Antifascisti sotto processo anche a Livorno. Spezzare la repressione con l’unità della solidarietà

L’Antifascismo non si processa – Effetto Refugio

Siamo attiviste e attivisti di Livorno, appartenenti a diversi spazi, realtà e collettivi. Negli anni ci siamo impegnat* a combattere, con iniziative e metodi differenti, ogni forma di discriminazione, razzismo e rigurgito fascista, per i diritti di tutt*.

Dal 2006 organizziamo “Effetto Refugio”, un’alternativa alla kermesse cittadina livornese Effetto Venezia. Durante queste giornate, riportiamo al centro del dibattito pubblico tematiche sociali e politiche – affiancandole ad eventi culturali e artistici – che vengono poi riassunte in uno slogan scritto su uno striscione visibile alla cittadinanza.

Due anni fa, durante il consueto svolgimento dell’evento, abbiamo però subito un grave abuso da parte delle forze dell’ordine.

I FATTI

Lo striscione che decidemmo di scrivere e affiggere la prima giornata di quell’anno recitava: “Effetto PD, Lega, 5stelle, 11 aggressioni in 50 giorni: il vostro razzismo è emergenza. Il vero cambiamento: casa, lavoro, reddito per tutt*. LEGA FUORILEGGE”, in chiaro riferimento alle sconcertanti dichiarazioni del neo-governo “del cambiamento” che negavano l’esistenza di un’emergenza razzista in Italia.

Intorno alle 1:00 della stessa sera, mentre lo spazio si stava preparando alla chiusura, gli agenti della DIGOS avanzarono verso di noi, accompagnati da almeno due reparti celere e seguiti da un camion dei Vigili del Fuoco. Il loro obiettivo? Rimuovere lo striscione, senza possibilità di replica. Dopo aver chiesto loro quali fossero i reati contestati, e dopo aver notato la loro fermezza a procedere senza che ci venisse fornita alcuna giustificazione, ci siamo oppost* alla rimozione. Con le altre persone presenti, ci siamo avvicinat* allo striscione, nel tentativo di difendere non solo lo stesso, ma anche la nostra inviolabile libertà d’espressione. Qualche minuto dopo, la Vicaria del Prefetto ha autorizzato un’ingiustificata carica a freddo proseguita in più riprese, anche a seguito dell’intervento del camion dei pompieri e della conseguente rimozione dello striscione. Durante le cariche sono rimaste ferite almeno 15 persone, molte delle quali accorse sul posto per capire cosa stesse accadendo. Il motivo scatenante di questa violenza? La frase “LEGA FUORILEGGE”, in chiaro rimando allo storico “MSI FUORILEGGE” che spicca sulla fortezza medicea, scelta appositamente per ribadire che a Livorno non c’è mai stato né ci sarà mai spazio per alcuna forma di fascismo.   LE NOTIFICHE

A seguito di questo attacco repressivo immotivato abbiamo diffuso un comunicato, avvalorato da una testimonianza video, nel quale veniva illustrata l’esatta dinamica dei fatti e abbiamo indetto una conferenza stampa aperta alla cittadinanza.
Ma ciò non è bastato. Dieci sono le notifiche arrivate alle compagne e ai compagni presenti quella sera. Le accuse? Danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni.

Lo scatenarsi dell’apparato repressivo dello Stato ci è tutt’altro che nuovo. Negli anni abbiamo assistito a innumerevoli e vani tentativi di silenziare il nostro legittimo dissenso nei confronti del potere, testimoniati dai molteplici procedimenti che ci hanno vist* e ci vedono tuttora coinvolt*: dalle lotte per il diritto all’abitare, passando per la liberazione e la riqualificazione di spazi verdi abbandonati e adibiti a discarica, fino alla contestazione di tutti quei personaggi che – attraversando la nostra città – hanno provato a fare attecchire le loro politiche xenofobe, securitarie e misogine.

Effetto Refugio → 10 procedimenti penali
• Movimento per la Casa  → Oltre 100 procedimenti penali in corso
• Orti Urbani → 13 procedimenti penali per occupazione di terreno abbandonato
• Giorgia Meloni → 42 procedimenti penali (per più di 200.000€ di risarcimento) per radunata sediziosa
• Fatti della Prefettura → 21 condannati (per quasi 50.000€ e un totale di 30 anni di reclusione) La nostra lotta è la lotta di chiunque desideri vivere lontano da discriminazioni, in uno spazio libero dal fascismo e dalla violenza sistematica. Adesso abbiamo bisogno della solidarietà di chi, come noi, crede che questo compito non possa essere delegato alle istituzioni. Per questo motivo ti chiediamo di condividere questo video e di contribuire alla raccolta fondi per le spese processuali a carico di molte compagne e molti compagni che da anni lottano in città per i diritti di tutte e di tutti.

Condividi. Partecipa. Lotta.
L’antifascismo non si processa!

Qui il link della raccolta fondi

da InfoAut

Contro la repressione delle lotte occorre un fronte unito di solidarietà proletaria. Per la sola vertenza Italpizza sono salite a 120 le persone imputate per gli scioperi!

Da Si Cobas Torino

ITALPIZZA: ALTRI 53 IMPUTATI
3 ottobre manifestazione nazionale a Modena

Meno di una settimana fa avevamo annunciato la conclusione delle indagini per 67 compagne e compagni per il maxi-processo Italpizza. Oggi arriva una seconda tranche, con accuse per altre 53 persone, portando così il numero di indagati modenesi a 120 per la sola vertenza Italpizza.

Il numero di procedimenti penali per gli scioperi nel modenese supera così i 450, una cifra incredibile, senza paragoni in Italia, che mostra chiaramente la volontà di fermare le lotte operaie in un territorio dove istituzioni, malavita e affari sono talmente intrecciati da sembrare indistinguibili. È chiaro che a Modena sono in corso le prove generali di una repressione che poi verrà replicata nel resto del paese. Non possiamo permetterlo.

Per questo motivo il S.I. Cobas convoca una manifestazione nazionale per sabato 3 ottobre 2020 a Modena. A breve pubblicheremo maggiori informazioni. Invitiamo fin d’ora tutti i Cobas, i solidali e le organizzazioni del territorio a partecipare alla mobilitazione.

Forza S.I. Cobas, fino alla vittoria!!

  • Modena, 9 settembre 2020

USA, la polizia spara su un adolescente autistico. Non sono mele marce, ma vermi dell’umanità

Un ragazzo autistico di 13 anni è stato ricoverato in ospedale in condizioni “gravi” dopo che la polizia dello Utah gli ha sparato, a seguito di una chiamata al 911 da parte della madre che chiedeva assistenza psichiatrica d’emergenza. E invece sono arrivati dei killer in divisa, sociopatici e da tso immediato.
Golda Barton, la madre dell’adolescente, ha parlato con i media dopo la sparatoria, avvenuta venerdì, spiegando di aver chiamato il 911 per chiedere l’intervento di una squadra d’intervento specializzata per assistere il figlio, Linden Cameron, che secondo lei stava avendo un crollo mentale.
La signora Barton ha detto di aver detto alla polizia che il tredicenne Linden, malato di sindrome di Asperger (la stessa che, in forma più lieve, ha colpito Greta Thumberg), era disarmato e incapace di regolare le sue reazioni, e che aveva bisogno di essere trasportato in ospedale per essere curato.
Quindi, li chiamo, e si suppone che escano e siano in grado di risolvere la situazione usando il minimo della forza possibile“, ha detto la signora Barton all’emittente locale.
Quando sono arrivati due agenti, la madre ha detto che le era stato chiesto di aspettare fuori mentre entravano in casa. Ha detto che pochi minuti dopo che la polizia è entrata in casa ha sentito l’ordine di “mettersi a terra” e diversi colpi di pistola.
Secondo la madre, Linden ha ferite alla spalla, alle caviglie, all’intestino e alla vescica, e sta lottando con la morte in ospedale.
Il sergente della polizia di Salk Lake City, Keith Horrocks, ha detto in una conferenza stampa di sabato che la polizia è stata chiamata in una casa a Glendale, Salt Lake City, venerdì, per una segnalazione di un “problema di psiche violenta che coinvolge un minorenne“, aggiungendo però un falso dettaglio che vorrebbe essere “difensivo”:  il minorenne avrebbe fatto minacce con un’arma.
Il sergente Horrocks ha bofonchiato che il ragazzo sarebbe fuggito a piedi ed è stato colpito da un agente durante un breve inseguimento a piedi. Ha detto che credeva che il ragazzo fosse in “gravi condizioni”.
E quale miglior cura della morte? P.s.

Questa mattina la Polizia si è presentata in Ortica per eseguire l’annunciato sgombero di Lock, Laboratorio Occupato Kasciavit, il nuovo spazio autogestito da un collettivo di studenti, lavoratori e precari in via Trentacoste 7. La Questura di Milano era parsa subito irremovibile sulle possibilità di sopravvivenza del nuovo spazio liberato. La motivazione ufficiale dello sgombero è quella dell’emergenza Covid anche se non vanno sottovalutate le pressioni della proprietà. La polizia si e’ così presentata davanti allo spazio del quartiere Ortica, sollevando di peso gli occupanti seduti per terra e restituendo lo stabile, una ex Mondadori abbandonata da anni, all’incuria e al degrado.

Ricordiamo che gli occupanti del Lock, durante la pandemia, avevano dato un importante contributo solidale con la Brigata Scighera, ma la gratitudine, si sa, in questa metropoli, non ha cittadinanza. Inizia quindi nel peggiore dei modi questo settembre milanese caratterizzato da un ampio attacco agli spazi sociali al quale si sta costruendo una risposta con l’assemblea di Torchiera di settimana scorsa e quella al Lambretta del 15 settembre.

Questo il comunicato del Laboratorio Occupato Kasciavit.

L.OC.K. E’ STATO SGOMBERATO!
Ebbene si, e’ arrivato “quel momento”che non avremmo mai voluto annunciare;
Il Laboratorio Occupato Kasciavit e’ stato sgomberato.
Proprio questa mattina la polizia si e’ presentata davanti allo spazio di via Trentacoste per restituirlo all’abbandono e al degrado.
Ha vinto quindi la politica di una città che si costruisce su deserto e pacificazione sociale togliendo il respiro, di fatto, alla spinta e alla voglia di cambiamento reale.
Il laboratorio che abbiamo provato a costruire in questi giorni era animato da passione, energia e soprattutto da volontà di costruire qualcosa di differente, qualcosa di energico, utile per la città ed alternativo. Uno spazio accessibile per tutte e tutti, dove le menti e i corpi fossero liberi di esprimersi nel modo migliore possibile. E invece, a tutto questo hanno deciso di mettere la parola fine.
Crediamo che gli spazi come L.OC.K. siano necessari all’interno di realta’ come Milano, e che troppo spesso si cerchi invece di soffocarli, di metterli in silenzio.
Ora più che in altri tempi, stiamo assistendo a una precisa progettualità politica, che utilizza, strumentalizzandola, l’emergenza Covid come ennesimo veicolo di ricatto.Abbiamo in pochi giorni dimostrato che è possibile migliorare il territorio in cui si vive; le attività di mutuo soccorso della Brigata Scighera ne sono un esempio virtuoso. Centinaia di famiglie sostenute durante l’emergenza Covid-19, decine di attivist* e volotar* in strada per mesi e tanto duro lavoro ci hanno permesso di mettere le basi per costruire un quartiere e una città migliore, scardinando dinamiche di guerra tra poveri e paura del diverso.
Nel Laboratorio, il coordinamento studentesco Azadî ha trovato posto per esprimersi, costruire percorsi e attività affini ai propri bisogni ed utili al progredire del proprio percorso; ne e’ un esempio l’aula studio, costruita ed igienizzata rispettando tutte le norme igienico-sanitarie in soli tre giorni nello spazio. Ma lo sono anche le varie assemblee tenute durante questi giorni, i momenti di aggregazione collettiva, gli scambi e le interazioni che si sono create durante questa breve permanenza.
Tutto questo e molto altro è e sarà L.OC.K., una spinta energica che si riversa sulla città e che non si fermerà davanti a niente e a nessuno, polizia o palazzinari vari che siano. Crediamo nel valore degli spazi sociali, crediamo che, ora più che mai, siano fondamentali per aprire squarci ed evidenziare contraddizioni in questa società piatta e desertificata.
La palla ora è in mano a noi e a chi vuole provare, passo per passo, a costruire una città solidale e resistente, mettendo in gioco il proprio corpo, la propria mente e i propri valori.
Non sarà uno sgombero a bLOCKarci ma, a differenza di quello che pensa qualcuno, ci vedremo nelle strade, nelle piazze, nei luoghi di lavoro e nelle scuole. Un altro mondo è possibile, ai nostri posti ci troverete!
Laboratorio Occupato Kasciavìt

PER EBRU, PER AYTAC, PER LA DIFESA DEI DIRITTI UMANI IN TURCHIA VENERDI’ 11 SETTEMBRE A ROMA – Piazza Monte Citorio, ore 14,30

Ebru Timtik è morta in difesa della giustizia, del diritto alla difesa e della dignità della professione forense, dopo 238 giorni di sciopero della fame mentre era detenuta.
L’Avv. Aytac Unsal, come lei detenuto e condannato in appello in un processo svolto in violazione di ogni regola, dopo 213 giorni di sciopero della fame, dopo la morte di Ebru e dopo la mobilitazione internazionale dell’Avvocatura e dell’opinione pubblica, il 3 settembre è tornato in libertà, per decisione della Corte Suprema, che ha deciso la sua temporanea scarcerazione (e il divieto di lasciare il Paese) in attesa che le sue condizioni di salute migliorino, sulla base della perizia medico legale che già a fine luglio aveva definito le sue condizioni (come quelle di Ebru) incompatibili con la detenzione. Peraltro, la Corte Suprema non ha ancora sciolto la riserva nel merito per questo processo per il quale altri colleghi ad oggi continuano ad essere detenuti in carcere.
È davvero intollerabile, un affronto ai principi stessi dello stato di diritto, che molte avvocate ed avvocati siano ancora in carcere in Turchia, con accuse che si fondano sull’esercizio del diritto/dovere di difesa.
È, a maggior ragione, ancor più intollerabile che a detenuti in gravi condizioni fisiche perchè debilitati dallo sciopero della fame, come Aytac, e prima di lui Ebru Timtik, di 42 anni, İbrahim Gökçek, di 40 anni, Helin Bölek e Mustafa Koçak, di 28,per citare solo i morti del 2020, sia impedito l’accesso a cure mediche di fiducia e l’applicazione delle misure cautelari in una forma tale da garantire il loro diritto alla salute, al punto tale da determinarne la morte.
Il governo italiano, l’Unione europea ed il Consiglio d’Europa levino finalmente la voce per denunciare la responsabilità di Stato per queste morti, ed intraprendano ogni azione necessaria per garantire il diritto alla vita ed al giusto processo per Aytac e per tutti gli avvocati ed avvocate ancora ingiustamente detenute.
Venerdì 11 settembre alle ore 14,30 tutte e tutti a Roma, in Piazza Monte Citorio, gli avvocati e le avvocate in toga, per ricordare Ebru e chiedere la liberazione di Aytaç Unsal e di tutti i difensori, magistrati, parlamentari, giornalisti, accademici e docenti, detenuti ingiustamente nelle carceri turche.
Invitiamo tutti e tutte a partecipare agli eventi che verranno organizzati dalle associazioni e dagli Ordini Forensi mobilitati anche a livello europeo e proponiamo per lunedì 28 settembre, in occasione del trigesimo dell’assassinio di Ebru, una giornata di mobilitazione in tutte le sedi giudiziarie.
Promuovono la manifestazione: ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI insieme a : Unione Camere Penali Italiane-Osservatorio Avvocati Minacciati, Legal Team Italia, Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA), Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione (ASGI), MGA sindacato nazionale forense, Magistratura Democratica, Movimento Forense

Comunicato dei prigionieri politici mapuche in sciopero della fame

Comunicato dei prigionieri politici mapuche in sciopero della fame nel carcere di Temuco
07 SETTEMBRE 2020

Comunicato pubblico rivolto alla nazione mapuche e all’opinione pubblica in generale,
noi Prigionieri politici mapuche del modulo dei comuneros del CCP Temuco, denunciamo ciò che segue:
La prigione politica è stata una conseguenza da quando esiste lo storico conflitto tra il nostro popolo nazione mapuche e gli stati argentino e cileno, rendendo ogni volta di più esplicite le contraddizioni che la nostra gente ha reclamato, territorio e autonomia. Di fronte a questa situazione la risposta da parte del governo di turno è stata repressione e militarizzazione di zone chiave, processi politici, criminalizzazione e carcere. Ogni volta gli stati hanno negato una risposta alle giuste rivendicazioni di fondo e si sono rifiutati di trovare una soluzione politica al conflitto. Questo perché il processo di lotta colpisce il modello economico di uno stato che è di tipo capitalista-neoliberale e perché nei territori occupati si trovano imprese forestali, centrali idroelettriche, miniere, latifondi e molti altri interessi di tipo estrattivista. Per questi motivi, noi come popolo mapuche, e in particolare coloro che sono più impegnati con la causa di recupero dei territori e della libertà, uniti nel movimento mapuche autonomista, dobbiamo accumulare le forze e scontrarci direttamente con questi interessi che tentano di depredare la nostra Ñuke Mapu. Per questo ci definiamo autonomi e anticapitalisti, essendo parte delle comunità lof e delle organizzazioni che provano attraverso i nostri weichafe e la gente mobilitata a ricostruire politicamente, territorialmente, culturalmente, spiritualmente e militarmente il nostro popolo. In altre parole facciamo parte di un progetto politico che, come militanti del movimento mapuche, ha deciso di assumersi il confronto diretto con il sistema capitalista a causa delle frequenti carcerazioni, a causa delle idee che il movimento autonomista mapuche porta avanti.

Come già detto, la caratteristica di questo conflitto è che gli stati, rappresentati da diversi governi, non hanno dubitato a mettersi fedelmente al servizio dell’imprenditoria e hanno tentato in varie maniere, di farsi carico del conflitto a danno del nostro popolo, un conflitto che si trascina da più di due decenni, attraverso la cooptazione, integrazione, infiltrazione, militarizzazione e carcere per coloro che non hanno abbandonato la linea della ricostruzione del nostro popolo mapuche, applicando rigidamente le loro leggi, le tecniche repressive, e molte volte bypassando le stesse istituzioni per tenere in prigione la nostra gente. È per tutte queste ragioni che rivendichiamo noi stessi come prigionieri politici mapuche. Così come il nostro nemico cerca di continuare il suo assalto, con l’appoggio di infrastrutture e dotazioni militari, noi lanciamo l’appello a continuare lungo il sentiero della liberazione nazionale, il weichan, il controllo territoriale e il sabotaggio contro le grandi imprese capitaliste che occupano il territorio mapuche, tornando a insediarci nelle terre che oggi si trovano nelle mani dell’estrattivismo, riappropriandoci della vita mapuche all’interno di queste proprietà, esercitando il controllo territoriale perché non tornino mai più nelle mani del capitale. La ricostruzione nazionale del popolo mapuche si ottiene con la lotta, il sabotaggio, con le nostre proprie pratiche e i nostri principi, non a fianco di istituzioni che intralciano le nostre rivendicazioni, settori che quando erano al governo non hanno fatto altro che perseguitarci, incarcerarci, e metterci in ginocchio di fronte all’imprenditoria. Per questo invitiamo la nostra gente a non accettare di ricevere le briciole. La nostra richiesta é chiara: lo stato deve restituire il territorio usurpato, ritirarsi insieme alla grande imprenditoria che allunga le mani sulla nostra terra, anche se, grazie alla stampa borghese, sono omesse le nostre rivendicazioni in quanto ritenute parte primordiale di questo conflitto.

Le imprese capitaliste (forestali, idroelettriche, latifondiste, e ciò che è interesse del grande capitale) sono i nostri veri nemici, non il cittadino comune, l’abitante non mapuche, i lavoratori e i poveri compaesani. Questa è una falsità che vuole insinuare il fascismo di estrema destra per mano dei mezzi di comunicazione borghesi. Come prigionieri politici mapuche, siamo fedeli militanti della lotta autonomista, membri del lof, comunità e organizzazioni che, da fuori, continuano a lottare principalmente contro le imprese forestali. I loro principi e la loro etica ci sostengono.

Innanzitutto rivendichiamo la violenza politica come forma legittima di resistenza e autodifesa verso il capitalismo estrattivista, rispettando la vita della gente che l’imprenditore o lo stato utilizza come capro espiatorio per sostenere la presunzione di terrorismo e le accuse contro il nostro popolo. Così sosteniamo pienamente il cammino dei weichafe e di quei settori realmente impegnati nella ricostruzione della nazione mapuche. Dissociandoci da quei settori che cercano solo di spremere reddito e sfruttamento politico per altri fini, che non aiutano, piuttosto il contrario, confondono e fermano molto volte gli obbiettivi in cui crediamo, la liberazione del nostro popolo nazione. Allo stesso modo, si vuole sostenere la lotta degna che viene porta da fuori, sia come nelle proposte politiche che nelle analisi delle nostre organizzazioni e comunità in Resistenza.

Da ultimo dichiariamo di affrontare lo sciopero della fame come una trincea di lotta dal carcere, mettendo in chiaro che, a sua volta, il nostro sciopero della fame e la nostra mobilitazione è politica e per le importanti richieste/rivendicazioni del nostro popolo. Allo stesso modo lo sciopero vuole incoraggiare la degna lotta che si fa là fuori, sia le proposte politiche che le analisi delle nostre organizzazioni e lof in resistenza. È per questo che affrontiamo la prigione politica con dignità sperando di apportare ancor più energia alla lotta per la ricostruzione nazionale mapuche, lanciando al contempo un appello per incoraggiare la nostra gente, a continuare il recupero territoriale attraverso il controllo territoriale, a continuare la resistenza e ad infiammare i nostri weichafe contro i diversi investimenti capitalisti.

Per tanto le nostre richieste sono:

– TERRITORIO E AUTONOMIA PER LA NAZIONE MAPUCHE
– ASSOLUZIONE IMMEDIATA DI TUTTI I COMBATTENTI MAPUCHE
– LIBERTÀ IMMEDIATA DI TUTTI I PRIGIONIERI POLITICI MAPUCHE
– FINE DELLA MILITARIZZAZIONE DEL WALLMAPU

30 agosto 2020

tratto da Rete Internazionale in Difesa del Popolo Mapuche
Da Comitato Carlos Fonseca