Campagna per la liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane

Da Osservatorio repressione

Anche i prigionieri palestinesi catturati da Israele hanno diritto di tornare a casa. Una mobilitazione internazionale per la liberazione dei prigionieri palestinesi detenuti nei centri di tortura israeliani.

Marwan Barghouti (66 anni), detenuto da 23 anni in condizioni inumane e ora a rischio di essere giustiziato da Israele, è stato condannato con un processo che l’Unione Inter-Parlamentare ha dichiarato non conforme al diritto internazionale e non imparziale. Nei giorni scorsi è stato torturato dai suoi carcerieri, riportando costole rotte, dita spezzate, denti fatti saltare via a forza di botte e una parte dell’orecchio tagliata “per divertimento”.

Situazione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane

Nel corso degli ultimi cinque decenni, secondo l’associazione Addameer per la difesa dei diritti umani, circa un milione di palestinesi sono stati imprigionati o detenuti in Israele, l’equivalente di circa il 20% della popolazione palestinese. Il tasso di condanna dei palestinesi davanti ai tribunali militari è di quasi il 90%. I palestinesi sono spesso condannati con processi farsa che si svolgono in pochi minuti, senza assistenza legale e in una lingua che non sempre conoscono.

Dal 7 ottobre 2023, Israele ha imprigionato più di 15.000 palestinesi provenienti da Gaza e circa 20.000 dalla Cisgiordania, di cui 1.560 bambini, 595 donne, 408 medici ed operatori sanitari, e 202 giornalisti. Attualmente, ci sono circa 10.000 prigionieri palestinesi in carcere in Israele, compresi circa 350 bambini di età compresa fra i 13 e i 18 anni, e 27 donne. Non si conosce il numero dei detenuti provenienti da Gaza.

Circa 300 prigionieri sono stati condannati all’ergastolo e circa 4.000 sono detenuti in “detenzione amministrativa”. Ofer è l’unica prigione che si trova in Cisgiordania, mentre le altre 18 prigioni sono in Israele, dove è praticamente impossibile per i familiari dei detenuti avere il permesso di entrare per far visita ai loro cari. Oltre alle 19 prigioni menzionate, il sistema di detenzione israeliano comprende diversi centri di detenzione e per interrogatori ed i tribunali militari.

La detenzione amministrativa è una pratica istituita da Israele per detenere i prigionieri palestinesi senza processo, senza un’accusa specifica e spesso senza accesso ad un avvocato. La detenzione amministrativa può essere rinnovata di sei mesi in sei mesi per anni.

Medici, infermieri, paramedici, giornalisti, anziani, persone con disabilità, donne e bambini si trovano attualmente nelle carceri israeliane in condizioni disumane, dove è sistematicamente applicata la tortura, compresa la violenza sessuale contro uomini e donne, dove l’accesso a cure mediche è sistematicamente negato, dove l’alimentazione giornaliera è insufficiente, provocando un ulteriore deterioramento della salute dei prigionieri. Sono stati riportati casi di amputazioni di arti per mancanza di cure mediche e frequenti casi di scabbia per via delle condizioni sanitarie carenti. Il prolungato isolamento, la tortura e l’umiliazione, oltre ai danni fisici, provocano anche traumi psicologici, specialmente nel caso dei bambini.

Dall’inizio del genocidio, si sono registrati più di 78 decessi nelle carceri israeliane a causa delle torture, mancanza di attenzione medica e malnutrizione, ma il numero totale dei prigionieri deceduti provenienti da Gaza è sconosciuto.

Il Prof. Adnan Al-Bursh, primario di ortopedia all’ospedale Al-Shifa di Gaza, stava lavorando all’ospedale Al-Awda quando è stato arrestato nel dicembre 2024 con altri medici, colpevoli di voler fare il loro dovere di salvare la vita dei pazienti, neonati e bambini, in un ospedale distrutto dalle bombe israeliane. Il Prof. Adnan Al-Bursh è morto in carcere, quattro mesi dopo l’arresto, dopo essere stato violentato con un bastone rovente dai soldati israeliani. Il suo corpo è ancora detenuto da Israele.

Il Dr. Hussam Abu Safiya, pediatra all’ospedale di Kamal Adwan, rifiutò di abbandonare i suoi pazienti durante l’incursione israeliana che distrusse il suo ospedale, sfidando i carri armati solo con il suo camice bianco ed il suo stetoscopio. È stato arrestato il 27 dicembre 2024, suo figlio era appena stato ucciso dalle bombe israeliane. Lo stesso giorno sono stati arrestati anche altri membri del suo staff ed i suoi pazienti, che lui aveva cercato di curare sino all’ultimo momento. Il Dr. Abu Safiya è stato incarcerato e brutalmente torturato da Israele ed è ancora in detenzione amministrativa, durante la quale ha contratto la scabbia. Il Dr. Abu Safiya ed altri prigionieri sono confinati in una cella sotterranea ed il pediatra ha perso una significativa quantità di peso, circa 40 chili.

Il Dr. Marwan Al-Hams, direttore degli ospedali di campo, venne sequestrato nel luglio 2025. Ferito durante l’arresto non si hanno notizie da allora.

Nidal al-Waheidi e Haitham Abdelwahed, due giornalisti palestinesi di 25 e 31 anni che lavorano per i canali indipendenti “Ein Media” e “an-Najah” nella Striscia di Gaza, sono stati arrestati il 7 ottobre 2023 mentre riprendevano l’attacco di Hamas, e da allora le autorità israeliane si rifiutano di rivelare il luogo di detenzione, le loro condizioni e le ragioni della loro detenzione.

Israele è uno dei pochi paesi al mondo dove i bambini – e solo quelli palestinesi – vengono sistematicamente giudicati da tribunali militari e detenuti in condizioni disumane nelle prigioni israeliane di Ofer e Mejido, in celle buie, umide e fredde, sporche e sovraffollate, spesso in celle di isolamento di un metro e mezzo per un metro e mezzo prive di luce naturale. Ogni anno vengono arrestati e processati in questi tribunali tra i 500 e i 700 minorenni in contravvenzione alla Convenzione ONU sui Diritti del Fanciullo, di cui Israele è firmatario.

Ahmad Manasra venne arrestato all’età di 13 anni, fu brutalmente picchiato da un gruppo di israeliani e riportò fratture al cranio e sanguinamento interno. Rimase un anno in detenzione amministrativa e, all’età di 14 anni, nonostante il Tribunale riconobbe la sua innocenza, venne condannato a 12 anni di prigione poi ridotti a nove. Solo nel 2021, sei anni dopo la sua detenzione, ha avuto accesso ad un medico che gli ha diagnosticato la schizofrenia. Nonostante questo, continuò ad essere tenuto in isolamento sino al suo rilascio nel 2025 all’età di 23 anni.

L’Associazione Palestinese dei Prigionieri riporta che circa 6.000 minori sono stati detenuti da Israele dal 2015 ad oggi ed il 98% ha sofferto abusi e maltrattamenti fisici e psicologici e spesso sono stati obbligati a firmare dichiarazioni scritte in ebraico, che non parlano. I bambini rilasciati, a causa del trauma psicologico subito, soffrono di incubi, insonnia e diminuzione del rendimento scolastico.

Israele ha creato un doppio regime giuridico, una forma di apartheid giudiziario, che assicura l’impunità agli israeliani che commettono crimini contro i palestinesi, mentre criminalizza la presenza e la resistenza anche pacifica dei palestinesi. I tribunali israeliani sono una parodia della giustizia, strumenti dell’occupazione coloniale e militare.

Dall’inizio del genocidio, Israele ha negato al Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) l’accesso alle carceri e ai prigionieri Palestinesi e non gli ha più consegnato le liste dei prigionieri, in violazione della Terza e Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 e del diritto internazionale umanitario. Nonostante gli appelli rivolti al governo israeliano da ICRC, dall’Association for Civil Rights in Israel, Physicians for Human Rights, HaMoked, and Gisha, l’accesso ai prigionieri continua ad essere negato.

Dopo l’accordo negoziato da Trump, Egitto, Qatar e Turchia con Israele e Hamas, in ottobre 2025, ed il rilascio degli ostaggi israeliani ancora vivi detenuti da Hamas, Israele ha rilasciato 1968 prigionieri palestinesi, di cui 250 con condanne all’ergastolo e 1718 sequestrati a Gaza senza accuse. Più di cento prigionieri sono stati esiliati in Egitto ed altri paesi. Tutti i prigionieri rilasciati riportano di essere stati vittime di torture, maltrattamenti, mancanza di cure mediche e scarso accesso a cibo ed acqua. Israele ha, inoltre, restituito i corpi di circa 200 prigionieri morti in detenzione, tutti con orribili segni di tortura e molti senza organi, rubati da Israele.

Marwan Barghouti: il leader politico e l’educatore

Marwan Barghouti, prigioniero politico, condannato a cinque ergastoli, in carcere da 23 anni, accusato di aver fondato le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, braccio armato di Al-Fatah. Si è sempre dichiarato innocente, ma ha rifiutato di difendersi dichiarando di non riconoscere la giurisdizione israeliana sui territori palestinesi e la legalità dei tribunali israeliani.

Nato in Cisgiordania nel 1958, è entrato giovanissimo in Al-Fatah e ne è divenuto il leader alla morte di Yasser Arafat. Venne arrestato una prima volta a 18 anni e poi rilasciato. Nel 1987 venne, nuovamente, arrestato e poi esiliato. Ritornerà in Palestina nel 1994, dopo la firma degli accordi di Oslo di cui è stato sostenitore. Nel 2002, prima di venire nuovamente arrestato, scrisse una lettera aperta al Washington Post, dichiarando che Al-Fatah “non abbandona il diritto a difendere la terra palestinese e la lotta per la libertà del suo popolo”, ma allo stesso tempo si riferisce agli israeliani come “i nostri vicini” e si schiera contro atti di violenza contro i civili israeliani. Marwan venne condannato definitivamente nel 2004, in un processo ritenuto parziale e non conforme al diritto internazionale dall’Unione Inter-Parlamentare.

Nel 2006 redige il “Documento dei prigionieri”, un documento programmatico per la riconciliazione fra le diverse fazioni palestinesi condiviso da Fatah e Hamas che propone la fine dell’occupazione israeliana e uno Stato palestinese indipendente e sovrano, accanto ad Israele, sulla base dell’accordo del 1967.

Marwan Barghouti, riconosciuto dai palestinesi – sia da Hamas che da Al-Fatah e dalle altre formazioni politiche – come il possibile unificatore del popolo palestinese sotto una visione ed una agenda comune, gode di una popolarità maggiore di Abu Mazen. Sinwar, il leader di Hamas ucciso da Israele a Gaza, ne aveva chiesto la liberazione negli scambi di prigionieri del 2011, 2021 e 2024. Netanyahu, consapevole del valore politico della sua liberazione, si è sempre opposto.

La necessità di consolidare una leadership palestinese capace di coalizzare i vari gruppi dietro un progetto politico unitario viene menzionata internamente da più parti e Marwan Barghouti è identificato come il possibile leader, spesso paragonato a Nelson Mandela, non solo per la sua ingiusta e prolungata incarcerazione, ma per la sua visione progressista e unitaria. Nelle recenti trattative in Egitto si è tornato a parlare di Marwan Barghouti, che non è il leader di Hamas e mai lo è stato, ma è il leader di tutti i palestinesi e l’unico in grado di dialogare con l’autorità del suo popolo con il governo israeliano, il mondo arabo, e tutta la comunità internazionale.

E come fu il caso per Nelson Mandela, la sua liberazione e la sua leadership potrebbero cambiare il corso della storia in Palestina ed in Medio Oriente. 1.2.2.

Marwan Barghouti si è laureato in storia all’Università di Bir Zeit in Cisgiordania, dove divenne rappresentante degli studenti nel consiglio d’amministrazione dell’ateneo. Ottenne, poi, una seconda laurea in scienze politiche ed un Master of Arts in relazioni internazionali.

In carcere ha sempre stimolato gli altri prigionieri a studiare, organizzando lezioni di diritto internazionale, di politica e storia. Molti ex-prigionieri hanno proseguito gli studi e si sono laureati grazie ai suoi insegnamenti. Ha invitato gli atri prigionieri anche a studiare ebraico, che lui conosce, perché sostiene che bisogna capire il linguaggio e la cultura di Israele per poterci dialogare. Un “professore in prigione” che ai suoi compagni di prigionia insegna la differenza tra rabbia e dignità.

Questo contrasta con l’atteggiamento del Ministro degli interni israeliano Ben Gvir, che nell’agosto 2025 si è recato nella cella di Marwan Barghouti per umiliare l’avversario politico più temuto da Israele, ormai ribattezzato “il Mandela di Palestina”. Il video dell’incontro tra Ben Gvir e Barghouti mostra un uomo consumato dalla prigionia e dalla tortura, ma che ha preservato il proprio rispetto e il proprio valore intrinseco, dimostrando una dignità individuale ancora intatta.

Testimonianza di un prigioniero rilasciato nella West Bank: “Noi lottiamo per la libertà, ma non odiamo. La lotta basata sull’odio è un crimine, quella basata sull’amore è rivoluzione. Noi crediamo nella giustizia sociale e nella democrazia e nell’unità nazionale. Noi vogliamo lo stato di Palestina nei confini del 1967, ma la nostra appartenenza è alla Palestina storica. In questa terra c’è posto per tutti gli uomini liberi. Abbiamo bisogno di un leader come Marwan per attraversare questo momento difficile”.

La liberazione di Barghouti

La detenzione di Barghouti è funzionale alla politica di Israele di mantenere la dirigenza palestinese divisa nelle varie fazioni per impedire la creazione di una visione e programma unitario per lo stato palestinese. Barghouti è il simbolo dell’unità palestinese da Gaza alla Cisgiordania e fra la diaspora.

Nel corso degli anni, diversi politici israeliani si erano detti favorevoli alla sua liberazione, compreso Shimon Peres, che però non fece nulla per liberarlo. Fadwa Ibrahim Barghouti, la moglie ed il suo avvocato, si batte da anni per la sua liberazione.

Nel 2013, Ahmed Kathrada, figura emblematica della lotta antiapartheid in Sud Africa, e Fadwa Barghouti, lanciarono, dalla vecchia cella di Nelson Mandela sull’isola di Robben Island, una campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri politici palestinesi, ottenendo il sostegno di otto premi Nobel per la Pace, 120 governi e centinaia di leaders, parlamentari, artisti e studenti universitari di tutto il mondo.

Con questa nuova campagna chiediamo nuovamente la liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi – i bambini, le donne, i medici e tutti gli operatori sanitari, i giornalisti – così come la chiusura dei centri di tortura israeliani, il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, l’accesso dei detenuti alla difesa, alle cure mediche, a sufficiente cibo ed acqua e l’accesso di ICRC ai prigionieri e alle liste dei prigionieri.

Appelli per la liberazione di Marwan Barghouti sono stati fatti da The Elders, progressisti israeliani e politici di tutto il mondo. Il 12 novembre 2025 il parlamento israeliano ha approvato in prima lettura un emendamento del codice penale che introduce la pena di morte per i cosiddetti “terroristi”, con effetto retroattivo. La vita di Marwan Barghouti è a rischio, mentre la sua salute in carcere continua a deteriorarsi per effetto delle torture, isolamento e trattamento inumano.

Lettera di Fadwa Barghouti (2025): “Marwan non ho riconosciuto i tuoi lineamenti, e forse una parte di me non vuole accettare tutto quello che il tuo viso e il tuo corpo esprimono, tutto quello che tu e i prigionieri avete sopportato in carcere.

Marwan ti stanno ancora inseguendo, anche dopo 23 anni di prigione e 2 anni nella cella d’isolamento in cui vivi.

Ti stanno ancora prendendo di mira, le catene sono ancora alle tue mani, ma conosco il tuo spirito e la tua determinazione.

So che rimarrai libero… libero… libero. Ti preoccupi solo del tuo popolo e di porre fine alle sue sofferenze che hanno raggiunto il cielo a Gaza, ottenendo la loro libertà e preservando la loro dignità.

Oh montagna, nessun vento può scuoterti”.

So che l’unica cosa che può scuoterti è ciò che senti del dolore del tuo popolo, e l’unica cosa che ti ferisce è l’incapacità di proteggere i bambini palestinesi. Tu sei del popolo, e ovunque tu sia, sei in mezzo a loro, sei di loro e parte di loro; il tuo destino è legato al popolo. Così eri, e così rimarrai”.

Fadwa Al Barghouti

 

LE ADESIONI

Come organizzazioni della società civile che difendono i diritti umani, il diritto internazionale ed il diritto del popolo palestinese alla libertà ed autodeterminazione, abbiamo aderito alla campagna internazionale e creato un comitato nazionale.

Per fare di questa campagna un movimento unitario presente a livello nazionale, vi invitiamo ad organizzarvi e coordinarvi fra associazioni delle vostre realtà locali e promuovere iniziative sui contenuti della campagna, che sono:

– la liberazione dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane,

– la liberazione del leader Marwan Barghouti,

– la chiusura dei centri di tortura israeliani,

– il rispetto dei diritti umani e diritti dei prigionieri,

– il rispetto della Terza e Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 e del diritto internazionale umanitario e l’accesso del Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) alle carceri e ai prigionieri Palestinesi detenuti in Israele.

Vi chiediamo che in OGNI MANIFESTAZIONE sia VISIBILE la campagna per la libertà di Marwan e dei prigionieri palestinesi

Vi ringraziamo, inoltre, se potete comunicare la formazione dei comitati locali o semplicemente le azioni che ciascuna organizzazione a livello locale intende fare e programmare a: freemarwanitalia@proton.me

La raccolta firme online è ancora attiva e troverete il link sotto per adesioni individuali e collettive. Ci sono attualmente 19,686 firme registrate. Molti degli aderenti al comitato nazionale hanno già firmato la petizione su change.org: https://www.change.org/p/libertà-per-marwan-barghouti-il-nelson-mandela-palestinese?source_location=my_petitions_list

anche in francia si processano i militanti solidali con la palestina

 

BDS/Urgence Palestine Montpellier appelle à se rassembler le vendredi 12 décembre dès 8H devant la Cour d’Appel (Arc de triomphe – Tram 4 – Peyrou) pour soutenir José-Luis Moraguès, militant poursuivi en justice après des plaintes pour diffamation de différents responsables politiques locaux, malgré sa relaxe en première instance (voir notre article). Ce nouveau procès s’inscrit dans le cadre d’une intensification de la criminalisation du mouvement de la solidarité avec la Palestine depuis plusieurs années.

 

Le 10 décembre 2025, Yamin Makri sera jugé à Lyon pour « apologie du terrorisme » après avoir partagé en 2022 sur Facebook des publications sur la situation en Palestine et à propos d’organisations palestiniennes. Le même jour, il comparaîtra également pour avoir collé en mars 2024, avec trois autres personnes, des affiches montrant des enfants blessés à Gaza. Ils sont accusés de diffuser des images de crimes sans l’autorisation des personnes. Ces deux affaires, pour lesquelles il risque jusqu’à cinq ans de prison et 75 000 euros d’amende, s’accompagnent de mesures strictes en attendant le procès : comptes bancaires bloqués, interdiction des réseaux sociaux et pointage hebdomadaire au commissariat, alors que Yamin Makri n’avait jamais été confronté à la justice auparavant. Le Collectif 69 de soutien au peuple palestinien appelle à se rassembler le mercredi 10 décembre à 13H devant le Tribunal Judiciaire de Lyon afin de le soutenir.

 

notizie da secours rouge

Anan – verso l’udienza del 19 – prese di posizioni a sostegno

Il 19/12, presso il Tribunale de L'Aquila, potrebbe chiudersi il processo farsa sui prigionieri politici Anan, Ali e Mansour, che rischiano rispettivamente 12, 9 e 7 anni di carcere: più di quelli che Anan ha scontato nelle carceri sioniste per fatti relativi alla seconda Intifada.

Con un sistema politico ed economico complice attivo dell'occupazione sionista, con il DDL Gasparri che prende sempre più forma, ora che esporsi per la Palestina significa finire in carcere o in CPR, è NECESSARIO continuare a mobilitarci.

Questo processo di evidente natura politica rischia di creare un pericoloso precedente per chiunque sia solidale con la causa Palestinese e per chiunque si opponga alle politiche guerrafondaie del governo Italiano, NATO e UE.

Per questo, sabato 13/12 saremo in piazza a MELFI al fianco di Anan e della Resistenza Palestinese, di chi si oppone alla guerra e al genocidio.

Noi sappiamo da che parte stare.
Complici e solidali al fianco di chi lotta.

FREE ANAN, ALI E MANSOUR!
FREE PALESTINE! C.S.O.A. EX SNIA ‎<Questo messaggio è stato modificato>

L’Aquila, a processo la resistenza palestinese: in tre rischiano 28 anni

Da l’indipendente, di Monica Cillerai

Dodici anni di reclusione per Anan Yaeesh, nove per Alì Irar e sette per Mansour Dogmosh. Queste le richieste del pubblico ministero Roberta D’Avolio per i tre palestinesi a processo a L’Aquila, accusati di associazione a delinquere con finalità di terrorismo per fatti accaduti in Cisgiordania occupata. Alla sbarra, di fatto, non ci sono solo tre uomini, ma la stessa resistenza palestinese, che lo Stato italiano vorrebbe seppellire con quasi trent’anni di carcere cumulativi. I tre palestinesi sono accusati di aver promosso dall’Italia il Gruppo di Risposta Rapida, una delle brigate armate che cercano di resistere all’occupazione israeliana nella città di Tulkarem, territorio martoriato dall’esercito di Tel Aviv e i cui campi profughi sono chiamati “le piccole Gaza” per l’enorme livello di devastazione subita. Ma della realtà che soffrono i palestinesi ogni giorno non si parla in Tribunale. «Hanno escluso tutti gli elementi di contesto», dichiara l’avvocato difensore Flavio Rossi Albertini a L’Indipendente. «L’occupazione della Cisgiordania, i circa 800mila coloni che occupano illegalmente il territorio, le violazioni israeliane provate dalla Corte Internazionale di Giustizia». Su questo, c’è il silenzio. «Eppure il diritto e le convenzioni internazionali assicurano il diritto all’autodifesa, anche armata, di un popolo contro un esercito occupante».

«Stiamo parlando di un processo in cui tutti i ragazzi di Tulkarem in contatto con Anan sono stati sistematicamente assassinati da Israele. Spesso nel corso di esecuzioni extragiudiziali, non in conflitti a fuoco», continua Rossi Albertini. «L’assurdità delle richieste è facilmente comprensibile se paragonate al processo in cui è stato condannato Anan in Cisgiordania dalla Corte Marziale israeliana occupante per i fatti commessi nella Seconda Intifada», ha spiegato l’avvocato. «In quel caso Anan è stato condannato a tre anni e 10 mesi di reclusione e cinque anni di libertà vigilata. Ora, per fatti certamente meno gravi, il PM dell’Aquila ha chiesto una condanna a 12 anni di reclusione. Tra l’altro eludendo tutto il contesto nel quale sarebbero maturati i fatti».

«La PM ha richiesto pene sproporzionate, individuandole in prossimità dei massimi edittali quando, quantomeno per Ali e Mansuor, non si sa neppure quale sia realmente il ruolo che avrebbero rivestito nella brigata e quindi la loro condotta partecipativa». Infatti, contro questi ultimi, le uniche attività provate sono il legame di amicizia con Anan e l’interesse per la tragedia del popolo palestinese. La visione di video, messaggi, foto, commenti tra ragazzi palestinesi vengono criminalizzati; attività e interessi comuni a tutti i giovani della diaspora palestinese, e non solo a loro, che dall’estero guardavano esterrefatti al genocidio compiuto a Gaza, vengono ricondotte a reato. Nessuna azione concreta risulta compiuta. «I fatti sulla quale si richiede la condanna di questi due imputati sono gli stessi che avevano portato la Cassazione a rilasciarli a settembre dell’anno scorso». Il processo è politico e ogni sua fase ha esplicitato e messo in evidenza la stretta alleanza e condivisione di obiettivi tra lo Stato d’Israele e quello italiano.

«L’Autorità italiana si è sostituita a Israele», continua Rossi Albertini. «Pur di mantenerlo in carcere, quando è stata negata l’estradizione, ha imbastito un processo posticcio, con la pretesa di conoscere e giudicare dall’Aquila fatti avvenuti in Cisgiordania». La concatenazione degli eventi, dice, «fa oggettivamente pensare che ci sia stato un interesse del nostro Paese ad assecondare le necessità israeliane. A tre mesi dall’inizio del genocidio – gennaio 2024 – sembra che Israele abbia voluto fermare sul nascere l’apertura di un secondo “fronte” di lotta per l’autodeterminazione in Cisgiordania». Anan era nel mirino di Israele: il 29 gennaio 2024 è stato infatti arrestato dietro richiesta di estradizione di Tel Aviv. L’estradizione viene però negata e da qui sorge l’esigenza di intervenire in supplenza di Israele. Assieme a Anan, questa volta, vengono arrestati anche Ali e Mansour per “associazione con finalità di terrorismo”. Gli ultimi due vengono liberati dal Tribunale della Libertà a settembre 2024, Anan è tutt’ora detenuto. Casi simili si sono verificati anche in Francia e nel resto d’Europa.

«Il fatto che pensassero di usare 25 interrogatori compiuti ai danni di cittadini palestinesi dallo Shin Bet e dalla polizia israeliana in Italia, dice tutto». Rossi Albertini ricorda la violazione sistematica di tutti i diritti di difesa da parte di Israele verso i detenuti palestinesi, gli interrogatori senza difensore, i rapporti delle associazioni dei diritti umani sulle pratiche di tortura all’interno delle prigioni e delle sale di interrogatorio di Tel Aviv, confermate anche da un recente rapporto ONU. «Anche l’intervento in videoconferenza di un ufficiale israeliano per il Sud Europa a Parigi, che aveva dietro di sé una enorme bandiera israeliana, mentre in aula sono vietati tutti i simboli a sostegno della lotta palestinese, mostra la direzione processuale». L’Italia si dimostra così, ancora una volta, complice di Israele, non solo sostenendo lo stato sionista nelle sue attività belliche e coloniali, ma anche reprimendo i suoi oppositori all’estero.

Il processo è alle battute conclusive. La prossima udienza si terrà il 19 dicembre alla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila, dove la parola passerà alla difesa e ci sarà la sentenza. I movimenti legati alla Campagna Free Anan e Reti per la Palestina di Basilicata hanno annunciato una mobilitazione in contemporanea a Melfi, dove Yaeesh è attualmente detenuto.

Processo alla Resistenza palestinese: chiesti 12 anni per Anan, 9 per Ali, 7 per Mansour

Una richiesta di pena veramente sproporzionata quella fatta dalla pm Roberta D’Avolio al termine di una requisitoria durata 4 ore.

Quando è stato processato da un tribunale militare israeliano, Anan fu condannato a 3 anni di reclusione e 5 di libertà vigilata per fatti risalenti alla seconda intifada, mentre la pm dell’Aquila ne ha chiesti 12 per fatti certamente meno gravi – e poi quali fatti?

Nella sua requisitoria, oltre a palesi falsità, come il fatto che la richiesta di estradizione di Anan fosse stata avanzata dall’autorità palestinese, l’accusa ha letteralmente LETTO gli atti delle indagini preliminari, senza tenere conto del dibattimento, né delle valutazioni espresse lo scorso anno dalla Corte di Cassazione, che su elementi analoghi non aveva ravvisato neppure la gravità indiziaria iniziale per Alì e Mansour. L’accusa non ha minimamente tenuto in considerazione le testimonianze della difesa, neppure quella odierna, che non ha provato neanche a contestare, come se avesse in mano un copione già scritto, o più semplicemente non era in grado di farlo, o entrambe.

Tantomeno si è sforzata di considerare il contesto politico e materiale in cui gli imputati avrebbero agito, né le attenuanti prospettate.

Di tutt’altro livello la testimonianza, invece, del Prof. Chiodelli. In circa un’ora, non solo ha parlato della connotazione ultra ortodossa di Avnei Hefetz per quanto riguarda l’insediamento civile, ma ha dato tutta una serie di riferimenti e informazioni sui checkpoint, sulle vie di accesso alla colonia e sulle restrizioni della mobilità per i palestinesi, oltre ad acclarare la presenza di una base militare all’ingresso dell’insediamento e di 2 checkpoint a ridosso di essa.

Chiodelli ha descritto la colonia come una struttura territoriale a tre cerchi, presidiata nel cerchio più esterno dall’esercito israeliano, che può intervenire in forze anche con i carri armati, il cerchio intermedio è presidiato dalle brigate, ossia unità dell’esercito che presidiano le colonie dentro i territori occupati, il cerchio più interno è presidiato dalle unità territoriali, formate da coloni residenti armati che possono svolgere funzioni di polizia insieme all’esercito. Queste squadre paramilitari sono composte da ex soldati e spesso sono anche all’interno della base militare, sono strettamente collegate con l’esercito da un coordinatore civile per la sicurezza nominato dall’esercito.

Chiodelli ha anche mostrato una foto del cancello di ingresso della base militare in cui si vede un cartello con il logo del battaglione che ha stazionato nella base di Avnei Hefetz fino al 2023, Il battaglione Netzah Yehuda.

L’unità Netzah Yehuda, che fa parte della brigata Kfir, è stata istituita nel 1999 per accogliere israeliani provenienti da comunità ultraortodosse e nazionaliste che non erano accettate da nessuna altra unità delle Idf. Nel corso degli anni è così diventata meta per molti “Hilltop youth”, cioè i giovani coloni di estrema destra, provenienti degli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania. L’unità è composta da soli uomini ed è stata impiegata per anni proprio in Cisgiordania, guadagnando fama per la brutalità riservata ai palestinesi.

Nel 2023 il battaglione è stato spostato nelle alture del Golan, per poi essere impiegato nel nord della Striscia di Gaza.

Anche questa volta la solidarietà non è mancata, una sessantina di persone hanno presidiato il Tribunale, soprattutto all’interno dell’aula, per salutare Anan e mostrare tutto il proprio schifo nei confronti dell’accusa.
“Vergogna” è stato urlato al termine dell’udienza, “Israele fascista stato terrorista”. E una bandiera palestinese è spuntata per salutare Anan, nonostante i controlli all’ingresso del tribunale fossero elevatissimi, tanto da non fare entrare neanche le borracce di acqua.
Ma bisogna fare di più. L’udienza finale del processo è prevista per il 19 dicembre, con l’arringa della difesa, eventuali dichiarazioni degli imputati e, forse, sentenza. Per allora bisognerà fare il massimo sforzo possibile, anche in termini di opinione pubblica, per spostare la giuria sul giusto binario.

La resistenza non si processa – Il 28 novembre presidio a L’Aquila

Venerdì 28 novembre, dalle ore 9:30, Presidio al Tribunale dell’Aquila in solidarietà con Anan, Ali e Mansour

Dopo la farsesca udienza del 21, con il colpo di scena di Israele che testimoniava da remoto, fuori dall’Italia e in assenza di un pubblico ufficiale italiano che ne certificasse l’identità, il 28 novembre sarà ascoltato il teste della difesa, Professor Francesco Chiodelli, docente di geografia economico-politica all’Università di Torino, che riferirà sulla reale natura e caratteristiche della colonia di Avnei Hefetz. Nell’udienza del 21, infatti, lo Stato occupante non è riuscito a negare la presenza di una base militare in questo insediamento e a smentire le parole di Anan nella dichiarazione spontanea contestuale: “Avnei Hefetz non è solo una postazione militare. Dentro c’è la stanza delle operazioni speciali”, ossia la sala in cui vengono decise, organizzate e gestite le operazioni di eliminazione dei resistenti palestinesi. Dentro la città di Ṭūlkarm gli agenti coordinati da Avnei Hefetz si aggirano in borghese ogni giorno per individuare i loro bersagli e colpirli. Il martire Amir Abu Khadijeh è stato ucciso con un colpo alla testa da questi agenti in borghese il 23 marzo 2023, e quella è stata solo una delle loro “operazioni speciali” più famose.
Non solo, Anan aveva anche chiesto che in aula non apparisse la bandiera di Israele, così come all’udienza del 31 è stato imposto di non mostrare quella palestinese.
Ma con la scusa di non ben precisati “motivi di urgenza”, la rappresentante di Israele ha potuto testimoniare da remoto da un’ambasciata israeliana in Francia, e tutti e tutte in aula hanno dovuto vedere la bandiera israeliana svettare dietro le spalle della diplomatica, che intanto, incalzata dalle domande della difesa, maneggiava una pallina antistress, anch’essa con i colori della bandiera israeliana.
Anan non ha con sé una bandiera palestinese da mostrare da remoto (non ancora), ma è sufficiente l’essere palestinesi per poter essere privati di tutti i diritti anche in un Tribunale italiano?
Perché il pubblico non può indossare neanche una Kefiah, mentre da un’ambasciata israeliana si può fare sfoggio in un’aula di giustizia italiana di tutti i simboli di uno stato occupante e genocida?
Perché il Tribunale di L’Aquila viola le nostre leggi per essere al servizio di Israele?
Perché abbiamo dovuto ascoltare la testimonianza di uno Stato che occupa illegalmente i territori palestinesi e pratica la pulizia etnica contro il popolo palestinese?
“Chiedo se Israele ha davvero tutto questo potere in Italia” ha concluso ingenuamente Anan.
Purtroppo conosciamo la risposta.
Domani, dopo la testimonianza di Chiodelli, ci sarà la requisitoria della PM.
E’ quindi indispensabile continuare a presidiare il Tribunale e sostenere Anan e gli altri due palestinesi sotto processo.

LA RESISTENZA NON SI ARRESTA
LA RESISTENZA NON SI PROCESSA
ANAN LIBERO!
LIBERTÀ PER TUTTI I PARTIGIANI DELLA RESISTENZA PALESTINESE!

Soccorso rosso proletario