PALERMO STREET PARADE CONTRO LA REPRESSIONE 22 aprile
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Le nuove Brigate Rosse non esistono più ma Lioce, Morandi e Mezzasalma restano al 41bis
Vendette di Stato. Comminare il carcere duro anche a coloro le cui organizzazioni di appartenenza siano state sgominate o siano inesistenti è un controsenso in termini di legge. È la condizione che vivono Nadia Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi. Subiscono questo trattamento dal 2003
di David Romoli
Sulla carta il regime di carcere duro ai sensi dell’art. 41 bis serve a impedire contatti tra i boss detenuti con le loro organizzazioni criminali. Per considerare “boss” tutti i 728 detenuti in regime di carcere duro bisogna interpretare il termine in modo un bel po’ estensivo ma tant’è. Secondo logica, dunque, l’esistenza di dette organizzazioni dovrebbe essere condizione imprescindibile per dispensare le delizie del 41 bis. Anche qualora dalla carta si passi alla sostanza, in soldoni all’uso del massimo rigore carcerario come forma di pressione, o meglio di tortura, al fine di estorcere “pentimenti”, cioè denunce, il discorso non cambia. Per denunciare i complici bisogna che quelli esistano.
Comminare il 41 bis a detenuti le cui organizzazioni di appartenenza siano state nel frattempo sgominate e non esistano più da lustri è di conseguenza un controsenso anche in termini di legge. Il carcere duro si configura in questi casi neppure più come forma di tortura finalizzata a un obiettivo ma come pura e semplice persecuzione. Una persecuzione alla quale i sepolti vivi in questione non hanno alcun modo per sottrarsi.
È precisamente la situazione assurda in cui si trovano Nadia Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi, i militanti delle Nuove Brigate Rosse condannati per gli omicidi dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi, il 20 maggio 1999 e il 19 marzo 2002, e del sovrintendente di polizia Emanuele Petri, ucciso il 2 marzo 2003 in un uno scontro a fuoco sul treno Roma-Firenze in cui perse la vita anche il brigatista Mario Galesi e fu arrestata Nadia Lioce. Gli altri componenti del gruppo, tra cui Mezzasalma e Morandi, vennero arrestati il 24 ottobre dello stesso anno. Da allora sono sempre stati sottoposti al 41 bis.
Un’altra militante delle Nuove Br, Diana Blefari Melazzi, fu arrestata il 22 dicembre 2003 e condannata in primo e secondo grado all’ergastolo. La sua salute mentale non resse al carcere duro, tanto che la Cassazione annullò la sentenza chiedendo che venisse verificata la sua condizione psichiatrica. Fu diagnosticata una condizione di stress post traumatico dovuto alla detenzione col 41 bis ma, nonostante le sue condizioni fossero ulteriormente peggiorate, il 27 ottobre 2009 la condanna fu confermata.
I giudici considerarono “i suoi atteggiamenti apparentemente paranoici come il rifiuto del cibo” come una “reazione coerente al suo modo di porsi e conseguenza di un forte impatto dell’ideologia Br sulla sua personalità”. Diana Blefari Melazzi si impiccò tre giorni dopo la sentenza.
Dal 2003 , Lioce, Mezzasalma e Morandi, tutti condannati a diversi ergastoli per i tre omicidi delle Nuove Br, non sono mai usciti dal regime di 41 bis. Una settimana fa la Cassazione ha respinto il ricorso di Nadia Lioce per la decisione del Tribunale di sorveglianza di non consegnarle una lettera. Secondo la Cassazione il Tribunale di Sorveglianza ha solo “bilanciato i diritti della detenuta in regime speciale con la necessità di tutelare l’ordine pubblico”. Non che sia una novità: sia il Tribunale di Sorveglianza che la Cassazione hanno sempre respinto i ricorsi della brigatista anche se dell’organizzazione con cui non dovrebbe comunicare non c’è traccia dal 25 settembre 2006, data di un fallito attentato contro la caserma della Folgore a Livorno. È significativo che i responsabili di quel attentato siano stati accusati di “cospirazione politica mediante accordo” e non di banda armata. La banda armata nel 2006 non c’era già più. Inutili però ricorsi e proteste, e Nadia Lioce è stata una delle prime a protestare rumorosamente contro il 41 bis, con una prolungata battitura delle sbarre che le è costata un ennesimo processo, nel quale però è stata assolta. La risposta a ogni richiesta di tornare alle normali condizioni di detenzione è stata sempre negativa.
Che le Br, vecchie o nuove, esistano o no non importa. Nel respingere il ricorso contro l’ultima proroga biennale del 41 bis decisa dal ministero della Giustizia il 5 settembre 2019 e già respinto dal Tribunale di Sorveglianza, la prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Monica Boni, confermava nel maggio dell’anno scorso “l’approdo ormai pacifico della giurisprudenza costituzionale” secondo cui il 41bis mira a impedire i collegamenti con i membri delle organizzazioni criminali in libertà. Specificando però che si tratta di “un accertamento prognostico” finalizzato alla prevenzione. Pertanto che l’organizzazione criminale esista o meno è secondario, perché il fatto che non ci sia oggi non esclude che possa ricostituirsi domani. “Il mero decorso del tempo non costituisce elemento sufficiente a escludere o attenuare il pericolo di collegamenti con l’esterno”, scrivevano infatti i giudici. Neppure incide il fatto che l’organizzazione sia palesemente inesistente. Bisogna infatti evitare i contatti dei tre detenuti anche in assenza “di pieno accertamento della condizione di affiliato”.
Lioce, Mezzasalma e Morandi hanno passato in carcere a tempo pieno, senza permessi o misure alternative e anzi in regime di massimo isolamento, più decenni della stragrande maggioranza degli ex terroristi, inclusi i vecchi capi delle Br e dei Nar, mai formalmente dissociatisi. Quegli ex terroristi, pur senza dissociazione, avevano però dichiarato chiusa l’esperienza armata. Ma anche considerando gli irriducibili non solo di nome, come i capi delle Br-Partito guerriglia, la differenza di trattamento è evidente. Natalia Ligas, arrestata nel 1982, fu spedita al carcere duro in condizioni di estremo rigore a Messina nel 1992. Quattro anni dopo a protestare contro quell’isolamento furono il magistrato Ferdinando Imposimato e il giurista futuro sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Nel 1998 le furono concessi i primi permessi e due anni dopo le misure alternative alla detenzione. Giovanni Senzani, leader delle Br-Partito guerriglia, ottenne la semilibertà nel gennaio 1999, a 17 anni dall’arresto. Erano tempi più civili. Lo stesso Imposimato, a lotta armata sconfitta, si diceva stupito per “i trattamenti differenziati, oggi, tra politici dissociati e irriducibili”. Le cose sono cambiate: se tre persone vengono sepolte vive senza alcun motivo ragionevole non se ne stupisce più nessuno.
Peggio: non se ne accorge più nessuno.
da il Riformista
Cariche della polizia a Napoli: “Piantedosi, Minniti assassini in giacca e cravatta”
Alfredo Cospito ha sospeso lo sciopero della fame, ma la mobilitazione continua – sabato 22 presidio al carcere dell’Aquila
Da Radio Onda Rossa
E’ di ieri la notizia dell’interruzione dello sciopero della fame di Alfredo, ma la questione sul carcere duro all’interno della società ormai è stata posta e la mobilitazione continua. Questo sabato ci sarà un presidio fuori le mura del carcere dell’Aquila, unico carcere che prevede la sezione femminile di 41bis. Ne parliamo con un compagno e rilanciamo l’appuntamento di sabato alle 12 a largo preneste.
Caso Cospito: “dichiaro di interrompere lo sciopero della fame”. Ma la battaglia contro la repressione, contro il carcere tortura/assassino deve continuare, ancora più forte
Dopo 181 giorni, Alfredo Cospito ha deciso di interrompere lo sciopero della fame contro il 41bis, iniziato il 20 ottobre 2022. Lo ha comunicato lui stesso su un modello prestampato a disposizione dei detenuti e in cui ha scritto: “Dichiaro di interrompere lo sciopero della fame” dopo 6 mesi di protesta, in cui ha perso 50 chilogrammi, con diversi problemi cardiaci e neurologici che ora andranno seguiti con molta attenzione e cura.
Solo ieri, martedì 18 aprile, la Consulta aveva bocciato come “illegittimo” il divieto alle attenuanti contro Cospito e Anna Beniamino, altra esponente anarchica sotto processo a Torino per le due bombe carta del 2006 fuori dalla scuola per allievi ufficiali carabinieri di Fossano, Cuneo, senza vittime nè feriti. La decisione della Consulta, oltre a segnare un punto di diritto universale, dovrebbe chiudere le porte alla richiesta di ergastolo per lo stesso Cospito, comunque per ora sottoposto ancora al 41 bis, istituto penale messo pubblicamente sotto accusa in questi mesi con uno degli scioperi della fame più lunghi mai realizzati in Italia.
Intanto i legali di Cospito hanno presentato un nuovo ricorso alla Corte di Strasburgo, questa volta contro direttamente il regime del 41bis. Nel ricorso si sostiene che sono stati violati diversi diritti di Cospito, tra cui quello a non essere sottoposto a maltrattamenti, perché “il regime differenziato applicato a Cospito è disumano per il suo carattere afflittivo, la sua illegittimità e sproporzione”.
Sulla vicenda l’avvocato di Cospito, Flavio Rossi Albertini, ha diffuso il seguente comunicato:
Comunicato stampa sulla vicenda involgente Alfredo Cospito
Era il 20 ottobre 2022 quando Alfredo Cospito, nel corso della prima udienza alla quale aveva diritto a partecipare dopo il suo trasferimento al 41 bis del 4 maggio 2022, dichiarava di voler iniziare uno sciopero della fame.
Le ragioni della protesta risiedevano nella aspra critica propugnata dall’anarchico contro il regime del 41 bis e l’ergastolo ostativo.
Dal 20 ottobre sono ormai trascorsi 181 giorni nei quali il Cospito, attraverso il suo corpo sempre più magro e provato, ha svelato cosa significhi in concreto il regime detentivo speciale: illogiche privazioni imposte ai detenuti, aspre limitazioni prive di una legittima finalità, deprivazione sensoriale, un ambiente orwelliano in cui si è costantemente osservati e ascoltati da telecamere e microfoni. Ed ancora, impossibilità di leggere, studiare ed evolvere culturalmente e di ricevere libri e riviste dall’esterno anche quando inviati da case editrici, detenuti anziani ai quali viene impedito per decenni di abbracciare, anche solo toccare la mano, di figli, coniugi, fratelli…
Grazie alla protesta di Cospito, alle mobilitazioni del variegato mondo dell’attivismo politico extraparlamentare, al movimento anarchico, agli intellettuali schieratisi a sostegno delle ragioni della protesta, al mondo dei media che ha permesso la veicolazione di questi scomodi argomenti nelle case delle persone, milioni di soggetti, tra cui soprattutto le nuove generazioni, hanno compreso l’incompatibilità del 41 bis o.p. con i principi di umanità della pena e quindi con la Costituzione nata dalla lotta antifascista.
Grazie alla vicenda Cospito, il 41 bis è sempre meno tollerato da una opinione pubblica che in questi mesi è stata chiamata ad un ruolo attivo che superasse e bandisse l’indifferenza nei confronti dell’altro. A questo risultato immediato se ne deve però aggiungere un altro ossia la dichiarazione di ricevibilità e conseguente registrazione del ricorso proposto dall’avv. Antonella Mascia di Strasburgo e dallo scrivente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, avente proprio ad oggetto il regime penitenziario differenziato previsto dall’articolo 41-bis O.P.
Il ricorso, nel quale sono state lamentate gravi violazioni della Convenzione EDU, verrà valutato nel merito nel termine di due o tre anni (tali sono i tempi di una pronuncia) e potrebbe rappresentare il grimaldello giuridico che bandirà lo strumento inumano del 41 bis, così come avvenuto nel caso dell’ergastolo ostativo.
Da ultimo, ma non per minore importanza, l’oggettiva vittoria conseguita con la decisione di ieri, 18 aprile 2023, della Corte Costituzionale che, da quanto si apprende dal comunicato diffuso, non ha soltanto deciso sulle sorti del detenuto anarchico, ma ha compiuto una dichiarazione di incostituzionalità del divieto di prevalenza di tutte le attenuanti, nei confronti della recidiva reiterata, per tutti i reati la cui pena edittale sia fissa e contempli il solo ergastolo.
Conclusivamente la lotta intrapresa da Cospito può dirsi abbia raggiunto gli obiettivi prefissati, i tempi di attesa della decisione della Cedu, a differenza di quelli molto più contenuti della Consulta, non sono infatti compatibili con lo sciopero della fame mentre la decisione di Strasburgo merita di essere attesa.
Quindi Alfredo Cospito, trascorsi 180 giorni di digiuno e dopo aver esposto a rischio la propria vita, essere dimagrito 50 chilogrammi e aver ormai irrimediabilmente compromesso la propria funziona deambulatoria dovuta allo scadimento irreversibile del sistema nervoso periferico, il 19 aprile 2023 ha deciso di porre fine allo sciopero della fame. Ciò facendo, il medesimo, ringrazia tutti e tutte coloro che hanno reso possibile questa tenace quanto inusuale forma di protesta.
Avv. Flavio Rossi Albertini
Per Alfredo Cospito prima incrinatura contro la linea forcaiola/assassina di Governo, Nordio, Stato. Bene! Ora avanti, la battaglia continua
(da Repubblica)
La Consulta dà ragione all’anarchico: “Incostituzionale non riconoscere le attenuanti
Alla Consulta hanno vinto Alfredo Cospito e il suo avvocato Flavio Rossi Albertini. La Corte costituzionale apre dunque la via per uno sconto di pena all’anarchico, facendo cadere la norma che avrebbe vincolato la Corte d’assise d’appello di Torino a condannarlo necessariamente all’ergastolo per l’attentato alla Scuola allievi carabinieri di Fossano del 2006.
La pena “rigida” dell’ergastolo chiesta dalla Cassazione ai giudici di Torino dovrà invece tenere conto delle circostanze attenuanti. Perché, scrive la stessa Corte nel rendere nota la sua decisione appena assunta, “il carattere fisso della pena dell’ergastolo esige che il giudice possa operare l’ordinario bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti” previsto dall’articolo 69 del codice penale che disciplina la gradazione delle pene.
Bocciato come “costituzionalmente illegittimo” l’articolo del codice “nella parte in cui vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva nei casi in cui il reato è punito con la pena edittale dell’ergastolo”.
L’avvocato di Cospito: “Finalmente una buona notizia, restituita dignità alle questioni giuridiche sottese alle vicende umane, non ultima quella di Alfredo Cospito”.
Netta sconfitta per l’Avvocatura dello Stato che ancora stamattina (ieri ndr) aveva sostenuto l’assoluta rigidità del codice nel vietare le attenuanti, soprattutto per un reato come quello di Cospito. E sconfitta anche per il governo e per il Guardasigilli, Carlo Nordio, che si era pronunciato per mantenere il regime del 41 bis. Ma sconfitta pure per la stessa Corte di Cassazione che non solo a luglio aveva chiesto di contestare a Cospito il reato di strage, quindi senza attenuanti, ma un mese fa ha anche confermato il regime del 41 bis deciso dal tribunale di sorveglianza..
A Fossano non ci furono né morti né feriti, ma solo danni. Per questo, secondo la Corte d’appello di Torino, si sarebbe potuta riconoscere l’attenuante dei fatti di lieve entità, riducendo la pena di un terzo.
Opposta l’opinione dell’Avvocatura dello Stato che ha sposato in pieno la tesi della Cassazione, e cioè la “strage politica”, e quindi il reato più grave, il 285 del codice penale che obbliga i giudici a comminare la pena dell’ergastolo. Ovviamente per l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta in udienza le posizioni del governo che ha preso posizione altrettanto dura su Cospito come il Guardasigilli Carlo Nordio confermando il 41 bis, chi attenta alla sicurezza dello Stato commette uno “tra i reati più gravi in una democrazia”…
Palermo: studentessa condannata per aver invitato gli studenti a partecipare ad un corteo contro l’alternanza scuola-lavoro
Studentessa palermitana condannata per aver “istigato” un certo numero di studenti a partecipare ad un corteo in programma a Palermo da piazza Politeama a piazza Verdi: il caso viene raccontato dall’Ansa e riguarda la studentessa Ludovica Di Prima per un fatto accaduto il 4 febbraio dell’anno scorso.
Per la questura Ludovica Di Prima era la “promotrice” di una manifestazione organizzata dal coordinamento Studenti Palermitani per protestare contro l’alternanza scuola-lavoro, protesta attivata anche dopo la morte di due ragazzi durante degli stage.
La notizia è stata data in una conferenza stampa nel Laboratorio Sociale Malaspina.
L’imputata è stata condannata alla pena base di 110 euro e 5 giorni di arresto, convertita in una multa complessiva di 660 euro per aver violato i decreti anti Covid, che autorizzavano solo presidi statici.
“La responsabilità penale di una libera scelta di espressione del dissenso, condivisa da tutta la piazza, ricade secondo la Questura unicamente su una singola persona” ha detto la studentessa che ha aggiunto: “Il divieto, arrivato la sera prima della manifestazione, veniva giustificato coi famosi decreti anti Covid e dunque con la ‘scusa’ della diffusione del contagio, anche se ormai da tempo non vi erano più restrizioni in molti ambiti della vita pubblica”.
La studentessa è stata condannata con un decreto penale e quindi senza un normale processo penale che le avrebbe dato almeno la possibilità di difendersi.
Ludovica Di Prima ha ancora detto: “A un anno da quelle manifestazioni in cui migliaia di giovani in tutta Italia mettevano in discussione un modello di scuola che manda gli studenti a morire in posti di lavoro insicuri, le rivendicazioni sono rimaste inascoltate e l’unica risposta è stata la repressione. La libertà di dissenso in uno Stato che si finge democratico è, dunque, garantita solo se compatibile con le scelte politiche dei governi”.