Cancellate con un tratto di penna nella notte, anche le poche misure alternative al carcere disposte dal Dpcm. Intanto 2 giorni fa, sia a Poggioreale che a Secondigliano, ci sono state battiture di protesta contro le misure adottate da ministero e istituti sulla ripresa dei colloqui.

Ieri sia a #Poggioreale che a #Secodigliano ci sono state delle battiture contro le misure adottate da ministero e istituti sulla ripresa dei colloqui.

Pubblicato da Parenti e amici dei detenuti a Poggioreale, Pozzuoli e Secondigliano su Domenica 17 maggio 2020

Da Il Dubbio del 19 maggio


Misure alternative al carcere per ridurre la popolazione carceraria? Fino ieri sera sì. Era stato pubblicato addirittura in Gazzetta Ufficiale. Ma poi improvvisamente, poco prima di mezzanotte, il Governo ha deciso di modificare tutto e togliere quell’opzione
Misure alternative al carcere per ridurre la popolazione carceraria? Fino ieri sera sì. Era stato pubblicato addirittura in Gazzetta Ufficiale. Ma poi improvvisamente, poco prima di mezzanotte, il Governo ha deciso di modificare tutto e togliere quell’opzione.
Infatti, nel nuovo DPCM firmato il 17 maggio dedicato all’avvio della cosiddetta fase due ai tempi del covid 19, c’è anche un comma dell’articolo sugli istituti penitenziari. C’era scritto nero su bianco che, tenuto conto delle indicazioni fornite dal Ministero della Salute fatte d’intesa con il coordinatore degli interventi per il superamento dell’emergenza coronavirus, il ministero della giustizia raccomanda di limitare i permessi e la semilibertà o di modificare i relativi regimi in modo da evitare l’uscita e il rientro dalle carceri, valutando «la possibilità della detenzione domiciliare».
Un suggerimento che ribadisce ciò che è stato indicato – fin dall’inizio dell’emergenza – nei passati DPCM. Ciò sta a significare che per il mondo carcerario c’è una preoccupazione maggiore essendo un luogo chiuso, assembrato e dove la distanza minima è di difficile attuazione.  A conferma di ciò, anche per i casi sintomatici dei nuovi ingressi, i quali devono essere posti in condizione di isolamento dagli altri detenuti, il Governo raccomanda «di valutare la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare».Ma poi il colpo di scena.
A tarda serata arriva la modifica al decreto del presidente del consiglio dei ministri. Una modifica che riguarda esclusivamente l’articolo 1, comma 1, lettera cc), ovvero quella relativa agli istituti penitenziari. Hanno cancellato tutto e sostituito con questo:  «cc) tenuto conto delle indicazioni fornite dal Ministero della salute, d’intesa con il coordinatore degli interventi per il superamento dell’emergenza coronavirus, le articolazioni territoriali del Servizio sanitario nazionale assicurano al Ministero della giustizia idoneo supporto per il contenimento della diffusione del contagio del COVID-19, anche mediante adeguati presidi idonei a garantire, secondo i protocolli sanitari elaborati dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute, i nuovi ingressi negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni. I casi sintomatici dei nuovi ingressi sono posti in condizione di isolamento dagli altri detenuti».
Hanno tolto tutto.  Compreso il passaggio poco chiaro e che sembrava andare in senso contrario al decreto legge del 10 maggio il quale stabilisce una ripresa graduale dei colloqui visivi. Però secondo il nuovo DPCM, i colloqui – salvo rare eccezioni – sospesi sino al 14 giugno prossimo. Infatti si leggeva che «i colloqui visivi si svolgono in modalità telefonica o video, anche in deroga alla durata attualmente prevista dalle disposizioni vigenti», ma «in casi eccezionali può essere autorizzato il colloquio personale, a condizione che si garantisca in modo assoluto una distanza pari a due metri».

A fare un po’ di chiarezza è stato Gennarino de Fazio, leader della UILPA Polizia Penitenziaria Nazionale: «Dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) confermano un disallineamento normativo e precisano che nella gerarchia delle fonti il decreto-legge prevale sul DPCM e che pertanto da oggi (18 maggio, ndr) riprenderanno gradualmente, per come previsto, i colloqui visivi». Il capo della UILPA però si chiede come questo possa accadere «perché è palese – incalza De Fazio – che anche dopo tutto quello che è avvenuto nei penitenziari dal mese di marzo, con 13 morti, evasioni di massa, devastazioni, etc., la disarmonia normativa così come la continua emanazione di decreti-legge rappresentano l’ennesimo sintomo dell’assenza di una visione strategica e di una sostanziale approssimazione di fondo».La UILPA non vuole entrare nel merito degli scontri politici di queste ore, ma ribadisce che, al netto dello spessore e delle capacità individuali dei nuovi vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, «è indispensabile un cambio di passo della politica e una tangibile attenzione da parte del Ministro della Giustizia, che francamente non vediamo da tempo, che mettano le carceri al centro dell’agenda del Governo».
Ma ora il problema, almeno quello relativo ai colloqui, è stato risolto con un tratto di penna. Ma un tratto che ha cancellato anche il suggerimento delle misure alternative.Nel frattempo il Garante Nazionale delle persone private della libertà ha accolto con favore il decreto legge sulla ripesa graduale dei colloqui e ha spiegato che nell’audizione in Commissione giustizia del Senato, ha comunque sottolineato due aspetti. Il primo è che nel testo alcune formulazioni più sfumate circa “la possibilità di utilizzare tecnologie” vengano sostituite da affermazioni che diano certezza di tale utilizzo. Il secondo è che la progressiva riapertura dei colloqui non veda la riduzione del ricorso alle tecnologie stesse, che hanno mostrato di poter avere una ricaduta positiva sugli istituti.

Appello contro la repressione politica in Turchia e canzone di solidarietà con Grup Yorum

Dalla pagina fb del Comitato solidale Grup Yorum Italia, pubblichiamo l’appello, da sottoscrivere e diffondere, contro la repressione politica in Turchia



APPELLO CONTRO LA REPRESSIONE POLITICA IN TURCHIA


L’8 maggio, nel pieno della crisi sanitaria mondiale, è diventato martire il nostro compagno Ibrahim Gökçek, bassista e attivista rivoluzionario turco, membro di Grup Yorum, che insieme ad altri compagni musicisti, avvocati e prigionieri politici ha portato avanti una eroica lotta con lo sciopero della fame fino alla morte, denunciando la persecuzione politica e i mezzi repressivi che lo stato turco sta applicando contro il popolo ed in particolare contro l’attività artistica di Grup Yorum.

Durante le onoranze funebri il Governo turco ha spiegato ingenti forze di polizia con mezzi blindati, usando lacrimogeni e sparando contro il popolo che si era radunato per omaggiarlo. Non sono mancati arresti, ancora tra i membri di Grup Yorum e gli avvocati del popolo, nonché tra i sostenitori del gruppo musicale. La salma è stata riconsegnata solo per la tumulazione, ma ancora oggi ci sono minacce da parte dei gruppi fascisti che continuano a sostenere che ruberanno il corpo di Ibrahim Gokçek per poi bruciarlo.

Allo stesso modo sono diventati martiri il 3 aprile scorso, la compagna Helin Bölek, solista di Grup Yorum, dopo 288 giorni di sciopero della fame, e il 24 aprile il prigioniero politico Mustafa Koçak, dopo 297 giorni di sciopero della fame.

Sebbene Helin Bolek e Ibrahim Gokçek siano stati liberati rispettivamente a novembre e a febbraio, comunque le persecuzioni a loro carico sono continuate nei messi successivi e antecedenti la loro morte a causa della loro perseveranza nella lotta.

Oggi, ancora una volta vediamo tangibili le prove di come il regime dello stato turco continua la sua guerra contro il popolo e i rivoluzionari, come parte di una politica di repressione e persecuzione politica che l’imperialismo applica nel mondo.

La responsabilità di queste morti è del governo turco, sostenuto dai complici governi occidentali e di tutte le associazioni che non si sono schierate in modo netto contro lo stato terrorista.

In particolare il nostro appello va alle organizzazioni democratiche e rivoluzionarie, ma anche ai singoli cittadini italiani, che ripudiano la guerra, come scritto nella nostra Costituzione, a pronunciarsi e ad esprimere la loro solidarietà con la lotta del popolo turco.


Scrivendo o telefonando al Ministero degli affari esteri e della Cooperazione Internazionale

Telefono: +39 – 06.36911


Scrivendo o telefonando all’Ambasciatore della Repubblica di Turchia presso la Repubblica italiana Murat Salim Esenli

Telefono: +39 – 06.445941


BASTA ALLEGARE IL SEGUENTE TESTO NELL’EMAIL:


Sosteniamo le richieste di Grup Yorum

– La fine delle incursioni della polizia nel Centro Culturale İdil

– La cancellazione dalla lista dei ricercati dei membri del Grup Yorum

– La rimozione del divieto dei concerti di Grup Yorum

– La cessazione delle accuse contro i membri di Grup Yorum

– Il rilascio di tutti i membri di Grup Yorum attualmente in carcere


Sosteniamo le richieste degli Avvocati del popoloche chiedono di poter difendere i loro clienti!


PER LA LIBERTÀ DEI PRIGIONIERI POLITICI!

CONTRO LA PERSECUZIONE POLITICA!

PER LA DIFESA DELLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE!

SOLIDARIETÀ CON GRUP YORUM!

SOLIDARIETÀ CON GLI AVVOCATI DEL POPOLO!

SOLIDARIETÀ CON I PRIGIONIERI POLITICI!


Continuiamo a raccogliere il vostro consenso anche con le foto o qualsiasi altra espressione di solidarietà. Scrivete e scriveteci!


Comitato Solidale Grup Yorum



La  canzone di solidarietà con Grup Yorum, BEAT OF RESISTANCE, denuncia la repressione Turca ai danni del Grup Yorum, band che da anni si oppone con la propria musica allo stato di dittatura di Erdogan.
Il video che segue è prodotto da Yeahjasi-BRINDISI https://www.facebook.com/Yeahjasi/ 

Gli ITALIAN FREEDOM FIGHTERS si formano spontaneamente rispondendo ad una “chiamata alle armi” del Comitato Solidale Grup Yorum che, avendo l’esigenza di estendere la lotta contro la repressione del fascista Erdogan a 360°, decide di coinvolgere gli artisti.

Si uniscono così quattordici voci: TREBLE LU PROFESSORE(The Dangeroots), JULIA LENTI, TONY (Cattivo Sangue), GIULIO FERRANTE (Radici nel Cemento), LIZARD (Shock very noise), ROCKY GANJAVOX (The Dangeroots), CHALA DZ CHAM (The Dangeroots), SPEAKER TEX, NUR-GUL, SAM D, FILOMENA DE LEO (Medinabox), FIDO GUIDO, TINA MINERVA (La Rocha), RIFLE E cinque musicisti: RAINA (Villa Ada Posse), ADRIANO BONO (Reggae Circus), POPPY CIRCUITELEMENT (Shock very noise), LUIGI MIACOLA The navigator trumpet(TheDangeroots), COSIMO MIACOLA Young t bone,(The Dangeroots)
L’ obiettivo comune è esprimere solidarietà a Grup Yorum, che nella sua costante RESISTENZA, ha appena perso purtroppo Ibrahim ed Helin, e agli avvocati del popolo, tutt’ora in sciopero della fame. Inoltre è una chiara denuncia dela violazione delle libertà di espressione e di pensiero di cui Grup Yorum e tutto il popolo Turco sono vittime.
Progetto artistico di Valentina Rubino Artwork di Daniele “Speaker Tex” Francioso + info @ www.reggae.it/yorum -Musiche di Tony Cattivo Sangue, Treble Lu Professore, Raina, Luigi e Cosimo Miacola, Adriano Bono, Poppy Circuitelement -Mix e Master: Treblestudio #yorum #treblestudio

Processo a 41 compagni e compagne per il G7 di Taormina

Mass media (Giornali e Tg3) puntano a criminalizzare il contingente maoista di quella importante manifestazione: Se il nemico ti attacca vuol dire che sei sulla via giusta…

Riportiamo ampi stralci di uno degli articoli fatti subito dopo quella manifestazione – del blog proletari comunisti.

*****

Il G7 dei grandi è fallito, l’anti/G7 dei “piccoli” è sostanzialmente riuscito. Questo è il giudizio di fondo da cui bisogna partire, se si vuol dare una valutazione serena e precisa su quello che è avvenuto nell’asse Taormina-Giardini Naxos.
La nostra parola d’ordine, che sin dal primo momento abbiamo portato in tutte le forme e in tutti i luoghi in cui siamo riusciti ad essere, è stata “rompiamo la vetrina dell’imperialismo”… E questo è avvenuto…
…la prima rottura l’ha prodotta lo Stato imperialista italiano che in maniera un po’ strumentale, ma
anche prendendolo sul serio, ha scatenato la più clamorosa, finora, campagna di criminalizzazione preventiva a cui il nostro paese abbia assistito – ricordando in tante forme quelle del famigerato G8 del 2001 a Genova, solo che qui la prevenzione è stata molto più determinata da parte dello Stato, perchè si è concentrata nel voler impedire la realizzazione di ogni manifestazione, anche la più innocua e di impedire l’arrivo materiale alla manifestazione.
In questa maniera, lo Stato imperialista non ha fatto altro che auto affermare che il G7 era una fortezza assediata, che i 7 erano davvero 7, che bisognava preservare anche da una scritta o da una protesta simbolica. Sono arrivati quindi a sequestrare Taormina e i Giardini Naxos e a mettere i loro check point sin dalla Calabria.

Ma, come dice Marx, quando il potere borghese vede in ogni stormir di fronda un pericolo, allora ogni stormir di fronda diventa un pericolo.
Tenacemente l’opposizione al G7, quella sul territorio e quella che dalle altre città l’ha sostenuta, ha resistito e ha reagito, in questa condizione in certi momenti allucinante – a Taormina non si poteva entrare, anzi gli stessi abitanti dovevano o uscire o considerarsi ‘prigionieri in casa’, ai Giardini Naxos il sindaco ha ordinato di chiudere tutto, quasi a voler desertificare la città e prendere per fame i manifestanti considerati tout court “terroristi”, “sfascia vetrine” (uno slogan ironico gridato da gruppi di giovani diceva: “ci credevate terroristi siam meglio dei turisti” – ed è arrivata a migliaia ai Giardini Naxos, superando controlli, posti di blocco e ogni tipo di intimidazione. E si è presa prima il concentramento, in un clima di allegria, combattivo, ognuno che arrivava veniva accolto dall’entusiasmo e portava entusiasmo, il concentramento si è riempito di rosso e i manifestanti si sono fusi comunque in un tutt’uno, aspettando che i compagni fermati arrivassero; poi ha dato vita a quel lungo serpentone che si è ripreso Giardini Naxos e che ha chiamato la popolazione a partecipare dai lati, dai balconi, entrando nel corteo, esprimendo in tutti i microfoni che gli venivano posti dallo sterminato esercito di giornalisti, operatori, fotografi, tutta la propria solidarietà ai manifestanti e tutta la propria denuncia, per mille e svariati motivi, del G7, dei sindaci, dei politici e di tutta l’oscena accozzaglia che da Roma a Giardini aveva vessato, violentato, imperversato fino alla manifestazione.

E così a Giardini i 7 sono diventati ridicoli, impegnati a scannarsi di parole, mentre le grottesche mogli davano tutta l’immagine della “Grande bellezza” Sorrentino style.
Mentre il corteo strada facendo guadagnava entusiasmo, il camion alla testa fondeva bene musica, slogan e un’infinità di interventi, ognuno dei quali aggiungeva una parola di denuncia, portava la sua lotta e si armonizzava.

In questo spiccava il contingente maoista, che con striscioni e parole d’ordini portati da una fusione proletaria, femminista, rivoluzionaria, dava il senso di questa manifestazione…
Era del tutto naturale che questo corteo non potesse, non si dovesse fermare laddove la sbirraglia di Minniti lo voleva bloccato, e che comunque una parte della manifestazione, quella più viva, quella più determinata e anche, permetteteci di dire, quella più organizzata allo scopo, mentalmente attrezzata, non ci stesse a non dare un segnale che i divieti non vanno accettati ma vanno sfidati con coraggio e autodeterminazione, facendo il passo necessario perchè si restasse comunque avanguardia di tutta la manifestazione, perchè tutti vi hanno partecipato allo scopo di rendere forte l’opposizione.
Certo che l’ultima sfida è quella che segna il tempo, perchè non è solo una conclusione, ma un’indicazione su come combattere lo stato di cose esistente nel tempo del fascio-imperialismo, da Trump a Minniti, il segno del tempo che loro hanno torto e noi ragione, e che è necessaria la forza per affermare le ragioni e i diritti dei proletari, dei popoli, da Taormina al Medio Oriente, all’America Latina, dal cuore dei paesi imperialisti alla Turchia, all’India, ecc.

Un altro mondo è possibile! Oggi più che mai dobbiamo fare nostra questa parola d’ordine. E dall’arma della critica di questo mondo, impugnata a Giardini Naxos, così esemplarmente rappresentato dal G7 di Taormina, occorre passare alla critica delle armi impugnata dai proletari e dalle masse.

Verso il 19 giugno – La solidarietà non si arresta!

Riprendiamo, da Rete Evasioni, il comunicato in solidarietà con i compagni e le  compagne colpite dall’operazione “ritrovo”, e torniamo a proporre una giornata di mobilitazione nazionale sotto le carceri per il 19 giugno, al fianco di tutti i prigionieri e le prigioniere ribelli:

Insieme nel cuore e nella lotta

Tra gli atti a sostegno dell’operazione repressiva del 13 marzo, la Procura di Bologna dichiara apertamente la necessità di togliere di mezzo le persone disposte a lottare e di farlo preventivamente, in considerazione dell’attuale momento storico in cui tensioni sociali potrebbero scatenarsi in tutto il paese.
Le accuse rivolte a 12 compagni/e sono istigazione a delinquere, danneggiamento, imbrattamento e incendio, nel quadro di un’associazione con finalità di terrorismo o eversione dell’ordine democratico. Anche quella Procura è convinta che bisogna vivere di miseria e di carcere, e così altre 7 compagne e compagni sono detenuti e altri/e 5 hanno l’obbligo di dimora e di firma.
Descrivere chi vive di solidarietà come “istigatore” non rappresenta solamente un pesante capo di imputazione dal punto di vista di anni di carcere da richiedere. La figura dell’istigatore fa emergere l’ennesimo tentativo manipolatorio dello Stato. La responsabilità di ciò che avviene all’interno di qualsiasi luogo di reclusione, così come nella società tutta, risiede esclusivamente nelle scelte politiche dei vari governi. Chiunque viva sulla propria pelle lo sfruttamento, l’impoverimento, l’esclusione, il pericolo della propria incolumità causata proprio da quelle stesse politiche, sa bene verso chi rivolgere la propria rabbia e non ha certo bisogno di suggerimenti terzi. Lo ha ben dimostrato l’immediata risposta delle persone detenute all’irresponsabile e cinico disinteresse dello Stato sulla gestione dell’emergenza Covid, con le spontanee rivolte di marzo dentro le carceri e le proteste ancora in corso. Così come lo hanno sempre dimostrato le rivolte avvenute all’interno dei centri di detenzione per immigrati.
Da due mesi ci sono rivolte nelle carceri di tutto il mondo perché le persone detenute non accettano di essere condannate al contagio del Covid nel contesto atroce di privazione della libertà.
C’erano Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma e Tommi davanti le mura di tutte le carceri?
Probabilmente sì. Tante Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma, Tommi e tante/i noi.
La lotta per un mondo giusto, la lotta per la libertà, la lotta contro ogni forma di autorità, non è “istigazione” bensì solidarietà ed è, e sempre sarà, patrimonio di tutti e tutte noi.
In un mondo di muri, droni, guerre, segregazione razziale, violenza di genere e sfruttamento c’è chi sceglie da che parte stare.
 
SIAMO CON VOI
LIBERI TUTTI LIBERE TUTTE ORA
 
Rete Evasioni

Solidarietà a Dilan Ekin e Tugce Tayyar – Soccorso Rosso Proletario

La repressione politica dello stato fascista turco contro i membri di Grup Yorum e i loro sostenitori continua:
Diverse persone, tra cui membri di Grup Yorum e avvocati, sono state arrestate presso
l’istituto di fede alevitica Cemevi, per aver partecipato alla cerimonia funebre di Ibrahim Gökcek, che è stata brutalmente attaccata dalla polizia dell’AKP, che ha anche violato e rapito la salma del compagno Ibrahim dalla sala di sepoltura di Cemevi.
Dopo 4 giorni di detenzione arbitraria da parte della polizia, i giudici hanno rilasciato le persone arrestate, ma il pubblico ministero ha spiccato un mandato d’arresto contro altre due componenti della band,
le compagne Dilan Ekin e Tugce Tayyar.
Questo mandato di arresto deve essere revocato immediatamente!
Partecipare al funerale di un compagno deceduto non è un crimine! Criminale è
Erdoğan ed i governi dei paesi imperialisti che lo sostengono, tra cui l’Italia. Criminale è chi attacca i funerali dei compagni con bombe a gas e proiettili di gomma, chi apre le porte di una sala di sepoltura per rapire il corpo di Ibrahim Gökcek ed arrestare chiunque partecipi al suo funerale!
 

La repressione contro Grup Yorum deve essere fermata.
Libertà per tutti i membri della band

Libertà per Dilan Ekin e Tugce Tayyar.

L’operazione “Ritrovo” e il nemico ritrovato. Da alcune corrispondenze

Nella notte del 13 maggio i Ros hanno eseguito dodici mandati d’arresto (sette in carcere e cinque misure custodiali non detentive con varie restrizioni) a Bologna, Milano e nel fiorentino.  L’inchiesta è condotta dal pm Stefano Dambruoso della procura di Bologna, che a partire dalle sue fantasistiche, e pesantemente offensive per il buon senso, inchieste sul “terrorismo islamico” ha costruito una fortunata carriera politica, prima di tornare a occuparsi dei compagni, come aveva iniziato a fare dal ’96.
Le accuse, in quest’ultima operazione (denominata ‘Ritrovo’), sono: art. 414 (Istigazione a delinquere), art. 639 (Deturpamento e imbrattamento), art. 635 (Danneggiamento), art. 423 (Incendio) contestato a una persona. A condire e “sostantivare” a fini repressivi il tutto, ecco il 270bis (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico), perché “un 270bis non si nega a nessuno”, come scrisse un compagno avvocato. In questo caso il 270bis è stato contestato a chi ha la misura cautelare in carcere… Stando a quanto riporta la stampa, la tesi dell’accusa parla di “una associazione finalizzata al compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico dello Stato italiano, con l’obiettivo di affermare e diffondere l’ideologia anarco-insurrezionalista, nonché di istigare, con la diffusione di materiale propagandistico, alla commissione di atti di violenza contro le Istituzioni politiche ed economiche dello Stato impegnate nella gestione dei Centri Permanenti di Rimpatrio e nella realizzazione di politiche in materia migratoria”.

Gli inquirenti parlano anche di un’“articolata trama di rapporti tra gli attuali indagati e diversi gruppi affini, operanti in varie zone del territorio nazionale” con lo scopo di “contrastare, anche mediante ricorso alla violenza, le politiche in materia di immigrazione e, in generale, le istituzioni pubbliche ed economiche, con indicazione di obiettivi da colpire e le modalità di azione”. Insomma, ciò che un giornale come Il Messaggero riassume brillantemente nel titolo “promuovevano la lotta contro lo Stato”.
L’inchiesta, quindi, ripercorre il modus operandi di ormai decine di altre in passato, il ciclico e strumentale utilizzo dell’articolo 270 bis, l’associazione con finalità di terrorismo, che tutto giustifica. Soprattutto i mezzi impiegati, i soldi spesi per farlo, e i tempi d’indagine prolungati.
Questa inchiesta infatti è un po’ datata (sembra prendere avvio nel 2018)… ma una nota della Procura chiarisce il perché, nonostante la richiesta delle custodie cautelari fosse depositata nei loro uffici già dal luglio 2019, proprio ora viene accordata.

Questa nota suggerisce infatti un paio di considerazioni:

1)“Le evidenze raccolte in questo ultimo periodo, caratterizzato dalle misure di contrasto all’emergenza epidemiologica del Covid-19, hanno evidenziato l’impegno degli appartenenti al sodalizio[…] ad offrire il proprio diretto sostegno alla campagna “anti-carceraria”, accertando la loro partecipazione ai momenti di protesta concretizzatisi in questo centro” (Bologna).
Sono quindi le proteste e la solidarietà ad essere punite. Non ci fossero state le rivolte a rivendicare vita e dignità, e le iniziative fuori a sostenerle, la “questione carcere” e le morti, pesanti come macigni che si porta dietro, sarebbero rimaste tombate nel silenzio.
Proprio in tempi di “emergenza Coronavirus”, di “andrà tutto bene”, di lotta comune contro il comune nemico invisibile, lo Stato sa bene qual è il suo nemico, e cerca di colpirlo in ogni modo, anche ricorrendo a uno strumentario giuridico d’eccezione, com’è appunto il “diritto penale del nemico”. Infatti nel comunicato della procura di Bologna si possono leggere parole estremamente chiare al riguardo:

2)“In tale quadro, l’intervento, oltre alla sua natura repressiva per i reati contestati, assume una strategica valenza preventiva volta a evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale ‘campagne di lotta antistato’ oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica”. 
E la valenza preventiva connaturata a qualsiasi misura cautelare, non dovrebbe riferirsi al pericolo di reiterazione di un qualche reato, un po’ più specifico di un opinabile “istigazione” al limite del “delitto d’opinione”?
Certo, se la custodia cautelare è già considerata come repressione dei reati contestati, è evidente che si può affermare senza problemi che in questo già claustrofobico momento bisogna prevenire, anche tramite la privazione della libertà, l’azione di chiunque si permetta di mettere in discussione la natura e le scelte dello stato (che nel mentre ha mostrato cosa – e chi – è sacrificabile) … come se non fossero esse stesse a provocare la tensione sociale.

Ma sentiamo cosa ne pensa Ettore Grenci, l’avvocato difensore di alcuni degli indagati, in un’intervista di Radio Città Fujiko

 

 

Anarchici: le accuse

Oltre all’accusa di terrorismo ai fini eversivi comminata a tutti gli attivisti e le attiviste arrestate, l’indagine della Procura si è concentrata sulle iniziative di protesta, ritenute particolarmente gravi in quanto in aperto contrasto alle istituzioni. In particolare, nel documento prodotto dalla Procura si parla di “azioni di danneggiamento, manifestazioni pubbliche e cortei non organizzati con l’obiettivo di contrastare e impedire l’apertura dei centri permanenti di rimpatrio e la legislazione del Governo sulla gestione dell’immigrazione. Gli indagati avrebbero provocato anche violenti scontri con le forze dell’ordine, danni a condomini ed edifici pubblici, con scritte minatorie e offensive nei confronti delle istituzioni dello Stato e delle strutture economiche, ad esempio verso sportelli bancomat della Banca Popolare Emilia-Romagna di Bologna”.
Tra i capi di accusa si parla anche di “realizzazione e diffusione, anche con l’uso di strumenti informatici, di opuscoli, articoli e volantini dal contenuto istigatorio, tesi ad aggregare nuovi proseliti impegnati nelle loro ‘campagne di lotta’”. I Pm parlano di “un’articolata trama di rapporti tra gli indagati e diversi gruppi affini, operanti in varie zone del territorio nazionale, incentrati sulla sistematica attività di istigazione a delinquere” svolta “anche avvalendosi di pubblicazioni su blog e siti d’area”, con l’obiettivo di “contrastare, anche ricorrendo alla violenza, le politiche in materia di immigrazione e, in generale, le istituzioni pubbliche ed economiche, con indicazione di obiettivi da colpire e le modalità di azione”.

Un impianto accusatorio “sovradimensionato

La prima impressione di Ettore Grenci è che l’impianto accusatorio, e in particolare l’accusa di terrorismo ai fini eversivi, sia “sovradimensionata rispetto al quadro probatorio al momento raccolto. L’unico episodio che potrebbe avere una qualche rilevanza – sottolinea l’avvocato – potrebbe essere quello relativo al danneggiamento di un traliccio, su cui gli indizi mi paiono piuttosto deboli e non particolarmente gravi”. Ma è il complesso dell’indagine che porta Grenci ad esprimere questa valutazione, e in particolare il sovra-citato riferimento ai rapporti con altri gruppi e alla pubblicazione di opuscoli e blog. “Si muove tutto attraverso quella che è la linea tipica dei movimenti in questo paese, cioè una linea fatta di contatti di solidarietà, di scambio di informazioni rispetto a procedimenti giudiziari, alla redazione e alla pubblicazione di opuscoli d’area e poco altro, solidarietà ai detenuti. Ma azioni dirette che abbiano quel finalismo eversivo o addirittura terroristico richiesto dalla norma non vengono contestate né ipotizzate. Questo tipo di accuse presuppone delle condotte che mettono in pericolo la stabilità democratica delle istituzioni di un Paese, non certo un’attività propagandistica, su cui possiamo ragionare in termini anche se vogliamo di apologia e istigazione, ma stiamo parlando di reati di opinione”.
I reati di opinione, e in particolare di apologia e istigazione nel codice penale si configurano come un limite al diritto alla manifestazione del pensiero “nella misura in cui – spiega l’avvocato – il messaggio istigatorio e apologetico in determinate condizioni è tale da essere raccolto da chi quelle azioni potrebbe poi effettivamente compierle. Quindi deve essere accompagnato da tutta una serie di elementi che fanno apparire assolutamente concreto che quel pericolo che è insito in qualche modo nel messaggio possa effettivamente tradursi in realtà. Non basta il fatto di anche inneggiare all’abolizione o alla distruzione di un istituto di pena, questo ancora dovrebbe rientrare in una libera manifestazione del pensiero.

Arresti “preventivi”

In riferimento agli arresti, la Procura ha sottolineato che “le misure cautelari si sono rese necessarie anche in un’ottica di “strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale campagna di lotta antistato”, in quanto gli indagati avrebbero partecipato negli ultimi mesi di lockdown a sit-in e proteste in favore delle rivolte nelle carceri per il rischio coronavirus.
In questo senso, viene considerato particolarmente rilevante il fatto che nell’ultimo periodo gli appartenenti al gruppo di anarchici coinvolti nell’inchiesta antiterrorismo di Bologna si sarebbero incontrati per offrire il «proprio diretto sostegno» alla campagna anti-carceraria, e in particolare avrebbero partecipato a momenti di protesta a Bologna (di cui avevamo parlato qui). È quanto emerso dagli accertamenti degli investigatori. Su questo punto, Grenci sottolinea che “tutte le misure cautelari hanno un obiettivo di prevenzione. Dobbiamo però valutare cosa si intende per prevenire. Prevenire reati, va bene. Ma se l’obiettivo è quello di prevenire manifestazioni di dissenso quali potrebbero essere ad esempio assemblee o manifestazioni di solidarietà ai detenuti senza una commissione di reati che possano integrare queste gravi accuse, allora lì qualche perplessità su questa impostazione credo che sia naturale averla.

Una storia già vista

Per molti degli attivisti e delle attiviste arrestati questa mattina, si tratta peraltro di una storia già vissuta. Alcuni di loro infatti erano già finiti in carcere e processati con la stessa accusa, per l’articolo 270 bis che prevede l’associazione con finalità di terrorismo e di eversione dello Stato democratico, per azioni violente, cortei e occupazioni contro i Cie condotte fino al 2011 in città. In quell’operazione fu smantellato il noto circolo anarchico “Fuoriluogo”, in via San Vitale. Ma il processo, anche in secondo grado, si è concluso con l’assoluzione per tutti gli imputati accusati di terrorismo.
“Conosco bene quella vicenda perché fui il difensore di molti dei ragazzi imputati – commenta l’avvocato – fu già in primo grado completamente ribaltata l’impostazione accusatoria con l’assoluzione di tutti con formula piena. Ci sono voluti un paio d’anni prima di arrivare a quel risultato. Io pronostici non ne posso fare, ma sono fiducioso che già a partire dal prossimo step, che sarà quasi sicuramente il Tribunale della libertà, possa quantomeno ridimensionarsi il quadro accusatorio complessivo e possano rivalutarsi le misure cautelari applicate e in particolare penso al carcere. Lo auspico e penso che ci siano i margini per arrivare a questo risultato anche in tempi brevi, però ovviamente aspettiamo”.