Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

L’assurdo processo di Trapani contro le ong che salvano i migranti… respinta la richiesta di Meloni e Piantedosi di costituirsi parte civile

Altro che parte civile! Ma tra il vero orrore in cui in questi giorni sguazza il nero governo Meloni che riguarda la morte dei migranti in mare, c’è proprio il processo in corso a Trapani contro l’equipaggio della nave Juventa. Contro questi 21 giovani volontari la Meloni e Piantedosi avevano chiesto di essere ammessi come parte civile.

Come dice l’articolo che riportiamo, almeno in questo punto, la Procura di Trapani si è rifiutata, mentre nei fatti da 5 anni si accanisce contro gli attivisti di Save The Children, Medici Senza Frontiere e Jugend Rettet…

Si comprende bene quanto il contesto politico stia influenzando questo processo (e non solo) quando si legge che la Procura riconosce che “hanno agito solo per ragioni umanitarie e senza fini di lucro…” inventandosi poi, però, assurde ipotesi accusatorie e che sono state tutte di fatto già smontate.

**

Navi in porto

L’assurdo processo di Trapani contro le ong che salvano i migranti

La nave Juventa dal 2017 è stata sequestrata e ventuno giovani membri di

organizzazioni umanitarie sono imputati per presunti contatti con gli scafisti libici. Ma le conclusioni dei magistrati sono già state smontate. La richiesta di Meloni e Piantedosi di costituirsi parte civile è stata respinta.

Poi ci sono i morti in mare che non puoi contare. Quelli che non conosci, che appartengono al mondo dei “se” e de “ma”. Come sarebbe andata a finire se…

Già. Come sarebbe andata a finire se la nave Juventa, dell’organizzazione non governativa berlinese Jugend Rettet, fosse ancora a pattugliare il Mediterraneo? Numeri, ipotesi.

Nel suo unico anno e mezzo di attività, a partire dal 2016, la nave, un bestione lungo 33 metri, progettata per lavorare nelle condizioni più impervie nei mari del Nord, ha contribuito al soccorso nel Mediterraneo di 14mila persone. A bordo, un gruppo di giovani volontari tedeschi, medici, vigili del fuoco, studenti, pure un astrofisico. Hanno scelto di essere testimoni oculari e di mettersi a disposizione per salvare vite nel Mediterraneo centrale.

E chissà quante altre vite avrebbero potuto essere salvate, in questi anni. Perché dall’agosto del 2017 la nave Juventa è sequestrata e abbandonata al porto di Trapani.

Per capire la complessità del tema dei migranti, oltre la cronaca dei morti e dei naufragi, non c’è da annunciare la caccia agli scafisti nel «globo terracqueo». Forse bisognerebbe venire a Trapani. Nel tribunale del capoluogo siciliano, infatti, si celebra in questi mesi un processo più unico che raro, il processo a ventuno giovani membri di organizzazioni umanitarie. Per loro l’accusa è di favoreggiamento all’immigrazione clandestinaÈ un processo che in tutta Europa è unico nel suo genere.

Prende il via da una maxi inchiesta del 2016 (nel frattempo a Trapani sono cambiati tre procuratori, e in Italia quattro ministri della Giustizia) e coinvolge anche Medici senza Frontiere e Save The Children.

Dopo cinque anni, è ancora alle battute iniziali, soprattutto perché molte udienze sono state rinviate per la mancanza di traduttori e vizi nelle notifiche, dato che gli imputati vengono da diversi Paesi europei e i loro avvocati hanno contestato le trascrizioni del tribunale.

L’inchiesta della Procura di Trapani è davvero singolare. Non solo per lo sforzo investigativo enorme, con l’utilizzo di intercettazioni, droni e anche di agenti sotto copertura, ma perché nel faldone delle indagini sono finiti intercettati anche avvocati e giornalisti. Alcune conversazioni con fonti confidenziali, assolutamente irrilevanti ai fini dell’inchiesta, sono state trascritte, insieme a nomi e schede di giornalisti italiani e stranieri. Tanto che l’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia, quando esplose il caso, nel 2021, mandò anche gli ispettori, in Procura, per capire come fossero finiti quei nomi e quei dialoghi nelle 30mila pagine delle indagini, e perché si era necessario sorvegliare dei giornalisti.

L’ipotesi dell’accusa è quella di un accordo tra trafficanti e navi umanitarie per la «gestione» dei migranti. In altre parole: le persone in mare non sono state salvate, ma consegnate. In un passaggio degli atti di indagine i volontari vengono equiparati ai trafficanti libici, perché, è scritto «entrambi considerano i migranti come una preziosa merce, e non come naufraghi da salvare». Vengono monitorate 13 operazioni di salvataggio, tra il 2016 ed il 2017. Secondo l’accusa, gli attivisti di Save The Children, Medici Senza Frontiere e Jugend Retten «erano mossi nelle loro condotte criminose da aspetti economici». Qual era l’obiettivo? «La raccolta e conduzione in Italia di un numero sempre maggiore di migranti, per mantenere alta visibilità mediatica e avere più donazioni».

La Procura è convinta di aver dimostrato i contatti «tra coloro che scortavano gli immigrati fino alla Iuventa e i membri dell’equipaggio della nave». Anche se hanno agito solo per ragioni umanitarie e senza fini di lucro, riconosce la Procura, gli operatori si sarebbero avvicinati troppo alle coste della Libia e avrebbero avuto contatti con i trafficanti per delle «consegne pattuite» di migranti. In cambio, ad esempio, gli operatori della Iuventa avrebbero lasciato alla deriva tre imbarcazioni in modo che i trafficanti potessero recuperarle e usarle successivamente in altre traversate.

Il processo è seguito dagli osservatori di Amnesty International. Ampi reportage si trovano su diverse testate europee. Un centro indipendente per il giornalismo investigativo, Forensic Architecture, di Londra, ha addirittura pubblicato una contro inchiesta che smonta le conclusioni della Procura di Trapani sui presunti tre «contatti» filmati tra le navi delle Ong e gli scafisti libici. E un sito in tre lingue (italiano, inglese e tedesco) pubblica un diario del processo con tutte le iniziative di solidarietà in giro per l’Europa.

In Italia, invece, passa quasi con indifferenza. Alle udienze, solo un paio di giornalisti locali, per il resto sono tutti stranieri. Gli imputati rischiano più di venti anni di carcere. Nella penultima udienza, poco prima di Natale 2022, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi hanno chiesto di essere ammessi come parte civile, con l’intenzione di sollecitare un risarcimento per i danni «economici e morali» sostenuti dallo Stato italianoLa richiesta è stata respinta.

Intanto la nave continua a essere sequestrata. Ed è ormai ridotta, dopo cinque anni, a un ammasso di rottami. La Ong tedesca ha per questo presentato una denuncia, e adesso il tribunale ha prescritto alla Capitaneria di porto di Trapani di «provvedere all’esecuzione di tutte le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria necessarie a ripristinare e a mantenere la situazione della nave esistente al momento del sequestro». Operazione impossibile. La nave, negli anni, è stata anche vandalizzata e saccheggiata di attrezzature e strumenti. Il resto è completamente arrugginito. Dal 2021 non è neanche in un’area sorvegliata del porto, tanto che c’è anche chi l’ha utilizzata come rifugio di fortuna. Dalla Capitaneria di Porto di Trapani, per capire il da farsi, hanno chiesto lumi al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. I costi sono ingenti. Se c’è da rimettere in sesto la nave, si fa prima a farne una nuova. Dal ministero guidato da Matteo Salvini, non ha ancora risposto nessuno. Sono troppo impegnati a dare la caccia agli scafisti «nel globo terracqueo».

https://www.linkiesta.it/2023/03/processo-nave-juventa-trapani/

Occuparono una casa, 18 anarchici assolti. Il giudice: «Fornirono sostegno ai migranti»

Erano finiti sotto accusa per aver occupato  i locali di una Chiesa a Claviere e poi la Casa Cantoniera di Oulx. «Un’innegabile funzione di supporto alle iniziative lecite organizzate da istituzioni e privati nel campo dell’assistenza»

L’occupazione si è tradotta in «un’innegabile funzione di supporto alle iniziative lecite organizzate da istituzioni e privati nel campo dell’assistenza e dell’accoglienza dei migranti». In pratica, gli anarchici hanno agito «in modo complementare» al mondo dell’associazionismo. Ad assegnare questo ruolo ai giovani antagonisti che nel 2018 entrarono abusivamente nella Casa Cantoniera dell’Anas, trasformandola in un centro di accoglienza per i migranti intenzionati a raggiungere la Francia passando clandestinamente il confine, è il giudice Alessandra Danieli. Il magistrato, infatti, ha assolto 19 attivisti che — a vario titolo — erano finiti sotto accusa per aver occupato prima i locali della Chiesa della Visitazione di Maria Santissima di Claviere e, successivamente allo sgombero, la Casa Cantoniera di Oulx, un immobile che Anas aveva lasciato in stato di abbandono.

Nelle motivazioni vengono ripercorse le storie delle due occupazioni, ma soprattutto le attività degli antagonisti. L’indagine dei carabinieri raccontava le iniziative intraprese, tra il 2018 e il 2021, da alcuni giovani legati al gruppo francese «Briser les Frontières» e all’area antagonista della Valle di Susa e di Torino. Cioè, attività di «sostegno e assistenza ai migranti» intenzionati a oltrepassare il confine francese. Due le rotte seguite e citate nel documento: la prima (poi abbandonata) attraverso il Colle della Scala a Bardonecchia, la seconda attraverso il valico tra Claviere e Monginevro. Ed è proprio in relazione a quest’ultima direttrice che vanno lette le azioni illecite rimproverate agli imputati. Il giudice ricorda che nel 2018 a Oulx venne aperto il Rifugio Massi, una struttura gestita da religiosi dell’ordine salesiano e finanziata da una fondazione.

«In tale contesto — scrive il Tribunale — si collocano le iniziative intraprese da alcuni aderenti a movimenti di matrice anarchica in ordine alla causa di sostegno ai migranti e di contestazioni alle politiche governative in materia di flussi migratori». Da qui l’occupazione prima della Chiesa e poi della Casa Cantoniera «per permettere ai migranti, che quotidianamente tentavano di raggiungere il territorio francese attraverso il valico del Monginevro, di trovare riparo dal freddo durante la notte».

Per il giudice non vi è alcun dubbio sulla sussistenza del reato, in particolare per quanto riguarda l’occupazione della Casa Cantoniera: gli imputati sono stati più volte notati dalle forze dell’ordine mentre entravano e uscivano dall’edificio, così come è accertata la loro partecipazione nell’allestimento della struttura «al fine di consentire di ospitare stabilmente al suo interno decine di persone». In sentenza si fa anche notare che «all’epoca dei fatti la struttura salesiana era aperta solo di notte e poteva ospitare solo 20-30 persone. Accadeva di frequente che alcuni migranti, dopo aver trascorso una notte al Rifugio, si trasferissero alla Casa Cantoniera, dove potevano trattenersi per diversi giorni e dove, in diverse occasioni, trovavano ospitalità famiglie con bambini».

 Tuttavia, il Tribunale respinge la tesi assolutoria proposta dalla difesa, che si era appellata allo «stato di necessità» interpretato come assistenza di migranti spesso impreparati ad affrontare la montagna per oltrepassare il confine. Piuttosto, secondo la giudice Danieli, l’assoluzione deve essere incardinata nel principio della «lieve entità» del reato. Gli anarchici avrebbero sì occupato l’immobile dell’Anas — «in disuso da anni» —, ma anche svolto «un’innegabile funzione di supporto» a chi era impegnato lecitamente nell’assistenza ai migranti.

I piani di Netanyahu di spostamento all’estrema destra. Essi anticipano in alcuni campi il governo Meloni/Salvini/Nordio?

Riportiamo brevi parti di un lungo articolo apparso su Le Monde diplomatique di febbraio sulla situazione in Israele che sta dando vita in questi giorni a forti e grandi proteste della popolazione

Questa prima parte spiega bene i passaggi della azione di Netanyahu di deciso spostamento all’estrema destra, portando a conseguenza la sua piano di cancellazione di ogni residua forma di democrazia e di instaurazione di un regime fondato sul nazionalismo ebraico.

Netanyahu ieri è stato in Italia, ricevuto dalla Meloni, per stringere rapporti politici ed economici, e anche qui è stato accolto da manifestazioni di protesta.

Questo rapporto Israele/Italia acquista in questa fase un significato che va oltre i “normali” rapporti tra Stati e governi. Netanyahu in un certo senso anticipa i piani del governo Meloni/Salvini in Italia, in merito alla controriforma della Costituzione, all’instaurazione di un presidenzialismo, all’accentramento dei poteri; ma in particolare anticipa l’attacco alla Giustizia che il Min. Nordio ha appena cominciato ad avviare, ma che punta anche qui ad una messa sotto controllo, togliere autonomia alla Magistratura, modificare articoli e procedure, che salvaguardino la classe politica al potere, salvando i suoi uomini da condanne per corruzione, frodi, ecc.; cosi’ come è significativo l’intervento ideologico e pratico verso la scuola, i giovani in generale, per cui i piani e l’azione concreta del Min. Valditara non puntano solo ad un “ritorno al passato” ma ad una scuola al servizio del moderno fascismo, in cui l’aspetto militare deve essere parte della formazione.

In questo senso Netanyahu è più vicino all’Italia di quanto può sembrare.

================

 Spostamento marcato verso l’estrema destra

Israele, il colpo di Stato identitario

Dando priorità alle riforme politiche richieste dai suoi alleati nazionalisti e ultraortodossi, Benjamin Netanyahu sta intraprendendo una profonda trasformazione della democrazia israeliana. I poteri della Corte Suprema ma anche quelli dei giudici sono nel mirino di una coalizione che intende estendere l’influenza della religione nell’istruzione pubblica e non cedere nulla ai palestinesi.

di Carlo Enderlin

Il Signor Binjamin Netanyahu ha avuto successo. Tornato al potere dal 29 dicembre (ha ricoperto la carica di capo del governo dal marzo 2009 al giugno 2021), sostenuto da una maggioranza di

sessantaquattro deputati – su centoventi – nazionalisti, ultraortodossi e messianici, può realizzare ora il suo grande progetto: instaurare un nuovo regime in Israele basato su un nazionalismo ebraico autoritario e religioso, rompendo con la visione della democrazia dei padri fondatori del sionismo, Theodor Herzl, Vladimir Zeev Jabotinsky e David Ben Gurion. Se il primo passo è stato, nel luglio 2018, l’adozione da parte della Knesset della legge Israele – Stato-Nazione del popolo ebraico, testo molto controverso perché considerato discriminatorio nei confronti delle minoranze arabe e druse. ora si tratta di frenare lo stato di diritto, riformare l’istruzione nazionale, assoggettare i quadri dirigenti del sistema securitario, schiacciare l’opposizione di sinistra, imporre il nazionalismo ebraico come identita’ nazionale, dare nuovo impulso all’annessione della Cisgiordania e proseguire la neutralizzazione dell’Autorita’ palestinese.

Netanyahu ha affidato la missione di trasformare il sistema giudiziario al signor Yariv Levin, giurista e deputato, che, dalla sua elezione nella lista del Likud nel 2009, ha guidato la carica contro i giudici. Il 4 gennaio, appena nominato ministro della Giustizia, ha presentato il suo progetto di “revisione radicale” basato sul principio che il “popolo” riconosce alla maggioranza eletta la legittimazione a governare da sola, senza l’ingerenza dei magistrati. non nominati dalle urne. Una cosiddetta clausola “bypass”  consentirà così a sessantuno deputati di annullare una sentenza della Suprema Corte che ritenga incostituzionale una legge. “Un testo votato dalla Knesset non può più essere annullato da un giudice” ,insiste il signor Levin. Inoltre, la nomina collettiva dei membri della Corte Suprema dovrebbe passare sotto il controllo della maggioranza al potere. Altre misure sono previste, come la riscrittura di alcuni articoli del codice penale, nell’intento di ridurre il numero di rinvii a giudizio per corruzione all’interno della classe politica. Teoricamente, Netanyahu può trovarsi a nominare i giudici che esamineranno il suo ricorso in appello qualora si chiudesse con una condanna il processo per frode, abuso di potere e corruzione attualmente in corso contro di lui…

…Per il primo ministro, la volonta’ di imporre il nazionalismo ebraico passa attraverso l’accompagnamento della gioventù. Per questo ha deciso di attribuire la competenza dell’insegnamento pubblico religioso… finora apolitico a Bezalel Smotrich, dirigente del partito sionista religioso regolarmente sotto i riflettori per le dichiarazioni ostili alla sinistra, ai palestinesi e alle minoranze sessuali… Orit, della colonia Avraham Avinu a Hebron è stata incaricata della questione identitaria ebraica… ha ottenuto il dipartimento della cultura ebraica del ministero dell’Istruzione e la direzione di scuole e accademie premilitari…”

Torino Askatasuna: intercettati abusivamente i difensori

La denuncia dei legali al processo: la procura ha lasciato trascrivere centinaia di colloqui con gli assistiti, quando la legge non lo consente

di Mauro Ravarino da il manifesto

Decine e decine di colloqui fra gli avvocati difensori e i loro assistiti – scambi per lo più neutrali e tecnici – registrati e trascritti. Dovevano essere distrutti, invece, sono finiti nei cosiddetti brogliacci (le trascrizioni delle forze dell’ordine) dei fascicoli della procura di Torino per il maxi processo sul centro sociale Askatasuna. «Centinaia di telefonate» trascritte «pur essendo, in base alla normativa, vietato». Lo hanno rivelato i legali degli imputati, comunicandolo al Tribunale del capoluogo piemontese.

«Le intercettazioni vanno dal dicembre 2019 a meno di un anno dopo e – spiega l’avvocato Claudio Novaro, che difende 14 dei 28 imputati – sono a carico di una serie di soggetti di area di Askatasuna e No Tav. Qualche udienza fa avevo detto che c’erano intercettazioni trascritte tra difensori e assistiti, il pm aveva replicato che non era possibile. Ci siamo, allora, presi la briga di fare un conteggio, tra me e una mia assistita ci sono 69 intercettazioni. Volevamo che ciò fosse messo a verbale questa incongruità, anche per dare un’idea di come sono state fatte le indagini ovvero con metodi estremamente pervasivi. Il Tribunale ci ha detto di fare un elenco, cosa che faremo e consegneremo. Faremo, inoltre, un’istanza in procura perché vengano distrutte queste intercettazioni e, poi, una segnalazione al Consiglio dell’ordine perché è inammissibile che vengano registrate e trascritte le intercettazioni tra imputati e difensori». Le conversazioni erano state intercettate durante le indagini preliminari e non figurano tra gli atti processuali, ma la loro presenza nel fascicolo della procura è dimostrata, appunto, dai brogliacci.

Il processo contro i militanti di Askatasuna, storico centro sociale di Torino con sede in corso Regina Margherita, vede 28 imputati di cui 16 accusati di associazione a delinquere. Reato che le difese – ma anche molte realtà sociali e artisti che si sono stretti attorno al Csoa – contestano, perché eluderebbe il contesto sociale in cui sono maturate proteste e iniziative, in questi anni, a Torino come in Val di Susa. Molti dei 72 reati si sarebbero verificati, infatti, in Valle e solo una parte nella città della Mole, dove riguarderebbe più che altro lo Spazio Neru

L’Aquila 8 marzo – Intervento della compagna del MFPR in solidarietà alle/ai prigionieri politici: fuori Alfredo dal 41 bis

L’intervento della compagna del MFPR di L’Aquila, durante il corteo dell’8 marzo, contro il fronte interno della guerra imperialista, la repressione delle compagne No Tav, il carcere tortura/assassino, ha rilanciato la mobilitazione contro il 41 bis, per la libertà di Alfredo Cospito e di tutti i prigionieri e le prigioniere politiche, contro la repressione delle lotte:

 

Un intervento che è stato ripreso dal collettivo Malelingue di Teramo, che ha ricordato come un compagno del campetto occupato rischia la sorveglianza speciale per le lotte sociali nel territorio giugliese, e che tra i motivi della richiesta di sorveglianza speciale c’è anche un presidio di 2 anni fa, in solidarietà a una ragazza stuprata alla stazione di Giulianova:

Di seguito il testo dell’intervento del MFPR-AQ

8 marzo scioperiamo contro la violenza di Stato, contro il carcere e la repressione che questo Stato borghese, questo governo fascio-razzista, sta portando avanti con sempre più ferocia nei confronti di chi si oppone alla barbarie capitalistica, alla guerra contro la maggioranza delle donne innalzando la bandiera nera di “Dio, patria, famiglia” e figli, da macellare in trincea o in fabbrica, nell’alternanza scuola/lavoro.

8 marzo scioperiamo per la libertà della militante no tav Francesca Lucchetto, da un mese in carcere per aver tentato, 10 anni fa, di appendere uno striscione davanti al tribunale di Torino in solidarietà con Marta Camposano, manganellata durante un corteo no tav e molestata sessualmente da un agente di polizia (“Se toccano una toccano tutte! Non un passo indietro, solidarietà a Marta”)

8 marzo scioperiamo in solidarietà con le compagne di Askatasuna, con Dana, Nicoletta, con tutte le donne no tav, che con costanza e determinazione si battono per una causa giusta che ci riguarda tutte, che non cedono alla repressione, e che continuano a lottare sempre al fianco delle nostre sorelle detenute.

8 marzo scioperiamo contro la guerra imperialista in Ucraina, che è una guerra di classe e sta uccidendo soprattutto donne e bambini

8 marzo scioperiamo contro il nero governo Meloni e i partiti guerrafondai in Parlamento, che mentre riarmano il governo nazista ucraino tolgono soldi alla scuola, alla sanità, ai servizi sociali, scaricando sulle donne il lavoro di cura, il carovita, i costi della crisi.

8 marzo scioperiamo contro le stragi di Stato e padroni, che ci uccidono di continuo, in mare, sul lavoro e a casa, dove veniamo ricacciate dalle loro politiche di lacrime e sangue

8 marzo scioperiamo contro il governo fascio-razzista italiano, che mentre fa affari con i regimi del Nord Africa e del MO, decreta per legge le morti di donne e bambini migranti, usandoli come merce di scambio dei profitti dei capitalisti

8 marzo scioperiamo contro la tortura del 41 bis e la condanna a morte dell’anarchico Alfredo Cospito, da più di 4 mesi in sciopero della fame contro questo regime.

Un regime che per i prigionieri rivoluzionari ha una duplice funzione, quella della vendetta verso coloro che non abiurano alle proprie idee politiche continuando a lottare contro il terrorismo di stato, e quella deterrente delle lotte verso l’esterno.

Il carcere dell’Aquila, dove c’è il più alto numero di detenut* in 41 bis, è l’unico in Italia ad avere anche una sezione femminile, con 15 donne in regime di carcere duro, tra cui Nadia Lioce, prigioniera comunista rivoluzionaria, che nel 2017 finì sotto processo per aver disturbato la quiete di un carcere che l’ha sepolta viva, attraverso una serie di battiture di protesta con una bottiglietta di plastica. Nadia fu assolta perché l’isolamento estremo in 41 bis non consentiva né a lei, né alle altre detenute sottoposte a questo regime di avere percezione di tale “disturbo”. Ecco quel che si legge nei provvedimenti che ogni 2 anni vengono emanati per riconfermarglielo: “Vanno valutate con la massima prudenza le temporanee eclissi del fenomeno brigatista che suggeriscono di non escludere la possibilità di una ripresa della lotta armata nel medio/lungo periodo, anche in considerazione di un panorama complessivo di scontri sociali, di un sempre crescente divario di condizioni di vita e di scarse occasioni di lavoro”.

8 marzo scioperiamo contro il carcere tortura e assassino, contro uno Stato borghese e stragista che vorrebbe mettere a tacere un anarchico che non ha ucciso nessuno.

Perché se è vero, come è vero, che nessun* di noi sarà libera/o fin quando non lo siamo tutt*, allora non possiamo lasciare che le nostre sorelle e i nostri fratelli continuino a vivere in una tomba per vivi. Che sia l’Italia, l’India, la Turchia, l’Iran, la Palestina, dobbiamo difendere i nostri fratelli e le nostre sorelle detenut*!

Fuori Alfredo e Nadia dal 41bis! Libere e liberi tutti!

Fuori Alfredo dal 41 bis – Massimo sostegno a questa battaglia e a tutte le forme di manifestazioni e azioni necessarie per ottenerlo

Riceviamo e pubblichiamo

Ciao a tutti/e, informo con piacere che finalmente hanno sbloccato la posta ad Alfredo Cospito, quindi invito calorosamente a scrivere (anche solamente delle cartoline) indirizzate ad: Alfredo Cospito Via Camporgnago, 40 20141 Milano.

Diffondere la notizia, grazie

A Roma prossime iniziative al fianco di Alfredo, contro il carcere tortura e assassino

Martedì 7 marzo ore 19.30 assemblea nello spazio di 100celle aperte
Giovedì 9 marzo ore 17 presidio in contemporanea davanti a Regina Coeli e Rebibbia
FUORI ALFREDO DAL 41 BIS
FUORI TUTTI/E DALLE GALERE
9 MARZO DAVANTI ALLE CARCERI DI REGINA COELI E REBIBBIA
Tre anni fa il grido di vita dalle carceri romane, in contemporanea ai prigionieri e alle prigioniere di almeno 30 galere: le nostre vite contano, non vogliamo ammalarci in celle sovraffollate, svuotare subito le galere.
Era l’alba del lockdown nazionale per l’emergenza covid, confinamento che precedette mesi interi di coprifuoco e l’introduzione del green pass, e fuori dalle carceri gruppi di parenti e solidali provavano a fare da ponte tra il dentro e il fuori mentre la chiusura dei colloqui imponeva l’isolamento.
La lunga scia di sangue con cui lo stato ha sedato le proteste è fatta di torture e almeno 15 morti, di cui 9 nella strage avvenuta nel carcere di Modena a seguito della rivolta dell’8 marzo 2020.
Che svuotare le galere per evitare il contagio di massa – come indicavano i detenuti in lotta – fosse l’unica soluzione iniziò ad essere chiaro a molti anche qui fuori.
Con un colpo di coda lo stato tirò fuori dal cappello lo spauracchio del pericolo delle scarcerazioni di boss mafiosi e in un attimo cadde il silenzio su stragi, torture e sulle voci delle migliaia di persone detenute. Le proteste vennero raccontate come frutto di regie esterne e patti fra mafiosi, parenti ed anarchici per fomentare i disordini.
Terremoti mediatici accompagnarono il cambio ai vertici del DAP, consegnando a uomini provenienti dalle fila dell’antimafia e dell’antiterrorismo la direzione delle galere.
In questi mesi di mobilitazione al fianco della lotta di Alfredo contro 41 bis ed ergastolo ostativo abbiamo visto l’apparato dell’antimafia sfoderare tutte le sue armi – politiche, giudiziarie e mediatiche – per permettere allo stato di consumare la sua vendetta contro un compagno rivoluzionario e mettere le basi per ulteriori strette repressive che riguarderanno tutte e tutti.
Abbiamo portato le proteste sotto i palazzi dei diretti responsabili delle violenze in carcere e del mondo che ci soffoca qui fuori.
Mentre si avvicinano le sentenze per 46 tra i detenuti di Rebibbia ritenuti responsabili della rivolta del 9 marzo di tre anni fa, vogliamo andare davanti alle mura del carcere di Regina Coeli e di Rebibbia per raccontare la lotta che stiamo portando avanti, le cui notizie arrivano nelle celle soltanto da radio e televisioni.
9 MARZO 2023 ore 17
IN CONTEMPORANEA
A REBIBBIA
davanti al maschile
(via Elena Brandizzi Gianni)
A REGINA COELI
(faro del Gianicolo)
Per continuare ad organizzarci: martedì 7 marzo, ore 19.30, assemblea nello spazio di 100celle aperte (via delle resede 5).