Emilio è stato estradato. Lo salutiamo con affetto e con la promessa che noi, come lui, non ci arrendiamo, perché siamo nel giusto. Srp

Emilio Scalzoquesta mattina è stato estradato in Francia dove, già oggi, avrà la prima udienza nella quale verrà stabilito se dovrà rimanere in carcere oppure se potrà accedere alle misure alternative e quindi essere tradotto agli arresti domiciliari.

Salutiamo Emilio con la promessa che continueremo a sostenerlo, anche se a dividerci sono quelle stesse montagne sulle quali si è battuto per i diritti dei migranti, che ogni giorno rischiano la vita per abbracciare un futuro libero da guerre e miserie.

Lo vogliamo salutare con un video importante, che esprime in pieno il senso di chi è Emilio e di dove punti il suo sguardo, sempre verso i più deboli. Emilio che di dignità ne ha da regalare, a differenza di tutte le parole di cui si riempie la bocca l’intero mondo della politica, non solo italiana, ma anche europea.

Di seguito le parole di Luigi, condivise dal suo profilo:

“Nei giorni scorsi è arrivata la notizia che la cassazione ha confermato la richiesta di estradizione in Francia per Emilio, in relazione a un iniziativa sul confine tra Claviere e Monginevro. In questi giorni ho continuato a ripensarci su, accumulando una grande rabbia per quella che è l’ennesimo inaccettabile attacco contro la solidarietà messa in campo per sostenere i migranti in transito sul confine.

Ho continuato a pensarci.

Ho ricordato che Emilio è probabilmente la prima persona che ho incontrato e intervistato il primo giorno che sono arrivato a Bardonecchia.

Erano le 21:55 del 22 Dicembre 2017. Da quel giorno sono cambiate moltissime cose.

Eppure le parole di Emilio, nella loro splendida semplicità, restituiscono al meglio la fantastica persona che è, compagno generoso, sempre presente, che restituisce valore ad una parola troppe volte utilizzata con leggerezza come quella di “umanità”.

Non posso che chiudere queste 4 righe con le stesse parole di Emilio”: “Tanto noi non ci arrendiamo”.

 

Emilio libero! Libertà per i/le no tav! No all’estradizione!

 

da notav.info

1 minuto e 30 secondi di video, realizzato da Luigi D’Alife, che ringraziamo per questo scorcio di profondità immensa su Emilio

Video a https://youtu.be/idKA_A9yYxs

 

 

 

Inizia il 2 dicembre il maxiprocesso contro una 50na di antifascisti genovesi

Giovedì 2 dicembre inizierà il maxi-processo ad una cinquantina di antifascisti genovesi “colpevoli” di avere di fatto impedito il 23 maggio del 2019, il comizio elettorale di chiusura di Casa Pound per le elezioni europee.

Mercoledì 1 dicembre si è svolta una conferenza stampa di Genova Antifascista al Circolo dell’Autorità Portuale che è stata un occasione per fare la presentazione del dossier curato da GA – che alleghiamo qua sotto – ed il punto sulla vicenda giudiziaria.

Il giorno precedente si era concluso uno dei due “tronconi” del processo che ha visto 5 compagni assolti dal reato di travisamento, dopo il ricorso dei legali alla condanna di pagamento di un decreto penale di circa 9mila euro, ed invece è stata comminata una condanna di sei mesi ad un manifestante per il porto di oggetti atti ad offendere.

Si trattava di tubi “Geberit” usati come aste di bandiere che tra l’altro è stato accertato in ambito processuale il 23 maggio non vennero usati come strumenti di offesa.

Due compagne di Genova Antifascista hanno letto il comunicato – una sintesi della prima parte del dossier – e poi Bruno Rossi, storico militante portuale della città ha voluto testimoniare la sua solidarietà agli imputati, insieme a Danilo Oliva, ex dirigente sindacale e presidente del CAP.

Gli avvocati Laura Tartarini, Emmanuele Tambuscio e Alessandro Gorla, legali di alcuni imputati, hanno fatto poi il quadro di questo processo “a rotta di collo” – per citare le parole della Tartarini – che ha tempistiche difficilmente comprensibili: sono state fissate dieci udienze in meno di un mese per arrivare ad un verdetto prima di Natale.

Un fatto insolito, considerato che si tratta di un processo per fatti accaduti meno di tre anni fa ed i cui termini di prescrizione sono piuttosto lontani.

I legali hanno risposto alle numerose sollecitazione provenienti da chi era presente alla conferenza stampa.

Come normalmente avviene, Digos e Procura hanno “decontestualizzato” gli avvenimenti, concentrandosi su frames dei filmati girati che ritraggono gli imputati e fornendo il profilo di ognuno attraverso la ricostruzione arbitraria del “profilo militante” di tutti, oltre che i precedenti penali.

Un approccio che cercherà di essere “decostruito” nelle aule del tribunale, anche grazie all’uso della consulenza di Elia Rosati, studioso della galassia neo-fascista.

Alcuni imputati hanno più volte espresso la volontà di “prendere parola” durante il processo per dare conto delle ragioni che li ha portati a rimanere in piazza nonostante gli incessanti tentativi di sgomberarla già ben prima dell’inizio del comizio dei neo-fascisti.

L’ipotesi di reato che accomuna tutti gli imputati è la “resistenza aggravata”, una fattispecie di reato per la quale è prevista una pena molto elastica – da un minimo di 6 mesi ad un massimo di ben oltre i 10 anni di reclusione – più per alcuni imputati vengono contestati altri reati specifici.

In procedimenti simili nel capoluogo ligure, in casi di condanna, le pene comminate per “resistenza aggravata” andavano dagli 1 ai due anni, ma è chiaro che non è possibile trarre conclusioni sulla base dei precedenti, vista la particolarità che sembra assumere il profilo di questo processo.

A differenza di altri processi simili a Genova non sono stati ipotizzati i reati di minaccia e lesioni, anche perché l’imponente dispiegamento delle forze dell’ordine (circa 300) e l’accerchiamento dei manifestanti, oltre al fatto che – tranne i manifestanti – nessuno degli agenti si è fatto male, avrebbe indebolito ulteriormente l’impalcatura accusatoria.

Si è fatta quindi probabilmente una operazione più “chirurgica” selezionando alcuni imputati, e “scartandone” altri, – tendenzialmente i più noti alla DIGOS – sulla base dei profili e cercando di avere il più possibile una base solida per la “resistenza aggravata”, che a livello giuridico è un atto in cui si estrinseca una forza che contrasta in un qualche modo l’azione delle forze dell’ordine.

Può essere per esempio aver allontanato i gas lacrimogeni – i famigerati CS – lanciati copiosamente nel corso di tutto il pomeriggio, o resistito in qualche modo ad una carica.

Su questa serie di micro-comportamenti individuali, si è costruito l’impianto che ha portato a questo processo, una specie di contro-altare all’altro procedimento giudiziario – per cui s’attende l’appello – che ha portato a condanne lievissime (40 giorni) i quattro agenti del Reparto Mobile della Caserma di Bolzaneto, che hanno massacrato di botte il giornalista della Redazione genovese di “La Repubblica”, Stefano Origone, “scambiato” per un manifestante.

Come è scritto nella conclusione del Dossier e ribadito in Conferenza Stampa: “Le procedure giudiziarie a carico degli antifascisti perciò devono cadere, va aperta una riflessione sulle profonde responsabilità nella folle gestione di quella piazza in termini di ordine pubblico ed un dibattito franco sul processo politico che ha portato allo sdoganamento e alla di fatto “protezione” della libertà d’azione dei neo-fascisti nella nostra città. Legittimazione e ‘protezione’ che solo per un caso fortuito non hanno portato a tragiche conseguenze.”

Fino ad ora la giustizia è stata piuttosto clemente con gli episodi di violenza commessi dai neo-fascisti in città – tra cui una aggressione in due ad una militante comunista, un accoltellamento ad un antifascista, ed un pestaggio ad un cittadino straniero – e con la polizia. Anche sta volta verrà applicata la logica “due pesi, due misure”? Lo vedremo a conclusione del processo.

da contropiano

SABATO 11 DICEMBRE CORTEO A GIULIANOVA – LE IDEE NON SI SGOMBERANO, CAMPETTO OCCUPATO VIVE!

Nei prossimi giorni tutte le informazioni
Oggi (25 novembre) è la giornata contro la violenza sulle donne.
Andatelo a dire a Doris, che da ieri che piange.
Andateglielo a dire quando l’hanno portata via in ambulanza da quella che era la sua casa e la polizia ci ha spintonato per non farcela neanche salutare.
Andateglielo a dire oggi, che non ha una casa, l’acqua corrente, la luce, il riscaldamento, un bagno. Non ha più nulla, neanche la famiglia che avevamo costruito al Campetto.
Andateglielo a dire che chi da ieri la sta facendo piangere, a lei, una donna, sono gli stessi (donne e uomini), amministrazione ed enti vari, che oggi “commemorano” la giornata contro la violenza sulle donne.
Andateglielo a dire, perché a noi, ieri, quando poi l’abbiamo vista piangendo, l’abbiamo abbracciata ma le parole non ci uscivano

Domenica 28 novembre, 2 presidi davanti al carcere di Rebibbia e della Dozza in solidarietà con i detenuti rivoltosi sotto processo

Da Rete evasioni

A FIANCO DI CHI, QUOTIDIANAMENTE,  SI VIVE LA VIOLENZA DELLE GALERE SULLA
PROPRIA PELLE!

Dopo le rivolte del marzo 2020 nelle carceri di tutta Italia, centinaia di detenuti sono stati portati a processo, per aver protestato per la difesa della propria salute in piena emergenza covid. A Bologna circa 50 detenuti sono sotto processo, mentre a Modena 70. Proprio al Sant’Anna 9 persone sono state ammazzate a suon di botte e di spari dai secondini, ma questo è stato messo a tacere e le indagini a carico della penitenziaria presto archiviate, mentre la stessa procura di Modena ha prorogato le indagini per processare i detenuti.

Torniamo sotto il carcere per portare tutta la nostra solidarietà a chi, quotidianamente, vive sulla sua pelle la violenza del carcere.

A fianco di Beppe, prigioniero anarchico e di Mattia, prigioniero che un anno fa disse la verità sul massacro avvenuto al carcere di Modena.

CONTRO TUTTE LE GALERE E IL MONDO CHE LE PRODUCE!

Dalla Coordinamenta Transfemminista di Udine, comunicato di solidarietà

Tremate, tremate, perché non ce ne siamo mai andate!
Oggi 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne e di genere, vogliamo parlare di una delle forme di violenza che lo Stato esercita in modo sempre più capillare e pervasivo: la repressione.
Iniziamo esprimendo la nostra incondizionata SOLIDARIETA’ alla compagna e al compagno dell’Assemblea permanente contro il carcere e la repressione che, a seguito di alcuni interventi pubblici di denuncia della malasanità in carcere e per aver espresso solidarietà con compagni e compagne imprigionate per aver lottato contro le istituzioni totali, il militarismo e il neo-colonialismo (fatti durante presidi e cortei, tra cui uno anche promosso da noi), sono stat* accusat* dei reati di istigazione a delinquere e diffamazione e stanno subendo un processo.
Abbiamo saputo che, durante un’udienza, siamo state tirate in causa e nominate ripetutamente: si voleva sapere se la compagna e il compagno imputat* facessero parte della Coordinamenta Transfemminista e si voleva appurare il perchè o percò un* dei due avesse parlato durante una nostra manifestazione contro la violenza di genere del novembre 2019.
Vogliamo rispondere così: ai nostri cortei è benvenuta/o chi lotta contro i soprusi e le violenze che lo Stato esercita su soggettività oppresse e inferiorizzate (come sono in questo caso le persone detenute in qualsivoglia istituzione totale) e chi è solidale con queste lotte. Ai nostri presidi parla chi vogliamo noi, cioè chi ha la nostra stima, la nostra fiducia, le persone con cui sentiamo un’ affinità politica. Parlano le persone generose, che si espongono per chi non puo’ avere voce, come chi sta dentro ad un cpr o ad un carcere. Parlano le persone coraggiose, che si esprimono senza fronzoli correndo il rischio di dire le cose come stanno perché E’ GIUSTO FARLO!
Ma ci teniamo a dirvi anche chi non parlerà mai. Alle nostre manifestazioni non si accettano atteggiamenti oppressivi e prevaricatori, dinamiche di potere di matrice patriarcale che il nostro gruppo vuole smantellare. Per questo, non parleranno mai fascist*, sessist* e razzist*, nè individui “in divisa” e rappresentanti istituzionali di partito. Non riconosciamo nè ci sentiamo rappresentat* da questi ultimi due, che sono il braccio e la mente di politiche securitarie ed emergenziali fatte opportunisticamente sui nostri corpi, di cui vorrebbero espropriarci per disporne come credono, per irrigimentarci e controllarci, pena la solita ricetta: eslusione sociale e violenta repressione.
Esprimiamo solidarietà e vicinanza alla compagna verso la quale è in atto un vero e proprio accanimento repressivo volto ad isolarla e intimidirla, con una pretestuosa perquisizione oltre che l’avvio di procedimenti penali a suo carico. Saremo al suo fianco, faremo eco alla sua forza che, assieme alla nostra, sarà inscalfibile! Lo saremo tutte!
Continueremo a scendere nelle piazze e a dire quello che pensiamo nonostante il clima di caccia alle streghe e l’ingombrante presenza di sbirri e sbirre con e senza divisa, ogni volta che lo facciamo!
Vogliamo infatti ricordare che entrambi i cortei da noi organizzati sono stati pedinati e scortati da un numero spropositato di guardie. Siamo state filmate e registrate da quelle in borghese durante i presidi in centro (questo ormai è chiaro anche dagli atti processuali) in una maniera invadente e ossessiva, talmente sproporzionata da apparire ridicola anche agli occhi delle persone generalmente più ingenue che di solito non si accorgono di questi dettagli.
L’aver mandato a filmare il presidio per l’8 marzo 2021 un poliziotto che era l’incarnazione dello stereotipo del maschio cis abietto e prevaricatore ci ha però tolte dalla fatica di dover spiegare cosa intendiamo quando diciamo che lo Stato è patriarcale e difende solo sè stesso, in strada come nei tribunali. Per questo, da chi non perde occasione per farci capire che dobbiamo stare zitte e nei ranghi, non vogliamo e non vorremo mai niente se non la sua fine.
In ultimo ci teniamo a dire che non prendiamo nemmeno in considerazione, anzi, rigettiamo le soluzioni legislative di tipo “protezionistico” che ci negano l’autodeterminazione e rivendichiamo invece l’autodifesa femminista e la solidarietà tra soggetti oppressi come arma da impugnare contro l’opressore, sia esso il maschio cis abusatore, sia esso in divisa, sia esso in toga, sia esso con il camicie bianco o la camicia nera oppure in abito talare! Se ci “vogliamo veramente vive” allora dobbiamo anche agire per restarlo.

Sgomberato il campetto occupato, ma la lotta continua. Solidarietà del SRP

Prima con le querele e le denunce, ora con le ruspe e un incredibile spiegamento di forze dell’ordine, alla fine il sindaco di Giulianova è riuscito a coronare il suo sogno: sgomberare il campetto occupato.

Alla vigilia della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il primo cittadino giugliese, il leghista Costantini, e l’ASP Teramo (Azienda Pubblica di Servizi alla persona, presieduta da Giulia Palestini, politicamente legata al sindaco Costantini) hanno mostrato chiaramente di quale violenza e brutalità è capace una cricca politico-affaristica degna della migliore tradizione salviniana, pur di eliminare un’esperienza di autogestione, di vita e di solidarietà attiva verso i più deboli, di libertà e lotta alla repressione, alla violenza capitalistica e patriarcalistica di questo stato  borghese.

Ruspe e camionette davanti al cancello, digos, polizia anche in assetto antisommossa, carabinieri, vigili del fuoco. Anche agenti della polstrada di Giulianova sono intervenuti per distruggere tutto quanto costruito in oltre 5 anni di attività, fermare e denunciare gli occupanti e cacciare chi era dentro. Chi in questo spazio aveva trovato non solo un luogo di autogestione, aggregazione e condivisione, ma anche un posto in cui abitare, ora è di nuovo senza tetto, mentre l’ipocrita morale cristiana della feccia fascista, sessista e salviniana al governo della città, sgombera le strade dalla luce dell’umanità che quel posto rappresentava, dandole in pasto alla mercificazione della cristianità

Così da una parte si sgombera il Campetto e si fa la guerra ai poveri, dall’altra si pensa al santo natale installando le luminarie per l’immancabile atmosfera.

Ma il Campetto Occupato, oltre ad offrire aiuto ed autentica solidarietà a persone in difficoltà dimenticate dalle istituzioni, aveva anche sostenuto la lotta contro le frontiere e la guerra, contro le politiche razziste e i centri di detenzione per migranti.

Già 3 anni fa, a dire il vero, il Campetto subì un grave atto vandalico da parte di chi, evidentemente, mal sopportava un posto in cui si concretizzava un’autentica idea di fratellanza e solidarietà con i più deboli, un posto non convenzionale e non commerciale libero da ogni concezione autoritaria. Un rogo distrusse diverse attrezzature e centinaia tra libri e opuscoli nell’ex spogliatoio. Gli occupanti si rimboccarono le maniche e con grande dignità continuarono a difendere quell’idea, perché “le fiamme si estinguono, le idee no”

Con la stessa tenacia ora ribadiscono che il Campetto non è stato tolto solo agli occupanti, ma a tutte quelle persone che volevano vivere in modo altro e organizzarsi per lottare contro i soprusi: “Le Idee non si sgomberano non è una minaccia, ma una promessa. E sono le nostre vite”.

Quello dell’amministrazione e dell’Asp è stato un vero e proprio atto di violenza non solo nei confronti degli occupanti, ma verso tutta la città, a cui non si può rispondere abbassando la testa. E Giulianova ieri sera lo ha dimostrato con una prima assemblea a caldo, partecipata e popolare, con persone arrivate anche da fuori regione, per portare solidarietà agli occupanti e per ribadire che il campetto vive. Dopo l’assemblea i manifestanti hanno anche improvvisato un corteo, raccogliendo, nonostante la città fosse fortemente militarizzata, la solidarietà anche delle altre persone.

Qui trovi il video dell’assemblea

Qui il comunicato del Campetto Occupato

Come soccorso rosso proletario esprimiamo affetto e solidarietà al Campetto Occupato e ci prendiamo l’impegno, compatibilmente con le nostre forze, di contrastare anche fisicamente la repressione contro chi si batte per un’idea di giustizia e umanità che non ha nulla a che fare con la legalità imposta da questo stato borghese.