Arresti domiciliari per dirigenti Si.cobas e USB – I padroni, il governo Draghi, lo Stato borghese scatenano la repressione contro il sindacalismo di lotta classista e combattivo contro le lotte operaie e proletarie, nella logistica. Massima solidarietà e denuncia

Unità di lotta contro la repressione – preparare una grande risposta di massa, a Piacenza, in tutti i posti di lavoro e in ogni città – A Roma -proponiamo per il 17 settembre una manifestazione nazionale

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ARRESTATI DIRIGENTI NAZIONALI DEL SI COBAS E ATTIVISTI DEL USB

UN NUOVO, PESANTISSIMO ATTACCO REPRESSIVO CONTRO IL SINDACATO DI CLASSE E LE LOTTE DEI LAVORATORI.

All’alba di stamattina, su mandato della procura di Piacenza, la polizia ha messo agli arresti domiciliari il coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani e tre dirigenti del sindacato piacentino: Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli.

Le accuse sono di associazione a delinquere per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio e interruzione di pubblico servizio. Tale castello accusatorio sarebbe scaturito dagli scioperi condotti nei magazzini della logistica di Piacenza dal 2014 al 2021: secondo la procura tali scioperi sarebbero stati attuati con motivazioni pretestuose e con intenti “estorsivi”, al fine di ottenere per i lavoratori condizioni di miglior favore rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale…

Sul banco degli imputati figurano tutte le principali lotte e mobilitazioni condotte in questi anni: GLS, Amazon, FedEx-TNT, ecc.

È evidente che ci troviamo di fronte all’offensiva finale da parte di stato e padroni contro lo straordinario ciclo di lotte che ha visto protagonisti decine di migliaia di lavoratori che in tutta Italia si sono ribellati al caporalato e condizioni di sfruttamento brutale.

È altrettanto evidente il legame tra questo teorema repressivo e il colpo di mano parlamentare messo in atto pochi giorni fa dal governo Draghi su mandato di Assologistica, con la modifica dell’articolo 1677 del codice civile tesa a ad eliminare la responsabilità in solido delle committenze per i furti di salario operati dalle cooperative e dalle ditte fornitrici.

Ci troviamo di fronte a un attacco politico su larga scala contro il diritto di sciopero e soprattutto teso a mettere nei fatti fuori legge la contrattazione di secondo livello, quindi ad eliminare definitivamente il sindacato di classe e conflittuale dai luoghi di lavoro.

Come da noi sostenuto in più occasione, l’avanzare della crisi e i venti di guerra si traducono in un’offensiva sempre più stringente contro i proletari e in particolare contro le avanguardie di lotta.

Contro questa ennesima provocazione poliziesca, governativa e padronale il SI Cobas e i lavoratori combattivi, al di là delle sigle di appartenenza, sapranno ancora una volta rispondere in maniera compatta, decisa e tempestiva.

Invitiamo sin da ora i lavoratori e tutti i solidali a contattare i rispettivi coordinamenti provinciali per concordare le iniziative da intraprendere.

Seguiranno aggiornamenti.

Le lotte contro lo sfruttamento non si processano.

La vera associazione a delinquere sono stato e padroni.

ALDO, ARAFAT, CARLO E BRUNO: LIBERI SUBITO!

SI cobas nazionale

Siamo tutti ASKATASUNA! –

 

L’avvocato Claudio Novaro, difensore di molti militanti: «Si vuole eliminare la protesta sociale»

Tanto per esser chiari, scrive alla fine l’avvocato Claudio Novaro, il senso (della vicenda) è in una canzone del Sessantotto francese, di Dominque Grange: «Même si vous vous en foutez, chacun de vous est concerné», anche se ve ne fregate, ognuno di voi è coinvolto. Nel lungo e articolato pezzo — pubblicato sul sito Volerelaluna.it, il difensore di tanti militanti antagonisti parla della maxi inchiesta di Digos e Procura sul centro sociale Askatasuna, con l’obiettivo di ampliare la riflessione (giuridica) e allargare l’orizzonte (politico), come da titolo: «Costruire il nemico. Askatasuna, i No Tav, il conflitto sociale». Difatti, l’ultimo capoverso è proprio un appello alla politica: «Sarebbe bene che quel poco di sinistra che ancora esiste a Torino e nel Paese – scrive il legale – iniziasse a interrogarsi e a preoccuparsi di queste derive giudiziarie, perché non si tratta solo di Askatasuna o della repressione per via giudiziaria delle attività di un centro sociale». Piuttosto, «le affermazioni sopra riportate (quelle relative all’inchiesta, ndr) rendono plasticamente conto dei rischi di una deriva autoritaria non solo della giustizia, ma, visto il ruolo preponderante nell’inchiesta dell’autorità amministrativa, incarnata nella Polizia di stato, delle istituzioni, con il tentativo di delegittimare ed eliminare dallo scenario collettivo il conflitto e la protesta sociale». Va da sé, il punto (non secondario) è con quali mezzi e strumenti sono poi portati avanti, conflitto e protesta sociale.

 

«L’obiettivo è lo sgombero, come con l’ex Asilo»

La riflessione dell’avvocato Novaro arriva dopo che, l’11 luglio scorso, il tribunale del Riesame ha parzialmente accolto l’appello della Procura su alcune richieste di misure cautelari e, soprattutto, su un’ipotesi di reato, inizialmente bocciata dal gip: quell’associazione sovversiva che i giudici hanno ora riqualificato in associazione per delinquere. Con questa specificazione, riferisce il legale: «A costituire un’associazione per delinquere non è il centro sociale ma “un gruppo criminale dedito a compiere una serie indeterminata di delitti, principalmente in Val di Susa”». Seguono durissime critiche, chiaramente di parte (difensiva), a Riesame e Procura: poiché la prospettiva interpretativa dei giudici «cerca di salvare l’insalvabile, ma ne condivide il pressapochismo, la scarsa aderenza alla realtà dei fatti e, soprattutto, la scarsa conoscenza delle pratiche, dei linguaggi, perfino delle idee che caratterizzano il variegato mondo dell’antagonismo italiano». Morale, sempre secondo l’avvocato Novaro: la polizia aveva in mente per Askatasuna la stessa operazione fatta con l’ex Asilo occupato, cioè lo sgombero. Ma qui, sostiene il legale, «la posta in gioco è ancora più alta». Perché si va dalla «conflittualità metropolitana, legata alle manifestazioni di piazza, alle politiche abitative cittadine», fino «al bersaglio più grosso, la resistenza in Val di Susa contro la Tav». Tant’è che, «106 reati sui 112 contestati originariamente, ora ridotti a 66 su 72, riguardano episodi commessi in Valle, nell’ambito della lotta No Tav». Mentre, per quanto riguarda le tantissime intercettazioni, «si tratta di conversazioni malamente e approssimativamente lette e decifrate sulla base di un’interpretazione esclusivamente letterale, anche quando ci si trova di fronte a battute, risate, frasi scherzose». Poi però, spesso, gli scontri con le forze dell’ordine, sono verissimi. Opposta, ovviamente, la lettura di Digos e pm, che in due anni di inchiesta sono convinti di aver ricostruito un’attività illegale sfociata nei reati a vario titolo contestati. Sull’effettività delle misure cautelati dovrà esprimersi ora la Cassazione, su tutto il resto si aspetterà, eventualmente, un dibattimento.

 

 

Torture ai detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, 105 rinviati a giudizio

I reati ipotizzati dalla Procura sono, a vario titolo, tortura, lesioni, violenza privata, abuso di autorità e, per 12 imputati, l’omicidio colposo per la morte di un detenuto alcuni giorni dopo le violenze
DA IL DUBBIO: MERCOLEDÌ 13 LUGLIO 2022

Il gip di Santa Maria Capua Vetere Pasquale D’Angelo ha disposto il rinvio a giudizio per 105 imputati per le violenze sui detenuti nel carcere sammaritano avvenute ad aprile 2020. È stata così accolta la richiesta presentata lo scorso 26 aprile dal pm Alessandro Milita di rinviare a giudizio 105 imputati tra appartenenti al corpo della Polizia penitenziaria e funzionari dell’amministrazione penitenziaria. La Procura sammaritana non aveva chiesto il rinvio a giudizio per uno solo dei 108 imputati dell’udienza preliminare, che ha dimostrato di non essere presente all’interno del carcere nel giorno delle violenze, mentre altri due imputati hanno chiesto e ottenuto il rito abbreviato, che sarà celebrato il 25 ottobre.

I reati ipotizzati dalla Procura sono, a vario titolo, tortura, lesioni, violenza privata, abuso di autorità e, per 12 imputati, l’omicidio colposo per la morte di un detenuto alcuni giorni dopo le violenze. La prima udienza sarà celebrata il 7 novembre davanti alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere. L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere, culminata il 28 giugno 2021 con l’esecuzione di 52 misure cautelari, è stata avviata a seguito delle segnalazioni di violenze avvenute all’interno del carcere nel giorno successivo a una protesta dei detenuti dopo l’emersione di alcuni casi di positività al Covid-19.

la persecuzione contro Askatasuna a Torino – «Parla la nostra storia non le loro accuse. L’associazione a delinquere siete voi

“Criminali, non sovversivi”. I giudici riscrivono le accuse su Askatasuna

Il tribunale del Riesame di Torino ha parzialmente accolto un ricorso della procura e ha disposto undici misure cautelari per sponenti del centro sociale. Gli attivisti: la nostra storia parla per noi

Non un gruppo sovversivo, ma un’associazione criminale che attacca le istituzioni dello Stato e fa della violenza uno strumento di lotta. Il tribunale della Libertà ha ridisegnato le ipotesi d’accusa che la procura aveva sollevato nei mesi scorsi nei confronti degli attivisti del centro sociale di corso Regina, autori da anni delle battaglia contro la Tav e di manifestazioni di protesta in città. (continua solo per gli abbonati, n.d.r.)

 

Undici misure cautelari ad Askatasuna, per i giudici nel centro sociale un’associazione per delinquere

I pm di Torino avevano ipotizzato per il centro sociale l’accusa di associazione sovversiva, il Tribunale del riesame ha modificato il reato. Gli attivisti: «Parlano per noi la nostra storia»

Gli esponenti di Askatasuna, storico centro sociale legato all’area dell’Autonomia, «formano un’associazione per delinquere». Questo, secondo le prime informazioni, è il senso di una pronuncia del Tribunale del riesame di Torino che ha parzialmente accolto un ricorso della procura.

 

I pubblici ministeri avevano chiesto una serie di misure cautelari ipotizzando l’associazione sovversiva. I giudici, sempre il secondo le prime indicazioni, hanno dato una lettura diversa, senza connotazioni politiche. Il Riesame, accogliendo dunque parzialmente un ricorso della procura, ha disposto undici le misure cautelari e restrittive, due delle quali in carcere,  a carico di esponenti del centro sociale. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione per delinquere, violenza privata, rapina e sequestro di persona. Per sei indagati  si parla di arresti domiciliari e per tre di divieti di dimora nei due comuni della Valle di Susa in cui insiste un cantiere del Tav.

 

Provvedimenti non immediatamente esecutivi

Ancora non si è appreso se il tribunale del riesame ha disposto tutte o solo alcune delle misure cautelari richieste dalla procura. I provvedimenti comunque non sono immediatamente esecutivi perché la decisione può essere impugnata dalle difese in Cassazione.
Il procedimento è il prodotto di un’inchiesta avviata nel 2019 dalla Digos, che si avvalsa di numerose intercettazioni telefoniche e ambientali. Nel corso dell’udienza davanti al Tribunale del riesame i rappresentanti della procura avevano ribadito la tesi dell’associazione sovversiva sottolineando però che l’accusa non era rivolta a tutti i frequentatori e tutti gli attivisti del centro sociale, ma solo a un gruppo di indagati.

La replica degli antagonisti

«Parla la nostra storia non le loro accuse. L’associazione a delinquere siete voi»  sostiene sulle proprie pagine social il centro sociale Askatasuna. «A marzo di quest’anno sono avvenuti numerosi arresti ai danni di compagni e compagne con l’accusa, inizialmente bocciata dal gip, di associazione sovversiva. Non soddisfatti della decisione, avvenuta dopo indagini durate dal 2009 ad oggi tramite migliaia di pagine di intercettazioni, i pm hanno condotto un ricorso che ha avuto come risultato la trasformazione da associazione sovversiva ad associazione a delinquere». «Prima – si legge sui post – vogliono costruire un disegno farlocco tentando il tutto e per tutto, ora provano a dipingerci come delinquenti». Askatasuna aggiunge: «Leggeremo le carte non appena possibile. Quello di cui siamo sicuri è che non saranno i tribunali a riscrivere le storie delle lotte, di chi resiste e di chi vive per costruire un futuro giusto e migliore per tutti. Parlano per noi le nostre lotte, le persone con cui abbiamo condiviso tutti i momenti di lotta individuali e collettivi».

Un desaparecido al 41 bis: la famiglia non ha sue notizie da più di un anno

l detenuto soffre di gravi problemi psichiatrici e rifiuta le necessarie cure e assistenza specialistica, sia medica che difensiva. L’ultimo contatto telefonico lo ha avuto più di un anno fa, da allora la moglie non ne ha più notizie. Parliamo di un uomo al 41 bis fin dal 2008, prima al carcere di Parma in area riservata (il super 41 bis), dopodiché è stato trasferito nel carcere di Novara.

di Damiano Aliprandi

Durante la detenzione a Parma ha cominciato ad avere allucinazioni lamentandosi di essere stato sottoposto a scosse elettromagnetiche. Da allora una discesa negli inferi della patologia psichiatrica. L’associazione Yairaiha Onlus ha raccolto la denuncia della moglie di Pasquale Condello, così si chiama il detenuto al 41 bis, visionando anche le cartelle cliniche che hanno accertato la sua grave patologia psichiatrica. Come appunto si evince dalla comunicazione della moglie e dalla documentazione, il detenuto soffre di gravi problemi psichiatrici e rifiuta le necessarie cure e assistenza specialistica, sia medica che difensiva.

La famiglia nutre grande preoccupazione per le sue sorti, non avendo sue notizie da più di un anno: l’ultimo contatto telefonico risale a febbraio 2021. Condello, nel 2012 è stato ritrovato nella sua cella al carcere di Parma in stato di incoscienza e ricoverato nell’ospedale dove glie erano stati diagnosticati ematomi alla testa. La moglie, con la lettera inviata all’associazione Yairaiha Onlus, denuncia che secondo lei non poteva ridursi in quel modo con una caduta. È rimasto incosciente per tanti giorni. Tornato dall’ospedale, non mangiava e non beveva più, per poi essere ricoverato nel centro psichiatrico di Livorno. Lì aveva ripreso a mangiare ed era più tranquillo. Trasferito nel carcere di Novara, è riprecipitato nel delirio.

La moglie riferisce che sentiva voci e discorsi fuori della sua stanza che erano inimmaginabili. Non si è mai sottoposto a visite mediche né tantomeno a cure. Ha sempre rifiutato di essere curato in carcere perché riteneva che lì lo volevano uccidere. Secondo la moglie avrebbe trovato sempre un ambiente avverso che lo spaventava.

A quel punto era stato mandato uno psichiatra in privato, che ha fatto 4 ore di visita tra cui anche dei test, con la diagnosi che era un malato psichiatrico e che quindi aveva bisogno di cure. Dopo la pandemia, la famiglia non ha più potuto fare i colloqui. Ricordiamo che durante l’emergenza, fu data la possibilità ai detenuti di poter fare più telefonate e video-colloqui. La moglie racconta che Condello telefonava dal carcere a Reggio per potere dare sue notizie. Tutto questo fino al febbraio 2021, dopodiché non si è fatto più sentire. Non ha voluto più ricevere visite dall’avvocato, né dal medico o dai familiari.

La famiglia ha insistito ad andare tante volte per effettuare un colloquio con lui, inutilmente. Non hanno sue notizie da allora. Secondo i famigliari non risulta che qualche perito lo abbia visitato nonostante venga richiesto da parecchi mesi, e nonostante sia in corso un processo per interdirlo, perché non è in grado neppure di avere un rapporto con gli avvocati che dovevano aiutarlo, per cui se ne dovrà occupare la famiglia al suo posto. La famiglia dice di aver incessantemente smosso garanti, associazioni, inutilmente.

Ad oggi ancora la famiglia non sa niente di Pasquale Condello, sta vivendo un tormento. La moglie denuncia che non è possibile che una famiglia non possa vedere un congiunto detenuto o almeno avere notizie. Non chiedono che esca dalla detenzione, ma che venga curato, quindi che venga almeno portato in una struttura adatta dove possa farsi curare. Yairaiha Onlus, rivolgendosi alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, si unisce alla richiesta dei famigliari, chiedendo che venga fatta luce sulla vicenda del detenuto Pasquale Condello.

In attesa delle opportune verifiche da parte delle autorità preposte – scrive Yairaiha nella missiva – da associazione che si spende per la tutela dei diritti delle persone private della libertà personale indistintamente, a prescindere dunque dal nomen iuris del reato commesso dal detenuto, non possiamo che manifestare il nostro sconforto nel venire a conoscenza delle condizioni di abbandono in cui versa un detenuto anziano, affetto da patologie psichiatriche. Riteniamo che il diritto alla salute dei detenuti, anche di coloro che si trovano in regime di 41 bis, richieda un attento monitoraggio da parte di ogni componente della società democratica”.

da il dubbio