Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

FPLP: Il regime israeliano sta trasformando le prigioni in campi di sterminio per i palestinesi


Al Mayadeen | almayadeen.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/11/2025

Il PFLP accusa il regime israeliano di tortura sistematica, negligenza medica e sterminio lento dei prigionieri palestinesi, sollecitando un’azione urgente a livello globale.

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) dichiara di ritenere il governo di occupazione israeliano pienamente responsabile dell’escalation dei crimini di guerra contro i prigionieri palestinesi perpetrati nelle sue carceri e centri di detenzione, in particolare su quelli provenienti da Gaza.

In una dichiarazione rilasciata sabato, il FPLP condanna la “politica sistematica di tortura fisica e psicologica, di negligenza medica deliberata e di esecuzioni extragiudiziali” dei detenuti arrestati vivi, descrivendo questi atti come parte di una “campagna pianificata di sterminio” volta a schiacciare il movimento dei prigionieri palestinesi.

La dichiarazione denuncia anche il continuo sequestro dei corpi dei martiri così come la loro sepoltura nei cosiddetti “cimiteri dei numeri”, definendolo un doppio crimine e una palese violazione del diritto internazionale umanitario e dei principi morali.

Secondo il FPLP questi abusi riflettono una politica ufficiale all’interno dell’establishment israeliano al potere volta a trasformare le prigioni in campi di sterminio lento, sotto la diretta supervisione di “figure fasciste” del governo, prima fra tutte il ministro della Sicurezza nazionale dell’occupazione, Itamar Ben-Gvir.

“Israele” ricorre alla punizione collettiva

Il gruppo aggiunge che l’accanimento di Ben-Gvir contro i detenuti palestinesi incarna la politica di vendetta e punizione collettiva del regime israeliano attuata all’interno delle prigioni e dei centri di interrogatorio.

Il FPLP esorta quindi la comunità internazionale, le Nazioni Unite e il Comitato Internazionale della Croce Rossa ad assumersi le loro responsabilità legali e morali avviando un’indagine internazionale urgente e indipendente per assicurare alla giustizia i responsabili, primo fra tutti Ben-Gvir. Sottolinea inoltre che tali pratiche rappresentano la massima espressione del fascismo politico e del razzismo istituzionalizzato all’interno del regime israeliano.

Nel concludere la sua dichiarazione, il FPLP ribadisce che la causa dei prigionieri rimane centrale nella lotta nazionale palestinese avvertendo che il popolo palestinese e le sue fazioni “non resteranno a guardare di fronte a questi crimini continui contro i loro figli e le loro figlie dietro le sbarre”.

I martiri detenuti legati, bendati, torturati

La maggior parte dei corpi dei martiri palestinesi restituiti da “Israele” sono stati trovati bendati, con mani e piedi legati, ha rivelato il portavoce del dipartimento forense di Gaza.
Queste, ha dichiarato, sono prove convincenti che i detenuti palestinesi sono stati brutalmente torturati prima di essere giustiziati.
Ha esortato tutte le organizzazioni internazionali a entrare con urgenza nella Striscia di Gaza per documentare queste violazioni da parte delle forze di occupazione israeliane e garantire che i responsabili dei crimini commessi contro i palestinesi siano chiamati a rispondere delle loro azioni.

“Israele” consegna 30 corpi palestinesi nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza

La notizia è stata diffusa dopo che “Israele” ha consegnato alle autorità di Gaza i corpi di 30 martiri palestinesi che erano stati detenuti nelle sue prigioni, nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco in corso, secondo quanto riportato venerdì dall’agenzia di stampa palestinese Safa.

I corpi sono stati trasferiti all’ospedale Nasser nella città meridionale di Khan Younis, a Gaza. Secondo quanto riferito, si tratta della quinta consegna di corpi, che porta il conteggio totale a 225. Molti corpi presenterebbero tracce di tortura ed esecuzione, come ustioni, mani legate e occhi bendati.

The Guardian ha riportato la scorsa settimana che l’entità israeliana ha consegnato a Gaza almeno 135 corpi mutilati di palestinesi che erano stati detenuti nella famigerata base militare israeliana di Sde Teiman. Si ritiene che la struttura sia stata teatro di esecuzioni sommarie, torture e abusi sessuali. Il quotidiano ha riportato che le foto dei detenuti di Sde Teiman in suo possesso mostravano persone bendate e ammanettate.

Vale la pena notare che l’accordo di cessate il fuoco tra l’occupazione israeliana e il movimento palestinese Hamas è entrato in vigore il 10 ottobre. Il 13 ottobre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan hanno firmato una dichiarazione sul cessate il fuoco a Gaza.


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5.837 denunce di trattamenti inumani in un anno: i clamorosi numeri delle carceri italiane

5.837 denunce di trattamenti inumani in un anno: i clamorosi numeri delle carceri italiane

Il sistema penitenziario italiano continua a mostrare crepe profonde. Con un tasso di sovraffollamento che ha superato il 135%, oltre 63.000 persone sono detenute in spazi concepiti per meno di 47.000. In un solo anno, la popolazione detenuta è cresciuta di 1.336 unità. È in questo scenario che l’associazione Antigone lancia una campagna e una petizione per riportare la detenzione «entro i confini della Costituzione». Il dato più eclatante arriva dagli Uffici di Sorveglianza: nel 2024 sono state accolte 5.837 denunce per trattamenti inumani o degradanti, il 23,4% in più rispetto all’anno precedente. Un numero che supera persino quello della condanna europea del 2013, la sentenza Torreggiani, che vedeva circa 4mila ricorsi pendenti.

I ricorsi presentati ai Tribunali di sorveglianza dipingono un quadro desolante e uniforme da nord a sud del Paese. Si parla di «celle da quattro dove viviamo in sette», di «finestre senza vetri», di un’«invasione di ratti in tutti i locali e infestazione di insetti vari». I detenuti denunciano «vitto insufficiente e scadente», «mancanza di acqua calda», «file mostruose per andare in bagno» e un «clima di paura». Come se non bastasse, emerge una constatazione amara: «Non tutti si possono permettere di avere una vita da detenuto. È come essere un senza tetto». Queste condizioni, giudicate in violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, hanno portato a 10.097 istanze solo nel 2024, di cui ì5.837 accolte, concedendo ai ricorrenti uno sconto di pena o un risarcimento di 8 euro per ogni giorno di detenzione in condizioni illegittime.

«Oggi assistiamo a quelle stesse violazioni, e in misura ancora maggiore, ma nella generale indifferenza – ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – guai se a condannarci è l’Europa, poco male se a farlo sono i nostri stessi giudici. Eppure, ogni condanna per trattamenti inumani è un richiamo alla nostra legalità costituzionale». Il meccanismo risarcitorio è stato introdotto nel 2014 come rimedio al sovraffollamento in seguito alla condanna di Strasburgo, tuttavia sono tanti coloro che non chiedono il risarcimento, spesso a causa della «estrema fragilità di molti, in particolare stranieri». Inoltre, Antigone denuncia una «enorme disomogeneità» nei tassi di accoglimento: si va dall’86,7% di Salerno al 27,8% di Catanzaro, a testimonianza di un’applicazione frammentaria e arbitraria del diritto.

Di fronte a questa emergenza, la campagna “Inumane e degradanti. Il carcere italiano è fuori dalla legalità costituzionale” avanza una serie di proposte. Si chiedono misure deflattive immediate, come clemenza e un ampliamento significativo delle misure alternative, per raggiungere l’obiettivo «zero sovraffollamento». Si propone di consentire telefonate quotidiane e di dare piena attuazione al diritto all’affettività. Secondo Antigone, è necessario un cambio di passo verso la modernizzazione: approvando un nuovo regolamento, installando telecamere negli spazi comuni e garantendo trasparenza su morti e suicidi. Altri pilastri sono il ritorno al sistema delle celle aperte per almeno otto ore al giorno, l’abolizione dell’isolamento disciplinare per i minori e la sua drastica riduzione per gli adulti, e un piano straordinario di assunzioni di personale qualificato. Non mancano le richieste di abrogazione di norme ritenute dannose, come il reato di «rivolta penitenziaria» e il cosiddetto «decreto Caivano», accusato di aver «distrutto il sistema della giustizia minorile». L’appello è anche a Regioni, ASL e Scuole per un coinvolgimento attivo.

Già alcuni mesi fa, i garanti dei detenuti avevano inoltrato diverse richieste al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per cambiare il modo in cui vengono trattati i carcerati e migliorarne le condizioni di detenzione. Le istanze sono sfociate dalla Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale, tenutasi a Roma lo scorso 18 giugno. Nello specifico, i garanti hanno chiesto che venga assicurato ai detenuti il diritto ad accedere ai colloqui intimi, che le celle vengano lasciate aperte durante il giorno, che in estate venga garantita l’ora d’aria tutti i giorni evitando le ore di caldo cocente (tra le 13 e le 15), nonché l’indulto per 16mila persone attualmente ristrette in carcere per reati minori.

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processo a un compagno maoista in Olanda – la nostra solidarietà

da secours rouge

 

En juillet 2025, la police néerlandaise a fait une descente au domicile d’un militant de l’organisation maoïste Communistisch Comité van Nederland.  Il a été arrêté dans son lit, transporté à l’autre bout du pays, à Dordrecht, et détenu pendant 18 heures. Il est accusé de sédition pour avoir dénoncé le rôle des entreprises opérant aux Pays-Bas dans le génocide en cours en Palestine. Par ailleurs, l’État néerlandais a imposé des interdictions de circulation temporaires, notamment d’entrer dans les zones entourant les entreprises Fokker GKN et Maersk. Il passera en jugement le 4 novembre 2025.

messaggio inviato

dear comrades 

Soccorso Rosso proletario sends maximum  solidarity and informs and calls proletarian and revolutionary movement in italy, for make messages and actions

they touch one, they touch all!
soccorso rosso proletario - italy


 

Si allunga il processo per Anan, Ali e Mansour – Chiesta l’audizione dell’ambasciatore israeliano per il 21 novembre

E’ ripreso oggi il processo italo-israeliano alla resistenza palestinese, che vede imputati, con l’accusa di “associazione con finalità di terrorismo internazionale”, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh. La fase istruttoria, che doveva chiudersi oggi, è stata ulteriormente dilatata al 21 novembre per ascoltare l’ambasciatore israeliano. Così la requisitoria dell’accusa slitta al 28 novembre, le arringhe della difesa e le dichiarazioni degli imputati al 19 dicembre.
Non sappiamo ancora se ci sarà sentenza quel giorno, ma sappiamo di sicuro che Anan vedrà prolungarsi di un altro mese la conclusione del primo grado di giudizio.
Anan è apparso in videoconferenza dimagrito. Per salutarlo abbiamo esposto bandiere e kefiah. Subito dopo le abbiamo dovute rimuovere perché PM e presidente della corte minacciavano di sospendere l’udienza. Fuori del Tribunale era presente un piccolo presidio di solidarietà.

Nell’udienza di oggi, in presenza della giudice a latere trasferita, sono state compiute dai periti alcune precisazioni sulle traduzioni dall’arabo, richieste dal PM, e dall’ebraico, richieste dalla difesa. Quest’ultima aveva richiesto la traduzione di un documento, tratto dal sito della pagina Facebook dell’IDF (Brigata Militare Jenin), e in particolare del contenuto di un cartello posto all’entrata della caserma di Avnei Hefetz, in cui si dà il “benvenuti al comando militare di Avnei Hefetz”
Abbiamo “scoperto” così che Avnei Hefetz è anche il nome di un insediamento militare israeliano responsabile dell’occupazione, e come tale obiettivo legittimo da parte della resistenza palestinese.
Il carattere militare di Avnei Hefetz è centrale in questo processo, perché tutta l’ipotesi accusatoria si fonda sul fatto che quando si parla di Avnei Hefetz debba farsi riferimento a un insediamento di civili che sarebbe stato l’obiettivo individuato dalla resistenza palestinese per un attentato.
Non contenta, la PM ha prima incalzato il suo perito fino a farle dire che di Avnei Hefetz ce ne sono 2, dopodiché ha chiesto di far entrare nel processo un documento redatto dall’ufficiale di collegamento tra Israele e il Sud Europa che afferma che Avnei Hefetz deve essere indicata come un insediamento di 2000-3000 abitanti.
Trattandosi di un documento con contenuto dichiarativo, per aggirare le regole codicistiche in base alle quali le dichiarazioni devono essere rese oralmente nel contraddittorio delle parti e in pubblica udienza, la Corte ha ritenuto di disporre l’audizione dell’ambasciatore israeliano o un suo delegato.
Probabilmente quindi, il 21 novembre, lo stato genocida di Israele sarà presente all’interno di un’aula giudiziaria italiana in veste accusatoria, e a nulla sono valsi i richiami della difesa a una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel 2024, in cui si fa divieto a tutti gli Stati delle nazioni unite di cooperare per il mantenimento dello status quo nei territori occupati da Israele.
A controprova è stata accolta la richiesta della difesa di far rientrare nel processo Leopold Lambert, professore e studioso degli insediamenti coloniali in Cisgiordania, o un altro dei tanti testimoni esclusi all’inizio del processo, per spiegare cosa si celi dietro i cosiddetti insediamenti israeliani ed in particolare dietro Avnei Hefetz.

Il 21 quindi verranno sentiti l’ambasciatore israeliano o un suo delegato, il testimone della difesa a controprova, e la perita, per delle precisazioni su tre nuovi documenti delle Nazioni Unite forniti oggi, due dei quali prodotti dalla difesa, da cui emergono i dati terribili di questi due anni di genocidio, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania.

Oggi un bambino è stato ucciso a Ramallah, mentre il nazista Ben-Gvir diffondeva un video in cui mostrava numerosi prigionieri palestinesi ammanettati in modo brutale e disumano ed invocava la pena di morte per i “terroristi”. Dal 7 ottobre 2023, le forze di occupazione e i coloni hanno intensificato i loro attacchi in Cisgiordania, provocando il martirio di 1.062 palestinesi e il ferimento di circa 10.000 persone, oltre all’arresto di oltre 20.000 palestinesi, tra cui 1.600 bambini.

Per il 21 novembre è previsto anche l’appello per Tarek Dridi, un altro prigioniero per la Palestina, condannato a 4 anni di carcere per gli scontri del 5 ottobre 2023.

Facciamo perciò appello a presidiare i 2 processi senza dimenticare nessuno, perché la Resistenza del popolo palestinese non si arresta e non si processa.

La Resistenza è l’unica speranza di un popolo senza speranza, e va difesa.

Anan, Ali, Mansour e Tarek Liberi!

Venerdì 31 ottobre, Presidio al Tribunale dell’Aquila per la liberazione di Anan Yaeesh, in sostegno della Resistenza palestinese

Riprenderà domani, con la chiusura dell’istruttoria dibattimentale, il processo italiano alla resistenza palestinese, che vede imputati, con l’accusa di “associazione con finalità di terrorismo internazionale”, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh.

In occasione dell’udienza, saremo ancora una volta in Presidio davanti al Tribunale dell’Aquila, venerdì 31 ottobre dalle ore 9:30, per reclamare la liberazione di Anan, ingiustamente detenuto da oltre 21 mesi nelle carceri italiane, e l’assoluzione di tutti e tre i cittadini palestinesi, perché la resistenza non è terrorismo e non si processa.

Il vero terrorismo sono le bombe dell’imperialismo, fornite allo stato genocida di Israele per il profitto di pochi criminali che si credono i padroni del mondo.

Terrorista è lo stato sionista di Israele, che non ha mai smesso di bombardare e uccidere, a Gaza come in Libano, come in Cisgiordania, con il silenzio e la complicità del nostro governo.

In una sola notte a Gaza sono stati uccisi almeno 104 palestinesi (tra cui 46 bambini e 20 donne), chi è il terrorista?

In tre settimane di finta tregua Israele ha violato il cessate il fuoco almeno 80 volte, uccidendo almeno 211 semiti palestinesi, ma il nazista Trump ha detto che Israele fa bene a “reagire”, perché “hanno ucciso un soldato israeliano”. Chi è l’antisemita?

Nessuna pace e nessuna giustizia è possibile sotto occupazione, né in Palestina, né in Italia, dove si processa un partigiano palestinese solo perché lo vuole lo Stato illegale israeliano.

La deportazione di Anan Yaeesh a centinaia di chilometri dal foro competente e dal suo avvocato, lo svolgimento e i tempi del processo alterati in maniera anomala che compromettono gravemente il suo diritto alla difesa, le irrituali e reiterate richieste del Pubblico Ministero di far rientrare nel processo annotazioni provenienti dai servizi segreti israeliani e statunitensi, il rigetto di quasi tutti i testimoni della difesa, stanno a dimostrare che questo è un processo politico, basato essenzialmente sulle tesi dello Stato genocida di Israele, che mira a criminalizzare la solidarietà e la resistenza palestinese. Un processo assurdo, in cui l’accusa non è riuscita a dimostrare alcun coinvolgimento di Anan e dei suoi due amici palestinesi in azioni violente, né contro civili né contro coloni israeliani. Tanto meno è riuscita a provare che le azioni contestate si siano mai verificate. I 15 verbali di interrogatori estorti dallo Shin Bet su prigionieri di Tulkarem privati di assistenza legale, sottoposti a corte marziale e deportati nelle carceri israeliane, sono stati esclusi dal processo solo per ragioni codicistiche, quindi la vigilanza democratica deve rimanere alta intorno a questo processo.

Per questo invitiamo tutte e tutti a partecipare, ma in particolar modo il mondo dell’informazione, perché tutt’ora sussiste il pericolo che i vertici politici e giudiziari italiani cedano alla richiesta di Israele, che vuole la testa di Anan.

La Resistenza non si arresta!

La Resistenza non si processa!

Libertà per Anan, Ali e Mansour!

Continuiamo a lottare per l’autodeterminazione del popolo palestinese, la fine dell’occupazione e dell’apartheid.

Manifestazione per la liberazione di Anan Yaeesh al carcere di Melfi – Foto, interventi, commenti

audio interventi disponibili richiedi a srp srpitalia@gmail.com

 

 

 

Da ORE 12 Controinformazione rossoperaia del 27/10

La manifestazione si è tenuta ieri davanti a carcere di Melfi in solidarietà e per rivendicare la liberazione di Anan, il prigioniero politico palestinese che insieme ad altri è stato arrestato, e viene detenuto e processato nelle carceri italiane in maniera ingiusta e sostanzialmente a servizio degli interessi dello Stato sionista di Israele. Un’espressione tipica della complicità che esiste tra Stato imperialista italiano e Stato israeliano e chiaramente questo governo non ha nessuna intenzione di liberare Anan ma ha tutta l’intenzione di arrivare a un processo che in qualche maniera possa sancire la possibilità per Anan e altri suoi compagni di essere estradati e poi riconsegnati nella mano del mostro sionista.

E’ quindi una battaglia importante.

Una battaglia esemplare in queste ore in cui il sostegno alla resistenza effettiva palestinese ai piani cosiddetti “di pace” dell’imperialismo e del sionismo è determinante per il futuro della resistenza ma in generale per il futuro del popolo palestinese e della sua battaglia prolungata per una Palestina libera, uno Stato palestinese dal fiume al mare.

E’ stata una manifestazione importante perché pur essendo un numero non grande di compagni, era rappresentativa di tutte le realtà attive sulla Palestina da tempo e per la liberazione di Anan.

Al presidio ci sono state, a parte le realtà di Roma, dell’Aquila, di Teramo che stanno conducendo questa battaglia sul campo, là dove si tiene il processo, e da mesi e mesi stanno attivando presidi e iniziative incisive, partecipate, un lavoro massivo di controinformazione sia rispetto a ciò che sta avvenendo nel processo sia perché il movimento per la Palestina nel suo insieme raccolga al suo interno, come di fatto sta avvenendo, la battaglia per la liberazione di Anan, vi sono state realtà da varie parti della Basilicata, dalla Puglia.

Realtà che in generale non si erano ritrovate prima d’ora e quindi la battaglia per Anan ha avuto una capacità di aggregare realtà che non erano collegate. Una manifestazione rappresentativa che dimostra ancora una volta quello che abbiamo detto sempre che la mobilitazione per la Palestina è capace di moltiplicare le energie della mobilitazione su tutti i piani.

E proprio perché si è trattato di raccogliere realtà non collegate, che sono attive da sempre sul territorio, ora è necessario che prendano nelle loro mani la battaglia per Anan e la inseriscono nella battaglia più generale che si sta facendo sui territori di solidarietà con la Palestina, ma non solo, contro gli armi, le industrie belliche, la Leonardo e così via.

Questa assemblea insieme al lato positivo di aver messo i compagni insieme e di aver ribadito con forza la lotta e l’importanza della solidarietà Anan, la valorizzazione della resistenza palestinese, a nostro giudizio non è riuscita però a trovare la forma e il modo perché le realtà che si erano ritrovate potessero pianificare insieme la continuità di questa campagna, sia al carcere di Melfi, dove necessariamente dovrà continuare, sia il suo radicamento nei territori in cui la presenza di Anan ci dà la possibilità di informare, controinformare, sensibilizzare e alla fine mobilitare settori di lavoratori, di studenti.

Su questo non si è fatto abbastanza nell’assemblea che si è tenuta durante il presidio al carcere. Alcuni compagni sono stati troppo incline ai comizi; bisognava far sentire all’interno del carcere forte e chiara la voce solidale dei partecipanti, non serviva tanto uno stile da comizi o interventi molto lunghi che affrontavano tutti i problemi e pensavano di ricondurli a uno. Sono posizioni sbagliate, atteggiamenti sbagliati presenti nei compagni ed espressesi anche nell’iniziativa di Melfi.

Noi da parte nostra che ci abbiamo partecipato e chiaramente abbiamo intenzione di contribuire allo sviluppo effettivo di questo movimento abbiamo cercato di sottolineare in termini costruttivi la necessità di sviluppare la mobilitazione in questo senso; e naturalmente lo faremo innanzitutto noi, perché la battaglia di Anan deve essere ben presente in tutto il proseguio della mobilitazione per la Palestina.

La rivendicazione della liberazione di Anan è di valore locale, nazionale e anche internazionale. In questo senso pensiamo che là dove noi siamo presenti in questo caso nella zona di Taranto, verso i complessi industriali in cui interveniamo, l’Ilva ma anche la Leonardo dove è in atto un’iniziativa dei lavoratori attraverso una petizione che sta raccogliendo parecchio successo, ci sono le forze che hanno interesse a una mobilitazione per Anan perché essa si lega alla mobilitazione che viene fatta contro la guerra, il razzismo, l’imperialismo, lo sfruttamento e la ricaduta sui territori del razzismo, dell’economia di guerra, dello sfruttamento.

Quindi pensiamo che questa manifestazione a Melfi possa servire in questa direzione.

Ma il percorso richiede che avanzi lo spirito unitario e la chiarezza, la capacità di includere piuttosto che di autoproclamarsi come in certi interventi in questa manifestazione è stato fatto.

Quando si dice la continuità collettiva evidentemente bisogna trovare le forme di questa continuità, i presidi al carcere sono sempre stati significativi e simbolici, ma chiaramente la forma principale con cui si possono coinvolgere associazioni, masse e realtà è il corteo. Per cui riteniamo che effettivamente la proposta del corteo fatta in uno degli interventi iniziali al carcere vada raccolto e quindi si deve costruire un nuovo presidio a Melfi e un corteo, a Melfi stesso o in altra realtà vicine. E’ un problema che bisogna risolvere con il confronto e il parere di tutti. Chiaramente per realizzare un nuovo presidio di questa natura comprensivo di un corteo occorre almeno un mese di mobilitazione e di propaganda, agitazione e costruzione delle relazioni necessarie perché riesca.

Questa è la nostra intenzione e questo continueremo a fare sin da subito, affinché questo corteo possa segnare un passo avanti della mobilitazione sia per la liberazione di Anan sia per il grande significato che queste battaglie hanno per la crescita della coscienza e del movimento generale che metta in discussione l’imperialismo, i suoi governi, i suoi stati

ntervento di proletari comunisti di Taranto all’assemblea del presidio al carcere

Compagni, dobbiamo utilizzare questa opportunità che ci siamo ritrovati grazie ad Anan. Abbiamo un dovere di organizzare una lotta vera a partire dalla ragione per cui siamo qui. La

solidarietà ad Anan ha bisogno di un supporto popolare che possiamo trovare se ci uniamo a tutte le realtà popolari che in Puglia come in Basilicata sono impegnate, hanno di fronte gli stessi nemici. Ma è necessario che ogni lotta venga fatta davvero e venga fatta con le caratteristiche che hanno queste lotte. Noi dobbiamo liberare Anan, dobbiamo estendere la solidarietà Anan in ogni luogo, e utilizzare il fatto che l’hanno rinchiuso in questo carcere per sviluppare una campagna sui nostri territori, di conoscenza e di solidarietà, per costruire una nuova manifestazione che ci veda crescere sia come numero, sia come livello di investimento delle realtà del territorio.

 

Siamo d’accordo sulla necessità di fare un corteo, di costruire un corteo che vada oltre i presidi che continueremo naturalmente a fare qui finché Anan sarà qui, perché se ci siamo venuti oggi, ci verremo sempre, e sempre vuol dire anche cercare di portare ogni volta più compagni. Il corteo, che è da organizzare secondo le caratteristiche che possiamo decidere insieme, è importante, perché il passo in più che possiamo fare per poter far crescere il movimento di solidarietà.

Poi questo lavoro non serve che si ricordino le questioni in maniera generica. Per esempio la Leonardo a Taranto non è un fenomeno strano da leggere sui giornali; ci sono state assemblee, cortei per poter sensibilizzare il paese e indirettamente i lavoratori. Noi ci siamo andati, abbiamo rotto con questa storia che alle fabbriche, come la Leonardo, si va il sabato a protestare come l’industria bellica come se i lavoratori in queste fabbriche non esistono. Siamo stati nei giorni feriali alla Leonardo di Grottaglie, abbiamo parlato con gli operai e abbiamo visto che non è come viene descritta la situazione anche tra gli operai delle fabbriche belliche; e da tutto questo nasce che poi un gruppo di lavoratori ha fatto l’iniziativa lodevole dell’appello “Stop alle forniture belliche ad Israele”, questo è il frutto di un lavoro, non è il frutto di un’idea.

Quindi il nostro compito è lavorare realmente. Questo riguarda anche la questione Stellantis a Melfi, non si va alla Stellantis una volta ogni tanto; la battaglia sulla Palestina bisogna portarla alla Stellantis. Alle portinerie dell’Ilva, e sappiamo bene com’è la situazione all’Ilva, ci sono i manifesti di questa manifestazione al carecre per Anan; alcune volte gli operai ci dicono: voi ve ne venite con la Palestina…, ma è attraverso questo lavoro che oggi anche all’Ilva ci sono lavoratori che seguono l’attività di solidarietà con la Palestina.

Quindi il nostro problema è di organizzare il lavoro che dobbiamo fare, non possiamo fare comizi, francamente non è lo stile che ci serve. Nè siamo d’accordo quando si fa della demagogia, quando si dice: noi siamo qui e gli altri…, come se si fosse assolutamente ingenui e superficiali e non si capisce che non è che le masse vengono perché fai un fischio, ma perché le organizzi, fai le lotte, sei riconosciuto, masse si organizzano in sindacati, in comitati, in organizzazioni che devi sensibilizzare e raccogliere. Non sono un popolo che deve venire dietro a te.

Capendo anche che le persone che riempiono le piazze non sono già convinte che bisogna opporre alla guerra imperialista la guerra rivoluzionaria, non sono già convinte che la Palestina è il simbolo della lotta di tutti i popoli oppressi contro questo sistema. Lo comprendono attraverso dieci, cento iniziative che fanno. E per questo non hanno bisogno di sentirsi dire che non serve a niente la Corte di Giustizia Internazionale. Dire questo è demagogia. Il nostro problema è per costruire un movimento reale, abbiamo bisogno di unire tutte le energie necessarie, certo intorno alla prospettiva della resistenza, della liberazione e della rivoluzione che alla fine è l’unica soluzione.

Quindi organizziamo una nuova manifestazione facendo un lavoro sul territorio perché finalmente possiamo anche essere di più.

 

Quindi non sprechiamo questa occasione, costruiamo le prossime scadenze a livello locale come a livello nazionale.

 Napoli Mimi, Dario e Francesco liberi! un primo risultato della mobilitazione solidale

 Napoli Mimi, Dario e Francesco liberi! un primo risultato della mobilitazione solidale

 

Mimì, Dario e Francesco sono liberi, anche se con l’odioso obbligo di firma tre volte alla settimana, affinché gli sia chiaro quello che certamente gli è già molto chiaro: di essere in libertà vigilata e controllata.