No alla repressione dei padroni e dello Stato! Per l’unità di classe!
Le associazioni padronali e i loro servi al governo nazionale e nelle giunte locali cercano di sfruttare la crisi sanitaria ed economica per regolare i conti con i lavoratori e le organizzazioni sindacali combattive all’interno delle aziende, e più in generale per colpire ogni forma di opposizione sociale e politica. Cercano di imporre uno stato di polizia perché la macchina del profitto deve andare avanti sempre e comunque, anche a costo della vita dei lavoratori!
Sono state vietate le riunioni sindacali, si è intimato ai lavoratori (compresi infermieri) di non rivelare all’esterno i casi di contagio, le carenze nella fornitura di DPI o il mancato rispetto delle restanti norme di sicurezza.
Abbiamo visto mandare l’esercito contro i lavoratori in lotta in TNT-Fedex, in BRT e in UPS, mentre decine di lavoratori, attivisti sindacali e politici sono stati oggetto di intimidazioni, multe, denunce o aggressioni a Bologna, Modena, Taranto, Milano, Genova, Trieste e in molte altre città.
La repressione non ha risparmiato chi ha portato avanti azioni di solidarietà e assistenza, come a Quarto, Torino o a Napoli dove la polizia si è presentata a casa di alcuni disoccupati per identificarli: tutti compagni “colpevoli” di aver chiesto risposte su bonus spesa, garanzia del salario diretto e indiretto, sospensione di bollette e affitti, tutela reale ed effettiva della salute e della vita dei proletari nei luoghi di lavoro, in primo luogo in quelle attività rimaste aperte durante tutto il periodo della pandemia.
Abbiamo assistito a una strage nelle carceri, mentre compagni anarchici sono stati arrestati o denunciati a Bologna per “reato di solidarietà” verso i detenuti e le rivolte nei CPR. La Procura di Milano minaccia un procedimento per terrorismo per una scritta su un muro che non dice altro che la verità sulla gestione criminale dell’emergenza da parte dello Stato dei padroni. Il tribunale di Messina rimanda a giudizio quarantuno altri compagni; a Foggia continua la persecuzione giudiziaria nei confronti delle attiviste/i e dei lavoratori in lotta contro lo sfruttamento del bracciantato agricolo.
Le realtà aderenti all’Assemblea per il patto d’azione esprimono la propria incondizionata solidarietà a chi oggi lotta per gli interessi di classe. Risponderemo ad ogni attacco rafforzando l’unità di classe! Faremo di ogni attacco repressivo un’occasione per unire le lotte sui luoghi di lavoro e sui territori, a livello nazionale e internazionale.
L’ultimo caso balzato agli onori delle cronache riguarda Ferrara, dove tre agenti di polizia penitenziaria sono accusati del reato di tortura per aver fatto spogliare e picchiato in cella un detenuto. Il fatto risale al 30 settembre e ad essere imputata è anche un’infermiera per false attestazioni.
Le associazioni in difesa dei diritti dei detenuti, però, riportano di aver ricevuto diverse segnalazioni di violenze e torture in carcere nei giorni e nelle settimane successivi alle rivolte di inizio marzo.
Tortura, il caso ferrarese
La Procura ferrarese ha chiesto il rinvio a giudizio per tre agenti di polizia penitenziaria con l’accusa di tortura. L’udienza preliminare è fissata per il 9 luglio.
Secondo la ricostruzione della pm Isabella Cavallari, in occasione di una perquisizione, il detenuto è stato oggetto di “trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.
In particolare, il detenuto è stato fatto denudare e inginocchiare e in quella posizione percosso, anche con un oggetto di metallo, quindi lasciato lì fino a quando non l’ha notato il medico del carcere. La prognosi per l’uomo è stata di 15 giorni.
Nella vicenda, due agenti sono accusati anche di falso e calunnia, per i rapporti che hanno stilato. Dopo l’aggressione il detenuto è stato trasferito nel carcere di Reggio Emilia.
Carceri, le “rappresaglie” dopo le rivolte
Dopo le rivolte registrate in molti istituti penitenziari italiani ad inizio marzo, in seguito alle restrizioni e per la paura del contagio da coronavirus, l’associazione Antigone ha raccolto diverse segnalazioni di famigliari che hanno raccontato che i propri cari sono stati fatti oggetti di violenze e rappresaglie all’interno delle carceri.
“In alcuni casi si presentavano squadre di agenti di polizia penitenziaria – racconta ai nostri microfoni la presidente di Antigone, Susanna Marietti – che se la prendevano anche con detenuti che non avevano preso parte alle rivolte o malati e anziani”.
Uno dei primi casi riguarda il carcere milanese di Opera, dove gli agenti hanno usato i manganelli sulle braccia, sulle mascelle e su altre parti del corpo dei detenuti, immobilizzandone alcuni e percuotendoli, dando loro dei calci nei testicoli. Un agente avrebbe riferito a un avvocato che “era solo volato qualche ceffone”.
Il secondo esposto presentato da Antigone è relativo a violenze nel carcere di Melfi, dove alcuni detenuti sarebbero stati denudati e picchiati, insultati, messi in isolamento, trasferiti in altri istituti con lunghi spostamenti durante i quali era loro impedito di andare in bagno, costretti a firmare fogli nei quali dichiaravano di essere accidentalmente caduti.
Ad aprile, invece, al centro dell’attenzione finisce il carcere di Santa Maria Capua a Vetere. Dopo la battitura delle sbarre da parte dei detenuti in seguito alla notizia di un caso positivo al Covid-19, sarebbe avvenuta una ritorsione violenta da parte della polizia penitenziaria in assetto anti-sommossa. Circa 400 agenti avrebbero fatto ingresso con volto coperto e guanti alle mani.
“Ora ci sono 44 avvisi di garanzia alla polizia penitenziaria – osserva Marietti – sarà la magistratura a fare chiarezza”.
Il “giovane” reato di tortura
Alcuni dei processi a cui si approderà per le violenze all’interno delle carceri potranno essere celebrati per il reato di tortura, introdotto nel codice penale nel luglio 2017 dopo una lunga e travagliata battaglia.
L’Italia aveva ratificato la convenzione internazionale delle Nazioni Unite contro la tortura, ma per molti anni non ha introdotto il reato nel proprio ordinamento, principalmente a causa dell’opposizione delle forze dell’ordine.
Nel 2017, invece, la legge fu approvata, anche se tra le polemiche. “Non è la migliore legge del mondo – sottolinea la presidente di Antigone – Ha diverse mancanze e avremmo preferito che fossero utilizzate nel testo le stesse parole della convenzione internazionale, però oggi ci siamo resi conto che il meglio è nemico del bene e sicuramente il reato di tortura renderà molto più difficile far scivolare i processi nella prescrizione, come invece accadeva spesso quando le imputazioni erano per maltrattamenti”.
Ultim’ora: Farida, l’infermiera arrestata ieri è stata liberata. Una buona notizia
Ieri sera Farida un’infermiera Val-de-Marnaise di 50 anni, che lavora da 17 anni all’ospedale Ap, madre di due bambini è stata bloccata con violenza inaudita dai poliziotti, tenuta a terra al punto da avere una costola rotta, sanguinante in faccia, tirata per i capelli come il peggiore criminale.
Il tutto è avvenuto durante una protesta degli infermieri nel quadro della mobilitazione generale di ieri in tutta Francia per la difesa della sanità pubblica.
Infermieri salutati dalla retorica come “eroi” durante la pandemia di Covid 19 ma diventati subito target della repressione appena protestano.
Farida ha subito riconosciuto di essere stata presa dalla rabbia alla fine di una manifestazione a causa delle cariche di polizia e dei lacrimogeni lanciati contro i manifestanti.
Il contesto non può essere eluso: dopo due mesi di lotta contro il Covid 19 dove le notti sono state senza soste, questa infermiera, Farida, non si è fermata nemmeno quando è stata contagiata dal virus Ma non ha sopportato più le violenze di polizia contro le manifestazioni, il disprezzo del governo verso il personale addetto all’assistenza.
L’Union Regionale della Cgt Ile-de-France e l’Union Dipartimentale Cgt della Val-de-Marne esigono il rilascio immediato di Farida senza alcuna accusa contro di lei. O il governo persegue la pace o persegue l’esacerbazione dei conflitti. La violenza sociale è nel campo del governo e del padronato.
Oggi pomeriggio a Parigi alle ore 16 è stata convocata una manifestazione di protesta e per chiedere l’immediata liberazione di Farida presso la stazione di polizia del 7° arrondissement (9 via Fabert, metro Invalid).
Tutto questo non avviene a Hong Kong o negli Stati Uniti di Trump, avviene nell’europea Francia del liberale Macron, e i mass media italiani guardano da un’altra parte.