Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Gli interventi all’Assemblea proletaria anticapitalista – CAMPAGNE IN LOTTA: “Non è solo una lotta per gli immigrati ma una lotta di liberazione per tutti e tutte”

Riprendiamo, dal blog Proletari comunisti, la pubblicazione di alcuni degli interventi all’Assemblea di Roma.

Quello che viene nascosto anche da chi denuncia la grave condizione degli immigrati e il razzismo: LA LOTTA! 

CAMPAGNE IN LOTTA

Gli immigrati con cui facciamo la lotta sono tra Foggia e il Piemonte. La rete Campagne in lotta esiste da 10 anni circa, all’indomani della grande rivolta di Rosarno, in cui un gruppo di persone solidali italiane e lavoratori immigrati braccianti si autorganizza principalmente sui temi dell’ottenimento del permesso di soggiorno per tutti, sulle condizioni di lavoro e le condizioni di vita in generale. Abbiamo fatto in questi anni lotte in Puglia, in Calabria, in Piemonte ma anche in tante altre parti d’Italia senza appellarci a nessun partito politico né ad alcun sindacato confederale. Non è solo una lotta per gli immigrati ma una lotta di liberazione per tutti e tutte.

Soprattutto quest’estate ci sono stati ulteriori momenti in cui queste persone sono scese in strada per rivendicare ancora una volta il permesso di soggiorno senza condizioni. E’ successo a giugno in Piemonte dove gli immigrati erano costretti a vivere, a dormire per strada perché il Comune non dispone in alcun modo di un alloggio per i lavoratori stagionali e li lascia a dormire per strada nel parco per poi sfruttarli tutti i giorni nelle campagne ancora una volta. A Foggia dove ormai da anni le persone

scendono in piazza a giugno, siamo stati in strada all’indomani di gravissime aggressioni ai lavoratori che vanno a lavorare in bici e vengono attaccati da persone razziste del posto, prese a calci a sassate, e per fortuna decidono di non stare zitti, di scendere in strada e di rivendicare ancora una volta il diritto di esistere; ancora una volta siamo scesi in strada a fine agosto sempre su queste questioni. Questa lotta negli ultimi anni soprattutto ha scelto di essere molto conflittuale e di optare per strumenti che non sono appunto il corteo, la passeggiata, ma che siano azioni che negli anni hanno discretamente rotto le scatole ai Palazzi del potere, bloccando strade, bloccando i cancelli dell’industria di trasformazione – in questa assemblea ci sono compagni che sono stati con noi davanti a quei cancelli – bloccando il porto di Gioia Tauro, il casello autostradale di Foggia e tanto altro.

E hanno avuto dei risultati perché oggi a Foggia le persone immigrate hanno un rapporto di forza con la questura, sono riusciti a ottenere un gran numero di permessi di soggiorno, a migliorare le loro condizioni soprattutto di lavoro. Un esempio lampante che ci raccontavano quest’estate i nostri compagni è il fatto che da 2/3 anni a questa parte tantissimi lavoratori immigrati sono andati via dall’Italia per le condizioni di lavoro insopportabili e soprattutto per l’impossibilità di rinnovare il permesso di soggiorno e di essere regolari in questo paese. Sappiamo che il piano delle leggi sull’immigrazione è profondamente razzista, questo ha provocato il fatto che c’è una grandissima richiesta di lavoratori in agricoltura quindi c’è tanto lavoro, gli ortaggi e la frutta marciscono nei campi, nessuno li raccoglie, e per fortuna dopo anni di lotte gli operai braccianti hanno iniziato a dire ai padroni: sapete che c’è? A meno di 65/70 € al giorno noi non veniamo a lavorare; visto che nessuno viene a lavorare, visto che c’è una grandissima mancanza di lavoratori, adesso il prezzo lo imponiamo noi. Questa è una vittoria grandissima e un passo avanti se si pensa che fino ad anni fa la gente in provincia di Foggia per la maggioranza lavorava a cottimo a 3 € a cassone, per parlare solo del pomodoro. Questo per dire che la lotta autorganizzata ha fatto passi da gigante, pure essendo una lotta che è stata pochissimo appoggiata negli anni, se non da compagni e compagne solidali e che come tante altre lotte vi è stata una forte repressione, siamo pieni di fogli di via, denunce e processi.

Ma come si diceva prima: è una scelta di vita! Quindi uno decide anche di usare il proprio privilegio di avere un passaporto per dare il supporto a queste lotte.

E riallacciandomi al discorso di prima che sulle condizioni disastrose delle carceri e delle torture che ancora avvengono in Italia, il regime di 41 bis, non possiamo dimenticarci quello che avviene nei CPR, nei centri di detenzione per gli immigrati dove si viene reclusi solo per il fatto di non avere un documento. E’ notizia di poche settimane fa dell’ ennesimo suicidio che è un omicidio di Stato come tanti ne avvengono; questi centri sono luoghi di tortura e di violenza estrema che non possiamo pensare lontani da noi, fanno parte della nostra vita, il nostro governo li ha istituiti e finanzia i paesi torturatori con cui facciamo gli accordi.

Insieme a compagni immigrati e tanti alleati non solo in campagna ma anche in città, è nato un coordinamento che si chiama “documenti per tutti”. A Roma abbiamo fatto già tante cose insieme, anche con il movimento di lotta per la casa, con il coordinamento regionale sanità, e si sta pensando di organizzare quando il governo si sarà installato e quindi immaginiamo fine ottobre/inizi novembre a qualche azione conflittuale forte per dare un segno al governo di destra, del fatto che non possono pensare di decidere quello che vogliono sulla pelle delle persone.

E’ necessario portare avanti e solidarizzare con questa lotta che è una lotta per la libertà di movimento e per il permesso di soggiorno; non possiamo pensare che sia solo una lotta degli immigrati perché da un lato le condizioni, i dispositivi di controllo delle vite e di repressione che negli anni il governo ha applicato sugli immigrati dopo sono stati applicati sempre sul resto della popolazione, si pensa ai campi container, alle tendopoli, a tutta una serie di dispositivi punitivi proprio della libertà personale; e poi perché il fatto che le persone non sono regolari e sono costrette a vivere in condizioni indegne e quindi accettare anche condizioni di lavoro devastanti, ci riguarda tutti, perché è ovvio che anche le nostre condizioni lavorative e quello che noi saremo costretti ad accettare sarà al ribasso.

L’antirazzismo non è quello che si fa in campagna elettorale o in Parlamento, quello sotto i riflettori che piace tanto a certa sinistra, ma è quello che possiamo fare tutti e tutte nelle strade mettendo in mezzo i nostri corpi, i nostri cuori. Insomma è la solidarietà l’arma più forte.

A Roma la polizia carica i lavoratori della Sda in lotta contro i licenziamenti. Massima solidarietà, ma sempre più necessario un fronte unico di classe contro la repressione

La polizia è intervenuta con violenza questa mattina a Roma caricando i 300 lavoratori SDA, da martedì in sciopero con l’Unione Sindacale di Base dopo il licenziamento di 17 corrieri delle filiali di Pomezia e Fiumicino. Due lavoratori colpiti con i manganelli alla testa hanno perso conoscenza e sono stati soccorsi dal 118.

Dopo il nutrito presidio di ieri, oltre 300 corrieri si sono mobilitati davanti alla sede di Poste Italiane in viale Europa, all’Eur. Alla notizia che anche oggi non sarebbero stati ricevuti dalla dirigenza di Poste Italiane, che ha anche ordinato la chiusura degli ingressi della sede, gli operai hanno tentato di organizzare un corteo, bloccati però dalle forze dell’ordine.

A quel punto i corrieri hanno effettuato un blitz nell’ufficio postale adiacente, in modo assolutamente pacifico. La polizia è intervenuta manganellando lavoratori e sindacalisti e spintonandoli fuori dallo stabile. Un corriere, colpito alla testa, ha perso conoscenza ed è caduto dalla scalinata all’ingresso dello stabile; stessa sorte per un altro lavoratore. Per entrambi è stato necessario il soccorso del 118.

USB denuncia questo ennesimo atto di repressione violenta sui lavoratori in lotta contro i licenziamenti e le politiche di concorrenza interne attuate da SDA e da Poste con la piattaforma Milkman, che causa il peggioramento delle condizioni contrattuali dei corrieri.

A nuovo governo non ancora formato si conferma che i metodi rimangono gli stessi, in perfetta continuità con i precedenti esecutivi: gli operai vanno manganellati senza pietà se osano alzare la testa.

Non ci lasceremo intimidire da questi atti di violenza: USB appoggia le lotte dei lavoratori SDA, chiede l’immediato reintegro dei lavoratori licenziati e prepara nuove iniziative di lotta.

USB- Unione Sindacale di Base

Genova 2001 non è finita / No all’estradizione di Vincenzo Vecchi

Genova 2001-Parigi 2022

A più di vent’anni dal g8 di Genova 2001, si decidono a Parigi le sorti di Vincenzo Vecchi ricercato in Italia per aver manifestato la sua opposizione ai grandi della terra.

Condannato nel 2012 ad una pena tanto pesante quanto assurda, come è stato per tutti i condannati per Genova 2001

Catturato in Francia nell’agosto 2019 dopo dieci anni di processi e quasi altrettanti di latitanza

Vincenzo si trova attualmente libero

Grazie alla mobilitazione solidale cresciuta in Francia al momento del suo arresto dopo alcune sentenze positive dei tribunali francesi, che hanno rigettato il reato di devastazione e saccheggio utilizzato dai giudici italiani, una sentenza della corte di giustizia europea rischia ora di ribaltare la decisione francese di non estradare Vincenzo

Per questo la sua libertà è di nuovo in pericolo e i comitati di solidarietà sono tornati per le strade

Il prossimo 11 ottobre la corte di cassazione di Parigi prenderà una decisione che potrebbe essere quella definitiva

Come familiari, amici e compagni di Vincenzo invitiamo chiunque possa e voglia farlo
a mobilitarsi anche in Italia

Dal prossimo 1º ottobre In ogni maniera, anche solo con un presidio, un volantinaggio, uno striscione, un disegno o una scritta su un muro (se puoi, comunicaci quanto hai intenzione di fare e, se possibile, inviaci immagini da condividere con i comitati francesi, a questo contatto: info@sosteniamovincenzo.org)

in vista di un corteo a Milano sabato 8 ottobre ore 15,00 P.ta Genova

Per sostenere che le ragioni di chi allora scese per le strade di  Genova sono oggi ancora più giuste ed urgenti

Per ribadire che i governanti non vanno lasciati tranquilli mentre devastano e saccheggiano il pianeta su cui viviamo per protestare contro una giustizia europea ostaggio degli interessi commerciali e militari per ricordare che il carcere non è una soluzione ma un problema

Nessuna estradizione, nessuna prigione! Vincenzo libero, liberi/e tutti/e!

Assemblea di sostegno a Vincenzo, 18 settembre, Milano (prossimi appuntamenti: www.sosteniamovincenzo.org [1])

Links: ——[1] http://www.sosteniamovincenzo.org

Il tribunale di Modena sancisce il diritto dei padroni all’estorsione e allo schiavismo dei lavoratori, considerando lo sciopero un atto criminale e le manifestazioni di esso un “reato di piazza”. Solidarietà al Si Cobas, costruire un fronte unico di classe contro la repressione!

Per il Tribunale di Modena Italpizza è lo Stato e il sindacato deve risarcirla come tale

Riprendiamo dalla pagina facebook del Si Cobas di Modena la notizia sull’assurda decisione del Tribunale, l’ennesimo precedente che si inserisce nella strategia di normalizzazione del dissenso sociale che sta diventando sempre più articolata a livello nazionale

Oggi, lunedì 3 ottobre 2022, nel corso dell’udienza preliminare per il maxi-processo Italpizza, il Tribunale di Modena ha preso due decisioni che segnano un precedente epocale nella repressione al sindacalismo di base:

il giudice ha infatti accolto la richiesta dell’azienda di indicare il sindacato S.I Cobas come responsabile civile per i presunti danni produttivi all’azienda, con l’esorbitante richiesta (presentata senza alcun dettaglio o giustificativo) di “almeno 500.000 euro”.

Inoltre ha accolto il diritto di Italpizza di costituirsi come parte civile per tutti i reati presuntamente commessi nei lunghi mesi di mobilitazione davanti ai cancelli.

Il tribunale non solo quindi concede la possibilità di risarcire i danni derivati dai ritardi nelle consegne dovuti ai blocchi – considerando quindi lo sciopero un atto criminale, in barba a quarant’anni di giurisprudenza – ma anche per tutti i “reati di piazza”: resistenza, oltraggio a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, presunte lesioni a poliziotti…

Se un imputato venisse riconosciuto colpevole, ad esempio, di aver mandato a quel paese un ispettore, non solo dovrebbe scontare la condanna penale, ma anche risarcire Italpizza!!

In una parola: Italpizza si fa Stato…

Una decisione di questo tipo, unica nella storia giuridica repubblicana, costituisce un deciso passo in avanti nella costruzione del regime autoritario nel nostro Paese. È evidente come questi due assunti minaccino direttamente la vita stessa dei sindacati, di base e non solo.

Il S.I. Cobas non si lascia comunque intimidire e proseguirà nella lotta per la giustizia sociale, come prima, più di prima.

Russia, 2419 detenzioni durante le proteste contro la mobilitazione dal 21 al 26 settembre 2022. Ma le mobilitazioni contro la guerra continuano: “in trincea mandateci Putin!”

Contro i governi imperialisti crescerà inevitabilmente e sempre di più l’opposizione proletaria e popolare, organizzata, delle masse, l’odio contro i propri governi che hanno voluto questa guerra e l’hanno rovesciata sui popoli e i lavoratori.

Faremo controinformazione il più possibile con questo blog per fare crescere nel nostro paese la conoscenza e la solidarietà dei lavoratori e delle masse con chi, all’interno del regime russo, esprime la sua opposizione a questa guerra, una guerra provocata dall’espansione a est della NATO e dall’imperialismo occidentale.

La  via d’uscita a questa infamia imperialista è la lotta al proprio imperialismo, è la costruzione della forza proletaria che rovesci in ogni paese i propri governi, il proprio Stato. Vale per i proletari e le masse in Russia come in Italia, come nel mondo.

L’opposizione alla guerra all’interno della Russia ritorna in campo proprio in questi giorni, in particolare dopo l’annuncio di Putin di una “mobilitazione parziale” dei civili per combattere in Ucraina.

In questa fase la Russia sta registrando un arretramento militare sul campo subendo il contraccolpo dell’esercito ucraino armato e diretto dalla NATO e il 21 settembre Putin ha annunciato la mobilitazione di 300 mila riservisti. In quello stesso giorno in centinaia di migliaia si sono ammassati ai diversi confini della Russia formando km di code per lasciare il paese, su strada e per via aerea da Mosca verso qualsiasi destinazione possibile per evitare la coscrizione.

Ma non c’è solo la fuga, in migliaia sono scesi in piazza per protestare. In 42 città, le forze di sicurezza hanno arrestato 1.330 persone. “In trincea mandateci Putin” hanno gridato.

Un’opposizione al regime di Putin c’è sempre stata, ma era ed è un’opposizione “interessata” di elementi neonazisti, ricchi padroni, oligarchi sostenuti ed alimentati dall’imperialismo USA/NATO, che è altra cosa rispetto alle masse coraggiose che, fin dall’inizio della guerra d’aggressione all’Ucraina, hanno manifestato la loro opposizione alla carneficina in corso con proteste, manifesti, adesivi contro la guerra nei quartieri, con petizioni, sfidando la repressione, gli arresti o le condanne amministrative penali, i licenziamenti e le espulsioni di studenti dall’università da parte di un regime che, con la guerra che sta portando avanti in Ucraina, inasprisce sempre di più il giro di vite delle voci del dissenso.

Masse che non trovano ancora forze comuniste e/o democratiche pronte a sostenerle. Nessuna sorpresa da parte dei sedicenti comunisti che arrivano a sostenere il proprio imperialismo. I revisionisti, i falso comunisti e i trotzkisti come sempre fanno sentire ai proletari e alle masse tutta la loro nullità. Il Partito Comunista Operaio della Russia (Pcor) definisce «imperialista» l’aggressione russa ma subito ci aggiunge che «l’intervento armato della Russia contribuisce alla salvezza della popolazione del Donbass». Per questo, il partito russo assicura che «non si opporrà a tale reale sostegno», al contrario, «nel momento in cui le condizioni hanno reso necessario esercitare violenza verso il regime fascisteggiante di Kiev, noi non ci opponiamo nella misura in cui ciò favorisce il popolo lavoratore».

Il Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR) è presente nella Duma e in vari parlamenti nazionali. Il PCFR si è rifiutato di definire «imperialista» il conflitto, sostenendo che si tratta di una «guerra di liberazione nazionale contro l’internazionale del nazismo e il nuovo ordine degli Usa e della Nato». I trotkisti di Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (RWP) fanno un appoggio “critico” (sic!) al PCFR. Nel maggio 2019 parte della RWP si è divisa e si è fusa nella Tendenza Marxista Internazionale.

Le masse in Russia fanno da sole e si dovranno per forza sbarazzare con la lotta, la lotta rivoluzionaria, di questi parassiti.

Putin ha fortemente limitato la libertà di riunione delle masse russe e, nel corso di una guerra, chi si oppone è “traditore”, molti media hanno smesso di lavorare. Nonostante ciò, tra fine febbraio e inizio marzo, nei primi giorni dell’invasione dell’Ucraina, ci sono state partecipate proteste in decine di città russe, tra cui Mosca e San Pietroburgo, le due più popolose, proteste duramente represse dalle forze dell’ordine con 1900 arresti, e nelle settimane successive il regime russo aveva progressivamente intensificato la repressione del dissenso, con nuove norme ancora più stringenti sulla libertà d’espressione.

Secondo il sito indipendente russo OVD-Info, che si occupa di violazioni di diritti umani, della persecuzione politica in Russia, una ong nata durante le proteste di massa del dicembre 2011, nei giorni successivi e fino al 7 marzo erano state arrestate quasi 5mila persone in 69 città. Le fonti su cui attinge il proprio lavoro OV-Info si basano sui dati provenienti dai comunicati stampa del Ministero degli affari interni, dai rapporti dei servizi stampa dei tribunali, dai messaggi che ricevono sul loro sito e sui numeri di telefono che raccolgono le denunce.

Il 4 marzo è stata emanata una legge che criminalizza la “diffusione di informazioni deliberatamente false sulle forze militari della Federazione Russa”: da allora chi sia ritenuto colpevole di propagare feki (da fake news, in pratica tutto quello che si discosta dalla propaganda ufficiale), o anche solo di utilizzare la parola “guerra”, è passibile di condanna fino a 15 anni prigione.

L’8 aprile il ministero della Giustizia ha chiuso gli uffici di Amnesty International, Human Rights Watch, Carnegie Endowment e altre dodici organizzazioni straniere e internazionali in Russia. L’agenzia li ha esclusi dal registro delle succursali e degli uffici di rappresentanza di organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative estere senza fini di lucro per “violazione della legge”, senza specificare quali fossero le “violazioni”.

La coscrizione di 300 mila militari non ha ottenuto l’effetto sperato da Putin e si hanno notizie di migliaia di russi mobilitati per il servizio militare in Ucraina sono stati rimandati a casa dopo essere stati ritenuti non idonei al servizio. Il quotidiano russo indipendente in esilio Novaya Gazeta ha stimato a oltre 250.000 il numero di coloro che erano fuggiti dalla Russia dopo la mobilitazione (fonte: Aljazeera)

Anche tra le fila dei i militari russi aumenta il numero dei disertori, degli obiettori o degli evasori, e le pene sono l’arresto fino a 10 anni nel caso di conflitto. Soldati carne da cannone reclutati nelle zone più povere e periferiche.

Militari che si rifiutano di combattere ovviamente sono anche tra le fila ucraine e bielorusse.

L’opposizione alla guerra in Russia viene alimentata dalle madri dei soldati che chiedono e pretendono notizie sui propri figli di cui non sanno più nulla da settimane o che si attivano diffondendo informazioni utili per poter rifiutare l’arruolamento o il ritorno al fronte per chi è tornato per l’avvicendamento.

Di seguito i dati delle mobilitazioni dal sito OVD-Info sugli arresti in Russia di chi ha manifestato contro la guerra

24 febbraio: 1.965

25 febbraio: 643

26 febbraio: 533

27 febbraio: 2.857

28 febbraio: 516

1 marzo: 329

2 marzo: 852

3 marzo: 498

4 marzo: 80

5 marzo: 84

6 marzo: 5.572

8 marzo: 122

13 marzo: 936

2 aprile: 215

21 settembre: 1.382

22 settembre: 14

24 settembre: 847

25 settembre: 149

Torino, sgomberato il centro sociale Edera Squat. La solidarietà si è espressa subito con un primo corteo. Alle compagne e compagni occupanti massima solidarietà dal soccorso rosso proletario, BASTA SGOMBERI!

Nella casa occupata di via Panezza all’arrivo delle forze dell’ordine c’erano sette persone che saranno denunciate per occupazione abusiva.

Da osservatorio repressione

E’ scattato intorno alle 6.00 di questa mattina, lunedi 3 ottobre, il blitz per lo sgombero del centro sociale Edera Squat. Le camionette della polizia si sono presentate ancor prima che sorgesse il sole in zona Lucento. Non è chiaro al momento quante persone ci siano all’interno del centro sociale di via Pianezza. Sui social è subito scattato il tam tam sui vari profili autonomi, con inviti ad accorrere in zona per contrastare lo sgombero.

Uno spazio di socialità e aggregazione in un quartiere completamente dimenticato dalle amministrazioni cittadine, Vallette infatti funge soltanto da pass partout quando la stampa deve parlare del disagio e della povertà in stampo pietistico. L’ Edera ha organizzato momenti in quartiere per bambini e famiglie, incontri ed eventi musicali, sportivi e cineforum in piazza, è stato un luogo di scambio e confronto, un punto di riferimento per chi abita in territori di cui nessuno si cura.

Questo sgombero si inserisce in un clima che ormai da anni vede i movimenti sociali in città sotto attacco da parte delle istituzioni. Torino è una città piena di contraddizioni, la metropoli più povera del Nord Italia, dove tra il centro e la periferia le speranze di vita diminuiscono di 5 anni. E’ evidentemente una città sofferente dove le questioni sociali vengono sempre più gestite come problemi di ordine pubblico e le esperienze che provano a costruire alternative vengono costantemente poste sotto attacco.

Con lo sgombero dell’Edera prendono corpo le minacce mosse la scorsa estate dal Comune di cancellare gli spazi occupati e i centri sociali dal tessuto sociale torinese.

Queste scelte politiche e poliziesche evidenziano la totale cecità e incapacità di previsione delle amministrazioni di fronte a una città sempre più invivibile, vuota e in cui “la sicurezza” viene portata come vessillo per ogni problema. Forse una migliore gestione delle risorse, un’attenzione maggiore per i bisogni dei giovani, dare priorità ai servizi essenziali rendendoli efficienti e accessibili potrebbero essere alcune idee…

Ma invece a chi amministra interessa soltanto continuare a guadagnare sul debito di questa città, mandare in galera ragazzini e sgomberare spazi di possibilità e libertà.

La corrispondenza di Radio Onda d’Urto dal centro sociale Edera Ascolta o scarica

La corrispondenza di Radio Onda Rossa dal centro sociale Edera Ascolta o scarica

Iran, non si fermano le proteste contro il regime clerico-fascista. Manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo

Venti persone, compresi membri della polizia, sono state uccise in scontri armati a Zahedan venerdì 30 settembre. All’inizio i manifestanti hanno lanciato pietre contro una stazione di polizia, ma poi uomini armati hanno cercato di assaltare i tre centri delle forze dell’ordine. Diversi agenti di polizia sono stati uccisi così come il numero due dei servizi di intelligence delle Guardie Rivoluzionarie. Banche e centri commerciali sono stati attaccati da manifestanti inferociti e la repressione delle manifestazioni è stata mortale (finora sono stati contati 58 morti). Zahedan è la capitale provinciale del Sistan-Baluchistan è una regione svantaggiata al confine con Pakistan e Afghanistan.

Sabato si sono svolte manifestazioni in diverse università iraniane per denunciare la micidiale repressione del movimento di protesta. Manifestazioni “sono state organizzate anche in piazza Enghelab vicino all’Università di Teheran, nel centro della capitale, dove sono scoppiati scontri tra la polizia ei manifestanti, alcuni dei quali sono stati arrestati. La polizia iraniana ha arrestato diverse personalità che si erano espresse sui social network a favore dei manifestanti, tra cui l’ex calciatore internazionale Hossein Manahi o il cantante Shervin Hajipour, la cui canzone “Baraye” (“For”), composta da tweet sulle proteste, è andata virale su Instagram. La polizia ha anche arrestato una donna che ha mangiato in un ristorante a Teheran senza velo in un’immagine diventata virale sui social media. Almeno 29 giornalisti sono stati arrestati, tra cui Nilufar Hamedi ed Elahe Mohammadi, reporter che hanno contribuito a esporre il caso di Amini. All’estero, sabato si sono svolte manifestazioni di solidarietà, alla presenza della diaspora iraniana, in più di 150 città, tra cui Berlino, Bruxelles, Roma, Madrid, Atene, Bucarest, Londra, Lisbona, Varsavia e Tokyo.

Di seguito immagini della manifestazione a Milano