e che dopo la pubblicazione interesseranno anche la Procura di Modena che indaga sulla strage, la quale sentirà come testimoni le stesse giornaliste Manuela D’Alessandro e Lorenza Pleuteri. Purtroppo, come racconteranno alla piazza per via telefonica entrambe le giornaliste, col Covid l’inchiesta su quanto accadde quel tragico 8 marzo è sostanzialmente ferma e sarebbe importante trovare altre testimonianze dirette dei detenuti, cosa ovviamente non facile dato il clima di terrore e le immaginabili ripercussioni che si potrebbero abbattere sui testimoni.
Ma in piazza, grazie all’organizzazione del Consiglio Popolare e delle altre realtà che hanno partecipato a quest’iniziativa informativa, riesce ad arrivare anche la voce di un testimone oculare di quanto avvenne quel giorno. Sempre in collegamento telefonico un ex detenuto del carcere di Modena racconta di come la richiesta principale di quella giornata fosse una richiesta sanitaria: «Modena era per me un concentrato di violenza da parte dello Stato sulla pelle dei detenuti. Soltanto che a marzo è successo qualcosa che andava ben oltre. […] La sanità era un punto fermo delle loro richieste, era uno dei messaggi della rivolta. Questo è un punto fondamentale da dire e da far comprendere alle persone, la sanità, e può essere che qualche detenuto abbia abusato di farmaci, non dico di no, ma è normale quando educhi le persone per anni a essere tossicodipendenti. Ovvio che cosa cerca una persona che sta male e che ha accesso a quegli stessi farmaci che gli danno ogni giorno, più volte al giorno senza problemi, come fossero biberon? Può essere, non dico no. Così come sappiamo che i carabinieri sono andati sul parapetto del carcere e hanno sparato, questa è la realtà dei fatti, e quando non so chi di preciso della polizia penitenziaria o dei carabinieri sono entrati dentro, il primo che hanno avuto per le mani lo hanno amazzato di botte davanti a tutti e hanno detto “Adesso vi facciamo questo”. C’è gente a cui sono arrivati i proiettili vicino alla testa e solo ed è solo per miracolo che non hanno preso il piombo in testa o in altre parti del corpo.»
In seguito parlano i compagni di Radio Onda Rossa che presentano il progetto, quasi ventennale, di Scarceranda e il gruppo Combattere il carcere che leggerà un’altra lettera di testimonianza giunta a metà ottobre (in foto).
In conclusione verso, le sei e mezza, quando la piazza ormai si va svuotando e il giorno lascia spazio alla sera parlerà, sempre in collegamento telefonico, Nicoletta Dosio, 73enne, professoressa di greco, uscita da poco dal carcere delle Valette di Torino e ancora ai domiciliari solo per aver osato difendere la propria valle dalla speculazione affaristica legata al Tav.
Al termine dell’iniziativa promossa dal Consiglio Popolare un gruppo di persone si recherà sotto il carcere di Modena per ricordare ciò che successe 9 mesi fa e non lasciare sole le persone ancora recluse.
Alleghiamo foto e comunicato del gruppo Combattere il carcere:
Combattere il carcere significa anche essere megafono delle grida che provengono dalle carceri ed è per questo che abbiamo partecipato ad una iniziativa informativa organizzata da “Consiglio popolare” in piazza Grande a Modena per leggere le testimonianze che ci sono arrivate da chi si è vissuto la rivolta ed il massacro che ha portato alla morte di nove prigionieri lo scorso marzo. Testimonianze che parlano chiaramente di carabinieri che sparano dalle mura di cinta per contenere i rivoltosi e di secondini che irrompono nella struttura uccidendo il primo detenuto che trovano davanti esibendone il cadavere a monito per gli altri prigionieri.
Combattere il carcere vuol dire anche non lasciare sole le persone recluse. Abbiamo quindi scelto di spostarci sotto le mura del carcere di Modena per portare un caloroso saluto a chi continua ad essere rinchiuso dalle stesse divise sporche di sangue, a chi è costretto a guardare negli occhi ogni mattina gli stessi aguzzini che hanno ucciso i propri compagni, per far sapere loro che c’è chi non ha mai creduto al fatto che quattordici detenuti possano morire di overdose lo stesso giorno in due carceri in rivolta diversi. Per rivendicare l’importanza di essere uniti in questo momento in cui ci vorrebbero distanti, l’importanza di scambiarci più informazioni possibili per rompere il silenzio che vorrebbero imporre con quelle maledette mura.