Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

repressione e montatura poliziesca contro il gruppo musicale band P38

dalla stampa borghese

«Istigava a riprendere il progetto eversivo delle Br». Perquisita la band P38

I membri del gruppo musicale usavano nomi falsi. Le denunce dei parenti delle vittime del terrorismo

I nomi d’arte sono Astore, Papà Dimitri, Jimmy Pentothal e Young Stalin. Insieme, fino a cinque mesi fa, formavano la band «P38 – La Gang» ed erano soliti solcare i palcoscenici di circoli privati e centri sociali proponendo musica trapper. La loro reale identità, invece, è oscura alla maggior parte dei fan: non fosse altro che erano soliti presentarsi ai concerti celandosi dietro a un passamontagna bianco. A conoscerli, però, sono gli investigatori della Procura di Torino, che da tempo li ha iscritti sul registro degli indagati con l’accusa di apologia di terrorismo. Ieri mattina, carabinieri e polizia si sono presentati a casa di questi artisti ribelli, il più giovane ha 23 anni e il più grande 34, con un decreto di perquisizione: nessuno di loro abita in Piemonte, risiedono a Bergamo, Nuoro e Bologna. L’accusa, stando al capo d’imputazione, è: «Quali componenti del gruppo musicale P38 La Gang facevano apologia del gruppo terroristico Brigate rosse, di cui esponevano nei concerti la bandiera rossa con una stella a cinque punte e la scritta Br, e delle loro imprese delinquenziali. Nonché istigavano a riprenderne il progetto eversivo anche tramite l’uso della violenza avverso rappresentanti della politica e dell’informazione».

«P38» è chiaramente evocativo di un determinato periodo storico: è la marca della pistola che le Br usavano per gambizzare e uccidere i loro obiettivi politici. Ma a segnare il confine tra un offensivo amarcord e la presunta istigazione a delinquere sarebbero i testi delle canzoni urlate dal palco. Tra questi, il più famoso parla del rapimento di Aldo Moro: s’intitola «Renault» ed è un esplicito riferimento alla vettura in cui venne ritrovato il corpo del leader della Dc: «Presidente mi sembra stanco, la metto dentro una Renault 4» e «Zitto pagami il riscatto, zitto sei su una R4». Molti altri — fino a poco tempo fa rintracciabili sul canale YouTube — sembrano inneggiare agli Anni di Piombo: «Primo Comunicato», «Fritto misto», «Ghiaccio Siberia». Quest’ultimo si apre con la registrazione di un’intervista a Mario Moretti, membro del gruppo che rapì e uccise Moro, del giornalista Sergio Zavoli.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Emilio Gatti e dal sostituto Enzo Bucarelli, ha preso le mosse nel dicembre dello scorso anno dopo un’informativa della Digos di Torino. Ma è stato nel maggio 2022 che la vicenda è mediaticamente deflagrata. In poco tempo, la band si è fatta conoscere esibendosi su palchi meno di nicchia. E così il Primo Maggio ha proposto la propria performance negli spazi del circolo Arci di Reggio Emilia in occasione dell’evento: «La Festa dell’Unità Comunista». I P38 hanno fatto il loro ingresso con il tradizionale look (passamontagna bianco e bandiera di stampo brigatista), per poi intonare: «Esco con il ferro e ti vengo a sparare come a Montanelli». Parole inaccettabili per chi negli Anni di Piombo ha perso genitori, fratelli e amici. Tra questi anche Bruno D’Alfonso, il figlio di Giovanni, il carabiniere di 44 anni ucciso dalle Br il 5 giugno 1975 in un conflitto a fuoco alla Cascina Spiotta, nell’Alessandrino, durante la liberazione dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia. L’uomo ha presentato un esposto, mentre sul web la polemica si faceva sempre più accesa. Molti concerti sono stati annullati e a giugno è stata la stessa band ad annunciare su Instagram il ritiro dalla scena musicale: «Il progetto P38 è giunto al termine. Il tribunale dei magistrati e quello dei giornalisti incombono sulle nostre vite personali. I nostri telefoni, le nostre abitazioni e i nostri cari sono controllati da reparti Digos di tutta Italia. Ci togliamo il passamontagna per tornare in mezzo a voi come persone, come amici, come compagni. Ma non più come P38». Un addio che non li ha salvati dai guai giudiziari.

Torino, indagata per apologia di terrorismo la band «P38-La Gang»

Perquisizioni nei confronti dei componenti del gruppo

Quattro perquisizioni sono state eseguite da polizia e carabinieri nei confronti dei componenti della band musicale «P38-La Gang», (sciolta lo scorso giugno), indagati dalla procura di Torino per apologia di terrorismo. Il blitz è scattato in mattinata di oggi (25 novembre) quando sono entrati in azione militari dell’Arma e agenti della questura di Torino, coadiuvati dai colleghi di Bologna, Bergamo e Nuoro. Nel corso dell’operazione è stato sequestrato materiale informatico.

L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Enzo Bucarelli, risale al dicembre scorso, ma è emersa nel maggio di quest’anno in seguito a un esposto presentato da Bruno D’Alfonso, il figlio di Giovanni, il carabiniere di 44 anni ucciso dalle Brigate Rosse il 5 giugno 1975 in un conflitto a fuoco alla Cascina Spiotta, nell’Alessandrino, durante la liberazione dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia. Nel mirino degli inquirenti sono finiti i testi delle canzoni che la band presentava sui palchi di piazze e locali italiani.

A maggio, i P38, che è anche il nome della pistola divenuta il simbolo degli anni di piombo, si erano esibiti all’Arci Tunnel di Reggio Emilia, portando sul palco, con il volto coperto da passamontagna, la stella a cinque punte delle Brigate rosse e brani sugli anni di piombo.

Tra gli autori di esposti presentati contro la band c’era anche Maria Fida, figlia di Aldo Moro, il presidente della Dc rapito e assassinato dai brigatisti. Uno dei brani più famosi parla infatti del rapimento Moro, s’intitola «Renault» ed è un chiaro riferimento alla vettura in cui venne ritrovato il corpo del leader della Dc: «Presidente mi sembra stanco, la metto dentro una Renault 4».

Dopo gli esposti, in cui si sottolineava che le loro canzoni inneggiavano alle Br e al terrorismo, molti concerti sono stati annullati. A giugno, poi, è stata la stessa band ad annunciare su Instagram il ritiro dalla scena musicale: «Il progetto P38 è giunto al termine», denunciando appunto i concerti cancellati e la stretta sorveglianza della Digos, che aveva reso la vita, professionale e non, impossibile.

Ivrea – “Portateci via da questo inferno”

Ivrea, il grido dei detenuti picchiati: “Portateci via da questo inferno”

Pestaggi, pasti negati e violenze psicologiche: 45 indagati tra cui due direttori dell’istituto (continua solo per gli abbonati, n.d.r.)

CORRIERE DELLA SERA (TORINO)

Carcere di Ivrea, botte e torture ai detenuti: 45 indagati

Al momento gli indagati iscritti sono 45, tra appartenenti alla polizia penitenziaria, medici in servizio presso la Casa circondariale di Ivrea, funzionari giuridico pedagogici e direttori pro-tempore

Avrebbero rinchiuso detenuti dentro apposite celle, picchiandoli e impedendo loro di vedere anche i difensori: per questo diversi agenti della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Ivrea sono indagati per tortura; oltre ad altre persone tra cui medici, educatori e direttori-pro tempo (in tutto 45), cui vengono contestati altri reati, tra cui il falso in atto pubblico. Episodi che – secondo la Procura di Ivrea – continuavano ad accadere, nonostante le indagini della Procura Generale riferite a fatti del 2015, in cui erano già finite indagate 25 persone per  pestaggi ai detenuti avvenuti nello stesso carcere di Ivrea. Per questo, nel cuore della notte scorsa (22 novembre), personale del Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, del comando provinciale dei carabinieri di Torino e della guardia di finanza di Torino, hanno dato esecuzione a 36 perquisizioni domiciliari, notificando altrettante informazioni di garanzia. Gli accessi sono avvenuti nella casa circondariale e nelle abitazioni degli indagati.

La nuova indagine riguarda numerosi fatti riferiti agli anni successivi (a quelli oggetto di accertamento da parte della Procura Generale), e in particolare diversi episodi dell’ultimo biennio, alcuni anche recentissimi, sino all’estate scorsa. Al momento gli indagati iscritti sono 45, tra appartenenti alla polizia penitenziaria, medici in servizio presso la Casa circondariale di Ivrea, nonché funzionari giuridico pedagogici e direttori pro-tempore: i reati ipotizzati sono quelli di tortura con violenze fisiche e psichiche nei confronti di numerosi detenuti, falso in atto pubblico e reati collegati. Le indagini finora svolte – secondo gl investigatori, coordinati dal pubblico ministero Valentina Bossi – hanno consentito di raccogliere precisi e gravi elementi probatori oggettivi che hanno fornito riscontro alle denunce prodotte alla Procura nel corso degli anni (da alcuni detenuti), permettendo così di individuare la cosiddetta “cella liscia” nonché il cosiddetto “acquario”, celle entro le quali i detenuti venivano picchiati e rinchiusi in isolamento senza poter avere contatti con alcuno, nemmeno con i loro difensori.

I reati risultavano tuttora in corso, situazione che ha reso ineludibile l’intervento degli inquirenti. Le indagini proseguono, per meglio chiarire le responsabilità di ognuno in relazione ai fatti già noti e per verificare l’eventuale sussistenza di ulteriori episodi in danno dei detenuti.

Ivrea – il carcere dei massacratori e torturatori in divisa – pagherete caro, pagherete tutto!

Pestaggi e umiliazioni nel carcere di Ivrea. Detenuto in isolamento 15 giorni per far guarire le ferite

Agenti di polizia penitenziaria, medici, educatori e dirigenti non avrebbero mai interrotto le violenze fisiche e psicologiche dietro le sbarre

Li picchiavano nella cella liscia, li portavano nell’acquario, denudati, tenuti al buio per interminabili ore. Imponevano il silenzio, punivano con provvedimenti disciplinari inventati o pretestuosi, al solo scopo di infondere la paura. Il rischio per i detenuti era quello di veder andare in fumo gli sconti dei giorni per la libertà anticipata. Tutti sapevano, pochi parlavano. È la storia di un inferno che è proseguito come se nulla fosse, nonostante un’indagine pregressa che già coinvolgeva il carcere di Ivrea, nonostante l’attenzione che altre procure, e gli stessi media, hanno riservato agli intollerabili pestaggi nei confronti dei detenuti. Botte, vessazioni, minacce e relazioni falsificate.

E ancora una volta il reato di tortura: la procura eporediese ha messo insieme quattro anni di denunce e nella notte tra lunedì e martedì ha proceduto ad effettuare 36 perquisizioni. Ma sono 45 in tutto gli indagati coinvolti, per la maggior parte agenti della polizia penitenziaria ma anche medici in servizio nel carcere, funzionari giuridico pedagogici e direttori pro-tempore della casa circondariale. Personale della polizia penitenziaria, carabinieri e guardia di finanza hanno bussato alle abitazioni degli indagati, sequestrando cellulari e supporti informatici. Poi li hanno portati in carcere dove hanno proceduto alla perquisizione dei loro armadietti. Le guardie – il cui gruppo più numeroso è difeso dall’avvocato Celere Spaziante – negano ogni accusa e si dicono fiduciosi di chiarire al più presto le proprie posizioni.

Quello che ha stupito gli inquirenti è che il carcere di Ivrea negli anni sia rimasto il penitenziario più temuto, quello in cui i detenuti non volevano essere portati e quello sul quale, appena venivano trasferiti, raccontavano gli orrori subiti, nel famoso “acquario”, l’anticamera dell’infermeria che equivale a una cella liscia. Un carcere in cui i direttori hanno condiviso il ruolo in altre sedi, risultando spesso assenti.

Dopo l’inchiesta avocata dalla procura generale per i fatti risalenti al 2015 e 2016, per cui ci sono stati 25 avvisi di garanzia, la procura guidata da Gabriella Viglione ha deciso di riunire in un solo fascicolo tanti episodi – sarebbero una ventina quelli in indagine – tutte le denunce sporte tra il 2019 e l’agosto 2022. Storie di violenze fisiche e psicologiche sui detenuti spesso più fragili, italiani e stranieri. Come il tunisino trasferito dal carcere di Vercelli che aveva dimenticato in cella le foto del padre e del figlio. Dopo aver chiesto di riaverle per giorni, alcuni agenti sarebbero arrivati nella sua cella dicendogli di seguirli per riprenderle. Invece lo avrebbero portato nell'”acquario”: l’avrebbero denudato, ammanettato e picchiato.

Altri due detenuti stranieri avevano fatto racconti simili. Un italiano sarebbe stato messo in isolamento per 15 giorni solo perché guarissero lividi e ferite e nessuno se ne accorgesse, per poi essere anche trasferito per nascondere le violenze. Gli esposti si sono susseguiti nei mesi, correlati ad abusi psicologici, minacce di ritorsioni o ispezioni in cella quasi quotidiane, per dispetto, con annessi rapporti disciplinari destinati all’archiviazione ma comunque in grado di vessare i detenuti. Un italiano ne ha ricevuti una dozzina, uno dopo l’altro: entravano nella sua cella e sostenevano di aver trovato qualcosa di illecito. Ancora, il caso di un italiano di 22 anni, a cui era stato rotto un braccio. Non durante un pestaggio ma nel “braccio di ferro” con un agente: un fatto ufficialmente catalogato come una caduta per le scale. Al padre, il giovane avrebbe raccontato la reale dinamica. Ma a quel punto per lui sarebbe cominciato l’inferno. Assistito dall’avvocato Gianluca Orlando, è stato sentito più volte. E sono emerse le minacce e le relazioni falsificate proprio per coprire quel fatto. I medici sarebbero invece accusati di omissioni, per aver coperto o evitato di denunciare le lesioni riscontrate sui detenuti.
Tra gli ultimi episodi finiti al vaglio degli investigatori anche quello di un ragazzo italiano detenuto dal 24 luglio al 31 agosto, denudato, picchiato e costretto ad assumere psicofarmaci. La madre aveva raccontato in una lettera, l’orrore senza fine del carcere di Ivrea.

Perquisizioni e foglio di via a un compagno sospettato di aver scritto: ABBASSATE I PREZZI, NON PAGHIAMO. Complicità e solidarietà dal srp

Venerdì scorso un compagno anarchico del Campetto occupato a Giulianova è stato perquisito da agenti dalla Digos, che non trovandolo in casa all’alba, l’hanno fermato per strada mentre andava al lavoro. Gli hanno sequestrato il telefono subito e in mezzo alla strada gli agenti hanno eseguito una prima perquisizione, che poi è stata estesa alla sua abitazione e alla sua autovettura. Oltre il cellulare, sono stati sequestrati indumenti e oggettistica varia. Il compagno poi è stato portato in Questura dove è stato fotosegnalato, gli sono state prese le impronte digitali e gli è stato dato un foglio di via dal Comune di Teramo, della durata di due anni. Nel primo pomeriggio è stato rilasciato.
La perquisizione prende piede, a detta delle carte, da un danneggiamento che sarebbe avvenuto circa un mese fa a un punto Enel a Teramo, a cui sarebbe stata incollata la serratura e lasciato il biglietto ABBASSATE I PREZZI, NON PAGHIAMO.

Non è la prima volta che gli occupanti del Campetto subiscono queste intimidazioni, e misure repressive, l’ultima, in ordine di tempo è stata tre settimane fa, quando lo spazio sociale ospitava la presentazione del libro “Prostitute in rivolta”, a cura del collettivo Ombre Rosse e poi uno spettacolo a cura del Collettivo Malelingue. Allora l’intero quadrante intorno allo spazio fu accerchiato da forze dell’ordine, digos, polizia, carabinieri, vigili urbani, finanza con unità cinofile, investendo migliaia di soldi pubblici in un’operazione repressiva e intimidatoria, mentre per le cose essenziali i soldi non ci sono.

Guerra, carovita, carobollette, disoccupazione, precarietà, queste sì invece ci sono, e chiunque sia stato a incollare quella serratura e a lasciare quel biglietto ha fatto bene.
Solidarietà senza se e senza ma al compagno perseguitato, se toccano uno toccano tutti!
FORZA GIGI, LA LOTTA CONTINUA!

Assolto street artist No Tav: “Decora una grigia opera pubblica”

Il lavoro era stato realizzato in un sottopasso ferroviario della Val Susa

Non solo non ha commesso un reato, ma ha dato “ornamento, visibilità e valore ad un’opera pubblica grigia ed anonima”. Con queste motivazioni un giudice di Torino ha assolto Blu, un noto street artist. Il 41enne era accusato di “imbrattamento” per aver realizzato un murales dedicato al mondo No Tav in un sottopasso ferroviario della Val Susa.

 

 Manifestazione in solidarietà ad Alfredo Cospito, in sciopero della fame – Presente Soccorso rosso proletario – “Fuori Alfredo dal 41 bis”

Manifestazione a Roma in solidarietà con Alfredo Cospito, che da giorni è in sciopero della fame a tempo indeterminato. Alfredo è detenuto da dieci anni, per l’ultimo reato, un attentato del 2006 che non ha causato morti o feriti e che invece la Cassazione ha classificato come “strage politica”, chiedendo che la pena sia rivalutata, Cospito rischia l’ergastolo ostativo, anche se non c’è stata nessuna vittima. Vuol dire che rischia di non uscire mai dal carcere.

Dopo il presidio in piazza Gioacchino Belli, la manifestazione è arrivata prima in via Arenula, nei pressi del Ministero della Giustizia, e poi al Circo Massimo, passando sotto il Ministero della Salute. Una manifestazione che ha visto al solito intimidazioni e un massiccio schieramento da parte della polizia.

Numerosi gli slogans scanditi durante il corteo: Scendiamo nelle strade, blocchiamo la città, contro la tortura di stato e autoritàLe stragi sul lavoro, in galera e in mezzo al mare, lo stato le compie e le dovrà pagare!Ergastolo ostativo, 41 bis, è questa la tortura made in ItalyCi uccidono in galera, ci uccidon sul lavoro, con tutti gli sfruttati gridiamoglielo in coro: assassini, assassiniNessuna pace con i padroni, blocchi, sabotaggi, occupazioniEconomia di guerra, minaccia nucleare, è ora di reagire per fargliela pagareCarovita, guerra e repressione, azione diretta, abbattere il padrone!

Contro il 41 bis per i prigionieri politici quali Colpito e altri compagni, contro l’ergastolo ostativo in solidarietà con tutti i prigionieri politici e i compagni colpiti dalla repressione

Stralci dalla cronaca da fanpage:

Un gruppo di circa quattrocento anarchici si sono riuniti questo pomeriggio a Roma, in piazza Gioacchino Belli nel cuore di Trastevere, per protestare contro il 41bis, il regime di carcere duro cui è sottoposto Alfredo Cospito.

“Fuori Alfredo dal 41 bis”, lo striscione di apertura della manifestazione, che ha bloccato tutto il quartiere di Trastevere nel pomeriggio di oggi, sabato 12 novembre, paralizzando completamente il traffico. “La rivoluzione è un fiore che non si spezza con l’abiura, solidarietà ad Alfredo Cospito” e “41 bis=tortura”, gli slogan e gli striscioni sul posto, gli agenti della Polizia di Stato. La manifestazione è stata sorvolata da un elicottero delle forze dell’ordine per tutta la sua durata.

Momenti di tensione si sono registrati tra piazza Gioacchino Belli e piazza Sonnino quando un gruppo di manifestanti ha tentato di raggiungere il carcere di Regina Coeli. La polizia ha respinto il corteo e si è avuto qualche tafferuglio, rientrato dopo poco. la manifestazione si è conclusa in largo Arenula.

Milano: pesanti condanne per il comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio. Siamo tutti Robin Hood!

Arrivata la sentenza di primo grado, a Milano, nel processo carico di nove compagne e compagni del ‘Comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio’, attivo nel quadrante occidentale della metropoli lombarda, in particolare sul fronte del diritto alla casa e a una vita degna.

Per la prima volta i giudici accettano la tesi accusatoria dell’associazione a delinquere in senso stretto “finalizzata all’occupazione abusiva di immobili di proprietà pubblica”, equiparando quindi i movimenti di lotta per la casa (e non solo) a veri e propri sodalizi criminosi.

I nove imputati nell’inchiesta “Robin Hood” sono stati infatti tutti condannati in primo grado dal Tribunale di Milano, con la durissima “accusa di associazione per delinquere finalizzata all’occupazione abusiva di immobili di proprietà pubblica”. Si tratta di condanne per oltre 30 anni di carcere.

In questi anni il Comitato ha svolto un duro e importante lavoro politico, finalizzato alla tutela degli abitanti delle case popolari e all’organizzazione di presidi sanitari, scolastici, solidali, a favore delle classi popolari che abitano in quella zona. Un lavoro che includeva la messa a disposizione delle case popolari abbandonate, aiutando chi ne aveva bisogno ad aprire e occupare la case fatiscenti e lasciate volutamente marcire da Aler e dai loro padrini politici. Il meccanismo lo conosciamo bene: abbandonare il patrimonio pubblico, rendere non assegnabili gli appartamenti privi dei presidi minimi di abitabilità, marginalizzare gli abitanti in un ghetto per poi cacciarli e – sulle ceneri dei vecchi quartieri popolari – costruire nuove zone e nuovi complessi immobiliari a prezzi di mercato. Pura speculazione a immagine e somiglianza di questa città del degrado.

Dietro a questa repressione c’è di fatto la volontà politica di affossare qualunque forma di resistenza allo strapotere dei padron. Ma Il processo dei nove imputati è diventato in realtà un simbolo del dibattito sull’emergenza abitativa in Lombardia che negli anni ha dato vita alla campagna “Siamo tutti Robin Hood”, in sostegno proprio agli accusati di associazione a delinquere.

Striscioni di solidarietà del Movimento di Lotta – Disoccupati “7 Novembre”