Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Ieri importante giornata di lotta dei lavoratori e lavoratrici immigrati in varie città per documenti per tutti, lotta alla repressione e al razzismo di guerra di “due pesi e due misure”

Riportiamo cronache da Roma e da Foggia – a queste ha partecipato lo Slai cobas sc e l’Mfpr

ROMA

Oltre un centinaio di persone al presidio di oggi a Roma contro razzismo e sfruttamento indetto da Campagne in lotta. Molte donne, soprattutto latinoamericane, hanno denunciato la guerra quotidiana che le persone immigrate subiscono in questo paese, la violenza delle istituzioni, che negano loro qualsiasi diritto, dalla casa al lavoro alla salute. “Molte donne non sono potute venire perché sono all’ospedale” ha detto una donna al microfono che ha perso suo marito col covid. “Se ci ammaliamo come ci curiamo?”

Un’altra donna ha denunciato la segregazione delle badanti da parte dei loro datori di lavoro, che hanno sequestrato loro il passaporto per non farle uscire di casa con la scusa del covid.

“Da anni ci trattano come palloni da calcio, ci rimandano da una parte all’altra, ma questo è inaccettabile. Non possiamo restare in silenzio, dobbiamo alzare la nostra voce. Siamo tutti uguali e tutti uniti, Ucraini, Russi, persone che subiscono tutte le guerre. Ora basta!” Ha detto un’altra donna al microfono

Una compagna dello Slai Cobas s.c. e del MFPR ha espresso solidarietà e sostegno alle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati contro il razzismo istituzionale di questo sistema imperialista, che fomenta la guerra tra poveri e scatena la guerra tra popoli per il controllo dei mercati, delle risorse e della forza lavoro.  Le politiche migratorie, il controllo dei flussi a questo servono, a mantenere sempre più sotto ricatto i lavoratori immigrati.

L’uso propagandistico e razzista di donne e bambini ucraini fa il paio con i vergognosi respingimenti di tutti gli altri profughi che continuano ad essere ignorati dalla politica, ma non dai padroni e dalla polizia. Quello che i padroni chiamano pace e solidarietà, nella lingua dei proletari di tutto il mondo si chiama guerra, repressione e razzismo. Essi sono funzionali alla sopravvivenza di questo mortifero sistema di sfruttamento, che cerca sempre di dividere la classe antagonista, le lavoratrici dai lavoratori, i lavoratori italiani da quelli immigrati, i profughi di serie a da quelli di serie b, c ecc. Ma oggi più che mai questo sistema in crisi ci mostra che esistono 2 sole razze a questo mondo, quella degli sfruttati e quella degli sfruttatori. Ci mostra che da questa guerra interimperialista, da tutte le guerre del capitale si può uscire solo con la guerra popolare a tutti gli imperialismi, ma per far ciò bisogna unirsi in un fronte unico di classe che ribalti i rapporti di forza esistenti.

E’ necessaria un’unità internazionale dei lavoratori. I lavoratori non hanno patria, in ogni paese sono sfruttati e repressi. Per mantenersi al potere la borghesia ci divide in mille modi. E’ ora che i lavoratori si uniscano tra loro per lottare contro i comuni nemici, contro i padroni, contro i governi e gli stati che li rappresentano. Contro guerra e repressione l’internazionalismo proletario è una necessità oggettiva che deve essere concretizzata, e in questo senso la compagna ha informato sulla campagna internazionale di sostegno alla lotta del popolo indiano, sul grande sciopero generale dei lavoratori indiani del 28/29 marzo, sulla campagna prolungata per la solidarietà e la liberazione di tutti i prigionieri politici e in particolare delle combattenti indiane, cuore della più grande guerra di popolo attualmente in corso, sulle quali la repressione del regime fascista e genocida di Modi si abbatte con particolare ferocia con stupri, torture e uccisioni nelle carceri. E’ stato così spiegato il senso della mostra esposta in Piazza dell’Esquilino e del dossier, di cui sono state diffuse alcune copie.

Una forte testimonianza è stata anche quella di un compagno del Tigré, che ha denunciato la chiara matrice fascista, razzista e di classe delle leggi sull’immigrazione e la cittadinanza e ha parlato anche della gravissima situazione che si vive nel Tigré, governato da un regime fantoccio e fascista che ha portato la guerra nel paese, delle 120mila donne stuprate in 8 mesi di occupazione militare, delle distruzioni e la miseria portate dalla guerra, dei bombardamenti con i droni venduti dalla Russia e dall’Ucraina.

Il presidio si è concluso intorno alle 13,30. L’incontro al ministero dell’interno non è stato concesso, la rabbia delle persone immigrate ha trovato ancora una volta un muro di gomma, tanto razzismo e discriminazione. I presenti si sono dati un nuovo appuntamento a breve per decidere come proseguire: “Fino a quando non avremo documenti, le istituzioni di questo paese non dormiranno sonni tranquilli, la prossima volta non chiederemo permessi, invaderemo Roma!”.
Sotto il volantino diffuso a Roma in solidarietà alle prigioniere politiche indiane

FOGGIA

Alcune decine di braccianti immigrati e attivisti hanno presidiato oggi la Prefettura di Foggia, mentre una delegazione veniva ricevuta dalla prefettura.
L’iniziativa è parte di una giornata di mobilitazione nazionale che ha visto presidi anche alle Prefetture/Questure di Roma, Milano, Torino, Modena.
Mentre da Roma arrivava notizie che il Ministero degli Interni negava l’incontro previsto con un funzionario centrale, proponendo in alternativa un incontro col prefetto, a Foggia l’azione ha ottenuto un risultato parziale: l’impegno a riaprire da domani le presentazioni delle domande di protezione internazionale, sospese un mese fa per l’eccessivo numero di richieste.
All’uscita della delegazione dal palazzo, è stata improvvisato un breve corteo che al grido di “Documenti per tutti! Documenti subito!” ha attraversato l’isola pedonale, sfidando una fitta pioggia.

Da Taranto, una delegazione dello Slai Cobas per il Sindacato di Classe ha voluto contribuire alla manifestazione.

Ecco un sommario estratto dell’intervento: Anche da Taranto abbiamo voluto portare la nostra presenza e contributo, malgrado ogni difficoltà, alla manifestazione “documenti per tutte e tutti, repressione per nessuno”. Lo abbiamo fatto perché questa è una lotta importante, per tutti i lavoratori in Italia, nativi o immigrati che siano, e ancor di più in questi giorni. Lottare per i documenti oggi non è soltanto, come sempre è stata, la lotta per sottrarre i lavoratori immigrati, soprattutto in questa zona i braccianti, alle condizioni di ricatto e schiavitù, negazione dei diritti elementari, ma in questi giorni di guerra imperialista, significa lottare anche contro un’ulteriore ancor più inaccettabile discriminazione: a fronte dell’accoglienza a braccia aperte, garantita ai profughi di guerra ucraini, per altro giusta, questo governo rinnova la sua logica razzista continuando a negare documenti per gli altri profughi fuggiti da altre guerre, come se la guerra inter-imperialista in Ucraina fosse l’unica vera guerra, come se gli ucraini fossero gli unici veri profughi; mentre quelli che sono qui da anni e lavorano nelle nostre campagne, in fuga da altre guerre, di ogni tipo, di cui le potenze imperialiste di NATO, UE, Italia compresa, sono corresponsabili e da cui hanno tratto profitti.
Perciò in questa giornata è importante che si uniscano le legittime rivendicazioni alla lotta contro questa guerra e questo governo che in essa ci sta trascinando. E’ ben chiaro il legame che c’è tra la politica guerrafondaia di questo governo e le politiche che permettono il super-sfruttamento degli immigrati, le politiche razziste che li discriminano.
Abbiamo appena ricevuto la notizia che mentre qui la nostra delegazione viene ricevuta in Prefettura, a Roma stanno negando l’incontro col funzionario del Ministero che avevano assicurato. Non ci sorprende, sappiamo per nostra esperienza diretta, anche a Taranto dove anni fa abbiamo ottenuto risultati positivi nella lotta per i documenti, che solo la lotta in prima persona, dura, senza paura di ritorsioni, degli immigrati e di tutti gli antirazzisti e solidali può imporre tavoli, incontri, fino a ottenere soluzioni.
Per questo questa giornata deve essere l’inizio di una campagna di lotta prolungata e diffusa che continui la lotta che tutti noi stiamo portando avanti da anni e che ci impegniamo a continuare fino a quando questo sistema di sfruttamento di tutti i lavoratori, italiani e immigrati, non sarà sconfitto.

Oggi è soltanto l’inizio: quello che ci negano oggi dovranno darcelo domani, se insistiamo e alziamo il livello della nostra forza e unità, rendendo più forti e ampie le nostre azioni.”

Combattere il fascismo di stato e padronale. Massima solidarietà ai lavoratori Si Cobas Bologna

Il comunicato dello Slai Cobas s.c.

la nuova inchiesta nei confronti del SI Cobas a Bologna in cui la lotta sindacale dura viene equiparata a una ‘estorsione ‘ ai danni delle cooperative del bolognese appartiene a un tipo di criminalizzazione delle organizzazioni sindacali non nuova che in generale sono cadute nel vuoto, per la loro sostanziale inconsistenza .. dato che è pratica normale del sindacalismo classista e combattivo di richiedere salari, lavoro, diritti dei lavoratori minacciando altrimenti forme di lotta dura necessarie a ottenere gli obiettivi ..  non è la prima volta  che avviene e varie organizzazioni sindacali di base e classiste sono stati oggetto negli anni di  questo tipo di criminalizzazione ..Proprio per questo è un attacco al diritto di sciopero e alla libertà sindacale alla pratica delle lotte dei lavoratori di tutti – naturalmente oggi avviene verso il SI COBAS in un’area in cui i lavoratori organizzati da questo sindacato hanno condotto lotte dure e sono stati spesso oggetto di repressione e criminalizzazione

e’ necessaria la massima solidarietà contro questa operazione repressiva e giudiziaria che come altre prima di essa non deve passare – è fascismo padronale e di stato ed è quindi anche un’attacco politico che domanda una solidarietà che vada oltre i confini del sindacalismo classista e combattivo

certo l’esistenza del patto d’azione per un fronte unico di classe avrebbe aiutato questa battaglia, come è stato in occasione della repressione a Piacenza-

la strada del fronte unico di classe va percorsa comunque ed è questa una altra occasione per riprenderla e elevarla

slai cobas per il sindacato di classe

coordinamento nazionale

Comunicato Si Cobas
ENNESIMA INCHIESTA CONTRO IL SI COBAS!
Domani il Si Cobas si troverà protagonista della cronaca della città di Bologna, con una notizia che deflagherà come l’innesco di una bomba.
L’ipotesi è quella associativa, per il compimento di atti estorsivi nei confronti di aziende e di corruzione tra privati.
L’inchiesta, da quanto comunicatoci dai nostri legali, parte dalle dichiarazioni di un soggetto (il caporale di Castello d’Argile, filmato mentre costringeva i lavoratori a restituire una parte della retribuzione dai lavoratori pachistani, costretti a lavorare fino a 12 ore all’interno di un capannone e alloggiati dallo stesso caporale in un casolare diroccato privo di servizi igienici) denunciato dal SI Cobas nell’agosto del 2018 e successivamente arrestato per tali fatti.
Dalle dichiarazioni di tale soggetto, peraltro rese mentre si trovava in stato di arresto per tali ragioni, partono le richieste di intercettazione telefonica e telematica che tracciano l’attività di un paio di sindacalisti per due anni.
Il fondamento dell’inchiesta è dunque costruito su deposizioni di caporali e altri soggetti denunciati dal Si Cobas e su intercettazioni telefoniche, allo stato solo parzialmente oggetto di trascrizione.
Tali elementi vengono tradotti in una fantasiosa ipotesi associativa a delinquere (cioè il SI Cobas…), ed in una serie di attività definite estorsive, costituite principalmente da scioperi e picchetti nel settore Logistico.
Allo stato attuale non vogliamo e non possiamo dire di più, in quanto non abbiamo minimamente contezza del contenuto integrale di questa inchiesta, ma in base a quanto emerge attualmente denunciamo l’ennesimo tentativo di ridurre al silenzio un sindacato, al quale, nonostante gli oltre 50.000 iscritti a livello nazionale e gli oltre 5000 iscritti nella sola città di Bologna, non si riconoscono i diritti e le agibilità sindacali perchè non firmatario del T.U. sulla rappresentnza, che chi si occupa di diritto sindacale ben conosce nei limiti che pone all’azione dei sindacati di base.
Vogliamo solo dire che da sempre siamo oggetto di interventi repressivi da parte della magistratura, anche con arresti culminati in quello del Coordinatore Nazionale Aldo Milani, poi assolto dal reato di estrorsione, oltre che di decine e decine di processi per violenza privata (scioperi), dai quali i sindacalisti ed i lavoratori sono stati sempre assolti.
Il SI Cobas dunque si riserva di esprimere una posizione più articolata nel merito non appena sarà possibile visionare gli atti, e non appena possibile sarà pienamente a disposizione per chiarire a tutti l’intera vicenda con la trasparenza che ci ha sempre contraddistinto, riservandosi altresì di valutare eventuali condotte personali difformi dai principi e dai valori che da sempre hanno contraddistinto il nostro sindacato.

SI Cobas Bologna, 23 marzo

Carcere di Modena: Violenze e torture da “macelleria messicana”

Nelle testimonianze raccolte dalla Procura si parla di detenuti ammassati in uno stanzone, ammanettati, presi a manganellate e alcuni denudati. Tra loro persone semi coscienti per l’abuso di metadone. Era l’8 marzo 2020

di Damiano Aliprandi

Ammassati in una stanza vengono obbligati con lo sguardo a terra, alcuni sarebbero stati denudati con la scusa della perquisizione, e via a una violenta scarica di manganellate e ceffoni. Emerge un vero e proprio massacro che ha luogo in un locale situato in un casermone attiguo al carcere di Modena, prosegue durante il viaggio notturno in pullman e non si esaurisce quando i detenuti giungono al penitenziario di Ascoli Piceno.

Tanti di quei reclusi denudati e picchiati nel casermone dell’istituto carcerario Sant’Anna di Modena erano già in stato di alterazione dovuto da mega dosi di metadone assunte durante la rivolta dell’8 marzo 2020. Sono soprattutto reclusi stranieri a essere stati picchiati, tanti di loro – com’è detto -, in stato di incoscienza dovuto dall’assunzione elevata dose di droga e psicofarmaci.

Ma tra loro c’era anche Salvatore Piscitelli, l’uomo che in seguito – trasferito nella notte al carcere di Ascoli Piceno assieme agli altri – morirà dopo essere stato trasportato di urgenza in ospedale con un oggettivo ritardo rispetto alla richiesta di aiuto da parte dei suoi compagni di cella. Come già riportato da Il Dubbio, la procura di Ascoli Piceno ha presentato la richiesta di archiviazione. L’associazione Antigone, tramite l’avvocata Simona Filippi, ha avanzato opposizione.

E l’agente minacciò: «Adesso facciamo un altro G8!»

Ma dagli atti della vicenda Piscitelli emergono altri dettagli che, se confermati dalle indagini tuttora in corso, dipingono un vero e proprio “sistema” di abusi e torture attuato da alcuni agenti penitenziari di almeno tre istituti penitenziari diversi: oltre a quelli di Modena, anche di Bologna e di Reggio Emilia giunti come rinforzo.

E questo, sottolineiamo, riguarda la presunta mattanza avvenuta nel carcere Sant’Anna a fine rivolta. Il Dubbio ha potuto visionare in esclusiva gli atti. Sono diverse testimonianze di detenuti raccolte dalle Pm della procura modenese e tutte convergono su una vera e propria “macelleria messicana”, tanto che – come testimonia un detenuto – c’è stato un agente penitenziario, una volta entrato nella stanza del casermone, che avrebbe urlato: «Adesso facciamo un altro G8!». Il ricordo va inevitabilmente ai terribili fatti della scuola Diaz avvenuti a Genova nel 2001, quando la polizia fece irruzione e al grido «Adesso vi ammazziamo», picchiò i ragazzi del coordinamento del Genoa Social Forum.

Dopo la rivolta le violenze inaudite su circa ottanta detenuti

Ritorniamo ai fatti di Modena emersi dalla ricostruzione delle testimonianze raccolte dalla procura. L’8 marzo 2020 scoppia una violenta rivolta, prendono fuoco alcune sezioni, compreso l’ufficio di comando. Scene apocalittiche. Alcuni detenuti riescono a prendere le chiavi lasciate dagli agenti, mettendo così in salvo altri reclusi rimasti chiusi in cella. Man mano gli agenti hanno indirizzato i detenuti nel campo dicendo loro di rimanere lì, tranquillizzandoli perché non sarebbe successo niente. Dopodiché, man mano, sarebbero stati ammanettati e costretti a rimanere con la testa abbassata. Hanno attraversato due porte carraie, fino a giungere in un specie di casermone e ammassati dentro una stanza.

Dalle testimonianze raccolte in atti emerge che diversi detenuti sarebbero stati manganellati, insultati e riempiti di sputi lungo il corridoio che portava al locale. Alcuni detenuti, soprattutto stranieri, entravano nello stanzone già con la testa sanguinante. All’interno c’erano agenti penitenziari che provenivano sia da Bologna che da Reggio Emilia. Alcuni testimoni li hanno riconosciuti perché precedentemente erano stati reclusi in quei penitenziari. A tutti i detenuti ammassati nello stanzone, circa una ottantina, sono state fatte togliere le scarpe e costretti a rimanere seduti per terra.

Ed è in quel momento che diversi reclusi avrebbero ricevuto ulteriori manganellate in faccia, nei fianchi, sulle gambe. «Ad esempio c’era un ragazzo straniero – racconta alle Pm un testimone -, non so se tunisino o marocchino. Si vedeva che era in condizioni pietose, al livello di… non so cosa avesse assunto, e gli hanno dato un sacco di manganellate a questo qua, in faccia, in testa, questo ha fatto uno, due, tre, quattro metri e si è accasciato a terra».

Salvatore Piscitelli stava già male ed è stato manganellato

Altri detenuti, come dicono più testimoni ascoltati, sono stati fatti completamente spogliare con la scusa della perquisizione. In quella caserma giunse anche Salvatore Piscitelli. Secondo un altro testimone sentito dalle Pm, era già in condizioni particolari. «Quando lui è entrato già nella stanza lui tremava, tremava – racconta il detenuto –, io l’ho guardato e lui mi fa: “Mi hanno picchiato”». Testimonia che tremava così tanto, che un agente ha chiamato un’infermiera dell’ambulanza, che gli ha dato delle gocce. Un altro testimone racconta che avrebbero manganellato Piscitelli anche dentro quella famigerata stanza.

Nel trasferimento uno di loro è stato lasciato a Rimini e rianimato

Non sarebbe finita lì. Nella notte diversi detenuti sono stati fatti salire nei pullman per trasferirli nel carcere di Ascoli Piceno. Durante il tragitto, un detenuto testimonia di aver visto agenti manganellare alcuni reclusi. Diversi di loro si sentivano male, uno in particolare gli usciva la schiuma dalla bocca e per questo motivo è stato portato al carcere di Rimini, quello più vicino. Giunti sul posto lo hanno messo sull’asfalto, è venuta l’ambulanza, gli hanno fatto una siringa e lo hanno rianimato con il defibrillatore. Ricordiamo che nel tragitto c’era anche Piscitelli che, a detta di alcuni testimoni, stava già visibilmente male.

Giunti al carcere di Ascoli Piceno, l’inferno non sarebbe finito

Sempre tutti i testimoni ascoltati convergono con il fatto che la visita medica effettuata appena sono entrati, sarebbe stata fatta superficialmente. Non solo. Un detenuto testimonia che, nonostante fosse visibilmente pieno di segni dovute dalle percosse, il medico di guardia gli avrebbe soltanto chiesto: «Hai qualche patologia? Prendi farmaci particolari?». A riposta negativa, «A posto, vai!». Tutto qui. Anche Piscitelli stava male, tanto è vero – come raccontano i detenuti -, gli agenti l’avrebbero fatto scendere dal pullman prendendolo per i capelli, perché lui non riusciva a camminare da solo. Un testimone racconta che alla visita medica, Piscitelli ha lasciato bisogni fisiologici sulla sedia. Scene indegne per un Paese civile.

Le violenze sarebbero proseguite anche nel carcere di Ascoli Piceno

Come risulta dalle testimonianze raccolte dalle Pm di Modena, al carcere di Ascoli sarebbero proseguite le violenze da parte degli agenti. Nella notte, i detenuti trasferiti hanno infatti avuto il sentore che potesse accadere di nuovo. Un testimone racconta di come il suo compagno di cella, un serbo, gli ha detto di ripararsi dietro di lui nel caso di una spedizione punitiva. Tutto tace. Ma è stata la quiete prima della tempesta. Il mattino seguente, una squadra di agenti sarebbero entrati nelle celle a manganellare. In seguito, per quasi 15 giorni, avrebbero proseguito la violenza senza manganelli, ma con gli schiaffi. Per quasi un mese sono rimasti scalzi e con gli stessi vestiti e biancheria intima. Emerge una omertà che avrebbe coinvolto non solo gli agenti, ma anche altre figure penitenziarie. Solo grazie all’esposto fatto da sette detenuti, è emerso tutto questo Sistema di torture e lesioni aggravate.

Resta il dubbio: tra i morti c’era qualcuno di quelli picchiati?

Attualmente il fascicolo sulle violenze al carcere di Modena è ancora aperto. Alcuni agenti sarebbero stati identificati grazie al riconoscimento dei detenuti. Nove però sono le morti archiviate. Molti sono detenuti stranieri deceduti per overdose. Rimane il dubbio atroce: alcuni di loro sono quelli picchiati nella caserma del carcere Sant’Anna? Sappiamo che Piscitelli, per la cui morte Antigone ha fatto opposizione all’archiviazione, era tra quelli come dicono più testimoni. Su queste morti sarà investita la Corte Europea dei Diritti umani. Sulle violenze, ancora si attende l’esito delle indagini. Sullo sfondo c’è la commissione ispettiva del Dap istituita per le rivolte del 2020, ed è composta da un magistrato, tre direttori, due comandanti e due dirigenti. Darà risposte su questa ennesima mattanza che emerge dagli atti?

da il dubbio

NO alla repressione degli antimperialisti a Taranto – NO armi da Taranto/Puglia che alimentano la guerra in Ucraina

Mentre continuano le esercitazioni per la guerra nei nostri mari e la preparazione di invio di armi, cacciabombardieri, soldati in Ucraina; mentre il governo aumenta in maniera mai come prima le spese militari, impedendo anche al parlamento di esprimersi, e lo fa raccattando soldi da ogni dove, dai fondi sociali, dal lavoro, dalla sanita’, dalla scuola, dai sussidi per i poveri e disoccupati, anche dai fondi gia’ miseri degli altri profughi/immigrati (di pelle nera) con un evidente razzismo, mentre solo elemosine vengono stanziate per il carovita e bollette,

l’unica “attenzione” verso i tanti lavoratori, giovani, donne che si oppongono a questa maledetta guerra interimperialista è la REPRESSIONE!

A Taranto e in Puglia vogliono denunciare giovani, compagni e compagne antimperialisti che giustamente hanno protestato e continueranno a protestare, perchè TARANTO NON E’ CITTA’ DI GUERRA – LAVORO NON SPESE MILITARI!

Guerra e repressione per questo Stato imperialista vanno insieme (come in Russia, come in Ucraina).

Ma più sollevano vento e più risponderemo con la lotta, giusta, per fermare questa guerra

La denuncia portata anche alla manifestazione di Firenze
(contenuta nel foglio speciale di proletari comunisti)

31 attivisti rinviati a processo per avere manifestato contro il 41 bis

Da Contropiano

Alla fine sono iniziate ad arrivare le notifiche dal Tribunale de L’Aquila, a firma della Giudice Guendalina Buccella, i rinvii a giudizio a 31 attivisti politici di varie associazioni e gruppi di diverse parti d’Italia che, il 24 novembre 2017, avevano con numerosi altri solidali manifestato con fermezza contro la tortura del 41 bis.

In particolare contro le ulteriori vessazioni che la prigioniera politica Nadia Lioce, in regime di isolamento speciale dal 2003, subiva da parte della direzione del carcere speciale aquilano.

Quel giorno della manifestazione la detenuta Lioce doveva presenziare in video conferenza, alla terza udienza di un processo penale perché avrebbe, attraverso una “battitura” (unico mezzo possibile per richiamare un minimo di attenzione in una condizione di detenzione durissima) “disturbato la quiete ed il riposo delle persone”.

La denuncia giudiziaria alla prigioniera era partita naturalmente dai suoi carcerieri. La protesta sacrosanta della detenuta risaliva al 2014, allorquando una circolare del DAP e la pronuncia della Cassazione, avevano stabilito l’impossibilità, per chi è recluso in regime di 41 bis, ovvero seppellito vivo dal mondo (sono diverse centinaia in Italia i detenuti a 41 bis), di detenere libri o riviste in cella o di riceverne dall’esterno. Se questa non è tortura…

Va ricordato che già diversi Tribunali e Corti sovranazionali hanno richiamato i governi italiani a dismettere questa atroce misura detentiva. Invece, i governi del Bel Paese – di destra e “di sinistra” – che anche su questo non si differenziano, hanno proseguito in questi ultimi decenni a mantenere questo regime carcerario che viola platealmente i diritti basilari umani. Ulteriori informazioni le troviamo su questo stesso giornale.

Le denunce contro i solidali erano scattate il giorno stesso della manifestazione, perché l’allora questore de L’Aquila, Antonio Maiorano, aveva disposto in modo del tutto immotivato un divieto di manifestare per ragioni di ordine pubblico.

Una decisione a dir poco bislacca visto che non c’erano state da nessuna parte minacce di fare di quella giornata di denuncia e solidarietà, un momento di azioni eclatanti tali da mettere in pericolo la sicurezza pubblica.

La decisione di vietare il diritto democratico di esercitare la libertà di espressione, di manifestazione del dissenso contro il 41 bis in quanto tortura, in realtà era semplicemente un modo per tenere silenziata una vicenda che era a dir poco vergognosa per uno “stato di diritto”.

Per questa ragione, tutto sommato rispettosa del dettame costituzionale, fu deciso dai promotori di quella giornata di lotta di non rinunciare a manifestare la solidarietà alla prigioniera Lioce sotto processo per avere rivendicato un suo diritto.

Fu così, dopo un anno da quell’evento, che i 31 denunciati ricevettero una condanna pecuniaria di 500 euro. Ma per le stesse ragioni legittime di non rinunciare al diritto di manifestare, questa condanna pecuniaria priva di fondamento fu da molti destinatari impugnata legalmente.

Non è un caso che sul 41 bis si preferisca censurare. D’altra parte sul tema del carcere e delle condizioni generali di migliaia di detenuti rinchiusi in stato di sovraffollamento, di scarsa igiene, di carenza di servizi sanitari, di mancanza di presidi atti ad un vero recupero riabilitativo sociale e culturale, la tendenza in voga nello Stato è quella di tacere, di mettere la sordina a fatti e comportamenti gravi che avvengono dentro gli istituti di pena, ma non solo.

Sappiamo che sempre più le carceri sono delle vere discariche sociali, specie in questi ultimi decenni caratterizzati dalla crisi generale economica e sociale di un sistema in decadenza. In questi ultimi due anni di pandemia le contraddizioni si sono acutizzate.

Come sappiamo, le rivolte carcerarie che sono state sedate con una dura e brutale repressione che ha causato decine di detenuti torturati e pestati. E parecchi uccisi.

I fatti del 2020, nel carcere S. Anna di Modena e in quello di Santa Maria Capua Vetere, sotto amministrazione dell’allora governo “Conte 1” e con Bonafede ministro della giustizia, stanno lì a testimoniare le responsabilità della politica.

Il processo contro i 31 manifestanti de L’Aquila del 24 novembre 2017, si baserà sulla violazione dell’articolo 18 comma V de RD del 18 giugno 1931, e si terrà il 18 maggio prossimo.

Questo processo potrà  diventare occasione per riprendere la parola e la critica contro un sistema politico che fa della repressione poliziesca e della barbarie del carcere, allo stesso tempo “duro” e fatiscente, gli strumenti principali per il controllo sociale.

Torino – carcere tortura/carcere assassino. Intensificare denuncia e mobilitazione

Torino – carcere tortura/carcere assassino

Torino, torture in carcere. Il pm: «Tra gli agenti c’era un clima di omertà»

Chiesto il rinvio a giudizio per 22 imputati

Tra gli agenti in servizio nel carcere di Torino c’era un clima di «omertà» come quello che si respira in un «contesto criminale». Ha usato questo paragone il pm Francesco Pelosi per descrivere la reticenza degli uomini della polizia penitenziaria coinvolti nell’inchiesta sulle presunte torture e umiliazioni a cui venivano sottoposti i detenuti. Un trattamento riservato soprattutto a coloro che stavano scontando pene per reati a sfondo sessuale. Il magistrato ha chiesto il rinvio a giudizio per 22 dei 25 imputati. In tre hanno scelto il rito abbreviato: l’ex direttore del Lorusso e Cutugno Domenico Minervini, l’ex comandante della polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza (entrambi avrebbero ignorato le segnalazioni sui maltrattamenti) e un agente. Le loro posizioni verranno discusse il 31 maggio.

Gli episodi raccontati negli atti dell’inchiesta sarebbero avvenuti tra il 2017 e il 2019. Secondo la Procura, alcuni detenuti avrebbero subito «trattamenti degradanti» e «brutali vessazioni» da parte di una «squadretta» di agenti. Nella discussione, il pm ha rimarcato: «Tranne un paio di agenti, tutti gli altri imputati hanno detto di non aver mai visto né sentito di violenze sui detenuti. È chiaro che mentono». Poi ha aggiunto: «Anche coloro che hanno rotto il silenzio e hanno ammesso di essere a conoscenza di alcuni fatti, hanno spiegato di avere paura». Adesso sarà il gup Maria Francesca Abenavoli a decidere se disporre il giudizio.