Abusi in divisa, parlano gli/le studenti del liceo Vico di Napoli

Il 13 gennaio il Liceo Vico aveva organizzato di fare un sit-in nel cortile di ingresso dell’istituto, decisione presa dalla maggioranza abbondante della scuola. Avevamo ripetuto più volte che si trattava di un’azione simbolica e mediatica, che non avrebbe impedito l’accesso alle lezioni. Appena arrivatx fuori all’edificio scolastico, abbiamo trovato una volante della polizia ad aspettarci all’interno con vari uomini tra poliziotti, vigilanti e digos.

Meno di dieci ragazzx hanno iniziato a sedersi distanziatx e con la mascherina, e uno studente ha iniziato un intervento al megafono. Immediatamente i poliziotti gli hanno strappato il megafono di mano e hanno minacciato di spaccarglielo in testa e di denunciarlo. Lo hanno costretto ad alzarsi e strattonato, afferrandolo dal cappuccio e portandolo verso la volante, continuando a minacciarlo di violenza. Nel frattempo, sono stati chiusi entrambi i cancelli circondandoli e impedendogli l’uscita e la preside è uscita in cortile.

Quando le abbiamo chiesto spiegazioni ci ha risposto che era stata informata di un’azione violenta da parte nostra e che questa era la conseguenza; ci ha redarguito sul rispettare le forze dell’ordine e, quando le abbiamo fatto notare che alle sue spalle uno studente era stato aggredito, ha specificato che non era sua competenza o responsabilità cosa facesse la polizia, che stava facendo il suo lavoro. Ma da quando usare il megafono è un reato? Da quando meritiamo di essere aggreditx per aver parlato?

Siamo statx costrettx a uscire dalla scuola e i cancelli sono stati chiusi con le catene. Alcuni uomini della polizia hanno cercato di parlare con noi, giustificandosi e dichiarando che “nelle rivoluzioni si mette in conto di far scorrere del sangue” e che “il ministero ha dato direttive di zero tolleranza in situazioni del genere”.

Successivamente sono rimasti dei poliziotti a presidiare l’ingresso, aprendo leggermente il cancello per far entrare unx studentx alla volta, come in un carcere, per poi richiuderlo con le catene. Siamo sconvoltx per ciò che è successo, soprattutto dopo che la dirigenza si era espressa favorevole alla protesta, ci sentiamo traditx da chi ci dovrebbe proteggere e invece ha aperto la strada alla violenza.

La protesta del sit-in, infatti, era esplicitamente non contro la scuola ma per le istituzioni, e proprio questo stava dicendo lo studente al megafono prima che intervenissero con la violenza. Nonostante tutto la lotta non finisce qui e non ci faremo fermare con la forza e con la paura: anzi. Dopo questi abusi ci siamo riunitx in assemblea per elaborare tutto quello che era appena successo, per processare la nostra rabbia e per trasformarla in qualcosa di produttivo.

Questa storia ci dimostra ciò che ormai sappiamo da tempo: gli abusi in divisa sono sempre più frequenti e stanno iniziando ad entrare anche nelle scuole. Perché nelle scuole “sicure” i cancelli sono spalancati per la polizia ma chiusi per lx studentx in protesta.

Il collettivo del liceo GB Vico dì Napoli

Da Osservatorio repressione

L’assurda detenzione in Francia del no Tav Emilio Scalzo

Emilio Scalzo è stato raggiunto da un mandato di arresto europeo, utilizzato in genere per reati di estrema gravità, richiesto dalla procura francese. I giudici italiani hanno rigettato i ricorsi del suo avvocato contro il Mae

«Giuro che non ho le ansie o il magone e non sono spaventato, sono pronto anche a una sentenza assurda, lo metto in conto. Ma ciò non toglie che delle volte mi guardo intorno e con il sorriso mi chiedo che ci faccio io qua dentro». È la lettera di Emilio Scalzo – rinchiuso da oltre un mese nel carcere francese di d’Aix Luynes per un mandato europeo – inviata a Chiara Sasso, con la quale ha scritto il libro “A testa alta”, dedicato al percorso di vita di Scalzo stesso. È pescivendolo e atleta, capace di farsi carico dei problemi dei suoi otto fratelli ( alle prese con mille peripezie, tra carcere e droga), ma prima di tutto punto di riferimento del movimento No Tav.

Ma come mai si ritrova recluso nel carcere francese? Al 67enne Emilio Scalzo viene contestato, dal Tribunale francese di Gap, il reato di violenza aggravata nei confronti di un gendarme, avvenuta il 15 maggio 2021 a Monginevro, durante una manifestazione in solidarietà con i migranti, molti dei quali sono morti e continuano a morire nel tentativo disperato di attraversare la frontiera. Sulla base del mandato europeo, il 15 settembre 2021, Emilio è stato arrestato e trasferito nella Casa Circondariale Lo Russo e Cotugno di Torino. Il 16 settembre 2021, in sede di audizione, ha dichiarato di non prestare il proprio consenso alla consegna e di non rinunciare al principio di specialità.

In data 23 settembre 2021, la custodia in carcere è stata sostituita con gli arresti domiciliari. Ma in un mese sono state avviate le procedure. Il primo dicembre gli agenti della Digos sono andati a prelevarlo nella sua abitazione di Bussoleno, in val di Susa. In quell’occasione si è svolto un comizio di solidarietà «per denunciare la vergognosa operazione e per stare a fianco a lui e alla sua famiglia», avevano fatto sapere dal Movimento No Tav. Fra i partecipanti anche Michele Rech, meglio conosciuto come Zerocalcare: «Per lui c’è un mandato d’arresto per una cosa di cui tutti si riempiono la bocca, cioè la solidarietà con i migranti al confine», ha detto il celebre fumettista, aggiungendo: «Emilio questa cosa l’ha praticata, da sempre».

Dal tre dicembre è recluso nel carcere francese. Eppure Scalzo nega di aver posto in essere l’azione che gli viene contestata. Afferma, e ritiene di poter provare, che si è semplicemente difeso dal tentativo dell’agente di colpirlo violentemente con il manganello, alzando un pezzo di legno raccolto a terra per ripararsi. Il gendarme si è fratturato il braccio, probabilmente perché aveva colpito il pezzo di legno. Ribadiamo che l’attivista è stato raggiunto da un mandato di arresto europeo (Mae), un procedimento diverso dall’estradizione. È una pratica squisitamente giudiziaria.

Nel caso di Scalzo, il mandato è stato richiesto dal Procuratore della Repubblica francese del Tribunale di Gap, sulla base di una misura cautelare. Il Mae è stato trasmesso alla Corte d’appello di Torino che, nonostante la motivata opposizione avanzata dal legale Danilo Ghia, ha ritenuto di applicare la custodia cautelare in carcere. In generale il Mae viene utilizzato per reati di estrema gravità. Ma questo non è il caso di Scalzo, al quale contestano il reato di violenza ai danni di un gendarme francese. Eppure, perfino la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal suo avvocato. Prima dell’arresto di dicembre, l’avvocato Ghia ha presentato ricorso prima alla Corte d’Appello di Torino e poi alla Corte di Cassazione per chiedere la corretta applicazione degli articoli 24 e 20 della legge 69/ 2005, che disciplina il Mae. In particolare, l’articolo 24 prevede la possibilità che il Mae venga rifiutato, nel caso in cui l’imputato abbia a suo carico un processo nel Paese di origine. Ma niente da fare, ricorso respinto.

Eppure Emilio Scalzo è sotto processo anche in Italia per l’occupazione della Casa Cantoniera di Oulx, comune dell’alta Val di Susa. Lo spazio era nato nel 2018 sotto il nome di “Chez JesOulx” dopo lo sgombero del sottoscala della chiesa di Claviere, al valico del Monginevro. Uno spazio che ha operato per tre anni, poi sgomberato, risultato fondamentale per l’assistenza dei migranti. In sostanza rispondeva a un bisogno di assistenza che la rete istituzionale composta dalla Croce Rossa e dal rifugio Fraternità Massi non riusciva a soddisfare. Ciò era reso ancora più evidente dal mutamento nella tipologia di persone che tentavano di attraversare il confine. Infatti dal 2020 la Val di Susa diventa un luogo di passaggio della cosiddetta “rotta balcanica”, ossia quel percorso di migrazione che vede l’arrivo in Europa attraverso i Balcani. Emilio Scalzo dovrà pagare anche per questo. Come ha scritto recentemente Luigi Manconi, «le sue colpe sembrano quelle che derivano inevitabilmente dal lottare contro i mulini a vento, che qui, tuttavia, corrispondono a poteri fortissimi e a politiche inique».

Da il Dubbio

Torino, cariche della polizia sulla passeggiata del comitato EsseNon

La polizia ha caricato due volte la manifestazione organizzata dal comitato EsseNon, nella quale cittadini e associazioni del quartiere San Paolo hanno espresso la netta contrarietà alla costruzione di un grande supermercato Esselunga nell’area del parco Lamarmora. Il progetto, oltre a favorite l’ennesima speculazione edilizia, minaccia l’esistenza del centro culturale Comala, uno spazio auto-costruito grazie al recupero dell’ex Caserma La Marmora

Vergognosa gestione dell’ordine pubblico da parte della questura torinese durante l’iniziativa del comitato EsseNon che si oppone all’assurdo progetto che si sta per abbattere sul Parco Artiglieri da Montagna: la costruzione di un mega supermercato dell’Esselunga.

Doveva trattarsi di una semplice passeggiata informativa tra i quartieri San Paolo e Cenischia rispetto al progetto di “riqualificazione” dell’area ex Westinghouse. Ma l’iniziativa, partecipata da giovani e giovanissimi, abitanti del quartiere, realtà ambientaliste e studenti e studentesse è stata investita dalla surreale gestione dell’ordine pubblico da parte delle forze dell’ordine, appena dopo la partenza della passeggiata la celere ha sbarrato la strada e caricato i manifestanti per impedirne il passaggio iniziando da subito a mostrare quale sarebbe stato il tenore della giornata. A questo punto in corteo ha scelto di tornare indietro ed imboccare una strada pedonale per dirigersi almeno al Parco Artiglieri da Montagna che dovrebbe lasciare il posto al supermercato. Inspiegabilmente la polizia si è nuovamente schierata all’uscita della stradina pedonale caricando e spezzando in due il corteo che si è poi ricomposto.

A questo punto i manifestanti si sono trovati stretti tra due plotoni di celere ad entrambi gli estremi della strada senza vie di fuga accessibili.

Ma la determinazione dei manifestanti ha permesso di superare lo sbarramento e provare finalmente a fare la passeggiata dopo ulteriori cariche che si sono susseguite lungo tutto il percorso, durato poche centinaia di metri prima di incontrare un’ulteriore sbarramento da entrambi i lati. Almeno sette sono state le cariche da parte delle forze dell’ordine e oltre 15 i feriti tra i manifestanti, di cui molti colpiti dai manganelli sulla testa o sulle braccia. Durante l’ultimo sbarramento è stato necessario l’intervento di un’ambulanza e di diversi residenti dei palazzi vicini a dove si svolgevano i fatti che hanno assistito increduli alle scene di violenza e sporto bottiglie d’acqua e ghiaccio ai manifestanti.

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Immagine da Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito

La questura di Torino nasconde il proprio vergognoso operato dietro le norme rispetto alla zona gialla, ma come è risaputo l’applicazione di queste norme è spesso delegata al buonsenso e all’opportunità. Non si capisce quale rischio sanitario rappresenterebbe una passeggiata di alcune centinaia di persone, tutte distanziate e con la mascherina, mentre ci si affolla sui mezzi pubblici, nei posti di lavoro e a scuola e il virus circola liberamente per difendere i profitti dei soliti noti. Una gestione della piazza disastrosa in capo ad un nuovo questore, Ciarambino, che si era presentato solo poche settimane fa come l’uomo della mediazione e del compromesso.

Non c’è che dire, al solito a Torino si tenta di impedire il dissenso legittimo con l’uso della violenza poliziesca indiscriminata.

In una città con sempre minori opportunità per i giovani, sempre meno luoghi di aggregazione e cultura, devastata dall’inquinamento e la cementificazione si fa fatica a respirare. In questi tempi di pandemia poi le possibilità di una vita dignitosa si sono ulteriormente ristrette.

Ma la giornata di oggi è anche la dimostrazione che l’accettazione ha un limite, che in molti immaginano un futuro diverso per questa città e hanno cuore, voglia e determinazione per tentare di invertire la rotta. I sorrisi, la voglia di continuare, di resistere che si sono visti in questo corteo assediato che ha dovuto conquistarsi metro per metro un minimo di praticabilità dello spazio pubblico ci dicono che il loro tentativo di instillare terrore con la violenza ha fallito. D’altronde questa lotta è una lotta che parla di molti temi diversi, dal diritto allo studio, con Comala, associazione culturale che ospita una delle più grandi aule studio di Torino e svariate altre attività per giovani e meno giovani che rischia di essere cancellata dalla strada di servizio di un supermercato. Con un parco, uno degli unici due presenti in quartiere che dovrebbe divenire l’ennesimo mostro di cemento (probabilmente figlio di un accordo illegale tra l’amministrazione Fassino ed Esselunga a quanto risulta dalle indagini giudiziarie) in piena epoca di transizione ecologica. Con un quartiere che da tempo è al centro delle mire speculative di palazzinari e cementificatori, ma vorrebbe invece avere i servizi basilari e che i propri luoghi della cultura venissero protetti.

Qui si evidenzia tutta l’ipocrisia di una città sempre più inospitale per i bisogni della maggior parte delle persone e sempre di più imperniata sulla speculazione e sul consumo. Ogni spazio per un dibattito pubblico su questi temi va conquistato con determinazione, e persino in queste condizioni una giornata come quella di oggi è una boccata d’aria perché strappa il velo sul modo in cui viene amministrato in dissenso da queste parti quando si vanno a toccare temi importanti.

Infine una notarella va destinata al Salvini di turno che come sempre si schiera dalla parte del più forte. Questa volta invece di sponsorizzare la Nutella fa una bella sviolinata ad EsseLunga, si sa d’altronde le campagne elettorali vanno finanziate e il Capitone non ha più la verve di una volta, ma il product placement è una buona alternativa.

da InfoAut

Fermiamo l’operazione fascista e genocida del governo indiano, stop Prahaar-3

Il regime fascista indiano prepara un nuovo piano militare, Prahaar-3, per schiacciare la guerra di popolo guidata dal Partito Comunista dell’India (maoista).

Il piano è una continuazione delle pratiche genocide dell’operazione “Green Hunt”, che ha visto molte organizzazioni per i diritti umani denunciare le atrocità commesse dal governo indù-fascista Modi, la detenzione di massa di attivisti per i diritti del popolo, donne, studenti, insegnanti, artisti, leaders di movimenti dalit, lavoratori e lavoratrici, contadini e adivasi. Tutti e tutte sono accusati di essere “simpatizzanti maoisti”.

La politica di sterminio dei prigionieri politici, con torture e condizioni subumane nelle carceri, l’uccisione di attivisti politici con il pretesto di falsi scontri, ha portato, dal novembre 2020 all’assassinio di centinaia di persone, tra cui leaders e attivisti maoisti.

Nel 2021 si è accentuata la repressione e la carcerazione, e sono aumentate le denunce di aggressioni sessuali da parte delle donne prigioniere. Numerosi sindacalisti e attivisti per i diritti umani sono stati arrestati e torturati dopo aver partecipato alla protesta dei contadini contro le tre leggi agricole neoliberiste del governo Modi per svendere le risorse naturali alle multinazionali e costringerli alla fame e alla morte.

Centinaia di contadini e braccianti donne sono morti in questo movimento per ragioni legate alla repressione della polizia.

Questi fatti sono chiari segnali che il governo indù-fascista Modi sta mettendo in atto una nuova offensiva dell’operazione genocida “Green Hunt”, ora chiamata “Samadhan prahaar”.

Con il pretesto dello sviluppo il governo indiano ha messo da parte tutti i problemi del popolo e investito militarmente per sradicare i maoisti.

Le conseguenze per la gente del posto si traducono in stupri, molestie sessuali su ragazze minorenni da parte di militari e polizia, falsi scontri con uccisione di militanti e attivisti, torture, violenze sessuali e morti in custodia di polizia, demolizioni di case, distruzione di raccolti e finti incidenti con investimenti letali nei confronti di lavoratori e lavoratrici in sciopero.

Il 24 novembre 2021 è stato reso un tributo internazionale ai martiri della rivoluzione indiana. Un ponte solidale tra l’India e il resto del mondo ha dato vita ad una giornata internazionale di azione in sostegno della guerra popolare in India, contro la nuova operazione genocida ‘Prahaar 3’.

Le iniziative messe in campo sono andate ben oltre il 24 novembre, a favore di una campagna prolungata di solidarietà internazionale e internazionalista, in grado di contrastare l’offensiva del regime fascista e genocida Modi e smascherarne i legami e la complicità coi suoi padrini imperialisti nel mondo.

In Italia la campagna di solidarietà è cominciata in occasione del G20, con Modi presente a Roma, ed è continuata verso e oltre il 24 novembre 2021 con varie iniziative: l’Ambasciata indiana è stata sanzionata e il Consolato di Milano attaccato con un presidio rivolto ai tanti migranti indiani presenti in Italia; sono state fatte assemblee di lavoratori e lavoratrici con i rappresentanti dei lavoratori indiani che hanno espresso la loro solidarietà alle masse contadine in lotta e alla guerra popolare in India guidata dal PCI (maoista); sono state organizzate presenze all’Università e nella grande manifestazione nazionale delle donne a Roma del 27 novembre. Altre iniziative all’ambasciata a Roma e al consolato di Milano si terranno entro il mese di gennaio.

La guerra popolare in India, guidata dal PCI (maoista), sta sviluppando un processo di liberazione delle classi oppresse, vera speranza per il proletariato e gli oppressi del mondo. Con la mobilitazione e la solidarietà internazionale e internazionalista sconfiggerà l’infame operazione repressiva ‘Prahaar 3’ così come ha sconfitto l’operazione ‘Green Hunt’.

Rilanciamo questa campagna di solidarietà, invitando tutte e tutti a sottoscrivere questa petizione e partecipando/organizzando iniziative di sostegno in tutti i territori.

Fermiamo la repressione scatenata dal governo indiano!

Solidarietà con prigionieri politici in India!

Rilascio immediato di tutti coloro che sono stati illegalmente arrestati per il caso Bhima Koregaon!

Comitato di sostegno alla guerra popolare in India (csgpindia@gmail.com)

Soccorso rosso proletario (srpitalia@gmail.com)

Cile: Nuovo caso di tortura nella prigione di La Gonzalina (Rancagua)

Venerdì 7 gennaio, il personale della gendarmeria è entrato nel modulo 2 del carcere di Rancagua, alla ricerca di telefoni cellulari e con il chiaro intento di molestare i detenuti, a causa di una loro recente protesta contro le continue violenze a cui sono sottoposti da parte del personale carcerario. Sono entrati nella cella di uno dei detenuti ed hanno tentato di immobilizzarlo. Vista la sua resistenza hanno chiamato rinforzi.

Il compagno è stato picchiato violentemente da più di 15 guardie, portato in una delle celle di isolamento dove hanno continuato a torturarlo, cospargendogli il viso di spray al peperoncino e picchiandolo finchè non ha perso i sensi. Il giorno seguente è stato portato nell’ospedale della prigione, vista la gravità delle ferite riportate ed è stato poi ricoverato d’urgenza nell’ospedale di Rancagua. Le sue condizioni di salute sono ancora sconosciute.

La tortura nelle prigioni dello Stato cileno è una realtà innegabile.
Chiediamo la fine delle molestie, dei pestaggi e delle punizioni da parte della gendarmeria!

Fonte: infernourbano

Sanremo – Carcere assassino!

Sanremo, tentato suicidio in carcere: è il secondo in una settimana

Troppa violenza, tra risse ed aggressioni: «Sanremo va commissariata»
Sanremo. Un detenuto magrebino ha tentato di impiccarsi nel carcere di Sanremo, ma è stato salvato da un agente della polizia penitenziaria.
«….con l’intervento sanitario interno è stato stabilizzato e trasportato presso l’ospedale di Imperia. Dopo le prime cure ed un periodo di osservazione, ha fatto rientro in istituto».
«Nel frattempo.. c’è la notizia del decesso del giovane detenuto marocchino che il 18 dicembre scorso si era procurato delle ustioni a causa di un incendio da lui stesso appiccato nella sua cella, tanto da dover essere trasportato in elicottero presso l’ospedale Villa Scassi di Genova».

Carcere assassino: negli ultimi dodici mesi 132 detenuti sono morti, e un terzo dei detenuti vive in condizioni disumane.

In metà delle celle mancano l’acqua calda e la doccia, ma soprattutto lo spazio Un terzo dei detenuti nelle carceri italiane ha trascorso il 2021 in condizioni disumane. È quanto emerge dagli ultimi dati pubblicati dall’osservatorio dell’associazione Antigone, che confermano quelli del report presentato a luglio.

I dati sono stati raccolti tra l’8 febbraio e il 28 dicembre 2021, periodo nel quale gli attivisti di Antigone hanno visitato 99 carceri italiane. In un terzo di esse, come in quella di Regina Coeli a Roma, c’erano celle in cui i detenuti avevano meno di tre metri quadrati a testa di spazio calpestabile, sotto il limite per il quale la detenzione viene considerata disumana e degradante. Nel 40 per cento degli istituti monitorati, i detenuti vivevano senza acqua calda, mentre il 54 per cento delle celle era privo di doccia, che invece dovrebbe essere obbligatoria.

In 15 carceri infine non c’era il riscaldamento, e in 5 il wc non era in un ambiente separato rispetto al luogo dove i detenuti dormono e vivono. La pandemia carceraria La situazione è resa insostenibile anche dal sovraffollamento dei penitenziari. Quasi tutte le carceri monitorate sono infatti più affollate di quanto dovrebbero. Nel carcere di Bari, tra gli ultimi a essere visitati, c’erano 441 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 288. Continua a leggere