Presidio sotto al carcere di Modena il 7 novembre ore 18.30, parcheggio del carcere s. anna.
Archivi giornalieri: 03/11/2020
Lettera aperta ad Amnesty International delle detenute del carcere Lorusso e Cotugno di Torino: tra Covid-19 e mancanza di misure alternative
Buongiorno,
siamo un gruppo di detenute del padiglione femminile del carcere di Torino.
Vi scriviamo per aderire all’appello divulgato da Riccardo Noury, in seguito all’arresto di Dana Lauriola, dovuto al fatto che le sono state negate le misure alternative al carcere, su decisione del Magistrato di Sorveglianza competente. Appello di cui condividiamo tutte le motivazioni. E anche se siamo noi donne a scrivere siamo certe di riportare il pensiero dei nostri compagni nei padiglioni maschili e nelle altre carceri.
Cogliamo questa occasione per stare al fianco di Dana e di coloro che subiscono certe decisioni, ma ci rivolgiamo proprio a Voi, Amnesty, riconoscendo il Vostro valore ed il Vostro interesse verso tutti coloro i cui diritti non sono rispettati.
Vi chiediamo di non rimanere inascoltati e che l’appello scritto per Dana si estenda a tutti noi detenuti perché siamo tutti uguali rispetto al fatto che molti dei nostri diritti (troppi) vengano messi da parte e non valutati.
Per quanto riguarda il sistema penitenziario ci sarebbero moltissimi temi da trattare ma più di tutti, con questo scritto, vorremmo evidenziarne due:
- Accesso alle misure alternative
- Il Covid-19 in carcere tra sovraffollamento e colloqui con il distanziamento
- ACCESSO ALLE MISURE ALTERNATIVE
Nonostante l’esistenza di leggi che propongano un’alternativa alla carcerazione e quindi una risoluzione sia al problema del sovraffollamento, sia a quello del reinserimento sociale, troppo spesso non vengono applicate poiché soggette alla discrezionalità del magistrato competente.
Crediamo fermamente che il diritto ad accedere a tali benefici dipenda tanto dalla volontà del reo, quanto a coloro che fanno parte dell’area trattamentale.
In primo luogo, però, è competenza del magistrato di sorveglianza credere nell’effetto rieducativo della pena, qui a Torino invece, oltre alle mura del carcere, ci scontriamo con il muro della severità di alcuni magistrati.
Questi ultimi, tendono a non applicare le misure alternative sminuendone così l’importanza e sminuendo inoltre i percorsi rieducativi che un detenuto intraprende. Si comportano come pubblici ministeri, hanno un atteggiamento inquisitorio (che non sarebbe previsto dal loro ruolo), comportamento che si evidenzia anche davanti a “sintesi comportamentali lodevoli”, ma non solo, pur avendo diritto e le “carte in regola” si contano più rigetti che accoglimenti delle nostre istanze (vedi il caso di Dana Lauriola a cui se ne aggiungono tantissimi altri, che non hanno fatto scalpore non avendo un “movimento” a loro sostegno).
Tutto ciò è contraddittorio rispetto alla finalità della pena che per la costituzione dovrebbe essere rieducativa e rispettosa dei diritti.
Si produce così un effetto negativo che ci vede impotenti e l’impotenza si sa non ha mai risvolti costruttivi. Ma poi è incoerente questo modus operandi anche nei confronti del diritto in sé e delle leggi esistenti.
L’Italia ha il primato delle pene più severe d’Europa ed è tra i primi paesi in Europa per la percentuale di recidiva, percentuale che però si abbassa notevolmente tra coloro che hanno intrapreso un percorso di reinserimento (già dal carcere).
Nessuno tra i politici, nonostante le pressioni dei costituzionalisti e di alcuni magistrati, si occupa di questo tema, noi non siamo un buon sponsor di propaganda, peccato che siamo anche noi cittadini aventi doveri e aventi diritti come coloro che sono liberi…
Tutto ciò è incivile non solo per noi, ma anche per quella società in cui prima o poi rientreremo.
- IL COVID-19 IN CARCERE: TRA SOVRAFFOLLAMENTO E COLLOQUI VISIVI RIDOTTI… E DISTANZIATI.
Da quando questa subdola pandemia condiziona la salute, l’economia e la quotidianità di tutti voi là fuori è come se le vostre vite, date le privazioni e il distanziamento, assomigliassero un po’ alle nostre, e questo purtroppo non è bastato per aprire un dibattito serio sul tema delle carceri.
I divieti che si aggiungono a quelli che già viviamo stanno appesantendo moltissimo la nostra detenzione. Le regole di distanziamento per evitare il contagio sono impossibili da rispettare, pur volendo, all’interno del carcere a causa del sovraffollamento, delle celle non a norma, delle docce comuni. Ma anche del fatto che, pur essendo un ambiente “chiuso ed isolato”, questo vale solo per noi detenuti perché in realtà gli operatori entrano ed escono. Eppure, il rigoroso rispetto dei protocolli sanitari viene imposto quando effettuiamo un colloquio con i nostri familiari (che nel decreto di marzo scorso venivano definiti congiunti e gli unici con cui non si doveva/poteva essere distanziati).
Il tutto risulta fortemente incongruente ed incoerente, siamo ammassati tra “estranei” in strutture fatiscenti con scarsa igiene però ci viene vietato di stringerci alle nostre famiglie; coloro che fruiscono dei permessi premio per coltivare gli affetti, al rientro devono stare in quarantena non potendo lavorare (scelgono quindi di rinunciare ai permessi per non rischiare l’occupazione interna).
Chi lavora qui, invece, entra, esce, va in ferie, permesso, etc etc… ma non è sottoposto ad alcun isolamento fiduciario, il Ministero si affida al loro buonsenso…. Assurdo, ingiusto.
Non c’è equità neppure davanti alla salute e all’emergenza.
C’è un semplice calcolo che descrive in modo elementare qual è il nostro diritto all’affettività: 6×12=72 (6 ore al mese di colloquio consentite X 12 mesi = 72 ore l’anno à 3 giorni), questo vale per i detenuti comuni. Chi è al 41bis/AS ne ha ancora meno.
Questi “3 giorni” a cui abbiamo diritto, già in una situazione di normalità sono una violazione del diritto all’affettività e violano la dignità.
La pena è nostra e dei nostri parenti. Durante questo anno sono stati ridotti e durante il lock-down sostituiti da videochiamate di 25 minuti. Quindi abbiamo fatto grandi rinunce che ci hanno reso tutto più difficile e che ci stanno provando nel profondo.
Genitori che non possono abbracciare i minori, obbligati dietro un plexiglass, anziani che venendo qui rischierebbero.
La gestione della prima ondata qui dentro è stata fallimentare, la direzione sanitaria ha avuto un comportamento assurdo che ovviamente è ricaduto solo su noi e su chi cerca di far bene il proprio lavoro qui dentro.
Il Ministero ha applicato misure insignificanti dal punto di vista sanitario, ma improntate solo sul rispetto della “SICUREZZA”. Nulla è stato fatto bene.
Nel resto d’Europa ci sono state misure di clemenza e deflattive, qui in Italia al già alto numero di detenuti, se ne aggiungono altri giorno per giorno.
Nessun organo d’informazione si occupa di noi.
Siamo fantasmi. Per tutti. Eppure, usciremo prima o poi…
Si sta creando una bomba sociale qui dentro. Si respira aria di sofferenza mista a rabbia per l’essere inascoltati. ULTIMI TRA GLI ULTIMI. Cresce la sfiducia verso un Sistema Statale che ci mette nel dimenticatoio.
Siamo come un malato a cui vengono vietate le cure dal proprio medico, in questo caso il Governo e chi lo compone. Veniamo trattati come numeri di matricola, non come persone, così è controproducente sia per noi, sia per lo Stato stesso, che accoglierà gente solo più sfiduciata.
In Italia, dopo le elezioni regionali, nel gioco del “dare e avere” tra partiti di coalizione, sono stati modificati i Decreti Sicurezza, proprio per la loro indegna struttura, scelta coraggiosa da parte del PD perché tutto ciò non si estende ai carcerati. Non ci si rende conto del pericolo o meglio non siamo argomento vincente in propaganda, ma non si dovrebbe essere sempre e solo in campagna elettorale, specie sul tema giustizia.
Dato che sappiamo che solo la nostra voce non farà presa sull’opinione pubblica e sui “potenti”, ci rivolgiamo a voi. Speranzose di non rimanere inascoltate ma di essere sostenute nella nostra pacifica richiesta di attenzione.
Scontare la pena così rende “doppia” la reclusione già solo per questo.
Richiediamo al Governo di prendere in esame di nuovo misure meno afflittive (indulto, libertà anticipata di 75 gg, misure alternative), non come un regalo di clemenza, ma come un diritto acquisito.
Se si pensa alle rivolte dello scorso marzo, in cui 12 compagni detenuti sono morti, i promotori del “buttiamo via le chiavi” li hanno dipinti come “fuori controllo”, “incivili”, ma si sarebbe dovuto pensare al disagio che li ha portati a morire così.
Troppo spesso si hanno due pesi e due misure, in tutto questo non c’è una forma di giustizia che sia “giusta”.
Per favore riportate a chi di dovere le nostre richieste.
Vi ringraziamo per l’attenzione.
In attesa di un positivo riscontro Vi salutiamo.
#CERCAVI GIUSTIZIA TROVASTI LA “LEGGE”
Alleghiamo Firme 3^ Sezione Femminile
MARINA ADANZA
VALENTINA FABRIS
YELENIA REGGIANI
TERESINA LEUZZI
SARA LUSCI
STEFANIA CALABRIA
YUDERCKI MONTERO
DANA LAURIOLA
REGINA HOPIC
ROSA CATANIA
HINDIA SMERYEL
DEXDEMONE DERVISHI
ASSUNTA CASELLA
SHOLAKE SHOLAPO
SARAH CHABANE
ROSALIA FALLETTA
LETHIRAPATHY BAVANI
PAOLA MAZZONI
TERESA CRIVELLARI
da notav.info
La lotta del prigioniero politico basco Inaki Bilbao non è finita. Dal 2 novembre è in sciopero della fame e della sete per un Paese basco indipendente, socialista, unito e di lingua basca
Nel maggio dell’anno scorso, il caso del detenuto basco Inaki Bilbao Goikoetxea (Txikito, originario di Lezama) aveva suscitato un certo scalpore (se pur modesto, compatibilmente con i tempi che corrono).
Nel carcere dove è rinchiuso (a Puerto III, una prigione ritenuta tra le più dure della penisola iberica) veniva costretto a portare le manette anche durante le visite.
Esasperato per quello che considerava un trattamento eccessivo, il prigioniero aveva dichiarato che – se le autorità carcerarie perseveravano – da quel momento si sarebbe rifiutato di presentarsi alle visite.
Nato nel 1956, Txikito viene considerato come il prigioniero basco che sta in carcere da più tempo. Ormai da ben 36 anni se pur in due fasi. Avendone scontato solo 12 della sua ultima condanna a oltre 68 anni (per l’uccisione del consigliere comunale del PSE Juan Priede), dovrebbe uscire non prima del 2070. Ha poi accumulato una serie di altre condanne per aver in più occasioni minacciato giudici e magistrati durante i processi.
Secondo le associazioni pro-amnistia e di sostegno ai prigionieri baschi, le autorità starebbero adottando nei suoi confronti metodi particolarmente duri come ritorsione per le sue posizioni critiche sull’abbandono della lotta armata da parte di ETA.
Dopo aver già condotto una protesta della fame e della comunicazione di 50 giorni, dal 9 settembre al 30 ottobre (e sospesa per non essere sottoposto all’alimentazione forzata), il 2 novembre ha iniziato un nuovo sciopero sia della fame che della sete per rivendicare «un Paese basco indipendente, socialista, unito e bascoparlante».
Inaki Bilbao è stato presentato dai media come il «referente dei duri». Ossia dei militanti contrari al processo di soluzione politica adottato da ETA nel 2011 (e per questo espulsi dall’organizzazione).
Durante il suo ultimo sciopero della fame nel settembre-ottobre 2020 (ne aveva condotto un altro, durato oltre un mese, nel 2017), molti cittadini baschi tuttavia avevano espresso vicinanza e solidarietà con la sua protesta. In particolare il 10 ottobre 2020, a Bilbao, quando era stata convocata una manifestazione nazionale.
Libertà per Maher Al-Akhras al suo 100mo giorno di sciopero della fame, libertà per tutti/e prigionieri/e politic* palestinesi
Maher Al-Akhras è al suo 100mo giorno di sciopero della fame per chiedere la fine della detenzione amministrativa che gli è stata imposta per l’ennesima volta dall’occupante illegale della terra di #Palestina. La sua resistenza non è solo per la sua libertà, ma anche a nome di tutti i palestinesi che soffrono di questa politica repressiva. In questo momento Maher Al-Akhras è in ospedale e a causa del suo lungo sciopero della fame la sua situazione sanitaria si aggrava di giorno in giorno.La detenzione amministrativa è una misura di repressione e di punizione illegale, che è stata introdotta dall’esercito britannico e che in seguito è stata applicata dalle forze di occupazione israeliane nei confronti del popolo palestinese. Maher Al-Akhras ha subito questa misura molte volte nella sua vita a causa del suo impegno e del suo sostegno ai prigionieri politici.
Ieri Maher ha perso i sensi e i medici dicono che potrebbe morire da un momento all’altro.
E’ stato lanciato un flah mob per Maher, per sostenere il popolo palestinese. Molti, in occasione del suo 100° giorno di sciopero, hanno fatto oggi un giorno di sciopero della fame, ma c’è anche una petizione da sottoscrivere on line e altre iniziative:
Postare nella propria storia instagram un selfie o video di sé stessi con in mano un cartello con scritto #FreeMaher e taggarci. Se avete il profilo privato non riusciamo a vedere le vostre foto per cui mandatecele per messaggio e postiamo noi.
Pubblicare anche sul proprio profilo Facebook lo stesso contenuto sempre con l’hashtag #FreeMaher. Più postiamo su diverse piattaforme, più persone riusciamo a raggiungere.
Firmare la petizione “Act now to Free Maher Al Akhras” , lanciata dall’organizzazione palestinese “Samidoun, Solidarity with Palestinian prisioners Network”. Qui il link. https://www.change.org/…/amnesty-hrw-icrc-un-ohchr-act…
Coraggio! Uniamoci contro questa enorme ingiustizia. L’indifferenza è complice.
#freemaher
#FreeOurPoliticalPrisoners
Antifascisti modenesi condannati dalla cassazione al pagamento di 3000 euro per concorso morale all’antifascismo militante. Solidarietà da SRP
Dissenso radicale = terrorismo?
L‘attivismo politico impostato su una critica anche dura e radicale a istituzioni pubbliche trattato come associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Se ne discute domani (oggi per chi legge) in Cassazione dove sarà esaminata la richiesta degli avvocati di un gruppo di anarchici arrestati a Roma a giugno scorso di annullare le misure cautelari in carcere poi confermate dal tribunale del Riesame.
”Il costante richiamo alla vicinanza ideologica a una determinata area dell’anarchismo diviene l’unico criterio che consente al tribunale di qualificare azioni e finalità delle stesse sotto la nozione di terrorismo tralasciando tutte le altre verifiche che la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità richiede siano svolte con particolare rigore attenzione e cautela” scrive in uno dei ricorsi l’avvocato Ettore Grenci che avverte: “Cosi si verifica esattamente il pericolo da cui ci mette in guardia la Corte Costituzionale ovvero quello di perseguire non il fatto ma il tipo di autore tendenza che è storicamente rappresentata nel concetto di diritto penale del nemico non a caso formatasi proprio sulla criminalizzazione di movimenti e organizzazioni ritenute ‘anti-Stato’”.
Nel motivare le misure cautelari sia il gip sia il Riesame avevano censurati in modo particolare le manifestazioni con sit-in volantinaggi e altro in relazione alle strutture carcerarie e alle condizioni di detenzione aggravate ulteriormente dalla crisi legata al Covid. Insomma domani in Cassazione si parlerà dell’infinità emergenza italiana e di una sorta di democratura che di fatto mette a rischio il dibattito politico fino a eliminarlo del tutto (frank cimini)
Da http://www.giustiziami.it
Lettera di Francesca Cerrone in sciopero del carrello dal carcere di Latina
“Solidarietà tra prigionierx anarchicx”
Le condizioni detentive nelle prigioni italiane continuano a peggiorare; di fronte all’emergenza COVID le richieste dellx prigionierx sono rimaste per lo più inascoltate, facendo nascere rivolte in decine di carceri, seguite poi da una forte repressione, con trasferimenti punitivi e procedimenti penali. In quelle rivolte, molti detenuti sono morti. La responsabilità di quelle morti è dello stato. Le modifiche apportate dai sistemi carcerari dalla primavera scorsa in molti casi hanno significato una riduzione dei contatti con l’esterno, riduzioni delle attività, isolamenti, rendendo le condizioni detentive sempre più invivibili. Ad oggi, non ci sono segnali di miglioramento, nonostante ormai ci sarebbe stato tutto il tempo per agire di conseguenza alla situazione. Le nuove disposizioni non fanno presagire nulla di buono, con misure ancora più restrittive per le sezioni di alta sicurezza ed un ampliamento dell’utilizzo del regime 41 bis di tortura lenta che mira a piegare le strutture basilari delle identità individuali.
A fronte di ciò, chi osa essere contro le prigioni, contro lo stato che le gestisce e la società che le necessita, chi porta avanti pratiche di solidarietà dentro e fuori le mura, viene sempre più spesso rinchiuso al di qua di queste. Le ultime inchieste anti anarchiche sono chiaramente un modo per osteggiare la solidarietà con lx prigionierx, e lx prigionierx anarchichx.
Tra questx, alcune situazioni di prigionia spiccano per il loro carattere particolarmente punitivo e insostenibile.
Davide Delogu si trova infatti sottoposto a regime di 14 bis, per non aver mai abbassato la testa di fronte all’istituzione carceraria. Nonostante le sue richieste di trasferimento in un’altra prigione, non è stato trasferito ed anzi, la sua situazione si è aggravata.
Giuseppe Bruna si trova nella sezione protetti del carcere di Pavia da più di un anno, nonostante le sue ripetute richieste di trasferimento, il DAP dietro pretesti non l’ha trasferito.
Il sistema patriarcale su cui lo stato e la società si reggono svela nel mondo delle prigioni i suoi aspetti più infimi e acuti: lo vediamo nelle peggiori condizioni in cui versano le prigioniere nelle carceri femminili in generale, negli stereotipi di genere a cui sono costrette, nelle logiche di infantilizzazione e psichiatrizzazione che sono loro imposte. Lo vediamo nel trattamento riservato alle compagne anarchiche, che vengono divise e sparpagliate nelle AS3 d’Italia, perché questa è la prima logica del patriarcato: dividere le donne, perché quando si uniscono fanno tremare il potere. Lo vediamo nel trattamento degli uomini con un orientamento sessuale non normativo, e in quello delle persone che non si riconoscono nel binarismo di genere imposto, a cui è riservato un posto tra infami, pedofili e stupratori.
Come anarchica non sostengo di certo la logica dei circuiti differenziali delle prigioni, come non sostengo la logica stessa della prigione, a cui mi oppongo e contro cui lotto. Perché ogni tipo di prigione venga distrutta.
Nel frattempo non starò immobile e zitta mentre dex compagnx anarchicx vivono delle condizioni insostenibili in altre prigioni.
Davide e Giuseppe lottano per il loro trasferimento in situazioni più vivibili. Io sono con loro.
Per questo, da lunedì 19 ottobre porterò avanti uno sciopero del carrello nel carcere di Latina dove sono rinchiusa.
Per un mondo libero dalle galere.
Per la solidarietà tra e con lx prigionerx.
Per l’Anarchia.
Per scriverle:
Francesca Cerrone
Casa Circondariale di Latina
Via Aspromonte 100
04100 Latina
Italia