Verso il 19 giugno – La solidarietà non si arresta!

Riprendiamo, da Rete Evasioni, il comunicato in solidarietà con i compagni e le  compagne colpite dall’operazione “ritrovo”, e torniamo a proporre una giornata di mobilitazione nazionale sotto le carceri per il 19 giugno, al fianco di tutti i prigionieri e le prigioniere ribelli:

Insieme nel cuore e nella lotta

Tra gli atti a sostegno dell’operazione repressiva del 13 marzo, la Procura di Bologna dichiara apertamente la necessità di togliere di mezzo le persone disposte a lottare e di farlo preventivamente, in considerazione dell’attuale momento storico in cui tensioni sociali potrebbero scatenarsi in tutto il paese.
Le accuse rivolte a 12 compagni/e sono istigazione a delinquere, danneggiamento, imbrattamento e incendio, nel quadro di un’associazione con finalità di terrorismo o eversione dell’ordine democratico. Anche quella Procura è convinta che bisogna vivere di miseria e di carcere, e così altre 7 compagne e compagni sono detenuti e altri/e 5 hanno l’obbligo di dimora e di firma.
Descrivere chi vive di solidarietà come “istigatore” non rappresenta solamente un pesante capo di imputazione dal punto di vista di anni di carcere da richiedere. La figura dell’istigatore fa emergere l’ennesimo tentativo manipolatorio dello Stato. La responsabilità di ciò che avviene all’interno di qualsiasi luogo di reclusione, così come nella società tutta, risiede esclusivamente nelle scelte politiche dei vari governi. Chiunque viva sulla propria pelle lo sfruttamento, l’impoverimento, l’esclusione, il pericolo della propria incolumità causata proprio da quelle stesse politiche, sa bene verso chi rivolgere la propria rabbia e non ha certo bisogno di suggerimenti terzi. Lo ha ben dimostrato l’immediata risposta delle persone detenute all’irresponsabile e cinico disinteresse dello Stato sulla gestione dell’emergenza Covid, con le spontanee rivolte di marzo dentro le carceri e le proteste ancora in corso. Così come lo hanno sempre dimostrato le rivolte avvenute all’interno dei centri di detenzione per immigrati.
Da due mesi ci sono rivolte nelle carceri di tutto il mondo perché le persone detenute non accettano di essere condannate al contagio del Covid nel contesto atroce di privazione della libertà.
C’erano Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma e Tommi davanti le mura di tutte le carceri?
Probabilmente sì. Tante Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma, Tommi e tante/i noi.
La lotta per un mondo giusto, la lotta per la libertà, la lotta contro ogni forma di autorità, non è “istigazione” bensì solidarietà ed è, e sempre sarà, patrimonio di tutti e tutte noi.
In un mondo di muri, droni, guerre, segregazione razziale, violenza di genere e sfruttamento c’è chi sceglie da che parte stare.
 
SIAMO CON VOI
LIBERI TUTTI LIBERE TUTTE ORA
 
Rete Evasioni

Solidarietà a Dilan Ekin e Tugce Tayyar – Soccorso Rosso Proletario

La repressione politica dello stato fascista turco contro i membri di Grup Yorum e i loro sostenitori continua:
Diverse persone, tra cui membri di Grup Yorum e avvocati, sono state arrestate presso
l’istituto di fede alevitica Cemevi, per aver partecipato alla cerimonia funebre di Ibrahim Gökcek, che è stata brutalmente attaccata dalla polizia dell’AKP, che ha anche violato e rapito la salma del compagno Ibrahim dalla sala di sepoltura di Cemevi.
Dopo 4 giorni di detenzione arbitraria da parte della polizia, i giudici hanno rilasciato le persone arrestate, ma il pubblico ministero ha spiccato un mandato d’arresto contro altre due componenti della band,
le compagne Dilan Ekin e Tugce Tayyar.
Questo mandato di arresto deve essere revocato immediatamente!
Partecipare al funerale di un compagno deceduto non è un crimine! Criminale è
Erdoğan ed i governi dei paesi imperialisti che lo sostengono, tra cui l’Italia. Criminale è chi attacca i funerali dei compagni con bombe a gas e proiettili di gomma, chi apre le porte di una sala di sepoltura per rapire il corpo di Ibrahim Gökcek ed arrestare chiunque partecipi al suo funerale!
 

La repressione contro Grup Yorum deve essere fermata.
Libertà per tutti i membri della band

Libertà per Dilan Ekin e Tugce Tayyar.

L’operazione “Ritrovo” e il nemico ritrovato. Da alcune corrispondenze

Nella notte del 13 maggio i Ros hanno eseguito dodici mandati d’arresto (sette in carcere e cinque misure custodiali non detentive con varie restrizioni) a Bologna, Milano e nel fiorentino.  L’inchiesta è condotta dal pm Stefano Dambruoso della procura di Bologna, che a partire dalle sue fantasistiche, e pesantemente offensive per il buon senso, inchieste sul “terrorismo islamico” ha costruito una fortunata carriera politica, prima di tornare a occuparsi dei compagni, come aveva iniziato a fare dal ’96.
Le accuse, in quest’ultima operazione (denominata ‘Ritrovo’), sono: art. 414 (Istigazione a delinquere), art. 639 (Deturpamento e imbrattamento), art. 635 (Danneggiamento), art. 423 (Incendio) contestato a una persona. A condire e “sostantivare” a fini repressivi il tutto, ecco il 270bis (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico), perché “un 270bis non si nega a nessuno”, come scrisse un compagno avvocato. In questo caso il 270bis è stato contestato a chi ha la misura cautelare in carcere… Stando a quanto riporta la stampa, la tesi dell’accusa parla di “una associazione finalizzata al compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico dello Stato italiano, con l’obiettivo di affermare e diffondere l’ideologia anarco-insurrezionalista, nonché di istigare, con la diffusione di materiale propagandistico, alla commissione di atti di violenza contro le Istituzioni politiche ed economiche dello Stato impegnate nella gestione dei Centri Permanenti di Rimpatrio e nella realizzazione di politiche in materia migratoria”.

Gli inquirenti parlano anche di un’“articolata trama di rapporti tra gli attuali indagati e diversi gruppi affini, operanti in varie zone del territorio nazionale” con lo scopo di “contrastare, anche mediante ricorso alla violenza, le politiche in materia di immigrazione e, in generale, le istituzioni pubbliche ed economiche, con indicazione di obiettivi da colpire e le modalità di azione”. Insomma, ciò che un giornale come Il Messaggero riassume brillantemente nel titolo “promuovevano la lotta contro lo Stato”.
L’inchiesta, quindi, ripercorre il modus operandi di ormai decine di altre in passato, il ciclico e strumentale utilizzo dell’articolo 270 bis, l’associazione con finalità di terrorismo, che tutto giustifica. Soprattutto i mezzi impiegati, i soldi spesi per farlo, e i tempi d’indagine prolungati.
Questa inchiesta infatti è un po’ datata (sembra prendere avvio nel 2018)… ma una nota della Procura chiarisce il perché, nonostante la richiesta delle custodie cautelari fosse depositata nei loro uffici già dal luglio 2019, proprio ora viene accordata.

Questa nota suggerisce infatti un paio di considerazioni:

1)“Le evidenze raccolte in questo ultimo periodo, caratterizzato dalle misure di contrasto all’emergenza epidemiologica del Covid-19, hanno evidenziato l’impegno degli appartenenti al sodalizio[…] ad offrire il proprio diretto sostegno alla campagna “anti-carceraria”, accertando la loro partecipazione ai momenti di protesta concretizzatisi in questo centro” (Bologna).
Sono quindi le proteste e la solidarietà ad essere punite. Non ci fossero state le rivolte a rivendicare vita e dignità, e le iniziative fuori a sostenerle, la “questione carcere” e le morti, pesanti come macigni che si porta dietro, sarebbero rimaste tombate nel silenzio.
Proprio in tempi di “emergenza Coronavirus”, di “andrà tutto bene”, di lotta comune contro il comune nemico invisibile, lo Stato sa bene qual è il suo nemico, e cerca di colpirlo in ogni modo, anche ricorrendo a uno strumentario giuridico d’eccezione, com’è appunto il “diritto penale del nemico”. Infatti nel comunicato della procura di Bologna si possono leggere parole estremamente chiare al riguardo:

2)“In tale quadro, l’intervento, oltre alla sua natura repressiva per i reati contestati, assume una strategica valenza preventiva volta a evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare descritta situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale ‘campagne di lotta antistato’ oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica”. 
E la valenza preventiva connaturata a qualsiasi misura cautelare, non dovrebbe riferirsi al pericolo di reiterazione di un qualche reato, un po’ più specifico di un opinabile “istigazione” al limite del “delitto d’opinione”?
Certo, se la custodia cautelare è già considerata come repressione dei reati contestati, è evidente che si può affermare senza problemi che in questo già claustrofobico momento bisogna prevenire, anche tramite la privazione della libertà, l’azione di chiunque si permetta di mettere in discussione la natura e le scelte dello stato (che nel mentre ha mostrato cosa – e chi – è sacrificabile) … come se non fossero esse stesse a provocare la tensione sociale.

Ma sentiamo cosa ne pensa Ettore Grenci, l’avvocato difensore di alcuni degli indagati, in un’intervista di Radio Città Fujiko

 

 

Anarchici: le accuse

Oltre all’accusa di terrorismo ai fini eversivi comminata a tutti gli attivisti e le attiviste arrestate, l’indagine della Procura si è concentrata sulle iniziative di protesta, ritenute particolarmente gravi in quanto in aperto contrasto alle istituzioni. In particolare, nel documento prodotto dalla Procura si parla di “azioni di danneggiamento, manifestazioni pubbliche e cortei non organizzati con l’obiettivo di contrastare e impedire l’apertura dei centri permanenti di rimpatrio e la legislazione del Governo sulla gestione dell’immigrazione. Gli indagati avrebbero provocato anche violenti scontri con le forze dell’ordine, danni a condomini ed edifici pubblici, con scritte minatorie e offensive nei confronti delle istituzioni dello Stato e delle strutture economiche, ad esempio verso sportelli bancomat della Banca Popolare Emilia-Romagna di Bologna”.
Tra i capi di accusa si parla anche di “realizzazione e diffusione, anche con l’uso di strumenti informatici, di opuscoli, articoli e volantini dal contenuto istigatorio, tesi ad aggregare nuovi proseliti impegnati nelle loro ‘campagne di lotta’”. I Pm parlano di “un’articolata trama di rapporti tra gli indagati e diversi gruppi affini, operanti in varie zone del territorio nazionale, incentrati sulla sistematica attività di istigazione a delinquere” svolta “anche avvalendosi di pubblicazioni su blog e siti d’area”, con l’obiettivo di “contrastare, anche ricorrendo alla violenza, le politiche in materia di immigrazione e, in generale, le istituzioni pubbliche ed economiche, con indicazione di obiettivi da colpire e le modalità di azione”.

Un impianto accusatorio “sovradimensionato

La prima impressione di Ettore Grenci è che l’impianto accusatorio, e in particolare l’accusa di terrorismo ai fini eversivi, sia “sovradimensionata rispetto al quadro probatorio al momento raccolto. L’unico episodio che potrebbe avere una qualche rilevanza – sottolinea l’avvocato – potrebbe essere quello relativo al danneggiamento di un traliccio, su cui gli indizi mi paiono piuttosto deboli e non particolarmente gravi”. Ma è il complesso dell’indagine che porta Grenci ad esprimere questa valutazione, e in particolare il sovra-citato riferimento ai rapporti con altri gruppi e alla pubblicazione di opuscoli e blog. “Si muove tutto attraverso quella che è la linea tipica dei movimenti in questo paese, cioè una linea fatta di contatti di solidarietà, di scambio di informazioni rispetto a procedimenti giudiziari, alla redazione e alla pubblicazione di opuscoli d’area e poco altro, solidarietà ai detenuti. Ma azioni dirette che abbiano quel finalismo eversivo o addirittura terroristico richiesto dalla norma non vengono contestate né ipotizzate. Questo tipo di accuse presuppone delle condotte che mettono in pericolo la stabilità democratica delle istituzioni di un Paese, non certo un’attività propagandistica, su cui possiamo ragionare in termini anche se vogliamo di apologia e istigazione, ma stiamo parlando di reati di opinione”.
I reati di opinione, e in particolare di apologia e istigazione nel codice penale si configurano come un limite al diritto alla manifestazione del pensiero “nella misura in cui – spiega l’avvocato – il messaggio istigatorio e apologetico in determinate condizioni è tale da essere raccolto da chi quelle azioni potrebbe poi effettivamente compierle. Quindi deve essere accompagnato da tutta una serie di elementi che fanno apparire assolutamente concreto che quel pericolo che è insito in qualche modo nel messaggio possa effettivamente tradursi in realtà. Non basta il fatto di anche inneggiare all’abolizione o alla distruzione di un istituto di pena, questo ancora dovrebbe rientrare in una libera manifestazione del pensiero.

Arresti “preventivi”

In riferimento agli arresti, la Procura ha sottolineato che “le misure cautelari si sono rese necessarie anche in un’ottica di “strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare situazione emergenziale, possano insediarsi altri momenti di più generale campagna di lotta antistato”, in quanto gli indagati avrebbero partecipato negli ultimi mesi di lockdown a sit-in e proteste in favore delle rivolte nelle carceri per il rischio coronavirus.
In questo senso, viene considerato particolarmente rilevante il fatto che nell’ultimo periodo gli appartenenti al gruppo di anarchici coinvolti nell’inchiesta antiterrorismo di Bologna si sarebbero incontrati per offrire il «proprio diretto sostegno» alla campagna anti-carceraria, e in particolare avrebbero partecipato a momenti di protesta a Bologna (di cui avevamo parlato qui). È quanto emerso dagli accertamenti degli investigatori. Su questo punto, Grenci sottolinea che “tutte le misure cautelari hanno un obiettivo di prevenzione. Dobbiamo però valutare cosa si intende per prevenire. Prevenire reati, va bene. Ma se l’obiettivo è quello di prevenire manifestazioni di dissenso quali potrebbero essere ad esempio assemblee o manifestazioni di solidarietà ai detenuti senza una commissione di reati che possano integrare queste gravi accuse, allora lì qualche perplessità su questa impostazione credo che sia naturale averla.

Una storia già vista

Per molti degli attivisti e delle attiviste arrestati questa mattina, si tratta peraltro di una storia già vissuta. Alcuni di loro infatti erano già finiti in carcere e processati con la stessa accusa, per l’articolo 270 bis che prevede l’associazione con finalità di terrorismo e di eversione dello Stato democratico, per azioni violente, cortei e occupazioni contro i Cie condotte fino al 2011 in città. In quell’operazione fu smantellato il noto circolo anarchico “Fuoriluogo”, in via San Vitale. Ma il processo, anche in secondo grado, si è concluso con l’assoluzione per tutti gli imputati accusati di terrorismo.
“Conosco bene quella vicenda perché fui il difensore di molti dei ragazzi imputati – commenta l’avvocato – fu già in primo grado completamente ribaltata l’impostazione accusatoria con l’assoluzione di tutti con formula piena. Ci sono voluti un paio d’anni prima di arrivare a quel risultato. Io pronostici non ne posso fare, ma sono fiducioso che già a partire dal prossimo step, che sarà quasi sicuramente il Tribunale della libertà, possa quantomeno ridimensionarsi il quadro accusatorio complessivo e possano rivalutarsi le misure cautelari applicate e in particolare penso al carcere. Lo auspico e penso che ci siano i margini per arrivare a questo risultato anche in tempi brevi, però ovviamente aspettiamo”.

Ad Aversa, in carcere, si continua a morire…

Da Contropiano

Nel carcere di Aversa si muore, di Covid verrebbe da chiedere. No, in attesa della vera crisi, quella dura che farà allungare le code alla mensa della Caritas, nella cittadina di origine normanna si continua a morire di carcere.
Un uomo, cinquantenne napoletano, che avrebbe finito di scontare la pena il prossimo anno, è morto durante la notte dell’11 maggio scorso.  Inutili i tentativi dei medici del 118.
La trafila burocratica sarà la stessa di sempre e, dello stesso, resterà un nome e un numero di matricola cancellati dai registri.
La denuncia è di un sindacato autonomo di lavoratori penitenziari  che tiene a precisare “facciamo il nostro dovere e amiamo il nostro lavoro” in aggiunta una serie di dati agghiaccianti ufficiali sullo stato delle carceri italiane e sulle patologie incidenti.
Le indagini sulla morte del recluso passeranno alla Procura che ha sede nel Tribunale Napoli Nord, da qualche anno proprio ad Aversa, e lì,  probabilmente chiuse nei fascicoli d’archivio.
A noi, non esperti e competenti, ma militanti politici e sociali, resta la responsabilità di avanzare il dubbio che qualcosa non funzioni fra quelle mura di pena.
Nell’ex carcere borbonico, ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario, oggi imbiancato e riattato a carcere di Mandamento per pene brevi, l’aria che tira deve essere poco ossigenata.
Da quella struttura fuggì anche don Raffaele Cutolo detto ‘o professore, camorrista di livello e di buone frequentazioni politiche che l’hanno salvato, fino ad ora, dalla famosa tazzulella di cafè che poco gradirono Carmine Pisciotta sodale/traditore di Salvatore Giuliano e Michele Sindona, grande faccendiere e massone. Fatale a quest’ultimo il supercarcere di Voghera.
Torniamo però a noi, al carcere di Aversa e ai diversi decessi consumatisi negli ultimi anni.
E’ una struttura capace di affrontare la sua funzione punitiva/educativa? E’ una struttura realmente agibile? Quelle celle strette per tre/quattro persone sono a misura di una giusta e umana detenzione?
Quegli spazi ristretti stanno facendo  tremare detenuti e guardie carcerarie dagli inizi della epidemia Covid e gli alleggerimenti sembrano lenti e scatenanti le remore di chi vede grossi nomi della malavita in possibile libertà in altri carceri.
Oltre al garante regionale Samuele Ciambriello e l’associazione Antigone nessuna voce sembra alzarsi per sollecitare le verifiche ad istituti di pena sovraffollati e dove diritti e trasparenza si fermano alla guardiola d’ingresso assieme ai documenti e telefonini.
Da anni associazioni e movimenti si battono contro le organizzazioni malavitose perfettamente interne al tessuto sociale del territorio, ribadendo la necessità di Legalità, ma dimenticando spesso di reclamare la Giustizia Sociale che porta in galera centinaia di proletari espropriati di futuro.
I balli e le feste agli arresti dei pochi camorristi che agiscono sul territorio mentre i pescecani grossi investono, grazie alla globalizzazione, in Montenegro, all’Est o in Borsa a Milano sembrano sviare l’occhio ad altro, dimenticando i luoghi terminali che si scoprono come dei luoghi solo di pena e non recupero per centinaia di disgraziati espulsi dal ciclo produttivo, dalle tutele sociali, in buona parte immigrati ai margini della regolarizzazione o strumenti di un meccanismo di accumulazione (non per loro) di capitali infetti attraverso lo spaccio di droga.
La legalità è un tema di battaglia importantissimo, ma  staccata dalla rivendicazione di equa ripartizione delle ricchezze sociali, dalla necessità di reddito e/o lavoro, può assumere le caratteristiche di una icona imbalsamata ad uso della Politica e dei Media.
Ma, tornando nuovamente a quel blocco di tufo, sbarre e cementi che sta al centro della città di Aversa e dove il mondo sembra fermarsi, vogliamo sollecitare chi dovrebbe essere il responsabile  delle strutture sociali e sanitarie che agiscono sul territorio, il Sindaco della Città che sappiamo sensibile alle sofferenze e al suo assessore di cui conosciamo la  competenza ventennale riguardo le istituzioni totali.
Non è che munendovi di adeguate mascherine potere andare a vedere cosa succede in quel luogo della nostra città???

Gli arresti a Bologna: vendetta di Stato e operazione “preventiva” per la solidarietà alle rivolte carcerarie anti-coronavirus e alle lotte dei migranti. Soccorso Rosso Proletario esprime massima solidarietà alle compagne e compagni arrestat*

Questa notte sette “compagni/e sono stati/e arrestati/e in esecuzione di un ordinanza del gip di Bologna per 270bis”, l’articolo del codice penale che prevede fino a dieci anni di reclusione per le associazioni con finalità di terrorismo o di eversione, e condotte/i nelle carceri di Piacenza, Alessandria, Ferrara e Vigevano. Ne dà notizia sul proprio profilo Facebook l’Associazione Bianca Guidetti Serra.
Si legge inoltre: “Sono state perquisite le abitazioni e il Tribolo”, lo Spazio di documentazione anarchico di via Donato Creti. Altri cinque “hanno ricevuto la misura dell’obbligo di dimora e firma a Bologna. Anche le loro abitazioni sono state perquisite”.

Sarebbero contestati a vario titolo, inoltre, i reati di istigazione a delinquere, danneggiamento, deturpamento e incendio.
Intanto, la Rete bolognese di iniziativa anticarceraria segnala: “Compagn* riferiscono che domenica scorsa c’é stata una presenza rapida con megafono e fuochi d’artificio sotto al carcere bolognese della Dozza. Presenza alla quale i detenuti hanno risposto facendosi sentire molto. Vale la pena ricordare che alla Dozza è morto un secondo detenuto di Covid-19″. Si chiamava Giovanni Marzoli, ha scritto la Rete in un precedente intervento: “Il 31 marzo era stato ricoverato una prima volta e poi dimesso con rientro in carcere dopo circa 10 giorni, nella ‘sezione Covid’, poiché risultato positivo al tampone. Il 18 aprile era stato nuovamente ricoverato al Sant’Orsola. Soffriva delle cosiddette ‘patologie pregresse’, aveva 67 anni. Entrato in carcere a febbraio ne esce morto”.
I/le compagn* arrestat* sono 7: Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido e Duccio.
Sotto i loro nomi e indirizzi di destinazione delle carceri in cui li stanno portando.
A 5 compagne/i (Martino, Otta, Angelo, Emma e Tommi) è stato dato l’obbligo di dimora a Bologna con obbligo di firma quotidiana.
L’accusa di 270bis è per chi ha la misura cautelare in carcere. Gli altri reati contestati sono poi 414cp, 639, 635 e a una sola persona incendio (423cp), aggravati dalla finalità eversiva.
LIBERTÀ SUBITO PER LE COMPAGNE/I
Indirizzi a cui scrivere lettere e telegrammi:
Elena Riva e Nicole Savoia:
Str. Delle Novate, 65, 29122, Piacenza.
Duccio Cenni e Guido Paoletti:
Via Arginone, 327, 44122, Ferrara.
Giuseppe Caprioli e Leonardo Neri:
Strada Statale per Casale, 50/A, 15121, Alessandria.
Stefania Carolei:
Via Gravellona, 240, 27029, Vigevano, PV

 
L’operazione, ha fatto sapere la Procura, ha “una strategica valenza preventiva” per “evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale causati dall’attuale situazione emergenziale” possano verificarsi “altri momenti di più generale ‘campagna di lotta antistato’”, considerato che le e gli indagate/i avrebbero partecipato “all’organizzazione di incontri riservati per offrire il proprio diretto sostegno alla campagna ‘anti-carceraria’”, ed è stata accertata “la loro partecipazione ai momenti di protesta” alla Dozza.

Sempre la Procura spiega che al centro dell’inchiesta, battezzata “Ritrovo”, c’è un attentato che avrebbe avuto luogo “nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre 2018, ai danni di alcuni ponti ripetitori delle reti televisive nazionali e locali, di apparati di fonia dei ponti radio delle forze di Polizia e antenne di ditte che forniscono servizi di intercettazioni e di sorveglianza audio-video, tutti ubicati a Bologna in via Santa Liberata, località Monte Donato”, dove sarebbe stata trovata “la scritta, vergata su una parete della struttura, ‘Spegnere le antenne, risvegliare le coscienze solidali con gli anarchici detenuti e sorvegliati’”. Questo elemento avrebbe “fin da subito indirizzato le investigazioni nei confronti di vari esponenti dell’area anarchica attivi a Bologna ed orbitanti nell’alveo dello spazio di documentazione ‘Il Tribolo’”. Secondo i pm ci sarebbe “un’articolata trama di rapporti tra gli indagati e diversi gruppi affini, operanti in varie zone del territorio nazionale, incentrati sulla sistematica attività di istigazione a delinquere” svolta “anche avvalendosi di pubblicazioni su blog e siti d’area”, con l’obiettivo di “contrastare, anche ricorrendo alla violenza, le politiche in materia di immigrazione e, in generale, le istituzioni pubbliche ed economiche, con indicazione di obiettivi da colpire e le modalità di azione”. Gli/le indagate/i avrebbero inoltre participato “a momenti di protesta sfociati in atti di danneggiamento, deturpazione e imbrattamento di luoghi pubblici e privati nonché, in alcune circostanze, in scontri violenti con le Forze dell’ordine”.
Tra gli episodi contestati anche “l’organizzazione di manifestazioni pubbliche e cortei non autorizzati, con l’obiettivo di contrastare e impedire l’apertura dei Centri permanenti di rimpatrio”, poi “danneggiamenti di condomini ed edifici pubblici con scritte di carattere minatorio e offensivo nei confronti delle istituzioni e di sportelli bancomat di istituti di credito, ma anche “la realizzazione e diffusione, anche con l’uso di strumenti informatici, di opuscoli, articoli e volantini dal contenuto istigatorio, tesi ad aggregare nuovi proseliti impegnati nelle loro ‘campagne di lotta’”. 

SCARCERAZIONI MAFIOSE – DENUNCIARE L’OPERAZIONE BASTARDA DI COLLEGARLE ALLA GIUSTA RIVOLTA DEI DETENUTI

Giorni fa su Repubblica, il cui cambio di direttore si sta vedendo subito, diventando in maniera sfacciata megafono del governo, veniva scritto:
“…sul trasferimento agli arresti domiciliari, causa pandemia, di diversi condannati per mafia. Ma come si è arrivati a questa decisione? La sequenza temporale degli eventi è l’unica certezza da cui partire. Si tratta di una catena di episodi che conferma tutti gli interrogativi. Inizia nella prima settimana di marzo. Quando l’emergenza Coronavirus si trasforma in allarme sociale e istituzionale. In quel momento, in diverse case circondariali del Paese scattano delle vere e proprie rivolte. Da Salerno a Napoli, da Roma a Milano.
Il primo incidente risale al 7 marzo. La tensione resta altissima per quattro giorni. I morti sono 12…” 

Quindi si dice che la responsabilità delle scarcerazioni facili di mafiosi, di boss sarebbe stata della rivolta di marzo. Una bastardata per infangare la legittima lotta dei detenuti.
Quelle rivolte furono fatte da tantissimi detenuti e detenute che vengono trattati in diverse carceri peggio delle bestie, che subiscono normalmente vessazioni, repressione, mancanza di cure, fino a torture e che erano e sono stati lasciati senza alcuna protezione per il coronavirus.
Proprio questi detenuti che si sono ribellati ad essere lasciati ad ammalarsi e anche a morire non hanno avuto certo scarcerazioni, ma solo trasferimenti, a volte massacri nelle celle, e nuove vessazioni, riduzione dei diritti, e nessun dei minimi benefici indicati nei Dpcm per l’emergenza coronavirus
Sono decine e decine le testimonianze dei detenuti, dei loro familiari che raccontano questa
verità -e che in questo blog sono state puntualmente riportate.

La scarcerazione dei mafiosi e dei loro boss dipende solo e soltanto dalla politica mafiosa di direttori delle carceri, di alcuni magistrati, e della grave responsabilità del Min. Bonafede, di M5S e del governo, che hanno utilizzato l’emergenza coronavirus per trovare finalmente il pretesto per liberare quella gente.
Siamo al legame mafia/Stato e Stato mafia che non è di oggi.
Siamo al “rispetto” e detenzioni d’oro per i boss mafiosi e al carcere-tortura per i detenuti comuni.

Dopo il clamore dei primi giorni, ciò che resterà sono i mafiosi fuori e i detenuti del popolo realmente malati, realmente a rischio dentro.

Dire: un decreto che riporti in carcere i boss mafiosi è cosa ridicola, questi non stanno certo aspettando pacificamente di avere nuove manette.
E non sono certo i fascisti Salvini, Meloni, ancora più amici della feccia mafiosa che possono ora denunciare le scarcerazioni, unicamente per rafforzare la loro guerra per andare loro al governo.

Noi, insieme ai detenuti e ai loro familiari, alle associazioni solidali, dobbiamo continuare la battaglia per la libertà dei detenuti, perchè lo Stato risponda alle richieste di amnistia/indulto. 

Ma chiaramente fare questo osceno e inquinante legame tra scarcerazione dei mafiosi e rivolte dei detenuti vuole porre un pesante blocco a questa battaglia di libertà, di giustizia, di difesa della salute e della vita.
Per questo la manovra in corso va fortemente smascherata e respinta.