Soccorso Rosso Proletario

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G8Genova2001: Vincenzo Vecchi non sarà estradato. Lo ha deciso la corte di Appello francese di Angers

Non sarà estradato in Italia Vincenzo Vecchi il militante antagonista condannato a 9 anni di reclusione per devastazione e saccheggio in relazione alle manifestazioni del G8 a Genova e per un corteo a Milano.

Lo ha deciso la corte di Appello francese di Angers perché il reato non fa parte del codice d’Oltralpe. I giudici hanno ritenuto validi delle accuse italiane solo l’aggressione a un fotografo e il possesso di una molotov fatti per i quali c’è una pena di 1 anno 2 sei e 23 giorni che bisognerà decidere successivamente se Vecchi dovrà scontare in Italia o in Francia. Questo dipende dall’accettazione o meno da parte dell’Italia della sentenza di Angers.

Per la giustizia italiana si tratta di una sconfitta grave dipesa anche dal fatto che le nostre autorità non vollero scorporare i reati. Una sconfitta giuridica e politica che dimostra come la credibilità dei nostri tribunali all’estero sia abbastanza scarsa.

Dice l’avvocato Eugenio Losco: “Si tratta di un importante precedente perché stavolta giustizia francese è entrata nel merito accogliendo uno dei rilievi principali delle difese sollevato fin dall’inizio per il mancato rispetto della procedura. Il reato di devastazione e saccheggio è una fattispecie incostituzionale con delle pene incongrue spropositate e non conformi alla normativa di altri stati europei. La sua contestazione deve essere limitata a casi particolari assimilabili a eventi bellici e non certo alle contestazioni di piazza”.

Va ricordato che solo in Italia in Albania e in Russia per il reato di devastazione e saccheggio si rischiano condanne fino a 15 anni di reclusione.

 Vecchi che vive e lavora in Francia da otto anni era stato arrestato su richiesta dell’Italia poi le udienze per decidere su estradizione erano slittate anche a causa del Covid e nel frattempo il militante no global era stato rimesso in libertà perché la corte di Rennes allora competente non aveva ravvisato pericoli di fuga

Frank Cimini

da giustiziami

Covid, focolaio nel carcere di Alessandria: contagiati una trentina di detenuti

Allarme del garante dei detenuti: “C’è stato anche un decesso”. Positivi in Piemonte anche 36 agenti di custodia
Sono 29 i detenuti positivi al Covid  ad Alessandria, dove sabato si è registrato anche un decesso: si tratta di un italiano di 71 anni che aveva patologie pregresse e dall’istituto penitenziario Don Soria era stato trasferito alla clinica Salus. Altri detenuti positivi sono al carcere delle Vallette: secondo il garante dei detenuti sarebbero almeno 4, e desta preoccupazione il blocco “A”, quello di massima sicurezza, dove ora sono stati sottoposti a tampone anche diversi altri reclusi. Sono stati contagiati dal virus anche una mamma e due bambini che si trovano all’Icam 8 l’istituto a custodia attenuata per le mamme con figli piccoli). “Quest’ultimo allarmante dato e la morte del detenuto ad Alessandria riportano alla ribalta la necessità di provvedere quanto prima a rendere possibile l’esecuzione penale esterna per tutti quelli che già ne hanno diritto e per tutti coloro che rientrano nelle fasce deboli a rischio (anziani, persone con pluripatologie, diabetici, affetti da  problemi polmonari o alle vie respiratorie, ecc) – è il commento del garante dei detenuti Bruno Mellano –  Infine appare urgente ed improrogabile la verifica di soluzioni alternative al carcere almeno per le mamme con bambini”.

Detenute a Torino: «Siamo isolate dall’esterno e ammassate in carcere». Chiedono misure meno afflittive «non come un regalo di clemenza, ma come un diritto acquisito»

Pubblichiamo la denuncia ma, allo stesso tempo, affermiamo che una richiesta al governo senza una lotta/rivolta che porti avanti le giuste rivendicazioni dei detenuti, è come abbaiare alla luna. Le carceri annientano l’identità dei detenuti e questo Stato vuole proprio “gente sfiduciata” da fare marcire nelle prigioni

La denuncia ad Amnesty. Si respira aria di sofferenza mista a rabbia per l’essere inascoltati, ultimi tra gli ultimi. Siamo come un malato a cui vengono vietate le cure dal proprio medico

Mauro Ravarino
ilmanifesto 03.11.2020

Isolate nel sovraffollamento, distanziate dagli affetti e strette tra gli estranei. Il paradosso della pandemia vissuta in carcere è intriso di sofferenza. E viene raccontato in prima persona nella lettera aperta ad Amnesty International scritta da alcune detenute della Terza sezione femminile della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, che chiedono al governo di prendere in esame misure meno afflittive (indulto, libertà anticipata di 75 giorni, misure alternative), «non come un regalo di clemenza, ma come un diritto acquisito». Perché, anche nei casi in cui per le misure alternative ci sarebbero le «carte in regola», si contano – sostengono le firmatarie – «più rigetti che accoglimenti delle nostre istanze».

È il caso di Dana Lauriola, No Tav, in carcere dal 17 settembre alle Vallette, dove deve scontare una pena di due anni di detenzione per un episodio avvenuto nel 2012 durante un’azione dimostrativa pacifica sull’autostrada Torino-Bardonecchia, quando al megafono spiegava le ragioni della manifestazione. Una vicenda su cui si era espresso anche il presidente di Amnesty Riccardo Noury («Esprimere il proprio dissenso pacificamente non può essere punito con il carcere»), con un appello per la scarcerazione, a cui hanno aderito le detenute di Torino.

Tra le firmatarie della lettera aperta diffusa ieri c’è anche Dana. «Nonostante l’esistenza di leggi che propongano un’alternativa alla carcerazione e quindi una risoluzione sia al problema del sovraffollamento, sia a quello del reinserimento sociale, troppo spesso – scrivono le detenute – non vengono applicate poiché soggette alla discrezionalità del magistrato competente».

Ritengono di scontrarsi «con il muro della severità di alcuni magistrati, che tendono a non applicare le misure alternative sminuendone così l’importanza e sminuendo inoltre i percorsi rieducativi che un detenuto intraprende». In una situazione già complicata si intrecciano gli effetti della pandemia dietro alle sbarre.

«Le regole di distanziamento per evitare il contagio sono impossibili da rispettare, pur volendo, all’interno del carcere a causa del sovraffollamento, delle celle non a norma, delle docce comuni. Ma anche del fatto che, pur essendo un ambiente “chiuso ed isolato”, questo vale solo per noi detenuti perché in realtà gli operatori entrano ed escono. Eppure, il rigoroso rispetto dei protocolli sanitari viene imposto quando effettuiamo un colloquio con i nostri familiari. E c’è un semplice calcolo che descrive in modo elementare qual è il nostro diritto all’affettività: 6 ore al mese di colloquio consentite per 12 mesi, pari a 72 ore l’anno, tre giorni. Questo vale per i detenuti comuni. Chi è al 41bis ne ha ancora meno».

I tre giorni «durante questo anno sono stati ridotti e durante il lockdown sostituiti da videochiamate di 25 minuti». Le firmatarie della lettera, «certe di riportare il pensiero dei nostri compagni nei padiglioni maschili e nelle altre carceri», sottolineano: «La gestione della prima ondata qui dentro è stata fallimentare. Il ministero ha applicato misure insignificanti dal punto di vista sanitario, ma improntate solo sul rispetto della “sicurezza”. Si sta creando una bomba sociale.

Si respira aria di sofferenza mista a rabbia per l’essere inascoltati, ultimi tra gli ultimi. Siamo come un malato a cui vengono vietate le cure dal proprio medico. Veniamo trattati come numeri di matricola, non come persone, così è controproducente sia per noi, sia per lo Stato stesso, che accoglierà gente più sfiduciata».

la riunione nazionale di Soccorso rosso proletario a milano 8 novembre è rinviata

con dispiacere comunichiamo ai compagni, che l’ultimo decreto governativo impedisce viaggi dei compagni da altre regioni a Milano e quindi vanifica la possibilità di poter tenere in questa occasione la riunione nazionale prevista

confermiamo tutto quello che abbiamo detto e scritto in merito e vedremo come e quando calendarizzare la nuova riunione

non intendiamo svolgere in forma telematica questa riunione – ma produrremo nelle prossime settimane materiali scritti che sarebbero stati usati nella stessa

per questo aspetto vi preghiamo di utilizzare l’indirizzo email

srpitalia@gmail.com

4 novembre 2020