Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Contro la repressione del governo Meloni, contro ogni discriminazione, contro la guerra… street parade ieri sera a Palermo

 PALERMO STREET PARADE CONTRO LA REPRESSIONE  22 aprile

Una partecipata parata con carri, musica e slogans promossa da centri sociali e altre organizzazioni sociali e militanti si è snodata lungo il centro storico di Palermo ieri sera contro il governo della repressione, il governo omofobo, razzista e guerrafondaio di Giorgia Meloni e i suoi ministri.
Contro le politiche guerrafondaie e di aumento delle spese militari propugnate da Crosetto e Salvini, per reclamare il diritto alla casa, al reddito, alla salute di tutti e tutte.

La parata, partita da piazza Sant’Anna, animata da diversi carri con striscioni, musica e slogan, è arrivata fino al tribunale, “simbolo del potere giudiziario e dell’utilizzo di misure sempre più punitive per colpire il dissenso sociale… per la riappropriazione della propria città e delle proprie strade – simbolicamente – contro abusi di potere e metodi repressivi dal decreto anti rave, agli sgomberi coatti in città, fino all’utilizzo improprio della repressione per la risoluzione delle emergenze sociali, relegate a materia di ordine pubblico”.
Sanzionata la Banca d’Italia con uova di vernice, in uno striscione “Insorgiamo! Cambia il sistema non il clima” per protestare contro i finanziamenti al fossile e la speculazione sull’ambiente.

Le nuove Brigate Rosse non esistono più ma Lioce, Morandi e Mezzasalma restano al 41bis

Vendette di Stato. Comminare il carcere duro anche a coloro le cui organizzazioni di appartenenza siano state sgominate o siano inesistenti è un controsenso in termini di legge. È la condizione che vivono Nadia Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi. Subiscono questo trattamento dal 2003

di David Romoli

Sulla carta il regime di carcere duro ai sensi dell’art. 41 bis serve a impedire contatti tra i boss detenuti con le loro organizzazioni criminali. Per considerare “boss” tutti i 728 detenuti in regime di carcere duro bisogna interpretare il termine in modo un bel po’ estensivo ma tant’è. Secondo logica, dunque, l’esistenza di dette organizzazioni dovrebbe essere condizione imprescindibile per dispensare le delizie del 41 bis. Anche qualora dalla carta si passi alla sostanza, in soldoni all’uso del massimo rigore carcerario come forma di pressione, o meglio di tortura, al fine di estorcere “pentimenti”, cioè denunce, il discorso non cambia. Per denunciare i complici bisogna che quelli esistano.

Comminare il 41 bis a detenuti le cui organizzazioni di appartenenza siano state nel frattempo sgominate e non esistano più da lustri è di conseguenza un controsenso anche in termini di legge. Il carcere duro si configura in questi casi neppure più come forma di tortura finalizzata a un obiettivo ma come pura e semplice persecuzione. Una persecuzione alla quale i sepolti vivi in questione non hanno alcun modo per sottrarsi.

È precisamente la situazione assurda in cui si trovano Nadia Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi, i militanti delle Nuove Brigate Rosse condannati per gli omicidi dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi, il 20 maggio 1999 e il 19 marzo 2002, e del sovrintendente di polizia Emanuele Petri, ucciso il 2 marzo 2003 in un uno scontro a fuoco sul treno Roma-Firenze in cui perse la vita anche il brigatista Mario Galesi e fu arrestata Nadia Lioce. Gli altri componenti del gruppo, tra cui Mezzasalma e Morandi, vennero arrestati il 24 ottobre dello stesso anno. Da allora sono sempre stati sottoposti al 41 bis.

Un’altra militante delle Nuove Br, Diana Blefari Melazzi, fu arrestata il 22 dicembre 2003 e condannata in primo e secondo grado all’ergastolo. La sua salute mentale non resse al carcere duro, tanto che la Cassazione annullò la sentenza chiedendo che venisse verificata la sua condizione psichiatrica. Fu diagnosticata una condizione di stress post traumatico dovuto alla detenzione col 41 bis ma, nonostante le sue condizioni fossero ulteriormente peggiorate, il 27 ottobre 2009 la condanna fu confermata.

I giudici considerarono “i suoi atteggiamenti apparentemente paranoici come il rifiuto del cibo” come una “reazione coerente al suo modo di porsi e conseguenza di un forte impatto dell’ideologia Br sulla sua personalità”. Diana Blefari Melazzi si impiccò tre giorni dopo la sentenza.

Dal 2003 , Lioce, Mezzasalma e Morandi, tutti condannati a diversi ergastoli per i tre omicidi delle Nuove Br, non sono mai usciti dal regime di 41 bis. Una settimana fa la Cassazione ha respinto il ricorso di Nadia Lioce per la decisione del Tribunale di sorveglianza di non consegnarle una lettera. Secondo la Cassazione il Tribunale di Sorveglianza ha solo “bilanciato i diritti della detenuta in regime speciale con la necessità di tutelare l’ordine pubblico”. Non che sia una novità: sia il Tribunale di Sorveglianza che la Cassazione hanno sempre respinto i ricorsi della brigatista anche se dell’organizzazione con cui non dovrebbe comunicare non c’è traccia dal 25 settembre 2006, data di un fallito attentato contro la caserma della Folgore a Livorno. È significativo che i responsabili di quel attentato siano stati accusati di “cospirazione politica mediante accordo” e non di banda armata. La banda armata nel 2006 non c’era già più. Inutili però ricorsi e proteste, e Nadia Lioce è stata una delle prime a protestare rumorosamente contro il 41 bis, con una prolungata battitura delle sbarre che le è costata un ennesimo processo, nel quale però è stata assolta. La risposta a ogni richiesta di tornare alle normali condizioni di detenzione è stata sempre negativa.

Che le Br, vecchie o nuove, esistano o no non importa. Nel respingere il ricorso contro l’ultima proroga biennale del 41 bis decisa dal ministero della Giustizia il 5 settembre 2019 e già respinto dal Tribunale di Sorveglianza, la prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Monica Boni, confermava nel maggio dell’anno scorso “l’approdo ormai pacifico della giurisprudenza costituzionale” secondo cui il 41bis mira a impedire i collegamenti con i membri delle organizzazioni criminali in libertà. Specificando però che si tratta di “un accertamento prognostico” finalizzato alla prevenzione. Pertanto che l’organizzazione criminale esista o meno è secondario, perché il fatto che non ci sia oggi non esclude che possa ricostituirsi domani. “Il mero decorso del tempo non costituisce elemento sufficiente a escludere o attenuare il pericolo di collegamenti con l’esterno”, scrivevano infatti i giudici. Neppure incide il fatto che l’organizzazione sia palesemente inesistente. Bisogna infatti evitare i contatti dei tre detenuti anche in assenza “di pieno accertamento della condizione di affiliato”.

Lioce, Mezzasalma e Morandi hanno passato in carcere a tempo pieno, senza permessi o misure alternative e anzi in regime di massimo isolamento, più decenni della stragrande maggioranza degli ex terroristi, inclusi i vecchi capi delle Br e dei Nar, mai formalmente dissociatisi. Quegli ex terroristi, pur senza dissociazione, avevano però dichiarato chiusa l’esperienza armata. Ma anche considerando gli irriducibili non solo di nome, come i capi delle Br-Partito guerriglia, la differenza di trattamento è evidente. Natalia Ligas, arrestata nel 1982, fu spedita al carcere duro in condizioni di estremo rigore a Messina nel 1992. Quattro anni dopo a protestare contro quell’isolamento furono il magistrato Ferdinando Imposimato e il giurista futuro sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Nel 1998 le furono concessi i primi permessi e due anni dopo le misure alternative alla detenzione. Giovanni Senzani, leader delle Br-Partito guerriglia, ottenne la semilibertà nel gennaio 1999, a 17 anni dall’arresto. Erano tempi più civili. Lo stesso Imposimato, a lotta armata sconfitta, si diceva stupito per “i trattamenti differenziati, oggi, tra politici dissociati e irriducibili”. Le cose sono cambiate: se tre persone vengono sepolte vive senza alcun motivo ragionevole non se ne stupisce più nessuno.

Peggio: non se ne accorge più nessuno.

da il Riformista

Cariche della polizia a Napoli: “Piantedosi, Minniti assassini in giacca e cravatta”



Da OsservatorioRepressione

Cariche a Napoli durante contestazione a Piantedosi e Minniti
“Assassini in Giacca e Cravatta!” poi la contestazione e le cariche al passaggio di Minniti e Piantedosi! Quando un giorno si farà la storia dei crimini di Stato nel Mediterraneo e del razzismo istituzionale sarà importante se si potrà dire che c’è stato chi si è opposto, chi ha resistito, chi ha chiamato gli assassini col loro nome, chi ha detto coi fatti “non nel mio nome”! Un centinaio di manifestanti – appartenenti alle associazioni antifasciste e antirazziste napoletane – si sono radunati all’esterno della Stazione Marittima al Molo Beverello per protestare contro le politiche del governo soprattutto sul tema dell’accoglienza e dell’immigrazione. Una delegazione dei manifestanti, poi intenzionata a deporre una corona di fiori davanti al monumento al migrante, un totem per la pace che sorge proprio all’interno della Stazione Marittima in memoria di tutte le persone morte in mare durante le traversate. I manifestanti hanno però trovato la polizia, in assetto antisommossa, schierata all’ingresso della Stazione Marittima a sbarrargli la strada. Quando alcuni partecipanti al corteo hanno insistito affinché li lasciassero passare, per deporre i fiori sono scattate le cariche e le manganellate e due manifestanti sono rimasti feriti Il comunicato di Antirazzist* di Napoli e Napoli senza confine Così oggi oltre un centinaio di antirazzist*, migranti, autoctoni, studenti, associazioni hanno contestato alla Stazione Marittima di Napoli la presenza del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e dell’ex Ministro Marco Minniti. Con le mani bagnate di vernice rossa i manifestanti hanno gridato “questo è il sangue di cui sono sporche le vostre”. La polizia ha caricato due volte, quando è passata la macchina di Marco Minniti mentre i manifestanti volevano deporre una corona di fiori sotto al monumento del migrante che si trova all’ingresso della stazione marittima e quando è passata l’auto del ministro dell’Interno verso cui gli attivisti hanno tirato foglie di insalata a ricordare che lo sfruttamento nelle campagne e sul lavoro è l’altra faccia di decreti come quello che è al voto in parlamento: attaccando la protezione speciale (e non solo) aumenta clandestinità e ricattabilità delle persone. Dopo le cariche tra i manifestanti molti contusi e un ferito alla testa… “Basta parlare di Stragi del mare – si spiega dal camioncino dello speaker- quando 94 persone come a Cutro muoiono affogate a due passi dalla riva, dopo essere state avvistate da almeno un giorno bisogna parlare di Stragi di Stato, per la quale i parenti delle vittime e la democrazia italiana hanno diritto ad avere Verità e Giustizia!” Se Matteo Piantedosi è il tecnocrate che fa la guerra al soccorso in mare in nome di un governo di estrema destra che parla senza vergogna di “difesa della razza”, Marco Minniti è l’architetto di quel memorandum sulla Libia che dal 2016 finanzia bande di aguzzini in Libia per sequestrare, torturare, violentare e schiavizzare migliaia di esseri umani. “Morti in mare – Schiavi in terra!” denunciava lo striscione del movimento migranti, un altro “Minniti e Piantedosi Not Welcome” e quello al centro “Stragi di Stato – Minniti e Piantedosi assassini in giacca e cravatta!”. La contestazione precede la manifestazione antifascista e antirazzista del 25 aprile (da piazza Garibaldi alle 10) e quella nazionale del 28 aprile a Roma contro il nuovo decreto in discussione in parlamento, per la quale solo da Napoli sono già stati organizzati dieci autobus di manifestanti.
Da potere al popolo Napoli
Si è da poco conclusa la manifestazione alla Stazione Marittima, contro le politiche razziste del governo italiano sull’immigrazione, in occasione della presenza a Napoli di Minniti e Piantedosi.
Durante la contestazione pacifica, ci sono state alcune cariche. Ancora una volta, lo Stato risponde con la violenza a una manifestazione di dissenso. In questo modo, si criminalizza chi chiede un cambiamento. In realtà, i veri violenti sono i politici che, negli anni, occupando posizioni di potere, hanno lasciato morire migliaia di persone al largo delle coste del Mediterraneo.
La nostra protesta non si ferma qui: il 28 aprile saremo a Roma per Non sulla nostra pelle
Dalla stampa
Napoli, Piantedosi contestato: scontri e lancio di ortaggi e vernice contro l’auto per i morti di Cutro. Striscioni e proteste contro il ministro «Piantedosi e Minniti non siete i benvenuti a Napoli». È uno degli slogan dei movimenti di protesta davanti l’ingresso della Stazione marittima di Napoli in attesa del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, per partecipare al Forum sui beni confiscati. In piazza, gli attivisti di Mediterranea, del Movimento migranti e rifugiati Napoli, di Potere al popolo… I manifestanti parlando delle politiche del Governo Meloni affermano che «hanno le mani sporche di sangue». Alcuni manifestanti si sono tinti le mani di vernice rossa espressione del sangue dei migranti. Nel momento in cui i manifestanti hanno tentato di avvicinarsi di più all’ingresso ci sono stati contatti con le forze dell’ordine. E poi ci sono stati gli scontri tra manifestanti e polizia… Oggetto della contestazione il cosiddetto decreto Cutro che ridimensiona la protezione speciale per i migranti che arrivano in Italia. Dure le critiche anche all’indirizzo dell’ex ministro Marco Minniti, anche lui a Napoli… Vernice e ortaggi sono stati lanciati contro l’auto del ministro. I manifestanti – collettivi studenteschi e universitari, associazioni di migranti – hanno preso di mira l’auto del ministro. La polizia, presente sul posto in tenuta antisommossa, è intervenuta con cariche di alleggerimento. Ma ci sono anche stati tafferugli. I manifestanti, che già in precedenza avevano tentato di avvicinarsi all’ingresso della struttura venendo però respinti dalla Polizia, hanno avuto un altro contatto con le forze dell’ordine. Uno dei manifestanti è stato visto con una ferita alla testa.

Alfredo Cospito ha sospeso lo sciopero della fame, ma la mobilitazione continua – sabato 22 presidio al carcere dell’Aquila

Da Radio Onda Rossa

E’ di ieri la notizia dell’interruzione dello sciopero della fame di Alfredo, ma la questione sul carcere duro all’interno della società ormai è stata posta e la mobilitazione continua. Questo sabato ci sarà un presidio fuori le mura del carcere dell’Aquila, unico carcere che prevede la sezione femminile di 41bis. Ne parliamo con un compagno e rilanciamo l’appuntamento di sabato alle 12 a largo preneste.

contro 41bis e carcere

Sabato 22 aprile 24 ore di staffetta radiofonica dalle 8 di mattina contro #carcere e #41bis in FM e streaming su RadioOndaRossa, Radiondadurto, Radioblackout, RadioWombat RadioEustachio. Con contributi di RadioCiroma, RadioCittàPescara, RadioGramma, RadioNeanderthal, RadioSpore, RadioQuar 06491750 numero unico per intervenire

Caso Cospito: “dichiaro di interrompere lo sciopero della fame”. Ma la battaglia contro la repressione, contro il carcere tortura/assassino deve continuare, ancora più forte

Dopo 181 giorni, Alfredo Cospito ha deciso di interrompere lo sciopero della fame contro il 41bis, iniziato il 20 ottobre 2022. Lo ha comunicato lui stesso su un modello prestampato a disposizione dei detenuti e in cui ha scritto: “Dichiaro di interrompere lo sciopero della fame” dopo 6 mesi di protesta, in cui ha perso 50 chilogrammi, con diversi problemi cardiaci e neurologici che ora andranno seguiti con molta attenzione e cura.

Solo ieri, martedì 18 aprile, la Consulta aveva bocciato come “illegittimo” il divieto alle attenuanti contro Cospito e Anna Beniamino, altra esponente anarchica sotto processo a Torino per le due bombe carta del 2006 fuori dalla scuola per allievi ufficiali carabinieri di Fossano, Cuneo, senza vittime nè feriti. La decisione della Consulta, oltre a segnare un punto di diritto universale, dovrebbe chiudere le porte alla richiesta di ergastolo per lo stesso Cospito, comunque per ora sottoposto ancora al 41 bis, istituto penale messo pubblicamente sotto accusa in questi mesi con uno degli scioperi della fame più lunghi mai realizzati in Italia.

Intanto i legali di Cospito hanno presentato un nuovo ricorso alla Corte di Strasburgo, questa volta contro direttamente il regime del 41bis. Nel ricorso si sostiene che sono stati violati diversi diritti di Cospito, tra cui quello a non essere sottoposto a maltrattamenti, perché “il regime differenziato applicato a Cospito è disumano per il suo carattere afflittivo, la sua illegittimità e sproporzione”.

Sulla vicenda l’avvocato di Cospito, Flavio Rossi Albertini, ha diffuso il seguente comunicato:

Comunicato stampa sulla vicenda involgente Alfredo Cospito

Era il 20 ottobre 2022 quando Alfredo Cospito, nel corso della prima udienza alla quale aveva diritto a partecipare dopo il suo trasferimento al 41 bis del 4 maggio 2022, dichiarava di voler iniziare uno sciopero della fame.

Le ragioni della protesta risiedevano nella aspra critica propugnata dall’anarchico contro il regime del 41 bis e l’ergastolo ostativo.

Dal 20 ottobre sono ormai trascorsi 181 giorni nei quali il Cospito, attraverso il suo corpo sempre più magro e provato, ha svelato cosa significhi in concreto il regime detentivo speciale: illogiche privazioni imposte ai detenuti, aspre limitazioni prive di una legittima finalità, deprivazione sensoriale, un ambiente orwelliano in cui si è costantemente osservati e ascoltati da telecamere e microfoni. Ed ancora, impossibilità di leggere, studiare ed evolvere culturalmente e di ricevere libri e riviste dall’esterno anche quando inviati da case editrici, detenuti anziani ai quali viene impedito per decenni di abbracciare, anche solo toccare la mano, di figli, coniugi, fratelli…

Grazie alla protesta di Cospito, alle mobilitazioni del variegato mondo dell’attivismo politico extraparlamentare, al movimento anarchico, agli intellettuali schieratisi a sostegno delle ragioni della protesta, al mondo dei media che ha permesso la veicolazione di questi scomodi argomenti nelle case delle persone, milioni di soggetti, tra cui soprattutto le nuove generazioni, hanno compreso l’incompatibilità del 41 bis o.p. con i principi di umanità della pena e quindi con la Costituzione nata dalla lotta antifascista.

Grazie alla vicenda Cospito, il 41 bis è sempre meno tollerato da una opinione pubblica che in questi mesi è stata chiamata ad un ruolo attivo che superasse e bandisse l’indifferenza nei confronti dell’altro. A questo risultato immediato se ne deve però aggiungere un altro ossia la dichiarazione di ricevibilità e conseguente registrazione del ricorso proposto dall’avv. Antonella Mascia di Strasburgo e dallo scrivente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, avente proprio ad oggetto il regime penitenziario differenziato previsto dall’articolo 41-bis O.P.

Il ricorso, nel quale sono state lamentate gravi violazioni della Convenzione EDU, verrà valutato nel merito nel termine di due o tre anni (tali sono i tempi di una pronuncia) e potrebbe rappresentare il grimaldello giuridico che bandirà lo strumento inumano del 41 bis, così come avvenuto nel caso dell’ergastolo ostativo.

Da ultimo, ma non per minore importanza, l’oggettiva vittoria conseguita con la decisione di ieri, 18 aprile 2023, della Corte Costituzionale che, da quanto si apprende dal comunicato diffuso, non ha soltanto deciso sulle sorti del detenuto anarchico, ma ha compiuto una dichiarazione di incostituzionalità del divieto di prevalenza di tutte le attenuanti, nei confronti della recidiva reiterata, per tutti i reati la cui pena edittale sia fissa e contempli il solo ergastolo.

Conclusivamente la lotta intrapresa da Cospito può dirsi abbia raggiunto gli obiettivi prefissati, i tempi di attesa della decisione della Cedu, a differenza di quelli molto più contenuti della Consulta, non sono infatti compatibili con lo sciopero della fame mentre la decisione di Strasburgo merita di essere attesa.

Quindi Alfredo Cospito, trascorsi 180 giorni di digiuno e dopo aver esposto a rischio la propria vita, essere dimagrito 50 chilogrammi e aver ormai irrimediabilmente compromesso la propria funziona deambulatoria dovuta allo scadimento irreversibile del sistema nervoso periferico, il 19 aprile 2023 ha deciso di porre fine allo sciopero della fame. Ciò facendo, il medesimo, ringrazia tutti e tutte coloro che hanno reso possibile questa tenace quanto inusuale forma di protesta.

Avv. Flavio Rossi Albertini

Per Alfredo Cospito prima incrinatura contro la linea forcaiola/assassina di Governo, Nordio, Stato. Bene! Ora avanti, la battaglia continua

La Corte Costituzionale ha deciso che Cospito non può essere condannato all’ergastolo
Fuori Alfredo dal 41 bis ORA!

(da Repubblica) 

La Consulta dà ragione all’anarchico: “Incostituzionale non riconoscere le attenuanti

Alla Consulta hanno vinto Alfredo Cospito e il suo avvocato Flavio Rossi Albertini. La Corte costituzionale apre dunque la via per uno sconto di pena all’anarchico, facendo cadere la norma che avrebbe vincolato la Corte d’assise d’appello di Torino a condannarlo necessariamente all’ergastolo per l’attentato alla Scuola allievi carabinieri di Fossano del 2006.

La pena “rigida” dell’ergastolo chiesta dalla Cassazione ai giudici di Torino dovrà invece tenere conto delle circostanze attenuanti. Perché, scrive la stessa Corte nel rendere nota la sua decisione appena assunta, “il carattere fisso della pena dell’ergastolo esige che il giudice possa operare l’ordinario bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti” previsto dall’articolo 69 del codice penale che disciplina la gradazione delle pene.

Bocciato come  “costituzionalmente illegittimo” l’articolo del codice “nella parte in cui vieta al giudice di considerare eventuali circostanze attenuanti come prevalenti sulla circostanza aggravante della recidiva nei casi in cui il reato è punito con la pena edittale dell’ergastolo”.

L’avvocato di Cospito: “Finalmente una buona notizia, restituita dignità alle questioni giuridiche sottese alle vicende umane, non ultima quella di Alfredo Cospito”.

Netta sconfitta per l’Avvocatura dello Stato che ancora stamattina (ieri ndr) aveva sostenuto l’assoluta rigidità del codice nel vietare le attenuanti, soprattutto per un reato come quello di Cospito. E sconfitta anche per il governo e per il Guardasigilli, Carlo Nordio, che si era pronunciato per mantenere il regime del 41 bis. Ma sconfitta pure per la stessa Corte di Cassazione che non solo a luglio aveva chiesto di contestare a Cospito il reato di strage, quindi senza attenuanti, ma un mese fa ha anche confermato il regime del 41 bis deciso dal tribunale di sorveglianza..

 A Fossano non ci furono né morti né feriti, ma solo danni. Per questo, secondo la Corte d’appello di Torino, si sarebbe potuta riconoscere l’attenuante dei fatti di lieve entità, riducendo la pena di un terzo.

Opposta l’opinione dell’Avvocatura dello Stato che ha sposato in pieno la tesi della Cassazione, e cioè la “strage politica”, e quindi il reato più grave, il 285 del codice penale che obbliga i giudici a comminare la pena dell’ergastolo. Ovviamente per l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta in udienza le posizioni del governo che ha preso posizione altrettanto dura su Cospito come il Guardasigilli Carlo Nordio confermando il 41 bis, chi attenta alla sicurezza dello Stato commette uno “tra i reati più gravi in una democrazia”…

Palermo: studentessa condannata per aver invitato gli studenti a partecipare ad un corteo contro l’alternanza scuola-lavoro

Studentessa palermitana condannata per aver  “istigato” un certo numero di studenti a partecipare ad un corteo in programma a Palermo da piazza Politeama a piazza Verdi: il caso viene raccontato dall’Ansa e riguarda la studentessa Ludovica Di Prima per un fatto accaduto il 4 febbraio dell’anno scorso.

Per la questura Ludovica Di Prima era la “promotrice” di una manifestazione organizzata dal coordinamento Studenti Palermitani per protestare contro l’alternanza scuola-lavoro, protesta attivata anche dopo la morte di due ragazzi durante degli stage.
La notizia è stata data in una conferenza stampa nel Laboratorio Sociale Malaspina.
L’imputata è stata condannata alla pena base di 110 euro e 5 giorni di arresto, convertita in una multa complessiva di 660 euro per aver violato i decreti anti Covid, che autorizzavano solo presidi statici.

“La responsabilità penale di una libera scelta di espressione del dissenso, condivisa da tutta la piazza, ricade secondo la Questura unicamente su una singola persona” ha detto la studentessa che ha aggiunto: “Il divieto, arrivato la sera prima della manifestazione, veniva giustificato coi famosi decreti anti Covid e dunque con la ‘scusa’ della diffusione del contagio, anche se ormai da tempo non vi erano più restrizioni in molti ambiti della vita pubblica”.

La studentessa è stata condannata con un decreto penale e quindi senza un normale processo penale che le avrebbe dato almeno la possibilità di difendersi.

Ludovica Di Prima ha ancora detto: “A un anno da quelle manifestazioni in cui migliaia di giovani in tutta Italia mettevano in discussione un modello di scuola che manda gli studenti a morire in posti di lavoro insicuri, le rivendicazioni sono rimaste inascoltate e l’unica risposta è stata la repressione. La libertà di dissenso in uno Stato che si finge democratico è, dunque, garantita solo se compatibile con le scelte politiche dei governi”.

da La tecnica della scuola