I membri del gruppo musicale usavano nomi falsi. Le denunce dei parenti delle vittime del terrorismo
I nomi d’arte sono Astore, Papà Dimitri, Jimmy Pentothal e Young Stalin. Insieme, fino a cinque mesi fa, formavano la band «P38 – La Gang» ed erano soliti solcare i palcoscenici di circoli privati e centri sociali proponendo musica trapper. La loro reale identità, invece, è oscura alla maggior parte dei fan: non fosse altro che erano soliti presentarsi ai concerti celandosi dietro a un passamontagna bianco. A conoscerli, però, sono gli investigatori della Procura di Torino, che da tempo li ha iscritti sul registro degli indagati con l’accusa di apologia di terrorismo. Ieri mattina, carabinieri e polizia si sono presentati a casa di questi artisti ribelli, il più giovane ha 23 anni e il più grande 34, con un decreto di perquisizione: nessuno di loro abita in Piemonte, risiedono a Bergamo, Nuoro e Bologna. L’accusa, stando al capo d’imputazione, è: «Quali componenti del gruppo musicale P38 La Gang facevano apologia del gruppo terroristico Brigate rosse, di cui esponevano nei concerti la bandiera rossa con una stella a cinque punte e la scritta Br, e delle loro imprese delinquenziali. Nonché istigavano a riprenderne il progetto eversivo anche tramite l’uso della violenza avverso rappresentanti della politica e dell’informazione».
«P38» è chiaramente evocativo di un determinato periodo storico: è la marca della pistola che le Br usavano per gambizzare e uccidere i loro obiettivi politici. Ma a segnare il confine tra un offensivo amarcord e la presunta istigazione a delinquere sarebbero i testi delle canzoni urlate dal palco. Tra questi, il più famoso parla del rapimento di Aldo Moro: s’intitola «Renault» ed è un esplicito riferimento alla vettura in cui venne ritrovato il corpo del leader della Dc: «Presidente mi sembra stanco, la metto dentro una Renault 4» e «Zitto pagami il riscatto, zitto sei su una R4». Molti altri — fino a poco tempo fa rintracciabili sul canale YouTube — sembrano inneggiare agli Anni di Piombo: «Primo Comunicato», «Fritto misto», «Ghiaccio Siberia». Quest’ultimo si apre con la registrazione di un’intervista a Mario Moretti, membro del gruppo che rapì e uccise Moro, del giornalista Sergio Zavoli.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Emilio Gatti e dal sostituto Enzo Bucarelli, ha preso le mosse nel dicembre dello scorso anno dopo un’informativa della Digos di Torino. Ma è stato nel maggio 2022 che la vicenda è mediaticamente deflagrata. In poco tempo, la band si è fatta conoscere esibendosi su palchi meno di nicchia. E così il Primo Maggio ha proposto la propria performance negli spazi del circolo Arci di Reggio Emilia in occasione dell’evento: «La Festa dell’Unità Comunista». I P38 hanno fatto il loro ingresso con il tradizionale look (passamontagna bianco e bandiera di stampo brigatista), per poi intonare: «Esco con il ferro e ti vengo a sparare come a Montanelli». Parole inaccettabili per chi negli Anni di Piombo ha perso genitori, fratelli e amici. Tra questi anche Bruno D’Alfonso, il figlio di Giovanni, il carabiniere di 44 anni ucciso dalle Br il 5 giugno 1975 in un conflitto a fuoco alla Cascina Spiotta, nell’Alessandrino, durante la liberazione dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia. L’uomo ha presentato un esposto, mentre sul web la polemica si faceva sempre più accesa. Molti concerti sono stati annullati e a giugno è stata la stessa band ad annunciare su Instagram il ritiro dalla scena musicale: «Il progetto P38 è giunto al termine. Il tribunale dei magistrati e quello dei giornalisti incombono sulle nostre vite personali. I nostri telefoni, le nostre abitazioni e i nostri cari sono controllati da reparti Digos di tutta Italia. Ci togliamo il passamontagna per tornare in mezzo a voi come persone, come amici, come compagni. Ma non più come P38». Un addio che non li ha salvati dai guai giudiziari.