Roma: Denunce a pioggia dopo le proteste di marzo degli abitanti di San Basilio

La macchina repressiva dello stato lavora a pieno regime: notificate decine di denunce agli attivisti di asia e agli abitanti del quartiere per le proteste di marzo 2022. Alla richiesta della tutela dei diritti da parte dei cittadini, lo stato risponde con le denunce.

di Asia USB Roma

Sono state notificate, negli ultimi giorni, alcune decine di denunce agli abitanti di San Basilio ed agli attivisti di Asia-Usb per le manifestazioni di marzo 2022. I reati contestati sono svariati: radunata sediziosa, manifestazione non autorizzata, disturbo della quiete etc. Si tratta dell’ennesimo tentativo di sopprimere sul nascere qualsiasi forma di opposizione sociale con l’uso, nemmeno tanto mirato vista la pioggia di denunce e atti di accusa, della repressione poliziesca. Riassumiamo brevemente i fatti per capirlo.

Il 09/03/2022 gli abitanti di San Basilio, uomini e donne che vivono all’interno dei lotti popolari, hanno dato vita a una manifestazione spontanea in segno di dissenso verso i numerosi sgomberi che la prefettura aveva eseguito nelle settimane precedenti nella borgata romana con modalità militari: blitz all’alba da parte delle forze dell’ordine con camionette disposte lungo tutto il perimetro dei lotti per impedire l’accesso o l’uscita a chiunque. Il tutto per liberare una manciata di alloggi di proprietà dell’Ater (ancora oggi sotto sequestro e non riassegnati). L’operazione è stata poi presentata ai media come atta a contrastare la “criminalità organizzata dei clan”, ma questa versione preparata ad hoc per la stampa è stata smontata dall’intervento nel dibattito pubblico di questo sindacato. Asia-Usb infatti seguiva e sta seguendo due dei nuclei sgomberati. Famiglie di lavoratori oneste che erano entrate negli alloggi in seguito a gravi difficoltà economiche e abitative.

La protesta spontanea messa in atto dagli abitanti di San Basilio è stata pacifica e all’insegna della non violenza, solo l’intervento della Polizia ha surriscaldato gli animi, subito placatisi in seguito all’intervento organizzativo di Asia-Usb, che ha proposto un’assemblea e due manifestazioni per portare le istanze dei manifestanti presso i palazzi che, almeno in teoria, avrebbero il compito di ascoltare i cittadini e risolvere le tensioni.

Le notifiche e le contestazioni ricevute in questi giorni sono dunque gravissime. In primis poiché non colpiscono solo gli attivisti sindacali dell’Asia, ma anche i residenti del quartiere. Cittadini e cittadine che per paura ed esasperazione sono scesi in strada per difendere la propria dignità. Inoltre, va registrato che in questo paese vi è il palese tentativo di bloccare ogni forma di dissenso stroncandola sul nascere. In questo senso, oltre che gli articoli del codice più datati, i vari decreti sicurezza varati da tutti i governi fin qui succedutisi (dai decreti Minniti-Orlando ai decreti Salvini) si stanno dimostrando degli strumenti mortiferi nei confronti della libertà di manifestare ed esprimere il semplice dissenso. A pagarne il prezzo saranno tutte quelle fasce deboli che nel dibattito pubblico non hanno né rappresentanza politica né voce in capitolo. Questi cittadini che hanno nella mobilitazione e nella contestazione l’unico loro strumento politico di ascolto, ora rischiano di essere definitivamente silenziati dall’apparato repressivo dello stato.

Per questo nei quartieri è necessario organizzare gli abitanti ed i cittadini, rendendoli in grado di difendersi dall’ondata repressiva in corso, sia con strumenti conflittuali che legali. Questa necessità fa il paio con quella di continuare a ribellarsi di fronte alle disastrose politiche economiche del Governo Draghi, il quale si sta rilevando inerme di fronte all’impoverimento generale della popolazione, per colpa dell’inflazione fuori controllo, in piena stagnazione economica, e dell’imminente crisi energetica (il tutto accompagnato dalle solite politiche compiacenti ai padroni dell’economia nostrana).

All’apparato di controllo e punizione messo a punto dallo Stato, opponiamo la cultura della lotta e della contestazione, col fine di iniziare a riconquistare il terreno fin qui perso: più dignità e più diritti, cominciando da quelli alla casa ed a un reddito dignitoso.

Da Osservatorio repressione

Le orribili condizioni dei migranti nei Cpr sono responsabilità dello Stato e del Governo imperialista italiano

«Migranti nel totale degrado» Le visite dei parlamentari Nugnes, Sarli, Suriano e De Falco. Acqua non potabile, caldo soffocante, zero socialità, abuso di psicofarmaci

di Giansandro Merli

Deliri psicotici, lamette ingerite, suicidi tentati, fiumi di psicofarmaci, acqua non potabile, mancanza di cure, degrado igienico-sanitario, socialità negata. E poi il caldo, che sta colpendo tutto il paese ma nei luoghi di coscrizione moltiplica le sofferenze, trasforma le celle in serre e il cibo precotto in poltiglia maleodorante. Sono alcune delle istantanee scattate dai parlamentari che nelle ultime settimane hanno visitato i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo e Milano. Al loro interno hanno potuto ascoltare le storie individuali dei migranti trattenuti e verificare i problemi delle singole strutture, ma anche comporre una fotografia d’insieme del sistema della detenzione amministrativa.

Un unicum tra le ipotesi di privazione della libertà personale per due ragioni: non è motivata da reati o da finalità di prevenzione; è affidata a privati, sul modello statunitense, che nella gestione delle strutture perseguono i loro interessi economici. Secondo i dati del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale, resi disponibili dal Garante nazionale, al 30 giugno scorso i reclusi nei dieci Cpr italiani erano 667 uomini e 5 donne. In tutto il 2021 sono stati 5.147. Di questi è stato espulso il 49%.

«LA SITUAZIONE è drammatica. Il caldo in questa parte di Sicilia è devastante e nella struttura non c’è un albero, un luogo dove prendere un po’ di fresco. Non ci sono tv, possibilità di distrarsi, leggere un libro», dice Simona Suriano, deputata del gruppo Manifesta. Giovedì è entrata nel Cpr di Pian del Lago, provincia di Caltanissetta, mentre fuori si teneva un presidio di solidarietà con i reclusi organizzato da Lasciatecientrare e altre associazioni. «Nei giorni scorsi ci sono state delle proteste. Ho visto persone con gli arti fasciati. N., 25 anni, ha pianto tutto il tempo. Diceva di essere stato picchiato. Le forze dell’ordine negano, ma interrogherò la ministra Lamorgese», continua.

ALL’ALTRO CAPO DELL’ITALIA, mille chilometri a nord-est, c’è il Cpr di Gradisca d’Isonzo. Ha riaperto a gennaio 2020 e da allora sono morte già tre persone: Vakhtang Enukidze, Orgest Turia e Anani Ezzeddine. Il 17 giugno scorso la senatrice Paola Nugnes (Misto) e la deputata Doriana Sarli (Manifesta) hanno effettuato un’ispezione. «Le persone sono chiuse in gabbie da sei. Non escono mai. Le finestre sono sbarrate da pannelli di plexigas che creano un calore assurdo. La situazione è oltre ogni limite», dice Nugnes. L’ispezione è durata otto ore. Non c’era il medico, ma solo un infermiere che secondo quanto riferito dall’ente gestore, la cooperativa Ekene che ha anche il Cpr di Macomer, rimarrebbe dentro per due-tre giorni con turni continui.

LE PARLAMENTARI hanno riscontrato molte difformità con il regolamento d’appalto. «Dal Viminale alla prefettura, dalla questura alle forze dell’ordine presenti c’è una catena di comando che dovrebbe rendersi conto della situazione. Che le cose non sono a norma non è un’ipotesi, è evidente alla vista», denuncia Nugnes. «La Ekene si chiama Onlus ma segue il modello del profitto: meno ti dà, più guadagna», sostiene Sarli.

«Un signore diabetico vomitava sangue. Non era curato e aveva smesso di mangiare per paura che gli salisse la glicemia. Un altro ragazzo non parla con nessuno, è inavvicinabile, ma urla tutta la notte: come può un paziente psichiatrico in uno stato psicotico così forte essere tenuto lì?», continua la deputata. Le parlamentari stanno preparando un esposto in procura e una relazione al Garante nazionale.

Il CPR DI VIA CORELLI, a Milano, è stato visitato il 29 maggio scorso dal senatore Gregorio De Falco (Misto) e dall’infettivologo Nicola Cocco, esperto di medicina penitenziaria. Rispetto alla precedente ispezione di giugno 2021 è cambiato il gestore, da Engel Italia a Martinina (peraltro con una procedura poco chiara), ma sono rimasti i problemi già denunciati nel rapporto Delle pene senza delitti. Tra questi: mancanza di visite specialistiche, assenza di medicinali, cibo scadente, limitazione del diritto alla difesa. Particolare degno di nota: l’ispezione non ha potuto accertare se l’acqua della struttura è potabile o meno, come farebbe pensare un cartello sul lavandino dell’infermeria. Il direttore del centro non ha trovato, né poi fatto avere, la certificazione di potabilità dell’acqua.

TRA LE PERSONE incontrate dalla delegazione tre ragazzi finiti dietro le sbarre dopo aver chiesto asilo in questura, un uomo che ha moglie e sei figli e risiede in Italia dal 1993, altri due che ci vivono da 22 anni. Emblematica la storia di D. D., egiziano di 28 anni. Il ragazzo ha terminato di scontare un periodo di detenzione nel carcere di Trento il 18 maggio scorso. Scarcerato per buona condotta non è stato rimesso in libertà, ma portato senza preavviso al Cpr di Milano. Qui non ha ricevuto le cure per la malattia di cui soffre, l’epilessia, e in 48 ore ha avuto due violente crisi. Una gli ha causato un trauma facciale.

In prigione D. D. aveva ottenuto la certificazione di italiano A2 e superato la terza classe dell’educazione per adulti. Aveva anche studiato tutto l’anno per un esame che avrebbe dovuto fare all’uscita. Alla data della prova, però, ha capito che dal Cpr non sarebbe stato portato a Rovereto per sostenerla. E ha tentato di uccidersi. Il caso si è chiuso solo grazie all’intervento del Garante nazionale, quattro giorni prima dell’ispezione di De Falco. Così D. D. è stato liberato, ha superato l’esame e si è ricongiunto con moglie e figlio. Ma resta irregolare e in qualsiasi momento può finire di nuovo al Cpr.

NUGNES, SARLI, SURIANO E DE FALCO concordano sul fatto che la detenzione amministrativa vada superata. I problemi non dipendono solo dalle singole strutture, ma da un sistema che toglie la libertà a chi non ha commesso reati. L’ultimo tassello del più ampio mosaico delle politiche anti-migranti che hanno creato i lager in Libia, trasformato il Mediterraneo in un cimitero e portato le frontiere fin dentro le città, intorno ai corpi degli «irregolari». I Cpr, si legge in un’anticipazione del report curato da De Falco che sarà pubblicato nei prossimi giorni, sono «la chiusura del cerchio di un preciso progetto di razzismo istituzionale di costante respingimento e rifiuto, che pretende di sanzionare con la privazione della libertà individuale un mero illecito amministrativo».

da il manifesto

carcere di genova – basta pestaggi

 

Interrogatorio con pestaggio in carcere, Cassazione conferma la condanna del vice ispettore: “Ingiustificabile”

L’episodio era successo a Marassi: “dopo averlo fatto denudare, dapprima colpendolo con schiaffi in faccia, poi dopo che la vittima si era rannicchiata a terra con le braccia sulla testa per proteggersi dai colpi” gli aveva sferrato “calci sulla schiena, sulla testa e sul braccio sinistro”

Genova. E’ stata confermata dalla Cassazione la condanna per lesioni a carico di un vice ispettore della polizia penitenziaria per aver picchiato pesantemente un detenuto inerme nel carcere ‘Marassi’ di Genova, in concorso con un assistente capo verso il quale si è proceduto separatamente.

Senza successo, la difesa dell’imputato – Salvatore G., genovese di 42 anni – ha provato a sostenere che non si era trattato di una aggressione violenta ai danni di Dziri S. – questo il nome della vittima – ma “dell’esercizio di un dovere di perquisizione, sconfinato involontariamente in lesioni a causa del comportamento di opposizione” assunto dal detenuto. Al vice ispettore della polizia penitenziaria, è contestato di aver condotto il detenuto nella stanza delle perquisizioni “dopo averlo fatto denudare, dapprima colpendolo con schiaffi in faccia, poi dopo che la vittima si era rannicchiata a terra con le braccia sulla testa per proteggersi dai colpi” gli aveva sferrato “calci sulla schiena, sulla testa e sul braccio sinistro”.

Il pestaggio aveva causato lesioni, edema, escoriazioni, eritema, con circa venti giorni di prognosi. Ad avviso degli ‘ermellini’, “la tesi dell’adempimento del dovere non riesce ad estendersi alla condotta effettivamente addebitata all’imputato, perchè, anche a voler ammettere che la perquisizione fosse legittima, è la successiva, violenta aggressione fisica contro un soggetto inerme (riferita anche da due testimoni oculari esterni di cui l’imputato sembra dimenticarsi) a non trovare alcuna giustificazione”.