Lettera di Gigi dagli arresti domiciliari e appello alla solidarietà

“La cassiera del supermercato mi guarda, negli occhi.. e mi chiede come va.
Mi conosce, non bene, ma delle cose le sa.
Mi augura buona giornata e le sorrido perché la mia ora d’aria finisce lì.
Lo sa, sorride e mi dice “forza eh!”.
Lo stesso la signora incrociata tra gli scaffali.. “Siamo con te”….
È commovente l’affetto delle persone incrociate nel “tempo concesso” per poter fare la spesa e badare ad altre “funzioni essenziali”…
Come poi uno dovrebbe badare alle proprie “funzioni essenziali” non è dato sapere, visto che gli viene negata anche la possibilità di poter lavorare.
In questi giorni è uscito un bellissimo fumetto di Zerocalcare sulla vicenda di Tarek e consiglio a tutte e tutti di leggerlo.
Non parla “dell’eccezionalità” di una situazione, ma della sua “normalità”.
E la normalità, in questo caso, è quella di vite fagocitate dal sistema giustizia e vomitate nelle carceri e rinchiuse lì a “finirsi” come “eccedenze” delle nostre società.
Il vero problema è la “normalità” della struttura, così come funziona e va avanti.
E trita vita umane.
D’altronde essa non è altro che il riflesso più cruento della società “fuori”, atomizzata, sopraffatoria, tendente all’esclusione e antitetica ad ogni visione e condivisione comunitaria.
La mia, di situazione, invece vive una sorta di “eccezionalità”.
Se potessi non parlerei in prima persona (infatti mi rimarrebbe più facile parlarne in termini generali), ma a parte che è la realtà… e tanto è…
Inoltre, penso che ragionarne in questi termini risulti più comprensibile. E credo sia importante che quel che diciamo e facciamo, venga capito.
Dicevo, la mia situazione vive una sorta di “eccezionalità”.
A partire da vari aspetti:
Comunicati delle guardie e articoli di giornale che a caratteri cubitali dichiarano la “pericolosità sociale” del soggetto, prontamente smentiti dalle prese di posizione di larghe parti della popolazione e dall’affetto quotidiano delle persone con parole e gesti.
Per poi continuare con il “non isolamento” e “non dimenticanza”, che molto spesso invece vivono e subiscono le persone arrestate.
La mia non è una situazione di isolamento, sia fisica che ideale.
Sia per il luogo della pena non restrittivo come la situazione carceraria, sia per tutte le persone che ho attorno, a cui son grato.
Ma come detto, questa situazione è “l’eccezionalità”, a differenza di come il sistema carcere fagocita vite umane nel silenzio della “società civile”.
A tale situazione, la mia, hanno contribuito diversi fattori.
Tra questi, anche il fatto di non permettermi neanche di lavorare per “pericolosità sociale”.
Un palese ingiustizia, capita e sentita da molti, a maggior ragione se si tiene in considerazione il lavoro: l’apicoltura.
Anche inserita nel sociale.
Questa palese ingiustizia ha reso evidente la separazione che c è tra lo Stato e il suo apparato, da una parte, con il popolo (con tutto quello che vorrà dire…) e il suo sentimento, dall’altra.
Con buona pace di chi, in tutti questi decenni, ha tentato un goffo lavoro di recupero con la tiritera che lo Stato siamo noi!
E inoltre, la mia situazione, ha portato il discorso carcere/repressione all’evidenza di tutti/e.
Di una ragazza che ti guarda negli occhi ad una cassa, o di una signora che ti rincuora tra gli scaffali.
La normalità, invece, che avvolge il carcere/Repressione è quella del distacco, “a me non succede”, del timore, della diffidenza.
Credo invece che tale “eccezionalità”, la repressione sentita anche in società, sia una crepa e vada allargata, perlomeno narrativamente.
Che tale ingiustizia, infamia, sia talmente evidente da far emergere le contraddizioni, anche dialettiche e narrative, nella propaganda statale.
È un’occasione, tra le tante, che abbiamo di smontare la narrazione della controparte.
Però le crepe, si sa, poi si possono insinuare ovunque…
Allora come spiegare, a chi propaganda il carcere e il sistema repressivo, come “strumento di reinserimento sociale”, che ad un individuo viene negato anche il lavoro di apicoltore, per il semplice fatto che è un nemico di questo ordine costituito?
Perché la realtà dei fatti questa è!
Ed è ben compresa da tutte e tutti.
E tocca allargare questa dissonanza con la narrazione dominante, soprattutto quando è così lampante.
Per concludere, ho sempre pensato che le lotte avessero dei margini, non come confini, ma come possibilità.
E li avessero laddove sapevano trovare dei complici anche che “non avrebbero prestato giuramento alla mia bandiera”.
Che siano bisogni, sogni o tensioni simili. Anche del momento.
Fuori alle carceri, ad esempio, ai presidi, le detenuti e i detenuti riconoscevano le voci di chi sapeva che vuol dire stare in cella con questo caldo, non avere l’acqua, subire i trasferimenti, le angherie delle guardie, essere appesi alle domandine, vivere o meglio sopravvivere spossessati di tutto e separati dal contesto sociale.
Il “dentro” e il “fuori” si può superare anche così, capendosi, sentendosi complici.
La “normalità”, invece, ci mostra come il mostro carcere/repressione sia avulso da tutto (salvo alcune situazioni specifiche), immerso nel dimenticatoio e in quel buco nero che è la gabbia.
Parlarne è importante e fondamentale.
Ma è vitale saper trovare delle corde che leghino con il contesto “fuori”.
A questo può servire “l’eccezionalità”, ad esempio, della mia situazione.
E tale situazione, senza che ci giriamo troppo attorno, riguarda anche altre persone impegnate nelle lotte e, ahinoi, tenderà a riguardarci sempre più, visto l’acuirsi della repressione e dell’autoritarismo.
Quelle corde servono anche ad unire la “normalità” e “l’eccezionalità”.
Perché se delle crepe partono da quest’ultime, esse possono e devono arrivare ovunque.
Per demolire il mostro dell’oppressione.
Perché alla fine, non si so manco resi conto, lorsignori, che questa infame Repressione ha reso il più grande servigio alle idee che ho sempre cercato di portare avanti.
Le ha rese ancora più chiare, comprensibili e condivisibili a molti.
È vero, è un’eccezione quando si parla di Repressione… Molto spesso avvolta dalla paura e dal silenzio della “normalità”.
Spetta a noi fare in modo che le crepe della libertà, laddove si sono insinuate e sono riuscite a rompere il dominio, riescano ad espandersi ovunque. “

SOLIDARIETÀ A GABRIELE RUBINI (CHEF RUBIO)

Giovedì scorso, 17 luglio, gli agenti della Questura di Roma “Divisione Investigazioni Generali – Operazioni Speciali. III sezione antiterrorismo interno” si sono presentati a casa di Gabriele Rubini alle 7:00 di mattina e, dopo aver perquisito l’abitazione, hanno sequestrato tutti i suoi telefoni e altri strumenti di comunicazione.
Dopo la perquisizione della sua abitazione, Gabriele è stato portato al commissariato di Frascati e rilasciato solo a sera, alle 19:50.
L’obiettivo comunicato a Gabriele dalla Questura sarebbe stato quello di acquisire informazioni sulle sue attività telematiche in relazione in particolare a suoi post sul social
X (già Twitter) e “acquisire informazioni” sul contenuto delle sue chat private su Telegram e Signal.
È evidente però che “l’obiettivo” non dichiarato di tutta questa operazione è stato quello di silenziare Gabriele togliendoli il telefono e l’accesso a tutti i sui profili
social.
Gabriele Rubini è da anni oggetto delle “attenzioni” sioniste per la sua attività di denuncia dei crimini di Israele e per il suo sostegno incondizionato alla resistenza palestinese. La più grave di queste “attenzioni” è stata l’aggressione fisica (tentato omicidio) subita da Gabriele il 15 maggio 2024. Ad oltre un anno da questo episodio non v’è nessuna novità sullo stato delle indagini da parte delle autorità inquirenti. Al contrario, si impiegano risorse per indagare su un post sul social
X, che potrebbero essere meglio impiegate, ad esempio, per investigare sulla presenza in Italia di militari sionisti in quanto potenziali criminali di guerra (per chi si fosse “distratto”: 100.000 palestinesi assassinati dall’IDF di cui due terzi donne e bambini) o sulle armi che dal nostro territorio vanno allo Stato israeliano.
La perquisizione a Rubio è un atto repressivo grave che si pone in continuità con la precedente aggressione sionista e che conferma la connivenza dello Stato italiano col sionismo.
Condanniamo la repressione poliziesca e lo squadrismo sionista nei confronti di Gabriele e rivendichiamo il suo diritto, e quello di tutti noi, di denunciare il genocidio che Israele sta compiendo in Palestina con la complicità di tutte le ramificazioni dell’entità sionista e dell’imperialismo USA e UE.
Con Gabriele ribadiamo il nostro sostegno incondizionato alla Resistenza palestinese.
Il Coordinamento di solidarietà al popolo palestinese fa appello a tutto il movimento antisionista per l’organizzazione di una risposta concreta a questo grave episodio di repressione che ci veda tutti/e al fianco di Gabriele.
CON GABRIELE E CON LA RESISTENZA PALESTINESE SENZA SE E SENZA MA.
PALESTINA LIBERA DAL FIUME AL MARE!

Palestina: 10.800 prigionieri palestinesi sono attualmente detenuti nelle carceri israeliane

Secondo diverse associazioni di difesa dei prigionieri palestinesi, il numero di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri dell’occupazione all’inizio di luglio 2025 ammonta a circa 10.800. Questo dato rappresenta il numero più alto di prigionieri, dall’Intifada di Al-Aqsa nel 2000.

Tra loro ci sono 50 donne, di cui due gazawi; più di 450 bambini; 3.629 detenuti amministrativi; 2.454 detenuti classificati come “combattenti illegali”. Si tratta del numero più alto dall’inizio della guerra genocida, e non include tutti i detenuti di Gaza detenuti nei campi militari israeliani.

Il numero di arresti in Cisgiordania, compresa Gerusalemme, ha superato quota 18.000. Questa cifra non include le migliaia di arresti a Gaza. Il numero di donne arrestate e detenute dall’inizio del genocidio ha superato quota 560, mentre il numero di bambini arrestati dal genocidio ha superato quota 1.450.

Il numero dei detenuti uccisi dall’inizio del genocidio, le cui identità sono note, ha raggiunto quota 73, tra cui 45 provenienti da Gaza.

Solo nel primo semestre di quest’anno invece sono stati martirizzati 19 prigionieri, 10 di Gaza e 9 della Cisgiordania, ma vi sono decine di martiri, in particolare tra i detenuti di Gaza, che le autorità di occupazione continuano a far sparire forzatamente.

Il regime di occupazione ha continuato a commettere ogni tipo di crimine nelle carceri israeliane, intensificandolo a un livello senza precedenti dall’inizio della guerra di sterminio. Questi crimini includono saccheggi, privazioni, umiliazioni e abusi che hanno colpito tutti i bisogni dei prigionieri, oltre al completo isolamento che hanno dovuto affrontare, oltre al genocidio.Tra i crimini più gravi figurano la tortura, la fame, i reati sanitari, la diffusione deliberata di malattie ed epidemie e le aggressioni sessuali. Stupri veri e propri sono stati documentati soprattutto tra i prigionieri e le prigioniere gazawi.

Le testimonianze dei detenuti di Gaza rimangono infatti le più gravi e dure. Negli ultimi mesi, le istituzioni hanno pubblicato decine di rapporti e dichiarazioni speciali su questo argomento. La continua diffusione della scabbia ha oscurato le testimonianze di centinaia di prigionieri e detenuti, il che è stato una delle principali cause del deterioramento delle condizioni di salute di migliaia di prigionieri e detenuti.

Il tasso più alto di arresti nella prima metà del 2025 è stato registrato nei governatorati di Jenin e Tulkarm, che stanno assistendo alla più grande aggressione dai tempi dell’Intifada di Al-Aqsa. Il numero di arresti a Jenin nella prima metà del 2025 ha raggiunto quota 920, mentre a Tulkarm ha raggiunto quota 455. Questa diffusa aggressione è stata accompagnata dallo sfollamento forzato di decine di migliaia di cittadini dai campi profughi nei due governatorati, dalla demolizione di centinaia di case e da omicidi ed esecuzioni sul campo.

Il livello di questi crimini non è diminuito nel resto dei governatorati della Cisgiordania, dove si sono verificate campagne di arresti e ampie indagini sul campo che hanno colpito migliaia di persone, oltre a vandalismi e distruzioni di abitazioni, furti e confische, gravi percosse e l’uso di cittadini come ostaggi e scudi umani, oltre a operazioni terroristiche organizzate e minacce che hanno raggiunto livelli di omicidio.

Le autorità di occupazione israeliane hanno continuato a commettere brutalità e crimini sistematici nel contesto della guerra di sterminio in corso.

La Commissione per gli Affari dei Prigionieri e degli Ex Prigionieri, il Club dei Prigionieri Palestinesi e l’Associazione Addameer per il Supporto ai Prigionieri e i Diritti Umani (da giugno dichiarata organizzazione terroristica dagli USA) hanno presentato schede informative contenenti dati numerici specifici per la prima metà del 2025, relativi alla realtà delle campagne di arresti in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme, e dati specifici sulla realtà di queste campagne dall’inizio della guerra di sterminio, insieme ad altri dati relativi alla realtà dei crimini nelle prigioni e nei campi di occupazione israeliani.

Il numero di arresti in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme, durante la prima metà del 2025 ha raggiunto i 3.850, inclusi circa 400 bambini e 125 donne. La percentuale più alta di arresti è stata registrata a marzo, con 800 persone arrestate. Gli arresti includevano sia coloro che erano stati detenuti, sia coloro che erano stati successivamente rilasciati. Le campagne di arresti hanno coinvolto tutte le categorie di prigionieri, con la percentuale più alta di giovani uomini, ex prigionieri e prigionieri rilasciati.

Londra: arrestati 41 sostenitori di Palestine Action

La polizia britannica ha arrestato a Londra 41 attivisti di Palestine Action, che stavano manifestando fuori dal Parlamento.

Il gruppo di attivisti solidali con il popolo palestinese è stato definito dalle autorità lo scorso 2 luglio come “organizzazione terroristica nel Regno Unito”, dopo che alcuni attivisti avevano fatto irruzione in una base della Royal Air Force danneggiando degli aerei per protestare contro il sostegno del Regno Unito a Israele.

In risposta alla messa al bando, Palestine Action ha pubblicato un nuovo documentario, “To Kill A War Machine”, che esplora la strategia del gruppo, la storia dell’azione diretta e la visione politica.

Palestine Action è stata fondata nel 2020 dopo che gli attivisti hanno fatto irruzione e hanno dipinto con vernice spray la sede londinese della più grande azienda di armi israeliana, Elbit Systems.

La sua rete di attivisti ha successivamente utilizzato tattiche, tra cui l’azione diretta, per colpire quelli che dice essere i “facilitatori aziendali del complesso militare-industriale israeliano”, spesso irrompendo negli uffici e nelle fabbriche per verniciare con vernice spray o danneggiare attrezzature che dicono siano utilizzate per commettere crimini di guerra nella Palestina occupata.

Elbit Systems è l’obiettivo principale del gruppo, spingendo diverse aziende a recidere i legami con l’appaltatore della difesa e facendo perdere miliardi in contratti persi e disinvestimenti, secondo Palestine Action.

La banca Barclays che possedeva 16.000 azioni di Elbit Systems, ha disinvestito in ottobre, mentre il Ministero della Difesa del Regno Unito ha annullato contratti per 280 milioni di sterluine con la società israeliana.

Molti attivisti di Palestine Action finiti a processo sono stati assolti dalle giurie sulla base di “difesa di necessità”, vale a dire che il danno alla proprietà era giustificato in quanto era inteso a prevenire le morti.

Ma queste sentenze sono state state sistematicamente rimosse dal governo britannico, utilizzando una legislazione anti-protesta che ha ampliato i poteri della polizia per reprimere le proteste pacifiche e imporre condanne per gli attivisti giudicati colpevoli.

Ciò è culminato con l’uso senza precedenti di accuse di terrorismo contro un gruppo di attivisti di Palestine Action con un procedimento noto come Filton 18.

Un anno fa sei attivisti di Palestine Action hanno guidato un furgone modificato nel centro di ricerca e sviluppo di Elbit System a Filton, Bristol. Gli attivisti hanno smantellato le armi, compresi i modelli di droni quadricotteri schierati da Israele nella sua guerra contro Gaza, causando danni per 1 milione di sterline (1,24 milioni di dollari).

Il 16 luglio a Parigi in piazza per liberare Georges Abdallah!

16 juillet – 18h30 – Place du Châtelet – Rassemblons-nous pour la libération de Georges Abdallah !

L’acharnement de l’État français contre Georges Abdallah !

Tous mobilisés le 16 juillet pour sa libération !

Dans ce nouveau volet de « l’affaire Abdallah », depuis maintenant deux ans qu’une nouvelle demande de libération conditionnelle a été déposée par notre camarade, preuve a été une nouvelle fois donnée le 20 février et le 19 juin derniers – s’il fallait encore en faire la démonstration – de l’acharnement de l’État français à tout faire pour ne pas libérer Georges Abdallah en ajournant à deux reprises la décision de la Cour d’appel de Paris qui, finalement, devrait être rendue ce 17 juillet.

Certes, officiellement et formellement, la libération de notre camarade obtenue en première instance le 15 novembre 2024 n’est pas remise en question mais dans les faits et comme cela a été le cas durant toutes ces décennies « d’arguties judiciaires », cette dernière est cette fois encore conditionnée, à chacune des audiences, aux nouvelles offensives du parquet – dépendant du pouvoir – et aux prérogatives des parties civiles étasuniennes. Ces « mesquineries juridiques » sont bien, en réalité, le signe de l’acharnement à perpétuité du pouvoir et de son appareil répressif à ne pas libérer ce combattant de la cause palestinienne qui, en son temps, osa revendiquer, devant une justice d’exception aux ordres, les actes de résistance accomplis par son organisation, les FARL, pour frapper ici même en France les agents de l’entité sioniste et de ses maîtres étatsuniens et qui, depuis lors, a toujours refusé de plier et refuse encore aujourd’hui de renier ses convictions et son combat. Par son acharnement, avec cette détention clairement politique, une des plus longues en cours en Europe, l’État français manifeste lucidement sa détermination à ne pas libérer un résistant historique de la cause palestinienne, devenu symbole même de la résistance et indique ainsi clairement par-là qu’il défend ses intérêts de puissance impérialiste au Moyen-Orient, aux côtés de l’entité sioniste.

C’est donc bien, nous le savons tous, pour ses idéaux et son combat que Georges Abdallah est maintenu en prison. Mais ce sont bien aussi ses convictions de militant communiste – des convictions inébranlables – qui le maintiennent vivant derrière les murs et les barbelés où le pouvoir voudrait le voir soumis ou disparaître. Et ce sont bien nos convictions – inébranlables également – à être aux côtés du combat juste et légitime du peuple palestinien, de son héroïque résistance sous toutes ses formes et factions et de toute la résistance des peuples de cette région qui nous engagent à arracher l’un des combattants historiques de cette glorieuse cause des geôles de l’ennemi. Ceci aussi, nous le savons : la lutte pour sa libération est une lutte de longue haleine mais notre pratique le démontre : dans ce rapport de force qui nous oppose année après année, mois après mois, jour après jour à l’État français, notre mobilisation ne cesse de s’amplifier, de s’intensifier et de se durcir et notre détermination à ne rien lâcher participe de cette pression nécessaire pour faire sauter pour la victoire ou la victoire le dernier verrou de cette perpétuité réelle.

Le 16 juillet prochain est la nouvelle étape de ce bras de fer : à la veille de la décision de la Cour d’appel, soyons cette fois encore partout en France et à l’International massivement présents et rassemblés pour exiger de l’État français la libération de ce « prisonnier bien encombrant » car le 17 juillet, Georges Abdallah doit être libéré !

Et à Paris, rassemblons-nous Place du Châtelet à 18h30 pour exiger sa libération immédiate et sans condition !

Soyons à l’offensive pour contrer les attaques du pouvoir réactionnaire !
Continuons le combat jusqu’à sa libération !
La solidarité est notre arme ! Nous vaincrons !
Palestine vivra ! Palestine vaincra ! Liberté pour Georges Abdallah !

Paris, le 10 juillet 2025
Campagne unitaire pour la libération de Georges Ibrahim Abdallah
Campagne.unitaire.gabdallah@gmail.com
Facebook : pour la libération de Georges Abdallah
Instagram : cuplgia – Tweeter : CUpLGIA

Maja conclude lo sciopero della fame. La sua lettera

Da Free All ANTIFAS – Italy

Cari fratelli, compagni e sostenitori,

Mi chiamo Maja. Sono in sciopero della fame dal 5 giugno. L’ho iniziato come protesta contro l’estradizione illegale e ancora irrisolta dalla Germania all’Ungheria un anno fa, contro la persecuzione repressiva degli antifascisti, contro lo svolgimento pregiudizievole e discutibile del processo, nonché contro l’isolamento permanente e le condizioni disumane nelle carceri ungheresi. Ora, dopo quasi sei settimane, ho deciso di interrompere lo sciopero della fame.

Non voglio mettere ulteriormente a dura prova la mia salute, perché sento che se non torno indietro ora, sarà presto troppo tardi. Anche se le mie richieste venissero accolte, servirebbe a poco. Ne sarei segnat* a vita, e forse lo sono già. Non ho mai voluto che si arrivasse a questo punto; speravo ingenuamente che un passo così radicale come lo sciopero della fame avrebbe finalmente sensibilizzato chi ricopre posizioni di responsabilità e tutti coloro che possono fare la differenza, in modo che agissero dopo un anno di rassicurazioni, sorrisi e ignoranza.

Ormai non rimane molto di me. Il mio corpo è uno scheletro, con uno spirito intatto, combattivo e vibrante. Sorride, cerca libertà e comunità all’orizzonte e si rifiuta di accettare che non ci sia giustizia. Ma non sono pronto a fare il passo verso la morte imminente. Certo, è incerto; potrebbero esserci ancora giorni, forse settimane. Ma se dovessi perdere conoscenza, avrei un debito nei confronti delle persone che combattono al mio fianco, un debito che non sono pronto a gravare su nessuno. Così come non sono pronto a sottopormi a misure coercitive.

Il 1° luglio sono stat* trasferit* in un ospedale carcerario a 250 km da Budapest, perché già allora si temeva seriamente per la mia salute. Il nuovo posto è più tranquillo del carcere nella grande città, ma altrettanto isolato, se non di più. I contatti con la mia famiglia sono altrettanto limitati. Il mio avvocato, sempre un supporto indispensabile, ora ha bisogno di un giorno intero per farmi visita. Durante la mia passeggiata di un’ora nel cortile, non incontro altri detenuti. Trascorro le restanti 23 ore in cella, perché qui non ci sono attività ricreative. La solitudine mi sta dilaniando, la nostalgia di casa aleggia all’orizzonte. Dal punto di vista medico, è possibile curare il mio corpo fino alla guarigione qui, ma un recupero mentale sembra impossibile persino qui. Con un imminente trasferimento a Budapest, nulla sarebbe cambiato, perché ciò che ha reso necessario lo sciopero della fame mi attende lì. Né l’ospedale né il carcere in Ungheria possono essere una soluzione.

Le mie richieste rimangono invariate! Devo essere rimpatriat* in Germania o posti agli arresti domiciliari e sottopost* a un regolare processo. Sono determinat* a non rimanere in silenzio domani e continuerò a protestare finché sarà necessario.

Concludo lo sciopero ora affinché nessuno sia ritenuto responsabile di danni alla salute a lungo termine o permanenti. Tuttavia, questo passo non esonera nessuno dalla responsabilità di creare condizioni carcerarie umanitarie, libere da dolore e sofferenza per tutti, di condurre un processo indipendente e giusto che non pregiudichi, e di garantire l’integrità dei prigionieri, rispettandone la dignità anziché disprezzarli e punirli. Se ciò non accadrà, e se le mie richieste continueranno a essere ignorate, sono determinat* a riprendere lo sciopero della fame.

Chiedo ciò che è necessario: poter tornare a casa con la mia famiglia, poter realizzare il mio potenziale attraverso la scuola, il lavoro, ecc., potermi preparare al processo in condizioni di parità e non essere sepolto vivo in una cella. Aspetto ancora una dichiarazione chiara e onesta, delle scuse da parte dei responsabili dell’estradizione e un’offerta di risarcimento. Anche se dovesse arrivare per ultima, è la cosa più importante per me.

Grazie a tutti coloro che hanno parlato, che sono al nostro fianco, e a coloro che sono stati lì coraggiosamente per molto tempo, a coloro che sostengono con fermezza il necessario antifascismo, a coloro che sostengono, che sacrificano notte e giorno, che donano e sono punti di riferimento. Questa diversità significa resistenza e utopia allo stesso tempo. I miei pensieri sono sempre con la famiglia e i compagni più cari, percependo il dolore che stanno attraversando e ammirando il coraggio e l’altruismo con cui sopportano. Il mio ringraziamento di oggi ha parole. Ma state tranquilli, il seme della solidarietà con ciò che è possibile giace in terreno fertile. Quindi spero che non solo io, ma molti altri siamo stati in grado di unire coraggio e forza di volontà nelle ultime settimane per guardare al futuro mano nella mano, senza mai perdonare, ma con un sorriso.

In solidarietà. A presto, mi farò viv*.

Maja