Manifestavano contro l’alternanza scuola-lavoro che uccide adolescenti per conto dei padroni: studenti pestati dalla polizia a Roma

Contro la scuola del capitale, contro questo stato borghese e la sua polizia al servizio della classe dei padroni, solidarietà agli studenti caricati dalla polizia!

Scontri tra studenti e polizia al Pantheon. Manifestavano per il ragazzo morto sul lavoro a Udine

I ragazzi della Lupa protestavano per Lorenzo Parelli, il ragazzo schiacciato da una trave a Udine durante l’alternanza scuola lavoro. La dimostrazione, un presidio fisso, era partita alle 17,30 in modo pacifico tra fumogeni e cori. Ma, quando i ragazzi hanno provato a muoversi in corteo puntando Trastevere e il ministero dell’Istruzione, sono partiti gli scontri con gli agenti della questura. Secondo gli organizzatori della manifestazione, in quattro avrebbero “il volto coperto dal sangue”.

Carceri, casi Covid raddoppiati in 10 giorni: è di Torino il record negativo

Carceri, casi Covid raddoppiati in 10 giorni: è di Torino il record negativo

Sono 173 i contagi registrati nel capoluogo piemontese: l’ultima cifra è aggiornata al 17 gennaio
Sono 2.586 i detenuti positivi al Covid.Un picco sinora mai raggiunto dall’inizio della pandemia, con i casi più che raddoppiati nel giro di 10 giorni. L’ultima cifra è aggiornata al 17 gennaio, mentre al 6 gennaio i detenuti contagiati erano 1.057.Quasi tutti (2.586) sono asintomatici, mentre 14 sono ricoverati in ospedale.

In tutto sono 7 i penitenziari dove i positivi superano il centinaio e il record negativo è di Torino con 173 casi. Seguono Firenze Sollicciano (128), Napoli Secondigliano (144), Napoli Poggioreale (125), Busto Arsizio (120), Prato (110) e Pavia (103).

per la liberazione di G.I.Abdallah 27 gennaio parigi ore 14 davanti al tribunale amministrativo

Bonsoir camarade,
ce mail pour vous informer d’une nouvelle étape dans le combat pour la libération de notre camarade Georges Abdallah.
Rappelons qu’en juillet 2020, une demande a été formulée par l’avocat de Georges Abdallah auprès du ministre de l’Intérieur pour que soit signée la demande d’expulsion conditionnant la libération de Georges Abdallah.
Aucune réponse n’ayant été reçue, en novembre 2020, une action a été engagée auprès du tribunal administratif où une requête a été déposée pour que soit ordonnée l’expulsion de Georges Abdallah du territoire français.

 

L’examen de cette requête va être effectif jeudi 27 janvier 2022, à 14h00, lors d’une séance publique du tribunal administratif de Paris (7 rue de Jouy, 75004 Paris).

La Campagne Unitaire pour la Libération de Georges Abdallah appelle à se rassembler massivement devant le tribunal et à être présent dans la salle d’audience pour montrer notre détermination à ne rien lâcher jusqu’à la libération de notre camarade et accentuer la pression afin que le ministre de l’Intérieur applique la décision de la justice de son État : “il faut qu’il signe !”

Soyons nombreux à Paris devant le tribunal administratif, 7 rue de Jouy, Paris 4e, le 27 janvier à 14h00 ! Venons de partout, de la région parisienne, de France et des pays limitrophes de la France !

Soyons nombreux, ce jour-là, dans toutes nos villes à organiser des initiatives devant les lieux du pouvoir !

Soyons nombreux, ce jour-là, à organiser des initiatives devant les consulats ou ambassades de France !

Que mille initiatives fleurissent le 27 janvier pour faire entendre l’exigence immédiate de la libération de Georges Abdallah !

C’est ensemble et seulement ensemble, dans la diversité des nos expressions, que nous arracherons notre camarade des geôles de l’impérialisme français.

La victoire ou la victoire !

Ci-joint le visuel,  le tract et l’événement facebook créés.

https://www.facebook.com/events/620114892598018/

3 cucchiai di cibo al giorno, un pomodoro marcio e niente elettricità, quella se la devono pagare i detenuti. Le terribili condizioni di vita nel carcere di Antalya (Turchia), in un appello dei prigionieri politici

Harun Ölmez è in prigione ad Antalya. Ha detto che le violazioni dei diritti sono aumentate, che vengono dati loro 3 cucchiai di cibo al giorno e un pomodoro marcio a colazione, ha chiesto alla gente: “fate sentire la nostra voce”.
Continuano le violazioni dei diritti contro i detenuti nel carcere di tipo S di Antalya.
Il prigioniero Harun Ölmez ha parlato delle violazioni dei diritti nella telefonata settimanale che ha avuto con la sua famiglia. “L’amministrazione si rifiuta di impegnarsi nel dialogo e non risolve i problemi che abbiamo comunicato”, ha affermato Ölmez.
3-4 cucchiai di cibo e pomodori marci…
Notando che ciascuno dei prigionieri politici è stato messo in reparti separati, Ölmez ha detto: “Alcuni dei nostri amici non possono permettersi un televisore e un frigorifero perché non hanno mezzi finanziari. Facciamo una petizione, ma le nostre petizioni vengono regolarmente perse. Non vogliono che solleviamo questi problemi. Le nostre conversazioni familiari sono registrate. Tutte le nostre attività sociali sono vietate. Abbiamo un problema alimentare. In precedenza davano due pagnotte al giorno, ora viene data solo una pagnotta. Alla nostra protesta, hanno ricominciato a dare due pani. Tuttavia, hanno ridotto molto, molto, il peso del pane. Il pane non ci basta. Non ci sono vitamine nel cibo. Per questo motivo i nostri amici si ammalano. Per colazione ci hanno dato un pomodoro, metà del quale era marcio. Danno 5 olive a persona. Nessun piatto di carne. Ci danno 3 o 4 cucchiai di cibo, non un pasto intero. Per 10 giorni non abbiamo avuto cibo per gli altri amici per riempirsi lo stomaco, ma non ci sono stati cambiamenti”.
“Hanno tagliato l’elettricità nei reparti”
Ölmez ha detto che alcuni dei prigionieri non potevano pagare le bollette a causa dell’alto costo dell’elettricità e quindi i loro reparti sono rimasti senza elettricità. “La bolletta della luce è aumentata troppo. Minacciano di tagliare l’elettricità se non paghiamo la bolletta della luce un giorno. In alcuni reparti è stata tolta l’elettricità perché non potevano pagare il conto. Di conseguenza, non possono preparare tè o cibo”.
‘Fate sentire la nostra voce’
Notando che ci sono anche prigionieri che non vengono rilasciati nonostante la scadenza della loro pena, Ölmez ha detto: “Stiamo protestando contro questa situazione, ma non si ottengono risultati. Pertanto, facciamo appello a tutti i gruppi che difendono i diritti dei detenuti, i difensori dei diritti umani e democratici per far ascoltare la nostra voce e far sentire le nostre voci”.

Rifugiati torturati al confine con l’Iran

Le persone in fuga dalla guerra e dalla povertà continuano a morire nel tentativo di attraversare il confine turco-iraniano e avvicinarsi di un passo all’Europa. Innumerevoli rapporti di ONG espongono le torture subite dai profughi per mano dei soldati turchi.
I rifugiati continuano a fuggire dalla guerra e dalla povertà anche in inverno. Molti vengono dall’Afghanistan e stanno cercando di attraversare il confine turco-iraniano nella provincia curda di Van. Alcuni muoiono di freddo in alta montagna. Il governo dell’AKP/MHP utilizza i rifugiati come mezzo per esercitare pressioni sull’Europa e dispone di massicce fortificazioni di confine finanziate dall’UE. I rifugiati che si arrampicano sui muri e cadono nelle mani dell’esercito turco sono ripetutamente oggetto di gravi violazioni dei diritti umani, compresa la tortura.
A gennaio, tre persone catturate dalle forze turche sono state respinte illegalmente attraverso il confine iraniano e sono congelate a morte dall’altra parte del confine. Alcuni dei rifugiati che sono stati vittime di tortura si sono rivolti all’Ordine degli Avvocati di Wan.
“Iran e Turchia non accettano profughi”
La scorsa settimana, nel villaggio di Belasur, sul lato iraniano del confine, una donna afgana è morta di freddo mentre cercava di attraversare il confine con i suoi due figli. I bambini portavano sulle mani i calzini della mamma, mentre la madre aveva sacchetti di plastica avvolti intorno ai suoi piedi nudi. Secondo i rapporti, la donna afgana precedentemente non identificata è stata arrestata dai soldati turchi e lasciata al confine iraniano. I soldati iraniani non l’hanno aiutata e la donna è morta congelata.
“I rifugiati vengono torturati al confine”
Mahmut Kaçan del consiglio di amministrazione della Van Bar Association riferisce sulle gravi violazioni dei diritti umani al confine. “Se i migranti vengono catturati, saranno abbandonati al confine iraniano. Molti rifugiati e migranti riferiscono di essere stati arrestati, picchiati, torturati, di essere stati derubati del denaro e di oggetti di valore e di aver visto distrutti i loro telefoni dopo aver attraversato il confine. Gli viene detto che saranno poi restituiti al confine senza che venisse seguita alcuna procedura. Una persona che aveva tentato di attraversare il confine decine di volte e a cui avevano rottole dita delle mani e dei piedi si è rivolta a noi. È così che avvengono i respingimenti e i maltrattamenti al confine”.
“In primavera probabilmente emergeranno nuovi corpi dalla neve”
Kaçan dice che non c’è accesso all’asilo in Turchia e spiega: “Le persone stanno cercando di entrare nelle province occidentali della Turchia con l’aiuto di trafficanti senza essere registrati. Ma soprattutto nei mesi invernali, molte persone che tentano di attraversare il confine muoiono a causa per il freddo o per gli attacchi di animali selvatici. Solo pochi giorni fa due persone, ritenute afghane, sono morte per congelamento. Non troveremo i corpi di molte persone prima della primavera. Questa tragedia, in aumento negli ultimi tre o quattro anni, ora potrebbe assumere proporzioni ancora maggiori”.

Presidio per la liberazione di Ahmad Sa’adat e di tutti i prigionieri palestinesi

Sabato alle ore 15:00 in Via Padova (MI): Presidio per la liberazione di Ahmad Sa’adat e di tutti i prigionieri palestinesi

Settimana di azione per la liberazione di Ahmad Sa’adat e tutti i prigionieri palestinesi. Dal 15 al 22 gennaio 2022 si svilupperà, come negli anni scorsi, la campagna internazionale per la sua liberazione e quella di tutti i prigionieri palestinesi, molti dei quali sottoposti a “detenzione amministrativa”. A tale proposito vanno ricordati alcuni aspetti importanti:

  • Nel 2020, Israele ha emesso almeno 1.114 ordini di detenzione amministrativa contro palestinesi, mentre da gennaio a giugno 2021 ne sono stati emessi non meno di 759.
  • Attualmente circa 520 dei 5000 prigionieri politici palestinesi sono detenuti senza accusa, né processo in base a questi ordini di detenzione, che possono essere rinnovati a tempo indeterminato. Finiscono con passare anni in prigione per questo sistema introdotto in Palestina dal colonialismo britannico e adottato poi dall’occupazione sionista.
  • Il drammatico aumento dei bambini palestinesi detenuti in detenzione amministrativa.

Ahmad Sa’adat il 25 dicembre 2008 è stato condannato a 30 anni di carcere, da un tribunale militare sionista, per il suo ruolo di segretario generale di una delle principali organizzazioni di resistenza palestinese, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Questo dopo che nel marzo 2006, l’esercito israeliano aveva assediato per dodici ore la prigione palestinese di Gerico, con bulldozer e carri armati, per rapire lui e altri cinque prigionieri politici. Dalle prigioni dell’occupazione sionista Sa’adat continua a svolgere, insieme a 5.000 compagni detenuti politici palestinesi, azioni di resistenza con scioperi della fame collettivi, dichiarazioni di solidarietà con lotte in corso, in particolare quelle contro l’imperialismo e il razzismo.
Sostenere il suo rilascio è denunciare chiaramente il ruolo delle potenze imperialiste nella sua prigionia e nella colonizzazione sionista della Palestina, ma è anche combattere la complicità dell’A.N.P. e il suo “coordinamento della sicurezza” nell’oppressione del popolo e nella criminalizzazione della resistenza palestinese.

L’Autorità Nazionale Palestinese, un organismo di rappresentanza nato dopo gli accordi di Oslo, ha dato a Israele il controllo sulla maggior parte dei terreni agricoli e aperti, dove si trovano tutti i loro insediamenti le colonie, mentre le forze dell’ANP governano i principali centri abitati, come Ramallah, Nablus e Al-Khalil.

L’entità sionista persegue la negazione della resistenza palestinese con: omicidi, stragi, bombardamenti, detenzioni, arriva a incarcerare e torturare perfino i bambini, ma anche a praticare demolizioni di abitazioni, appropriazioni di fonti idriche, taglio degli ulivi e sequestro delle barche dei pescatori palestinesi. Tutto ciò per piegare la volontà di un popolo e cercare di costringerlo ad abbandonare la sua terra, per confinarlo in bandustan sempre più ristretti. Quello israeliano è uno degli esempi più feroci di ‘colonialismo di insediamento’ e rappresenta la logica dell’oppressore, cioè lo sradicamento, l’occupazione, il contenimento di forme di dissenso.

Da noi gli esempi più significativi sono rappresentati dall’utilizzo dei sistemi anti-migranti, testati sui pescatori di Gaza; oppure il modello “strade sicure”, con i militari nelle strade, ma anche i CPR. Centri di Permanenza per il Rimpatrio dove vengono richiusi migranti privandoli della libertà senza aver commesso un reato, senza una minima tutela sanitaria tanto meno quella psicologico-psichiatrica e con una detenzione che si protrae nel tempo.

SOSTENIAMO LA LOTTA DEI PRIGIONIERI PALESTINESI, LA LIBERAZIONE DI AHMAD SA’ADAT

LOTTIAMO CONTRO IL COLONIALISMO IN TUTTE LE SUE FORME
SOLIDALI CON LA PALESTINA E LA SUA RESISTENZA

Da Palestina Rossa

Polizia selvaggia a Torino.

È sabato pomeriggio. L’intero isolato che accoglie il vecchio stabilimento della Westinghouse è occupato dalle forze dell’ordine, le camionette sono schierate tra i viali e i controviali di corso Ferrucci e corso Vittorio Emanuele II. Non è inusuale vedere camionette e volanti in questa zona. Di fronte ha sede il tribunale di Torino, costantemente sorvegliato. Il lato opposto del corso, quello oggi blindato, affaccia sul giardino Artiglieri da Montagna. Da qui partono i bus a lunga percorrenza. Spesso vengono effettuati controlli a tappeto dei documenti a chi sosta prima della partenza. Solitamente le persone che incappano negli accertamenti sono straniere.

Qui si trova l’area della ex Westinghouse. Al posto dello stabilimento dismesso e del giardino si prevede ora di costruire un enorme centro congressi gestito da Fiera di Milano e un centro commerciale Esselunga. Un progetto di speculazione sognato da anni, finito in stallo numerose volte per questioni giudiziarie: l’ex sindaca Cinque Stelle Appendino è stata condannata insieme a membri del suo entourage e l’ex sindaco del Pd Fassino è tuttora indagato con altri suoi collaboratori. Il sindaco attuale, Lorusso (Pd), assessore all’urbanistica durante la giunta Fassino, è da sempre un sostenitore del progetto.

All’interno di quest’area si trova anche Comala, uno spazio polivalente gestito dall’associazione da cui prende il nome. Secondo i piani urbanistici, la costruzione del centro commerciale causerà la sparizione di Comala. Da qui è partita una campagna per salvare lo spazio e l’interesse per la questione è diventato trasversale. Istituzioni locali, vari partiti e personalità di spicco hanno speso parole di dialogo e ricerca di compromesso. Comala è un luogo di socialità, studio e iniziative molteplici e nel tempo è stato elogiato e appoggiato dal Comune, dall’Università e dall’Ente regionale per il diritto allo studio (Edisu). Comala, infatti, sopperisce alla mancanza di luoghi adatti allo studio in città e gestisce un’aula studio diffusa, finanziata dal Comune stesso e dall’Edisu. L’associazione è sostenuta da un corpo vario di cittadini e si trova in un quartiere che è una fortezza di voti per la giunta al governo. La nascita di un centro congressi e di un centro commerciale sembra dunque un pasticcio scomodo per gli amministratori al potere. Pare una grande storia d’amore tra terzo settore, amministrazione ed enti istituzionali e, come ogni relazione sentimentale, talvolta affronta delle crisi, o contraddizioni.

Da pochi mesi è nato EsseNon, un comitato eterogeneo e determinato a salvare l’area dalla speculazione edilizia. Il comitato ha organizzato per sabato pomeriggio una passeggiata nel quartiere. L’atmosfera nei giardini dove ci si ritrova è distesa: sono presenti associazioni, comitati di altri quartieri nati per contrastare progetti di cementificazione, attivisti e attiviste, residenti, famiglie e studenti. Ci sono vari capannelli di persone che chiacchierano, bambini che scorrazzano intorno ai gazebo all’esterno, mentre all’interno studenti e studentesse studiano in piena sessione d’esami. L’iniziativa è pensata per segnalare altri luoghi di speculazione tra Cit TurinCenisia e Borgo San Paolo, quartieri che confinano con questa zona. Intanto sulla strada è posizionata un Apecar che dovrebbe aprire il corteo. In disparte viene completato uno striscione a pochi metri dalla murga intenta a truccarsi e sistemare gli strumenti per accompagnare l’iniziativa con la musica.

Le intenzioni pacifiche, chiarissime anche ai più ingenui, non scoraggiano la Digos che fa intendere la volontà insindacabile di non far partire il corteo. Dicono, e lo dichiareranno a mezzo stampa, che il blocco è dovuto ai divieti di manifestazione in zona gialla. I celerini vengono schierati ai due ingressi del controviale dove sta l’Apecar, assicurandosi così di non farla partire mai. Circa trenta agenti blindano a distanza il mezzo, mentre i poliziotti in borghese si posizionano sul marciapiede e filmano ossessivamente ogni centimetro dell’isolato e dei volti di chi manifesta. La passeggiata parte con lo striscione e circa trecento persone che avanzano di sei metri prima di incontrare il cordone di polizia.

Da questo momento in poi la giornata prende una piega inaspettata, surreale e violenta. I caschi blu iniziano a manganellare le persone nelle prime file, mi volto verso l’ingresso dei giardini davanti al Comala e vedo gli sguardi allibiti dei presenti, tra questi bambini e giovanissime pre-adolescenti. I funzionari della Digos continuano a filmare i loro colleghi che aprono teste, tirano calci, insultano e colpiscono i manifestanti. Sono a volto scoperto e usano uno striscione di stoffa per fare loro del male. Questo primo quadro di abuso conta diversi contusi e due persone ferite alla testa.

Il corteo prova a raggiungere l’altra parte dei giardini rientrando nella strada interna per sbucare nel prato, ma viene intercettato dalla polizia che arriva sgommando a chiudere la strada. Ora il corteo viene spezzato in due e inizia una caccia all’uomo. Ripetutamente i celerini manganellano e spintonano via chiunque provi a opporsi. Gli agenti in borghese sembrano essere degli antropologi in osservazione e gli agenti, esaltati, agiscono in libertà, senza aspettare o ricevere ordini. Viene da pensare che oggi i “ragazzi” hanno carta bianca. Carta bianca per massacrare di botte una passeggiata di quartiere. L’umore dei presenti all’iniziativa è radicalmente cambiato: alcuni sono intimoriti, altri incazzati, molti increduli e quasi tutti determinati a non cedere di un millimetro al loro diritto di dissentire. Questa è la seconda immagine di un uso selvaggio del potere.

«L’Esselunga non la vogliamo!», «Via, via la polizia», e si continua. Pochi minuti dopo, mentre il corteo retrocede per ritornare all’ingresso principale e provare ad arrivare su corso Ferrucci, ci ritroviamo bloccati nella strada interna. Secondo una logica oscura di gestione dell’ordine pubblico, la polizia blocca trecento persone in una strada lunga dieci metri e larga cinque con nessuna via d’uscita. Il corteo non può partire per la zona gialla, secondo la questura, però si possono assembrare trecento persone in una strettoia. Sul lato sinistro abbiamo la recinzione del campo sportivo e sulla destra le inferriate che delimitano il giardino dell’associazione. Gli studenti che studiano escono dalle tensostrutture – era anche ora! – e osservano la scena salendo sulle panchine esterne, facendo filmati e urlando disgustati: «Basta!», «Vergogna!».

Chi sta nel corteo percepisce il livello altissimo di pericolo: manca il respiro, lo si ritrova appena aprendo i gomiti e probabilmente facendo male al vicino, perché siamo schiacciati dalla polizia. Gli agenti hanno sguardi fissi e dilatati accompagnati da sogghigni d’adrenalina che intravediamo sotto i caschi di coloro che si sono tolti la mascherina chirurgica. La carica arriva: per una, due, tre volte gli agenti colpiscono le persone sul viso, le spingono contro le recinzioni. Le prime file ammassate fortunatamente restano compatte e non si fanno prendere dalla paura di cadere e restare schiacciate. Questo terzo quadro è il ritratto di una mancata macelleria.

Sul momento non riesco a capire la situazione e le sue dinamiche, sono inquieta e incapace di leggere le prossime mosse della polizia. L’impasse pericolosa viene superata quando si riesce a forzare il cordone e si arriva finalmente su corso Ferrucci. Si percorrono questi venti metri scarsi come in una corsa a ostacoli, schiviamo gli agenti che ci vogliono prendere o menare. Si tenta in ogni modo di riprendere la strada per iniziare finalmente la passeggiata, ma il rancore dei poliziotti non sembra avere fine. Mentre si susseguono sequenze di caos, la mia mente si dissocia da quello che sta accadendo, per analizzarlo. Scorrono nella memoria le immagini delle cariche di piazza Santa Giulia, della critical mass, dello sgombero dell’Asilo di via Alessandria, delle cariche al Balon, dello sgombero di Corso Giulio. Lucide, insensate violenze poliziesche degli ultimi anni, ma nessuna si avvicina, nei modi e nelle strategie, a quello che sto vedendo oggi. Certo, penso, il marchio di fabbrica è lo stesso: cambiano questori, dirigenti e dichiarazioni, ma non lo stile. Eppure, c’è qualcosa di nuovo. Mi è cristallino: la carta bianca deriva dalla gestione eccezionale della pandemia.

Non mi capacito ancora del tutto, però, di questa scelta strategica perché, comunque vada, sarà un pantano da cui anche le forze dell’ordine e le istituzioni dovranno districarsi. Forse. Intanto la polizia ci insegue, prova a colpire chiunque abbia sotto tiro, tenta di spezzare il corteo più volte. Alcuni vengono bloccati agli angoli della strada e menati. Il corteo è un movimento oscillatorio: si avanza per prendersi la strada, si indietreggia per recuperare le persone incappate in agenti che si credono protagonisti di un videogioco. Intanto i residenti iniziano ad affacciarsi dalle finestre increduli anche loro. Ci ritroviamo chiusi nuovamente su via Moretta, all’angolo con via Dante di Nanni, strada nevralgica e vissuta di Borgo San Paolo e Cenisia. I passanti si fermano a guardare, sempre più persone sono affacciate dai balconi e parecchi sono in mezzo alla via perché prontamente chiusa al traffico. Qui la rabbia proterva dei blu tocca il suo apice.

Mentre una parte dei manifestanti sta di fronte al cordone di polizia, i caschi blu iniziano ad assalire le persone del corteo che stanno ai lati della via, all’altezza dei marciapiedi. Pestano forte, vogliono far male. Le persone vengono aggredite tra le vetrine, le macchine parcheggiate e i bidoni della spazzatura buttati giù. Ancora la Digos assiste immobile alla scena. Carta bianca, operazione distruggere. Mi guardo intorno e vedo una decina di persone ferite alla testa e sulle braccia, altre doloranti che si toccano il torace, la schiena o le gambe. C’è molto sangue per terra, sulle mascherine, sulle bustine di ghiaccio autoprodotte in fretta nei primi momenti di sfogo autoritario. In alcuni momenti ho pensato che potesse finire ancora peggio, ma abbiamo ancora voce, gambe e voglia di non stare a guardare. «L’Esselunga non la vogliamo!», «Tout le monde déteste la police». Vari interventi al megafono spiegano alle tante persone sgomente cosa succede in quartiere. È la prima volta, dopo due ore, che non ci caricano a ripetizione e finalmente possiamo fare quello che doveva essere in principio. Non sono riusciti nell’intento di distruggere, anzi.

Sul posto arriva un’ambulanza che medica le persone ferite più seriamente e invita chiunque voglia farsi controllare ad andare in pronto soccorso. Invito che gentilmente viene declinato: fiducia nelle istituzioni non l’ha più nessuno. La giornata si chiude con il ritorno al concentramento iniziale, in linea d’aria ci siamo spostati poco più di cinquecento metri. Il comitato che ha organizzato la passeggiata convoca una conferenza stampa per l’ora successiva. È necessario raccontare subito quello che è successo, non lasciare ad altri la narrazione facile dei “centri sociali” e delle “cariche di alleggerimento”. Bisogna raccontare come l’iniziativa di un comitato eterogeneo e con un buon seguito sia stata ostacolata con le botte.

Ora vorrei che nelle prossime settimane non si racconti solo della violenza della polizia favorita dallo stato di emergenza, ma che si rifletta anche sui timori della nuova giunta. Probabilmente il governo della città ha paura di chi ricorda che questo mostro di cemento e speculazione non è il primo in città e in questi quartieri: a pochi metri dall’area Westinghouse, per esempio, c’è l’area dell’ex Diatto dove sono appena iniziati i lavori per un’ampia residenza universitaria.

Le risposte istituzionali nei due giorni successivi sono state blande e insufficienti, eccetto una mosca bianca: Sara Diena, consigliera comunale, che ha chiesto con forza al questore le ragioni di tanta violenza. Alcuni governanti avanzano l’idea di modificare il piano per salvare il locale e l’aula studio, senza pretendere la completa cancellazione del progetto urbanistico. Altri sminuiscono la violenza cieca della polizia per ricordare che il corteo non era autorizzato e s’affrettano a precisare che il diritto di manifestare va garantito. Due giorni dopo le cariche, lunedì mattina, l’assessore alle politiche sociali – RosatelliSinistra Ecologista – davanti ai giornalisti critica l’eccessiva violenza poliziesca, sebbene i manifestanti abbiano adottato, afferma, «metodi discutibili»; infine esprime la sua fiducia verso il prefetto, il questore e le forze dell’ordine. Una passeggiata in quartiere è un “metodo discutibile”? La sinistra istituzionale, in un equilibrio ipocrita, tenta di sostenere le ragioni dei manifestanti, ma di fatto legittima la gestione violenta delle strade in nome dell’emergenza pandemica.

Il potere cammina in punta di piedi, e con imbarazzo, perché questo è un pasticciaccio. È necessario ora mettere in difficoltà l’attuale giunta che spesso discetta di città universitaria, ecologia e progetti d’opportunità, chiudendo gli occhi di fronte a evidenti speculazioni, abusi di potere, violenza e diseguaglianze. Anzi, il consumo di suolo, la cementificazione e la concessione di aree urbane a centri commerciali e ipermercati sono prassi consolidate per le forze ora al governo: Esselunga non è un’eccezione, ma la regola. Conosciamo l’altro volto della propaganda progressista, il volto reale: si è manifestato sabato pomeriggio. La pandemia dà carta bianca anche a noi: non vogliamo accettare in silenzio tutto questo e opporremo tutte le nostre forze, e i nostri corpi. (ilaria magariello)

Da napolimonitor