Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

LIBERTÀ PER ANAN YAEESH! LA RESISTENZA NON SI PROCESSA E NON SI CONDANNA!

Volantino in distribuzione nei prossimi giorni a L’Aquila, che verrà letto al corteo notturno a Terni questa sera, indetto dal coordinamento ternano per la Palestina

Intanto si avvicina l’udienza del 9 luglio, l’unica in cui sarà dato spazio ai pochi testimoni della difesa e ci sarà l’esame/dichiarazione degli imputati. Quindi è importantissimo esserci!

Dopo l’attività istruttoria, sempre il 9, ci sarebbe dovuta essere la requisitoria del pubblico ministero, e il 10 quella della difesa e la sentenza. Ma la PM ha formulato una richiesta istruttoria tardiva attraverso l’audizione di un altro testimone, un dirigente della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, che dovrebbe essere sentito su una serie di annotazioni che sono confluite nella scorsa settimana nel fascicolo del pubblico ministero. Queste annotazioni sono state redatte sulla scorta di informazioni provenienti dai servizi segreti presenti nei paesi arabi in particolar modo in Libano e in Palestina, per cui la difesa si è opposta. E qualora venisse ammessa questa testimonianza dalla Corte, la difesa ha chiesto, in via subordinata, che a prova contraria vengano sentiti dei suoi testimoni, in particolare l’ex dirigente dello Schin bet (licenziato per aver chiamato i coloni terroristi), ma soprattutto l’audizione di Francesca Albanese. Quasi sicuramente l’integrazione richiesta dal PM non verrà accolta perché intempestiva, e di conseguenza verrà meno anche la richiesta di sentire a controprova questi ulteriori due testimoni della difesa.
Certamente il processo non si concluderà il 10 luglio, perché il PM si è lamentato dell’eccessiva celerità con cui dovrebbe preparare la sua discussione. Verosimilmente quello che avverrà, è che nell’udienza del 9/10 luglio verrà completata l’attività istruttoria per sentire tutti i testimoni, dopodiché verrà rinviato il processo a settembre con due udienze consecutive, nella prima delle quali avverranno le discussioni del pubblico ministero e della difesa, e nell’udienza successiva repliche e poi Camera di consiglio e sentenza.

Anan Yaeesh resterà quindi sicuramente in carcere per i prossimi 2 o 3 mesi.

Per sostenerlo nelle spese primarie, che nel frattempo sono aumentate, dato che, fortunatamente, gli hanno accettato l’iscrizione all’Università per stranieri di Perugia, fare bonifici all’IBAN IT95C0200814412000103485396
intestato a CONFEDERAZIONE COBAS SEDE PROVINCIALE DI TERNI
Causale: per Anan Yaeesh

No al processo alla Resistenza Palestinese – Dichiarazione di Anan Yaeesh all’udienza del 2 aprile

Di seguito le dichiarazioni in arabo di Anan del 2 e del 16 aprile. Per la traduzione della dichiarazione del 16 aprile, precedentemente pubblicata, ci siamo affidati a quella dell’interprete del Tribunale, che ha riportato grosso modo quanto Anan ha riferito in Aula.

Per la traduzione di quella del 2 aprile, ci siamo attenuti a quella scritta, ricevuta da Anan (e in grassetto nella prima parte della versione in italiano), integrata con sue ulteriori dichiarazioni riportate in aula quel giorno e ripetute in quella da lui scritta in arabo per l’udienza del 16.

Dichiarazione di Anan per l’udienza del 16 aprile

 

Signor giudice, in primo luogo dò il benvenuto a voi tutti, alla corte, al pubblico

Io non conosco Israele come uno stato democratico, perché Israele è un’entità coloniale che occupa la Palestina, il popolo palestinese.

Per fare un semplice esempio, tutti i documenti dimostrano, con prove inconfutabili, con nomi e date, che le carceri israeliane praticano i metodi e i tipi più spregevoli di oppressione e tortura fisica contro i prigionieri palestinesi. Io ne sono testimone qui, e potete effettuare un esame medico che vi dimostri le tracce di tortura fisica sul mio corpo, le tracce di fratture in tutte le ossa del mio corpo.

Farò un semplice esempio del meccanismo investigativo all’interno di Israele, quando sono stato arrestato nel 2006 e poi portato in una prigione israeliana. Il giorno dell’arresto sono stato ferito da nove proiettili e sono svenuto. Ero ferito alla spalla e quando mi sono svegliato, una poliziotta mi infilava il dito nella ferita e premeva per costringermi a parlare. A causa di questa indagine ho dovuto ripetere l’operazione tre volte, e sono rimasto temporaneamente paralizzato per un anno intero sul lato destro.

Non ho un osso sano nel mio corpo, tutto è stato rotto quando ero prigioniero degli israeliani, ma alla fine non mi sorprende che l’abbiano fatto, sono i nemici del popolo palestinese.

Ciò che mi sorprende è che lo Stato italiano voglia processarmi per conto dell’entità sionista.

Signor giudice, lei si trova davanti a una causa molto delicata, che non riguarda Anan Yaeesh personalmente, ma riguarda la causa della resistenza per il popolo palestinese intero, la lotta di un popolo che ha combattuto per decine e decine di anni e ancora oggi lotta contro l’occupazione israeliana e per la libertà della sua terra e del suo popolo.

Signor giudice, La sentenza del suo tribunale significa molto per noi, non parlo della sentenza sulla mia detenzione o la mia libertà – l’ho già detto prima, lo dico ora e lo dirò ancora: la Palestina merita molto da noi. Le nostre anime e le nostre vite come resistenza le abbiamo donate da tempo alla Palestina e al popolo palestinese.

La prigione non cambierà nulla del leone, se non aumentare il suo orgoglio e la sua fierezza, e accrescere la paura e il terrore nei cuori dei suoi nemici. Noi siamo leoni per natura e dignità. E come ho già detto, siamo nati liberi e resteremo liberi in un’epoca in cui le persone si sono abituate alla schiavitù. E nonostante siamo l’unico popolo che ancora vive sotto occupazione, e nonostante tutti i figli del popolo palestinese vivano dentro prigioni, poiché la prigione non è solo il luogo costruito e attrezzato per i prigionieri, ma tutte le città della Palestina sono circondate da cemento e i loro abitanti sono prigionieri, solo che lo spazio è un po’ più grande, loro sono i veri liberi. Dunque, vostro onore, vi dico che la libertà nasce dall’interno dell’uomo, nel suo pensiero e nella sua mente. Quanti uomini liberi hanno vissuto da prigionieri, e quanti prigionieri hanno vissuto tutta la loro vita da uomini liberi. Vostro onore, qualunque sia la vostra sentenza nel mio caso, non temo per me stesso. Verrà un giorno in cui otterrò la mia libertà. E non mi sono mai sentito, nemmeno per un attimo, solo o straniero in un paese straniero, dopo aver visto e sentito l’enorme calore, amore e sostegno del grande popolo italiano. Le persone di tutte le categorie e classi, soprattutto gli studenti e i giovani, non si sono fermati un attimo per sostenerci e condividere il nostro dolore, quindi dico grazie a loro.

Dunque, per me non è importante se passerò un anno o mille anni in prigione, ma ciò che conta, signor giudice, è che ci sia una posizione della giustizia italiana che la storia ricorderà come quella di chi ha sostenuto la verità e difeso la libertà con i fatti, non con parole e slogan bugiardi, come di chi ha giudicato con coscienza e secondo la giustizia, senza timore di nessuno. La vostra sentenza oggi riguarda il diritto di un intero popolo, non di un singolo individuo, poichè noi siamo i legittimi proprietari della terra e detentori del diritto, e la resistenza palestinese non è terrorismo.

Non siate i primi a invocare e sostenere la libertà e la resistenza, e i primi a tradirle!
Il bambino palestinese che affronta il carro armato israeliano con una pietra in mano, credete davvero che un popolo così rinuncierebbe al suo diritto di riprendersi la propria terra? Vi sbagliate di grosso se lo pensate. E cosa può fare una pietra contro un carro armato? Nulla, sì, ma è una posizione di orgoglio e dignità!
Israele occupa una terra che non è la sua, ruba le sue ricchezze, che spettano al nostro popolo, brucia, uccide e distrugge. Signor giudice, mio padre è nato nel 1940 sulla terra di Palestina, così come i suoi padri e i padri dei suoi padri. C’è forse un solo israeliano nato prima del 1947 su questa terra?

Volete che ricorriamo alla pace e alla politica. Ma abbiamo atteso che questa politica ci restituisse almeno uno dei nostri diritti usurpati dal 1948. Mio zio, il fratello minore di mio padre, si chiamava Jamal Afif Kamal: è caduto martire nel 1974 e il suo corpo è ancora trattenuto dagli israeliani, che si rifiutano di restituircelo per poterlo seppellire. E come lui, ce ne sono tanti, tantissimi altri. Dov’è la politica? I nostri bambini muoiono di fame, di sete, di freddo. La nostra terra è stata bruciata, distrutta, rubata.

Dov’è la politica? E cosa ci ha portato la politica se non alcuni uomini che non sono veri uomini, e alcune donne corrotte che indossano l’abito della diplomazia per vantarsene, dimenticando che gli abiti non coprono l’onore di chi onore non ha.

Non posso che ripetere le parole del defunto Salah Khalaf: “temo più di ogni altra cosa che il tradimento diventi un’opinione”.

Signor giudice, se vogliamo parlare di terrorismo, allora le dico che 125 martiri della mia famiglia sono stati uccisi dalle forze di occupazione israeliane sin dall’occupazione della nostra terra, oltre ai numerosi feriti e prigionieri. Inoltre, nel 2022, prima ancora della guerra su Gaza, l’esercito israeliano ha ucciso 5 membri della mia famiglia in soli due mesi. E sto parlando di una sola famiglia del popolo palestinese. Immagini cosa accade a tutte le famiglie della Palestina!

Signor giudice, il dolore e la sofferenza sono qualcosa che sentiamo profondamente, ma che non possiamo descrivere con le parole

Come posso descrivervi ciò che si prova perdendo i propri amati?

Come posso spiegare che ormai non piangi più dal dolore, perché hai già versato tutte le tue lacrime all’inizio della tua vita, al punto che non riesci nemmeno più a sentire il dolore del dolore?

Come posso dirti che continui a vivere nel ricordo del passato, sorridendo a ciò che ricordi e rattristandoti perché non potrà mai tornare?

Nemmeno il tempo potrà riportarti chi se n’è andato, e non ci sarà nessuno che possa somigliare a loro. Non troverai un amico che condivida con te il dolore prima della gioia, che muoia affinché tu possa vivere.

Il dolore è così grande che persino la pazienza si meraviglia della nostra resistenza, e la sofferenza si imbarazza davanti alla nostra capacità di sopportazione. Ricordo un episodio nel settembre del 2006: dopo numerosi tentativi di assassinio da parte dell’esercito israeliano, arrivarono a casa mia e la distrussero completamente. Poi si rivolsero a mia madre dicendole: ‘Ti porteremo la testa di Anan, morto’. Lei rispose loro: ‘Anche se muore, resterà vivo nei nostri cuori, e la sua testa rimarrà alta per sempre’. Nonostante abbia avuto un ictus un’ora dopo il ritiro dell’esercito israeliano da casa nostra, e nonostante il suo cuore fosse colmo di dolore per il suo figlio più giovane, non ha mai rinunciato alla sua dignità né a quella della sua patria. Questo è il popolo palestinese: chi ha bevuto l’acqua della Palestina da bambino ha costruito dentro di sé un palazzo di dignità e orgoglio.

Parlate di terrorismo e accusate la resistenza palestinese di essere terrorista. Ma con quale diritto? E secondo quale legge? Com’è possibile che chi difende la propria terra venga considerato un terrorista? Com’è possibile che agli occhi vostri la vittima diventi il colpevole e l’oppresso venga visto come l’oppressore?

Poi dite che sono un terrorista, che sono il fondatore e comandante della Brigata di Tulkarem, e secondo voi anche questa è un’organizzazione terroristica. Ma questo non è vero. La resistenza palestinese ha forse mai attaccato un vostro cittadino dentro la Palestina o fuori? I vostri giornalisti riempiono le strade della Palestina. I vostri cittadini si muovono liberamente nelle città e nei villaggi della Cisgiordania. I vostri agenti di sicurezza sono entrati nella Striscia di Gaza. State perfino coordinando l’ingresso di elementi dei Carabinieri in Cisgiordania. I vostri soldati sono presenti in Libano. Eppure, la resistenza palestinese non ha mai attaccato nessuno di voi. E nonostante ciò, la definite terrorismo, e arrestate sul vostro territorio uno dei suoi leader. Vi chiedo su Dio: quale mente razionale può crederci davvero? E non pensiate nemmeno per un momento che la resistenza tema qualcuno! Noi non temiamo coloro che voi stessi temete. La resistenza palestinese incute timore, ma non lo subisce. Naturalmente non abbiamo paura di voi. Come ho già detto: i nostri veri nemici sono gli israeliani che occupano la nostra terra senza alcun diritto.

E d’altra parte rispetto ai vostri amici, non parlerò dei loro crimini contro di noi, perché sono ben noti. Ma non avete visto, ascoltato e verificato che sono loro a bombardare le vostre postazioni militari in Libano? Non sono forse loro che hanno etichettato Papa Francesco come nemico dell’antisemitismo? Non sono loro che hanno vietato e impedito alle agenzie UNRWA e ONU di operare, e che hanno bombardato le loro auto e sedi, uccidendo civili e giornalisti stranieri, anche italiani, senza alcun rispetto per le vostre stesse leggi e normative? Eppure continuate a considerarli vostri amici! Non guardate al passato per imparare le lezioni? La storia non perdona. E se guardiamo indietro, vediamo che l’oppressione, per quanto duri, alla fine è destinata ad essere sconfitta dalla giustizia.

Oggi sono vostro prigioniero, ma se non verrò giudicato equamente dai vostri tribunali, e non lo sarò, perché avete più paura di Israele, otterrò comunque la mia libertà, non importa quanto tempo dovrà passare. La Palestina sconfiggerà l’occupazione e otterrà anch’essa la sua libertà. Se un popolo desidera vivere, la vita sarà il suo destino.

Viva la Palestina libera, araba e palestinese!
Viva Gerusalemme capitale della Palestina!
Libertà per i prigionieri della libertà!
Che dio ci conceda sempre l’onore della Resistenza!

Aggiornamenti sul processo italiano alla Resistenza palestinese 1 – 25 giugno 2025

Un’intensa giornata di lotta e solidarietà alla resistenza palestinese oggi a L’Aquila al fianco di Anan, Ali e Mansour

Una giornata di lotta che si inserisce in una tre giorni di iniziative che accompagna la ripresa del dibattimento in aula.

Nelle ultime udienze sono stati ascoltati diversi testimoni dell’accusa.

Tra i nodi principali: l’interpretazione di messaggi e chat, al centro del fascicolo, e la questione delle fonti informative.
In particolare, sono emerse annotazioni attribuite a servizi israeliani, non ammesse però nel fascicolo del dibattimento.
Oggi ha testimoniato Alessia Fiordigigli, della Digos, che ha ricostruito l’attività d’indagine riferita ai territori occupati, in particolare a Tulkarem, in Cisgiordania, teatro dei fatti contestati.
“Le chat continuano a rappresentare uno snodo centrale del processo, ma è difficile decifrarle senza un contesto preciso – ha spiegato all’ANSA Khaled El Qaisi, attivista, osservatore legale e mediatore culturale – Sono state oggetto di discussione anche oggi, come nell’udienza precedente. Si sta cercando di capire cosa davvero significhino nel merito”.
“A fronte di domande circostanziate su eventi e luoghi specifici – ha aggiunto El Qaisi – la teste della Digos ha faticato a fornire elementi utili a chiarire la situazione”. Gli attivisti in corteo contestano “indagini svolte su Google e il sequestro di armi giocattolo”.
Era attesa anche la testimonianza di Vincenzo Troiani, sempre della Polizia, ma l’audizione è stata rinviata a domani per mancanza di tempo. Attesa anche la testimonianza di personale della Guardia di Finanza in merito a transazioni di denaro.
Qui le dichiarazioni degli avvocati al termine dell’udienza:
La presenza dentro e fuori del tribunale di diversi compagni e compagne, ha accompagnato Anan, Ali e Mansour per tutta la durata dell’udienza, per recarsi in chiusura in corteo, da piazzale Collemaggio fino alla fontana luminosa, attraversando le vie del centro storico con le parole d’ordini “La Resistenza non è reato, Anan Yaeesh va liberato” e poi ancora “Se combatti il sionismo è resistenza non è mica terrorismo, Anan Yaeesh va liberato, è un partigiano, assassino è lo Stato”

 

 

 

 

 

Il caso Anan: Cisgiordania d’Abruzzo

Il procedimento penale che si sta celebrando all’Aquila, su fatti asseritamente commessi in Palestina, è un vero e proprio processo alla resistenza palestinese in Cisgiordania. L’accusa di terrorismo contro Yaeesh Anan Kamal Afif è la traslazione, a migliaia di chilometri di distanza, di una ingiustizia inaccettabile che chiama a gran voce ad una mobilitazione necessaria e di vasta portata.

di Avv. Giuseppe Romano – Giuristi  Democratici

Il procedimento penale che si sta celebrando a L’Aquila, su fatti asseritamente commessi in Palestina, è un vero e proprio processo alla resistenza palestinese in Cisgiordania. L’accusa di terrorismo contro Yaeesh Anan Kamal Afif è la traslazione, a migliaia di chilometri di distanza, di una ingiustizia inaccettabile che chiama a gran voce a una mobilitazione necessaria e di vasta portata

Come noto, in Cisgiornadania non è la resistenza a essere illegale ma, pacificamente dal 1967, tale è la condotta di quello Stato di Israele che, pur condannato dal consesso giuridico mondiale a lasciare i territori occupati illegalmente, insiste nel procrastinare indisturbato la sua politica di espansione.

Quello che si va compiendo, anche in questi giorni, non è solo la filosofia dello Stato israeliano che, per dirla alla maniera di Alberto Sordi si traduce in “io occupo perché «io so io, e voi nun siete un ….»”, ma una sistematica sopraffazione agita con incendi, assassini, torture e distruzioni. Il tutto all’ombra dello sterminio in Gaza, senza la possibilità qui di invocare Hamas, ma anzi fomentando la costruzione di quell’odio quotidiano che è all’origine della tragedia del 7 ottobre.

Procedendo come in una sequenza filmica: primo frame, febbraio 2002, Anan ha 14 anni è nel suo paese Tulkarem cammina di poco dietro alla fidanzata vicino al confine militare, vanno a scuola. Secondo frame: Click! Non è questo il rumore che precede lo scatto fotografico di una sequenza che cattura la realtà, ma quello del fucile militare israeliano, reale, che le spara in testa.

Terzo frame: per 10 giorni Anan resta attaccato alla tomba della ragazza e decide come tanti giovani palestinesi di aderire alla lotta politico-militare nelle file di Fatah contro il governo nemico. Ottiene visibilità tanto da entrare nella guardia personale del presidente Arafat e venire da lui premiato, giovanissimo, con un titolo onorifico.

Entra nei servizi segreti palestinesi occupandosi di sicurezza interna e diventa tra i principali nemici in loco dello stato occupante. Per evitarne l‘uccisone viene consegnato al carcere di Gerico sotto la supervisione di Stati Uniti, Inghilterra, Egitto e Giordania che ne controllano la detenzione.

Quarto frame: nel 2006 elicotteri dell’esercito israeliano si alzano in volo su Gerico e la bombardano; Anan riesce a salvarsi e fuggire. Torna nella propria città dove cade nella trappola di un conoscente, spia dei servizi israeliani, che aprono il fuoco in un bar ferendo lui e uccidendo un amico.

Anan si salva, sventa un altro tentativo di uccisone in ospedale.

Quinto frame: tre anni di carcere in 18 prigioni subendo torture. Scarcerato nel 2010 continua la sua attività politica e studia scienze politiche ma nel 2013, vessato dalle continue pressioni anche sulla sua famiglia, decide di trasferirsi in Europa. Vive in Norvegia e Svezia per poi spostarsi in Italia dove gestisce un ristorante a Mestre. Da ultimo si trasferisce a L’Aquila.

La cosa interessante è che quanto fin ora detto sulla vita e sull’attivismo di Anan non è frutto di indagini della Digos abruzzese ma è tratto dalle di lui pacifiche dichiarazioni, rese in sede di richiesta di protezione internazionale alla commissione norvegese prima e italiana successivamente.

Ecco che questo primo dato sgombra già da un potenziale equivoco: Anan non era affatto protagonista di un rischio terrorismo, palesandosi come a dir poco insolito che chi entra in un Paese con mire destabilizzanti descriva il suo profilo antagonista alla forza pubblica, verbalizzandolo. Il primo elemento è, quindi, politico. Anan ha militato anche nell’estensione militare del partito Fatah, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Questa organizzazione rientra, sotto un profilo amministrativo, nella c.d. Black list che impedisce l’ottenimento dello status rifugiato in Europa (non ostativo ad altre forme di protezione infatti ottenute). La situazione è simile a quella in cui ci si imbatté all’arrivo a Roma Abdullah Öcalan, capo del partito curdo P.K.K. [oramai disciolto, ndr] di cui la Turchia chiese l’arresto.

Öcalan fu collocato in una casa protetta e di seguito, ne fu organizzata (dal governo italiano) la fuga con direzione Sud Africa, ai fini dell’ottenimento della protezione internazionale (poi il viaggio non andò benissimo…).

L’attuale governo Meloni, invece, non appena ricevuta la richiesta di arresto per Anan da parte di Israele, con conseguente estradizione, si è subito messo prono dando il via all’operazione – con la stessa solerte efficacia dimostrata (all’inverso) nel caso del torturatore libico Almsry…

Nelle more della scarcerazione e con tempismo a dir poco sospetto, il Pubblico ministero abruzzese richiede l’arresto chiedendo di giudicare qui fatti accaduti in Cisgiordania, utilizzando impropriamente il terzo comma dell’art 270 bis del codice penale. È passato un anno e mezzo e Anan è ancora in galera col processo ora a dibattimento. È accusato di aver promosso in Palestina un’associazione con finalità di terrorismo denominata “Gruppo di riposta rapida brigate Tulkarem“. Si badi bene che già qui esiste una prima distonia rispetto all’impianto accusatorio che fonda le proprie origini nell’appartenenza di Anan ad un’altra associazione, cioè la sopra richiamata Brigata dei Martiri di Al-Aqsa che è, come detto, nella Black list di alcuni Paesi per terrorismo.

Chi saprà diversificare e spiegare se esistono differenze di approccio tra le due fazioni? La Digos abruzzese? Questo è il punto paradosso di questo processo. Si farà sostanzialmente su fonti aperte indagando un fenomeno complesso e non certo nostrano e nelle conoscenze dei nostri inquirenti. Sgomberato il campo dalla impossibile sovrapposizione con gli attentatori di matrice islamica (pronti alla morte in nome di Allah), va chiarito che Anan non è accusato di aver ucciso civili e mai ha rinnegato la sua affiliazione politico/militare, anzi, l’ha palesata sul suo profilo pubblico.

Il punto di caduta processuale è costituito dalla differenza tra terrorismo e resistenza legittima.

Se un esule ucraino avesse cercato di aiutare i suoi connazionali dall’Italia l’avremmo processato? Per venire al caso specifico già il nome della supposta associazione che si indaga “risposta rapida” si pone in chiara connessione con la necessità di tutela dei propri connazionali quotidianamente aggrediti in un contesto che è quello di una guerra/aggressione in corso.

Si chiama diritto umanitario, e nel nostro caso non vi è dubbio che il popolo palestinese dei territori illegittimamente occupati è portatore (Convenzione di Ginevra e allegati) del diritto alla difesa. Tanto più con lo sterminio / genocidio in corso.

Anan era in Italia all’epoca del 7 ottobre e all’inizio della reazione con triplicata ferocia di Netanyahu. Nessuna e nessuno di noi è rimasto indifferente e mai avrebbe potuto esserlo il nostro imputato portatore del diritto – anzi dovere – di attivarsi per i suoi fratelli e sorelle che anche in Cisgiordania hanno subito la recrudescenza della violenza dei coloni ben tutelati dalla milizia ebraica.

A prescindere dalla fumosità complessiva del processo e di ciò che potrà o non potrà dimostrare, chiaramente, c’è la possibilità che si parli di armi, e di azioni offensive / difensive contro le prevaricazioni e le uccisioni. Del resto una foto con il fucile è davvero in questo contesto la prova di qualcosa? Se emergeranno intercettazioni in cui si discute di armi è cosa ovvia in un contesto in cui non si usano cerbottane, ma si opera nell’ambito della difesa da uno degli eserciti militari più potenti del mondo.

Le eventuali azioni sono contro i presidi dell’esercito dei coloni ed è Israele, semmai, ad aver senza dubbio in plurime occasioni superato la giurisprudenza che individua l’atto terroristico, laddove l’azione è intrapresa pur sapendo di esporre a rischio certo persone non combattenti (anziane, anzini, bambine e bambini, per lo più). Insomma il dato è che, se dobbiamo ricorrere alla c.d. prova aperta (servizi on line ecc…), allora sarebbe efficace pensare al film No Other Land, capolavoro vincitore di Oscar dove, in un misto di tragedia e poesia, ben si comprende la necessità di schierarsi senza tentennamenti.

Perché in Cisgiordania si consuma la lotta infinita tra il ricco e potente e il povero e debole; l’esproprio delle e dei pastori, la sottrazione della terra a chi la abita e la coltiva, il furto del sorriso delle bambine e dei bambini, lo spargimento di sangue degli impotenti, tutto si mescola e fa ribollire il sangue a noi spettatrici e spettatori, figurarsi nell’animo di chi ha vissuto nella propria carne la tragedia, come accaduto ad Anan.

Ho volutamente tenuto fuori dall’analisi la situazione degli altri due imputati, implicati solo per dare sostanza a un quadro associativo inesistente. I coimputati sono, infatti, a piede libero per mancanza di indizi in accoglimento delle richieste dell’avvocato Flavio Rossi Albertini e dell’avvocata Ludovica Formoso, persone preparate e tenaci che difendono Anan a cui una rete di penalisti da tutta Italia fa sapere che non saranno sole laggiù in Cisgiordania… d’Abruzzo.