Si allunga il processo per Anan, Ali e Mansour – Chiesta l’audizione dell’ambasciatore israeliano per il 21 novembre

E’ ripreso oggi il processo italo-israeliano alla resistenza palestinese, che vede imputati, con l’accusa di “associazione con finalità di terrorismo internazionale”, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh. La fase istruttoria, che doveva chiudersi oggi, è stata ulteriormente dilatata al 21 novembre per ascoltare l’ambasciatore israeliano. Così la requisitoria dell’accusa slitta al 28 novembre, le arringhe della difesa e le dichiarazioni degli imputati al 19 dicembre.
Non sappiamo ancora se ci sarà sentenza quel giorno, ma sappiamo di sicuro che Anan vedrà prolungarsi di un altro mese la conclusione del primo grado di giudizio.
Anan è apparso in videoconferenza dimagrito. Per salutarlo abbiamo esposto bandiere e kefiah. Subito dopo le abbiamo dovute rimuovere perché PM e presidente della corte minacciavano di sospendere l’udienza. Fuori del Tribunale era presente un piccolo presidio di solidarietà.

Nell’udienza di oggi, in presenza della giudice a latere trasferita, sono state compiute dai periti alcune precisazioni sulle traduzioni dall’arabo, richieste dal PM, e dall’ebraico, richieste dalla difesa. Quest’ultima aveva richiesto la traduzione di un documento, tratto dal sito della pagina Facebook dell’IDF (Brigata Militare Jenin), e in particolare del contenuto di un cartello posto all’entrata della caserma di Avnei Hefetz, in cui si dà il “benvenuti al comando militare di Avnei Hefetz”
Abbiamo “scoperto” così che Avnei Hefetz è anche il nome di un insediamento militare israeliano responsabile dell’occupazione, e come tale obiettivo legittimo da parte della resistenza palestinese.
Il carattere militare di Avnei Hefetz è centrale in questo processo, perché tutta l’ipotesi accusatoria si fonda sul fatto che quando si parla di Avnei Hefetz debba farsi riferimento a un insediamento di civili che sarebbe stato l’obiettivo individuato dalla resistenza palestinese per un attentato.
Non contenta, la PM ha prima incalzato il suo perito fino a farle dire che di Avnei Hefetz ce ne sono 2, dopodiché ha chiesto di far entrare nel processo un documento redatto dall’ufficiale di collegamento tra Israele e il Sud Europa che afferma che Avnei Hefetz deve essere indicata come un insediamento di 2000-3000 abitanti.
Trattandosi di un documento con contenuto dichiarativo, per aggirare le regole codicistiche in base alle quali le dichiarazioni devono essere rese oralmente nel contraddittorio delle parti e in pubblica udienza, la Corte ha ritenuto di disporre l’audizione dell’ambasciatore israeliano o un suo delegato.
Probabilmente quindi, il 21 novembre, lo stato genocida di Israele sarà presente all’interno di un’aula giudiziaria italiana in veste accusatoria, e a nulla sono valsi i richiami della difesa a una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel 2024, in cui si fa divieto a tutti gli Stati delle nazioni unite di cooperare per il mantenimento dello status quo nei territori occupati da Israele.
A controprova è stata accolta la richiesta della difesa di far rientrare nel processo Leopold Lambert, professore e studioso degli insediamenti coloniali in Cisgiordania, o un altro dei tanti testimoni esclusi all’inizio del processo, per spiegare cosa si celi dietro i cosiddetti insediamenti israeliani ed in particolare dietro Avnei Hefetz.

Il 21 quindi verranno sentiti l’ambasciatore israeliano o un suo delegato, il testimone della difesa a controprova, e la perita, per delle precisazioni su tre nuovi documenti delle Nazioni Unite forniti oggi, due dei quali prodotti dalla difesa, da cui emergono i dati terribili di questi due anni di genocidio, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania.

Oggi un bambino è stato ucciso a Ramallah, mentre il nazista Ben-Gvir diffondeva un video in cui mostrava numerosi prigionieri palestinesi ammanettati in modo brutale e disumano ed invocava la pena di morte per i “terroristi”. Dal 7 ottobre 2023, le forze di occupazione e i coloni hanno intensificato i loro attacchi in Cisgiordania, provocando il martirio di 1.062 palestinesi e il ferimento di circa 10.000 persone, oltre all’arresto di oltre 20.000 palestinesi, tra cui 1.600 bambini.

Per il 21 novembre è previsto anche l’appello per Tarek Dridi, un altro prigioniero per la Palestina, condannato a 4 anni di carcere per gli scontri del 5 ottobre 2023.

Facciamo perciò appello a presidiare i 2 processi senza dimenticare nessuno, perché la Resistenza del popolo palestinese non si arresta e non si processa.

La Resistenza è l’unica speranza di un popolo senza speranza, e va difesa.

Anan, Ali, Mansour e Tarek Liberi!

Venerdì 31 ottobre, Presidio al Tribunale dell’Aquila per la liberazione di Anan Yaeesh, in sostegno della Resistenza palestinese

Riprenderà domani, con la chiusura dell’istruttoria dibattimentale, il processo italiano alla resistenza palestinese, che vede imputati, con l’accusa di “associazione con finalità di terrorismo internazionale”, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh.

In occasione dell’udienza, saremo ancora una volta in Presidio davanti al Tribunale dell’Aquila, venerdì 31 ottobre dalle ore 9:30, per reclamare la liberazione di Anan, ingiustamente detenuto da oltre 21 mesi nelle carceri italiane, e l’assoluzione di tutti e tre i cittadini palestinesi, perché la resistenza non è terrorismo e non si processa.

Il vero terrorismo sono le bombe dell’imperialismo, fornite allo stato genocida di Israele per il profitto di pochi criminali che si credono i padroni del mondo.

Terrorista è lo stato sionista di Israele, che non ha mai smesso di bombardare e uccidere, a Gaza come in Libano, come in Cisgiordania, con il silenzio e la complicità del nostro governo.

In una sola notte a Gaza sono stati uccisi almeno 104 palestinesi (tra cui 46 bambini e 20 donne), chi è il terrorista?

In tre settimane di finta tregua Israele ha violato il cessate il fuoco almeno 80 volte, uccidendo almeno 211 semiti palestinesi, ma il nazista Trump ha detto che Israele fa bene a “reagire”, perché “hanno ucciso un soldato israeliano”. Chi è l’antisemita?

Nessuna pace e nessuna giustizia è possibile sotto occupazione, né in Palestina, né in Italia, dove si processa un partigiano palestinese solo perché lo vuole lo Stato illegale israeliano.

La deportazione di Anan Yaeesh a centinaia di chilometri dal foro competente e dal suo avvocato, lo svolgimento e i tempi del processo alterati in maniera anomala che compromettono gravemente il suo diritto alla difesa, le irrituali e reiterate richieste del Pubblico Ministero di far rientrare nel processo annotazioni provenienti dai servizi segreti israeliani e statunitensi, il rigetto di quasi tutti i testimoni della difesa, stanno a dimostrare che questo è un processo politico, basato essenzialmente sulle tesi dello Stato genocida di Israele, che mira a criminalizzare la solidarietà e la resistenza palestinese. Un processo assurdo, in cui l’accusa non è riuscita a dimostrare alcun coinvolgimento di Anan e dei suoi due amici palestinesi in azioni violente, né contro civili né contro coloni israeliani. Tanto meno è riuscita a provare che le azioni contestate si siano mai verificate. I 15 verbali di interrogatori estorti dallo Shin Bet su prigionieri di Tulkarem privati di assistenza legale, sottoposti a corte marziale e deportati nelle carceri israeliane, sono stati esclusi dal processo solo per ragioni codicistiche, quindi la vigilanza democratica deve rimanere alta intorno a questo processo.

Per questo invitiamo tutte e tutti a partecipare, ma in particolar modo il mondo dell’informazione, perché tutt’ora sussiste il pericolo che i vertici politici e giudiziari italiani cedano alla richiesta di Israele, che vuole la testa di Anan.

La Resistenza non si arresta!

La Resistenza non si processa!

Libertà per Anan, Ali e Mansour!

Continuiamo a lottare per l’autodeterminazione del popolo palestinese, la fine dell’occupazione e dell’apartheid.

Manifestazione per la liberazione di Anan Yaeesh al carcere di Melfi – Foto, interventi, commenti

audio interventi disponibili richiedi a srp srpitalia@gmail.com

 

 

 

Da ORE 12 Controinformazione rossoperaia del 27/10

La manifestazione si è tenuta ieri davanti a carcere di Melfi in solidarietà e per rivendicare la liberazione di Anan, il prigioniero politico palestinese che insieme ad altri è stato arrestato, e viene detenuto e processato nelle carceri italiane in maniera ingiusta e sostanzialmente a servizio degli interessi dello Stato sionista di Israele. Un’espressione tipica della complicità che esiste tra Stato imperialista italiano e Stato israeliano e chiaramente questo governo non ha nessuna intenzione di liberare Anan ma ha tutta l’intenzione di arrivare a un processo che in qualche maniera possa sancire la possibilità per Anan e altri suoi compagni di essere estradati e poi riconsegnati nella mano del mostro sionista.

E’ quindi una battaglia importante.

Una battaglia esemplare in queste ore in cui il sostegno alla resistenza effettiva palestinese ai piani cosiddetti “di pace” dell’imperialismo e del sionismo è determinante per il futuro della resistenza ma in generale per il futuro del popolo palestinese e della sua battaglia prolungata per una Palestina libera, uno Stato palestinese dal fiume al mare.

E’ stata una manifestazione importante perché pur essendo un numero non grande di compagni, era rappresentativa di tutte le realtà attive sulla Palestina da tempo e per la liberazione di Anan.

Al presidio ci sono state, a parte le realtà di Roma, dell’Aquila, di Teramo che stanno conducendo questa battaglia sul campo, là dove si tiene il processo, e da mesi e mesi stanno attivando presidi e iniziative incisive, partecipate, un lavoro massivo di controinformazione sia rispetto a ciò che sta avvenendo nel processo sia perché il movimento per la Palestina nel suo insieme raccolga al suo interno, come di fatto sta avvenendo, la battaglia per la liberazione di Anan, vi sono state realtà da varie parti della Basilicata, dalla Puglia.

Realtà che in generale non si erano ritrovate prima d’ora e quindi la battaglia per Anan ha avuto una capacità di aggregare realtà che non erano collegate. Una manifestazione rappresentativa che dimostra ancora una volta quello che abbiamo detto sempre che la mobilitazione per la Palestina è capace di moltiplicare le energie della mobilitazione su tutti i piani.

E proprio perché si è trattato di raccogliere realtà non collegate, che sono attive da sempre sul territorio, ora è necessario che prendano nelle loro mani la battaglia per Anan e la inseriscono nella battaglia più generale che si sta facendo sui territori di solidarietà con la Palestina, ma non solo, contro gli armi, le industrie belliche, la Leonardo e così via.

Questa assemblea insieme al lato positivo di aver messo i compagni insieme e di aver ribadito con forza la lotta e l’importanza della solidarietà Anan, la valorizzazione della resistenza palestinese, a nostro giudizio non è riuscita però a trovare la forma e il modo perché le realtà che si erano ritrovate potessero pianificare insieme la continuità di questa campagna, sia al carcere di Melfi, dove necessariamente dovrà continuare, sia il suo radicamento nei territori in cui la presenza di Anan ci dà la possibilità di informare, controinformare, sensibilizzare e alla fine mobilitare settori di lavoratori, di studenti.

Su questo non si è fatto abbastanza nell’assemblea che si è tenuta durante il presidio al carcere. Alcuni compagni sono stati troppo incline ai comizi; bisognava far sentire all’interno del carcere forte e chiara la voce solidale dei partecipanti, non serviva tanto uno stile da comizi o interventi molto lunghi che affrontavano tutti i problemi e pensavano di ricondurli a uno. Sono posizioni sbagliate, atteggiamenti sbagliati presenti nei compagni ed espressesi anche nell’iniziativa di Melfi.

Noi da parte nostra che ci abbiamo partecipato e chiaramente abbiamo intenzione di contribuire allo sviluppo effettivo di questo movimento abbiamo cercato di sottolineare in termini costruttivi la necessità di sviluppare la mobilitazione in questo senso; e naturalmente lo faremo innanzitutto noi, perché la battaglia di Anan deve essere ben presente in tutto il proseguio della mobilitazione per la Palestina.

La rivendicazione della liberazione di Anan è di valore locale, nazionale e anche internazionale. In questo senso pensiamo che là dove noi siamo presenti in questo caso nella zona di Taranto, verso i complessi industriali in cui interveniamo, l’Ilva ma anche la Leonardo dove è in atto un’iniziativa dei lavoratori attraverso una petizione che sta raccogliendo parecchio successo, ci sono le forze che hanno interesse a una mobilitazione per Anan perché essa si lega alla mobilitazione che viene fatta contro la guerra, il razzismo, l’imperialismo, lo sfruttamento e la ricaduta sui territori del razzismo, dell’economia di guerra, dello sfruttamento.

Quindi pensiamo che questa manifestazione a Melfi possa servire in questa direzione.

Ma il percorso richiede che avanzi lo spirito unitario e la chiarezza, la capacità di includere piuttosto che di autoproclamarsi come in certi interventi in questa manifestazione è stato fatto.

Quando si dice la continuità collettiva evidentemente bisogna trovare le forme di questa continuità, i presidi al carcere sono sempre stati significativi e simbolici, ma chiaramente la forma principale con cui si possono coinvolgere associazioni, masse e realtà è il corteo. Per cui riteniamo che effettivamente la proposta del corteo fatta in uno degli interventi iniziali al carcere vada raccolto e quindi si deve costruire un nuovo presidio a Melfi e un corteo, a Melfi stesso o in altra realtà vicine. E’ un problema che bisogna risolvere con il confronto e il parere di tutti. Chiaramente per realizzare un nuovo presidio di questa natura comprensivo di un corteo occorre almeno un mese di mobilitazione e di propaganda, agitazione e costruzione delle relazioni necessarie perché riesca.

Questa è la nostra intenzione e questo continueremo a fare sin da subito, affinché questo corteo possa segnare un passo avanti della mobilitazione sia per la liberazione di Anan sia per il grande significato che queste battaglie hanno per la crescita della coscienza e del movimento generale che metta in discussione l’imperialismo, i suoi governi, i suoi stati

ntervento di proletari comunisti di Taranto all’assemblea del presidio al carcere

Compagni, dobbiamo utilizzare questa opportunità che ci siamo ritrovati grazie ad Anan. Abbiamo un dovere di organizzare una lotta vera a partire dalla ragione per cui siamo qui. La

solidarietà ad Anan ha bisogno di un supporto popolare che possiamo trovare se ci uniamo a tutte le realtà popolari che in Puglia come in Basilicata sono impegnate, hanno di fronte gli stessi nemici. Ma è necessario che ogni lotta venga fatta davvero e venga fatta con le caratteristiche che hanno queste lotte. Noi dobbiamo liberare Anan, dobbiamo estendere la solidarietà Anan in ogni luogo, e utilizzare il fatto che l’hanno rinchiuso in questo carcere per sviluppare una campagna sui nostri territori, di conoscenza e di solidarietà, per costruire una nuova manifestazione che ci veda crescere sia come numero, sia come livello di investimento delle realtà del territorio.

 

Siamo d’accordo sulla necessità di fare un corteo, di costruire un corteo che vada oltre i presidi che continueremo naturalmente a fare qui finché Anan sarà qui, perché se ci siamo venuti oggi, ci verremo sempre, e sempre vuol dire anche cercare di portare ogni volta più compagni. Il corteo, che è da organizzare secondo le caratteristiche che possiamo decidere insieme, è importante, perché il passo in più che possiamo fare per poter far crescere il movimento di solidarietà.

Poi questo lavoro non serve che si ricordino le questioni in maniera generica. Per esempio la Leonardo a Taranto non è un fenomeno strano da leggere sui giornali; ci sono state assemblee, cortei per poter sensibilizzare il paese e indirettamente i lavoratori. Noi ci siamo andati, abbiamo rotto con questa storia che alle fabbriche, come la Leonardo, si va il sabato a protestare come l’industria bellica come se i lavoratori in queste fabbriche non esistono. Siamo stati nei giorni feriali alla Leonardo di Grottaglie, abbiamo parlato con gli operai e abbiamo visto che non è come viene descritta la situazione anche tra gli operai delle fabbriche belliche; e da tutto questo nasce che poi un gruppo di lavoratori ha fatto l’iniziativa lodevole dell’appello “Stop alle forniture belliche ad Israele”, questo è il frutto di un lavoro, non è il frutto di un’idea.

Quindi il nostro compito è lavorare realmente. Questo riguarda anche la questione Stellantis a Melfi, non si va alla Stellantis una volta ogni tanto; la battaglia sulla Palestina bisogna portarla alla Stellantis. Alle portinerie dell’Ilva, e sappiamo bene com’è la situazione all’Ilva, ci sono i manifesti di questa manifestazione al carecre per Anan; alcune volte gli operai ci dicono: voi ve ne venite con la Palestina…, ma è attraverso questo lavoro che oggi anche all’Ilva ci sono lavoratori che seguono l’attività di solidarietà con la Palestina.

Quindi il nostro problema è di organizzare il lavoro che dobbiamo fare, non possiamo fare comizi, francamente non è lo stile che ci serve. Nè siamo d’accordo quando si fa della demagogia, quando si dice: noi siamo qui e gli altri…, come se si fosse assolutamente ingenui e superficiali e non si capisce che non è che le masse vengono perché fai un fischio, ma perché le organizzi, fai le lotte, sei riconosciuto, masse si organizzano in sindacati, in comitati, in organizzazioni che devi sensibilizzare e raccogliere. Non sono un popolo che deve venire dietro a te.

Capendo anche che le persone che riempiono le piazze non sono già convinte che bisogna opporre alla guerra imperialista la guerra rivoluzionaria, non sono già convinte che la Palestina è il simbolo della lotta di tutti i popoli oppressi contro questo sistema. Lo comprendono attraverso dieci, cento iniziative che fanno. E per questo non hanno bisogno di sentirsi dire che non serve a niente la Corte di Giustizia Internazionale. Dire questo è demagogia. Il nostro problema è per costruire un movimento reale, abbiamo bisogno di unire tutte le energie necessarie, certo intorno alla prospettiva della resistenza, della liberazione e della rivoluzione che alla fine è l’unica soluzione.

Quindi organizziamo una nuova manifestazione facendo un lavoro sul territorio perché finalmente possiamo anche essere di più.

 

Quindi non sprechiamo questa occasione, costruiamo le prossime scadenze a livello locale come a livello nazionale.

 Napoli Mimi, Dario e Francesco liberi! un primo risultato della mobilitazione solidale

 Napoli Mimi, Dario e Francesco liberi! un primo risultato della mobilitazione solidale

 

Mimì, Dario e Francesco sono liberi, anche se con l’odioso obbligo di firma tre volte alla settimana, affinché gli sia chiaro quello che certamente gli è già molto chiaro: di essere in libertà vigilata e controllata.

no al foglio di via per Hannoun-denuncia e mobilitazione nazionale – Soccorso Rosso Proletario

no al foglio di via per Hannoun-denuncia e mobilitazione – proletari comunisti

info stampa

Milano, foglio di via di un anno per il presidente dell’Associazione Palestinesi in Italia: “Istigazione alla violenza”

Mohammad Hannoun ha ricevuto il foglio di via firmato dal questore per alcuni commenti sulle esecuzioni di Hamas, che per lui hanno colpito “i collaborazionisti di Israele”. L’associazione: “Tentativo di intimidire chi denuncia i crimini contro il popolo palestinese”
Milano, foglio di via di un anno per il presidente dell’Associazione Palestinesi in Italia: “Istigazione alla violenza”

Mohammad Hannoun, il presidente dell’Associazione Palestinesi in Italia (Api), è stato bandito da Milano. Per un anno non potrà mettere piede in città, come previsto dal foglio di via, firmato dal questore Bruno Megale, che gli è stato notificato oggi, non appena sceso dall’aereo che da Roma lo portava a Linate, per partecipare alla manifestazione pro-Pal in programma nel pomeriggio. Oltre all’allontanamento dalla città, ad Hannoun è stata notificata anche una denuncia “per istigazione alla violenza”.

“Mi dispiace di questo atto di aggressione nei mie confronti, mentre il nostro governo è complice diretto del genocidio a Gaza, dove fornisce armi per sterminare i gazawi”, ha commentato il presidente di Api. “All’uscita dell’aeromobile gli agenti della polizia mi hanno identificato e mi hanno portato in ufficio a Linate per darmi due notifiche – ha raccontato – . La prima era l’allontanamento dalla città per un anno, l’altra una denuncia per istigazione alla violenza”. Hannoun da Linate è tornato a Genova, dove vive, con il figlio che era arrivato a prenderlo all’aeroporto milanese

La ragione dei provvedimenti è da rintracciare in alcune frasi che Hannoun avrebbe pronunciato durante il corteo di Milano del 18 ottobre scorso. Frasi pro Hamas per cui la Digos lo ha denunciato. “Tutte le rivoluzioni del mondo hanno le loro leggi. Chi uccide va ucciso, i collaborazionisti vanno uccisi. Oggi l’Occidente piange questi criminali, dicono che i palestinesi hanno ucciso poveri ragazzi. Ma chi lo dice che sono poveri ragazzi?”, disse Hannoun in quella occasione, in merito alle esecuzioni messe in atto da Hamas a Gaza dopo il cessate il fuoco. Il 29 novembre 2024 Hannoun aveva ricevuto un foglio di via da Milano, per sei mesi.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, rispondendo al question time di giovedì al Senato, aveva detto che “in ragione delle sue esternazioni, è attentamente monitorato dalle autorità competenti, le quali non mancheranno di adottare nei suoi confronti le misure di rigore previste dalla legge, laddove ne sussistano i presupposti applicativi”. “Risulta che Hannoun – aveva detto il ministro – abbia preso la parola per esprimere dichiarazioni a carattere istigatorio, sostanzialmente approvando i sanguinosi abusi commessi da miliziani di Hamas nei confronti di altri cittadini palestinesi ritenuti collaborazionisti dell’esercito israeliano”.

 

 

NAPOLI: 4 FERMI E ABUSI DELLA POLIZIA DURANTE L’INIZIATIVA DI CONTESTAZIONE ALLA AZIENDA ISRAELIANA TEVA

A Napoli stamattina, dopo la manifestazione statica e pacifica contro il colosso farmaceutico Teva, complice del genocidio contro il popolo palestinese, alcune attivisti e attivisti che hanno inscenato un flash mob con striscioni, canti e slogan, mentre si avviavano all’uscita sono stati bloccati e identificati dalla forze dell’ordine, circondati e malmenati da decine di agenti in tenuta antisommossa. Quattro persone sono state condotte in questura. Ora i manifestanti sono sotto la Questura di via Medina per chiedere immediata liberazione degli attivisti fermati