Lamezia Terme: Tre sindacalisti della USB Calabria sono sotto processo per le lotte di questi anni contro la povertà e il precariato

Da USB Calabria

Si è tenuta infatti a Lamezia Terme la prima udienza di un processo che vede il sindacato USB in aula perché, secondo le indagini delle autorità, si è resa colpevole di difendere i lavoratori dal baratro della povertà.

Le accuse sono di manifestazione non autorizzata e di occupazione della sede stradale per una giornata, quella del 15 giugno del 2021, che ha visto centinaia e centinaia di tirocinanti manifestare per rivendicare una stabilizzazione lavorativa dopo decenni di lavoro nero organizzato dallo Stato italiano, per ottenere i loro diritti e la loro dignità.

In quella data la USB aveva organizzato a proprie spese una assemblea pubblica presso un noto hotel della zona, come diverse altre riunioni con i tirocinanti promosse dalla nostra organizzazione sindacale, per far emergere e far conoscere a tutto il Paese il dramma di oltre 7 mila famiglie calabresi la cui sussistenza era legata ai cosiddetti tirocini, dietro cui si mascherano veri e propri rapporti di lavoro.

Un lavoro nero, anche se pubblico, che consideriamo molto più illegittimo e indegno di una manifestazione – secondo gli inquirenti – non autorizzata e di un blocco stradale.

Oggi, grazie a quelle lotte, sono stati banditi dei concorsi per permettere la contrattualizzazione dei tirocinanti afferenti ai vari ministeri, mentre si studiano emendamenti al decreto PA per dare risposte agli oltre 4mila tirocinanti presenti nei comuni calabresi.

Come USB, diciamo a chi vuole imbavagliare il sindacato che il blocco delle strade di Lamezia è scaturito in modo del tutto spontaneo dopo una serie di interventi infiammati dei lavoratori che hanno fatto montare la rabbia per l’insopportabile precarietà di questi lavoratori nella pubblica amministrazione.

Per questo i nostri dirigenti affronteranno questo processo sapendo di aver fatto il loro dovere di sindacalista e per questo USB fa appello a tutte e tutti per partecipare alle prossime udienze con presidi di solidarietà presso il Tribunale di Lamezia Terme.

Processo Askatasuna, Zerocalcare interviene in tribunale: «Accusa folle e infondata»

 

 

Processo Askatasuna, Zerocalcare interviene in tribunale: «Accusa folle e infondata»

Il fumettista in aula a Torino su richiesta delle difese. Dopo la testimonianza ha dichiarato ai cronisti: «Per la mia esperienza sono luoghi di dibattito e di attività artistiche molto interessanti»

Ha la faccia stupita di uno caduto dentro i propri fumetti, Zerocalcare: «Mi sembra agghiacciante, nel senso che mi fa proprio paura, l’idea che la critica politica o le manifestazioni di dissenso o di conflitto possano essere trattate neanche più come un problema di ordine pubblico, ma addirittura come l’idea di un’associazione per delinquere». Parla fuori dalla maxi aula del palagiustizia e lo fa dentro, chiamato come testimone dalle difesi degli attivisti di Askatasuna: 28 in tutto, 16 dei quali accusati appunto di associazione per delinquere, in relazione alle violenze scoppiate negli anni, in città e in Val di Susa, per la protesta No Tav.

Morale, del fumettista, all’anagrafe Michele Rech: «È un’accusa infondata: ci possono essere dei fatti specifici su cui uno può discutere nelle sedi giuste, ma associazione per delinquere è completamente folle». Insomma, no alla criminalizzazione del dissenso e, va da sé, all’inchiesta coordinata dal pubblico ministero Manuela Pedrotta, e nata dalle articolate indagini della Digos. «È un posto che conosco da vent’anni — dice ancora Zerocalcare, riferendosi al centro sociale di corso Regina — e a cui riconosco un ruolo gigantesco, dal punto di vista culturale, non solo sulla città di Torino, ma in questo Paese».

Il senso della citazione lo spiega invece l’avvocato Claudio Novaro, uno dei difensori, insieme ai colleghi Valentina Colletta, Danilo Ghia, Roberto Lamacchia e Gianluca Vitale: «Il nostro intento è di dimostrare che in realtà quel centro sociale è del tutto assimilabile agli altri. E quindi abbiamo invitato dei personaggi che possano venire a raccontare che tipo di relazioni ha quel centro sociale, anche istituzionali, e che tipo di iniziative culturali vivono dentro Askatasuna e il centro sociale Murazzi».

Del tutto diversa la ricostruzione dell’accusa, che ha messo in fila 72 capi d’imputazione per altrettanti episodi, 66 dei quali in Val di Susa. Riassumendo — per gli investigatori — Askatasuna è la base di un «sodalizio criminale» che contrasta con la violenza lo Stato, e chi lo rappresenta. Con distinzioni, tratteggiate più volte in aula dal pm: non è un processo al centro sociale, ma ad alcuni suoi militanti, e non è il dissenso a essere sotto inchiesta, piuttosto quando questo è espresso assaltando cantieri o le forze dell’ordine. Zerocalcare, che a militanti di Askatasuna dedicò strisce di fumetti, non ci sta: «Chiunque abbia fatto politica sa che una manifestazione a volte può finire in spazi non autorizzati o a occupare una strada. Pensare che questa cosa si possa risolvere seppellendo le persone in galera mi pare gravissimo. Su questo si dovrebbero interrogare a destra e a sinistra».