Il decreto sicurezza approda alla Camera. La polizia carica la manifestazione a Roma

A Montecitorio è iniziato l’esame del testo, su cui il governo dovrebbe porre la questione di fiducia. Per le strade della Capitale, il corteo contro un decreto definito «repressivo e liberticida». Cariche della polizia sui manifestanti, che hanno provato a raggiungere i palazzi istituzionali. Ferito Luca Blasi portavoce della rete “No dl sicurezza – a pieno regime”

Alla Camera il governo ha subito posto la fiducia sul Dl Sicurezza. A Roma la rete “A Pieno Regime – no Dl Sicurezza” oggi pomeriggio si è ritrovata in Piazza Barberini per raggiungere il Parlamento, trovandosi però davanti uno sbarramento poliziesco su via del Tritone, che ha impedito per due volte, tra scudi e manganellate l’avanzamento.

luconeDurante le cariche della polizia è rimasto ferito Luca Blasi, assessore al III Municipio di Roma con delega in materia di Politiche Culturali e Diritto all’Abitare e portavoce della rete nazionale “No Dl Sicurezza – a pieno regime”, che ha riportato un grosso bernoccolo sulla tempia destra e una ferita all’orecchio, causata da uno strappo subito all’orecchino. Lucone è rimasto contuso mentre si era interposto tra manifestanti e polizia.

Questo è il Ddl “paura” negazione del diritto al dissenso negazione della libertà di movimento negazione alla libertà di parola “Se loro fanno il fascismo noi facciamo la resistenza

Da Roma su Radio Onda d’Urto Raja, della rete nazionale “A Pieno Regime – no Dl Sicurezza”. Ascolta o scarica

L’uso dei reati associativi per contrastare il conflitto sociale: il processo contro il CSOA Askatasuna (2° parte)

di Claudio Novaro – Avvocato, Torino riprendiamo da Studi sulla questione criminale

Trovi la prima parte dell’articolo su infoaut e  su questo blog il 21 maggio

I reati scopo.

Particolare attenzione viene poi dedicata ai reati scopo dell’associazione, individuati nei tanti momenti di scontro avvenuti a Torino e in Val di Susa negli ultimi 15 anni1.

L’operazione interpretativa è chiara: in mancanza di dati specifici sugli elementi costitutivi del reato associativo si cercano supporti probatori attraverso la disamina dei reati addebitati ai suoi partecipanti, con l’evidente rischio di andare incontro ad indebite commistioni: la sussistenza di un’associazione criminosa va verificata attraverso la prova dell’esistenza di un accordo e di un’organizzazione specifica e non attraverso l’esistenza di reati scopo, pena il pericolo che la prima diventi l’eco dei secondi.

In realtà, ancora una volta la ricostruzione storica proposta si dimostra incongrua. Le memorie dei P.M. prendono in esame 5 diverse tipologie di azioni avvenute a Torino e in Val di Susa – rispettivamente, diverse manifestazioni di piazza, i cortei del primo maggio, lo scontro con le fazioni di opposta ideologia politica in ambito universitario, le attività di controllo del quartiere Vanchiglia, la mobilitazione contro il TAV a partire dall’anno 2011 – rilevando come a molte di tali vicende abbiano preso parte alcuni degli imputati del reato associativo, come se questo fosse un dato fruttuosamente spendibile sul piano della responsabilità penale per il delitto di cui all’art. 416 c.p.. Continua a leggere

No al decreto sicurezza qui e ora, a Roma e in tutto il paese

Lunedì arriva in Parlamento per la conversione in legge il decreto sicurezza che crea un vero e proprio Stato di Polizia e di persecuzione delle lotte, dell’opposizione, della libertà di pensiero e di dissenso, delle occupazioni delle case e di tanti altri fattori.

Un decreto che vuole dare poteri speciali e privilegi speciali alla polizia per farne uno strumento della repressione di massa, dell’utilizzo sistematico della violenza verso i manifestati.

Questo decreto, passaggio fondamentale della trasformazione moderno fascista delle Istituzioni per opera del governo rappresentato da Meloni e dai suoi sodali –  il razzista Salvini e Forza Italia – domanda chiaramente un’opposizione. L’opposizione che viene dai magistrati, le obiezioni che vengono dallo stesso Consiglio della magistratura, le opposizioni che vengono anche in seno a questo Parlamento, hanno bisogno però di un’effettiva azione di massa.

In questo senso salutiamo positivamente e diamo la nostra massima adesione alle iniziative già annunciate per lunedì, una sorta di “andiamo al Parlamento”, e alla manifestazione nazionale che viene convocata per il 31 maggio.

Noi non pensiamo, lo abbiamo detto sempre, che questa mobilitazione sia in grado di fermare la mano

del regime reazionario della Meloni e dei suoi ministri e del suo Parlamento, quindi anche su questo noi pensiamo che la mobilitazione debba avere come obiettivo la caduta del governo Meloni.

La caduta del governo Meloni non avverrà per via elettorale e né avverrà per l’opposizione in Parlamento che, oltre che numericamente è inferiore, non è assolutamente in condizione di rappresentare un’alternativa al governo Meloni.

Per questo noi non vediamo altra strada che creare le condizioni per uno sciopero generale, reale, che paralizzi il Paese e che questo sciopero contenga tutti quegli elementi di reale opposizione democratica e sociale che sono necessari per fermare il decreto di sicurezza, così come per fermare l’attacco sulle condizioni di vita dei lavoratori, così come per fermare il riarmo imperialista e infine per rovesciare il governo complice dello Stato nazisionista israeliano.

Nessuna condanna per Elias Rodriguez! Fermare il genocidio con tutti i mezzi necessari

Chi semina vento raccoglie tempesta. L’azione condotta negli USA nei confronti di elementi dell’ambasciata israeliana rappresenta un inevitabile esito della sfrenata azione genocida, massacratrice di Israele, contraria ai diritti umani, un vero e proprio crimine prolungato contro il popolo palestinese e l’umanità in generale; quindi per questo non ci può essere alcuna condanna.

Di seguito la dichiarazione di Elias Rodriguez, tradotta dal blog di Ken Klippenstein:

Spiegazione
20 maggio 2025
Halintar è una parola che significa qualcosa come tuono o lampo. Dopo un atto, le persone cercano un testo che ne definisca il significato, quindi ecco un tentativo.
Le atrocità commesse dagli israeliani contro la Palestina sfidano ogni descrizione e ogni quantificazione. Invece di leggere le descrizioni, per lo più le osserviamo svolgersi in video, a volte in diretta. Dopo alcuni mesi di rapido aumento del numero delle vittime, Israele ha cancellato la capacità di continuare a contare i morti, il che ha giovato al suo genocidio.
Al momento in cui scrivo, il ministero della Salute di Gaza registra 53.000 morti per cause traumatiche, almeno 10.000 giacciono sotto le macerie e chissà quante altre migliaia di morti per malattie prevenibili, per fame, con decine di migliaia di persone ora a rischio di una carestia imminente a causa del blocco israeliano, il tutto favorito dalla complicità dei governi occidentali e arabi. L’ufficio informazioni di Gaza include le 10.000 persone sotto le macerie insieme ai morti nel proprio conteggio. Nei notiziari, quei “diecimila” sotto le macerie compaiono ormai da mesi, nonostante il continuo accumulo di macerie e i ripetuti bombardamenti, oltre al bombardamento di tende tra le macerie. Come il bilancio delle vittime in Yemen, congelato per anni a poche migliaia sotto i bombardamenti sauditi, britannici e statunitensi, prima di essere tardivamente rivelato a 500.000 morti, tutte queste cifre sono quasi certamente una sottostima criminale. Non ho difficoltà a credere alle stime che fissano il bilancio a 100.000 o più. Da marzo di quest’anno sono stati uccisi più di quanti ne siano stati uccisi in “Margine Protettivo” e “Piombo Fuso” messi insieme. Che altro si può dire, a questo punto, della proporzione di esseri umani mutilati, ustionati ed esplosi, che erano bambini? Noi che abbiamo permesso che ciò accadesse non meriteremo mai il perdono dei palestinesi. Ce lo hanno fatto sapere.
Un’azione armata non è necessariamente un’azione militare. Di solito non lo è. Di solito è teatro e spettacolo, una qualità che condivide con molte azioni disarmate. Le proteste non violente nelle prime settimane del genocidio sembravano segnare una sorta di punto di svolta. Mai prima d’ora così tante decine di migliaia di persone si erano unite ai palestinesi nelle strade di tutto l’Occidente. Mai prima d’ora così tanti politici americani erano stati costretti ad ammettere che, almeno retoricamente, anche i palestinesi erano esseri umani. Ma finora la retorica non ha prodotto molto. Gli stessi israeliani si vantano del proprio shock per la mano libera che gli americani hanno dato loro per sterminare i palestinesi. L’opinione pubblica si è rivoltata contro lo stato di apartheid genocida, e il governo americano ha semplicemente scrollato le spalle: allora farà a meno dell’opinione pubblica, la criminalizzerà dove può, la soffocherà con blande rassicurazioni sul fatto che sta facendo tutto il possibile per frenare Israele laddove non può criminalizzare del tutto la protesta. Aaron Bushnell e altri si sono sacrificati nella speranza di fermare il massacro e lo Stato si impegna a farci credere che il loro sacrificio sia stato vano, che non c’è speranza in un’escalation per Gaza e che non ha senso portare la guerra a casa. Non possiamo permettergli di avere successo. I loro sacrifici non sono stati vani.
L’impunità che i rappresentanti del nostro governo provano nel favorire questo massacro dovrebbe quindi essere smascherata come un’illusione. L’impunità che vediamo è la peggiore per chi di noi si trova nelle immediate vicinanze dei responsabili del genocidio. Un chirurgo che ha curato le vittime del genocidio Maya perpetrato dallo stato guatemalteco racconta di un episodio in cui stava operando un paziente gravemente ferito durante un massacro quando, all’improvviso, uomini armati sono entrati nella stanza e hanno sparato al paziente sul tavolo operatorio, uccidendolo a colpi d’arma da fuoco, ridendo mentre lo uccidevano. Il medico ha raccontato che la cosa peggiore è stata vedere gli assassini, a lui ben noti, spadroneggiare apertamente per le strade locali negli anni successivi.
Altrove, un uomo di coscienza tentò una volta di gettare in mare Robert McNamara da un traghetto diretto a Martha’s Vineyard, indignato per la stessa impunità e arroganza che aveva visto in quel macellaio del Vietnam mentre era seduto nel salone del traghetto a ridere con gli amici. L’uomo contestò “la postura stessa di McNamara, che ti diceva: ‘La mia storia è a posto, e posso essere accasciato su un bar come questo con il mio buon amico Ralph qui e voi dovrete sopportarlo'”. L’uomo non riuscì a gettare McNamara da una passerella in acqua; l’ex Segretario di Stato riuscì ad aggrapparsi alla ringhiera e a rimettersi in piedi, ma l’aggressore spiegò il valore del tentativo dicendo: “Beh, l’ho portato fuori, solo noi due, e improvvisamente la sua storia non era più così a posto, vero?”
Una parola sulla moralità delle manifestazioni armate. Chi di noi è contrario al genocidio si compiace di sostenere che autori e complici abbiano perso la loro umanità. Condivido questo punto di vista e ne comprendo il valore nel lenire la psiche che non sopporta di accettare le atrocità a cui assiste, nemmeno mediate attraverso lo schermo. Ma la disumanità si è da tempo dimostrata scandalosamente comune, banale, prosaicamente umana. Un colpevole può essere un genitore affettuoso, un figlio devoto, un amico generoso e caritatevole, un amabile sconosciuto, capace di forza morale quando gli conviene e a volte anche quando non gli conviene, e tuttavia essere un mostro. L’umanità non esime nessuno dalla responsabilità.
Un’azione del genere sarebbe stata moralmente giustificata se intrapresa 11 anni fa durante “Margine Protettivo”, più o meno nel periodo in cui sono diventato personalmente consapevole della nostra brutale condotta in Palestina. Ma penso che per la maggior parte degli americani un’azione del genere sarebbe stata illeggibile, sarebbe sembrata folle. Sono contento che almeno oggi ci siano molti americani per i quali questa azione sarà estremamente comprensibile e, in un certo senso, l’unica cosa sensata da fare.
Vi amo mamma, papà, sorellina, il resto della mia famiglia, incluso te, O*****
Palestina libera
-Elias Rodríguez

India: Liberare il compagno Rejaz Immediatamente!

Rejaz Sydeek

Il 7 maggio, Rejaz Sydeek, giornalista indiano e membro dell’associazione comunista Democratic Student Association, è stato arrestato dalla polizia di Nagpur in base all’Unlawful Activities Prevention Act (UAPA) mentre si recava a una conferenza stampa a New Delhi a sostegno dei giornalisti incarcerati in India. L’UAPA è una legge composta da una serie di leggi “antiterrorismo” introdotte nel 1967, anno della rivolta di Naxalbari. Oltre il 97% delle persone arrestate in base all’UAPA sono rimaste in carcere senza che sia stata dimostrata la loro colpevolezza. Il governo indiano lo accusa di diffondere propaganda antinazionalista, adducendo come prova il possesso di una serie di testi e pamphlet rivoluzionari, oltre a un post su Instagram in cui condannava le azioni guerrafondaie dell’India nel Kashmir occupato. Uno dei documenti trovati in possesso di Rejaz era un opuscolo della rivista maoista Nazariya, che condannava l’operazione Kagaar dell’India contro i naxaliti. Attualmente è ancora detenuto in Maharashtra, dove gli è stata concessa la custodia cautelare fino al 2 giugno.

Stand Against Witch Hunting of Activists!
Journalism Is Not Terrorism!
Release All Incarcerated Journalists!
Release All Political Prisoners!

L’Aquila – Rinviata l’udienza del processo ad Anan, Ali e Mansour, presidio solidale davanti al Tribunale

Nessuna attività istruttoria nell’udienza di oggi, dove erano stati chiamati tutti i testimoni del PM, perché la perita non è riuscita nell’attività di traduzione in italiano, soprattutto delle chat, redatte in lingua araba. Per cui oggi è stato sostanzialmente rimodulato il calendario delle udienze, inserendone ancora altre a distanza ravvicinata, per arrivare il 10 luglio a sentenza.

Giugno: 18 (h 13:00) per sentire un teste della Digos; 25 (h 9:30), 26 (h 10:30) e 27 (h 9:30) per sentire tutti gli altri testi dell’accusa.

Luglio: 9 (h 9:30) per sentire gli imputati, i testi della difesa e la requisitoria del PM; 10 (10:30) discussione delle difese e sentenza.

Le dichiarazioni dell’avvocato Flavio Rossi Albertini

E’ chiaro che una simile calendarizzazione renderà impossibile la partecipazione solidale di tutti a tutte le udienze. Ma cercheremo comunque di stare vicino agli imputati, soprattutto ad Anan, anche attraverso la corrispondenza.

Ricordiamo a tal proposito l’indirizzo per scrivergli:

Anan Yaeesh, c/o Casa circondariale di Terni, Strada delle Campore 32, 05100 Terni (TR)

E il conto che gli è stato aperto in carcere per l’acquisto di beni di prima necessità:

DIREZIONE CASA CIRCONDARIALE DI TERNI

Iban: IT30P0760114400000010269058. Specificare nella causale: “a beneficio di Anan Yaeesh, nato il 20/09/1987, da parte di -Nome e Cognome di chi effettua il bonifico-”

– L’Aquila

Fuori del Tribunale si è svolto un presidio di solidarietà, che ha visto la presenza di circa 70 persone, con la partecipazione di compagne e compagni anche da Roma, Viterbo, Napoli, Bologna, Milano, Trento, Ascoli oltre che dall’Abruzzo, mentre a Torino si è svolto questo pomeriggio un presidio davanti la  prefettura.

Torino

La Resistenza non è terrorismo, la Resistenza non si arresta e non si processa, tanto più oggi, quando il popolo palestinese può contare solo sulle proprie forze e sulla sua Resistenza. A livello internazionale in tanti si stanno rendendo conto che c’è un genocidio in atto, che c’è uno Stato illegittimo e criminale, Israele, che vuole annettere completamente Gaza e la Cisgiordania ed edificarvi un proprio Stato esclusivamente ebraico, ma i complici italiani del genocidio e i media mainstream fanno tutt’al più lacrime di coccodrillo per autoassolversi, mentre vorrebbero criminalizzare chi ad esso si oppone e chi ha lottato contro l’apartheid e l’occupazione coloniale sionista.

Compagni anche in aula, che al termine dell’udienza hanno fatto sentire la loro solidarietà ad Anan, presente in videoconferenza, gridando più volte Anan libero, La Resistenza non è reato, Anan Yaeesh va liberato.!

Segue rassegna stampa:

news-town

LaQTV

ansa.it/abruzzo/

Rete8

www.ilcapoluogo.it

gaeta.it

Radiondadurto

Radiondarossa

L’uso dei reati associativi per contrastare il conflitto sociale – un contributo

da InfoAut

Secondo quanto riporta Il Post:

“Almasri era stato dapprima fermato per un rapido controllo d’ordinanza mentre era in macchina nel centro di Torino insieme ad altri tre amici (due libici e uno statunitense), la mattina del 18 gennaio; poi, dopo ulteriori accertamenti, era stato raggiunto nell’hotel dove alloggiava, in Piazza Massaua, alle 3 e mezza del mattino seguente, e da lì portato negli uffici della DIGOS della Questura di Torino.

Dopo le procedure burocratiche di rito, era stato trasferito nel carcere Lorusso e Cutugno, dove era rimasto fino al pomeriggio del 21 gennaio, quando era stato rimpatriato insieme agli altri suoi amici, con un aereo in dotazione ai servizi segreti italiani con un volo da Torino a Tripoli.”

A far emergere la vicenda sarebbero state due improvvise promozioni: quella di Carlo Ambra e di Stefano Carvelli, un dirigente della Polizia di Stato che lavorava allo SCIP (Servizio per la cooperazione internazionale della Polizia). Ambra è stato promosso all’Ufficio centrale ispettivo a Roma, un importante organo di controllo e coordinamento delle indagini a livello nazionale incardinato nel dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, tre giorni dopo i fatti che riguardano Almasri. Dopo sette anni in forze alla Questura di Torino l’ex capo della Digos ha assunto una nuova qualifica: consigliere ministeriale aggiunto, che nella gerarchia della Polizia è un grado più giù di questore, e dunque piuttosto in alto.

Carlo Ambra e Stefano Carvelli sono collegati proprio dal caso Almasri. Lo SCIP, di cui Carvelli faceva parte prima della promozione, è infatti “la struttura che ha curato la gestione delle comunicazioni tra la Corte penale internazionale, la questura e la DIGOS di Torino. Era stato proprio lo SCIP, il 19 gennaio, a segnalare alla DIGOS che, in seguito a «intese telefoniche» con la Corte, «la persona in oggetto [cioè Almasri, ndr] risulta ricercata in campo internazionale». E per questo lo SCIP sollecitava formalmente la questura a «valutare la sussistenza delle condizioni e l’opportunità di procedere» all’arresto immediato Almasri. Dopo questa comunicazione la DIGOS aveva deciso di andare all’hotel di Almasri e arrestarlo.”

“Carvelli nello SCIP ricopre un ruolo importante: è l’ufficiale di collegamento con il ministero degli Esteri. Fonti del ministero stesso confermano che Carvelli è a capo di una struttura molto importante, che gestisce le comunicazioni e la condivisione di informazioni per casi come quello di Almasri che riguardano la Corte penale internazionale. La Corte, che ha sede nei Paesi Bassi, comunica in via preliminare con il governo italiano attraverso l’ambasciata italiana all’Aja, che fa capo appunto al ministro degli Esteri, ed è da lì che poi le richieste vengono inoltrate a Roma. L’ufficio di collegamento dello SCIP al ministero degli Esteri è una delle strutture che si sono attivate in quei giorni.”

Anche Carvelli è finito a ricoprire un ruolo particolarmente significativo dopo la promozione: andrà a lavorare alla Direzione centrale della Polizia criminale, uno degli organismi più prestigiosi e delicati nelle attività di indagine e di prevenzione della criminalità, oltre che nella cooperazione con le polizie internazionali.

Il timing di queste promozioni ha suscitato sospetti perché sono avvenute entrambe a pochi giorni dal rilascio del generale libico, responsabile tra l’altro di crimini di guerra. È evidente che l’arresto di Almasri ed il processo di fronte alla corte dell’Aja avrebbe potuto gettare imbarazzo sul governo di Giorgia Meloni e anche sui governi precedenti, quindi se alcuni solerti uomini delle forze dell’ordine avessero “chiuso un occhio” sulla fuga del torturatore probabilmente verrebbero premiati ed allontanati dal loro precedente ruolo come già successo spesso nel nostro paese. Sarà questo il caso?

Carlo Ambra nella sua lunga permanenza alla Questura torinese si è prodigato in una campagna di persecuzione nei confronti dei movimenti sociali. Campagna che è culminata con due inchieste per reati associativi: la prima, l’operazione Scintilla, che portò allo sgombero dell’Asilo Occupato e che si è conclusa con la caduta anche in appello del reato associativo e la seconda contro il movimento No Tav, l’Askatasuna e lo Spazio Popolare Neruda che lunedì 31 marzo andrà a sentenza. Sono state già lungamente sottolineate le anomalie che hanno caratterizzato l’inchiesta contro i No Tav, l’Askatasuna e lo Spazio Popolare Neruda, le strane fughe di notizie che hanno accompagnato lo svolgimento del processo e la particolare convergenza d’interessi tra Procura, Questura, Telt e destra nazionale e locale.

Ambra ha utilizzato ogni mezzo a sua disposizione per tentare di tacitare il dissenso sociale in città con arresti, sequestri, sgomberi e perquisizioni. La sua parentesi come capo della Digos di Torino è stata caratterizzata da una strategia poliziesca e mediatica volta a screditare i movimenti sociali sempre in stretta sinergia con la destra torinese. Se la vicenda che lo vede coinvolto nel caso Almasri si rivelasse vera emergerebbero ulteriori dubbi sul suo operato alla Questura di Torino e sulle inchieste anomale che ha guidato in questi anni.