Presidio per la liberazione di Ahmad Sa’adat e di tutti i prigionieri palestinesi

Sabato alle ore 15:00 in Via Padova (MI): Presidio per la liberazione di Ahmad Sa’adat e di tutti i prigionieri palestinesi

Settimana di azione per la liberazione di Ahmad Sa’adat e tutti i prigionieri palestinesi. Dal 15 al 22 gennaio 2022 si svilupperà, come negli anni scorsi, la campagna internazionale per la sua liberazione e quella di tutti i prigionieri palestinesi, molti dei quali sottoposti a “detenzione amministrativa”. A tale proposito vanno ricordati alcuni aspetti importanti:

  • Nel 2020, Israele ha emesso almeno 1.114 ordini di detenzione amministrativa contro palestinesi, mentre da gennaio a giugno 2021 ne sono stati emessi non meno di 759.
  • Attualmente circa 520 dei 5000 prigionieri politici palestinesi sono detenuti senza accusa, né processo in base a questi ordini di detenzione, che possono essere rinnovati a tempo indeterminato. Finiscono con passare anni in prigione per questo sistema introdotto in Palestina dal colonialismo britannico e adottato poi dall’occupazione sionista.
  • Il drammatico aumento dei bambini palestinesi detenuti in detenzione amministrativa.

Ahmad Sa’adat il 25 dicembre 2008 è stato condannato a 30 anni di carcere, da un tribunale militare sionista, per il suo ruolo di segretario generale di una delle principali organizzazioni di resistenza palestinese, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Questo dopo che nel marzo 2006, l’esercito israeliano aveva assediato per dodici ore la prigione palestinese di Gerico, con bulldozer e carri armati, per rapire lui e altri cinque prigionieri politici. Dalle prigioni dell’occupazione sionista Sa’adat continua a svolgere, insieme a 5.000 compagni detenuti politici palestinesi, azioni di resistenza con scioperi della fame collettivi, dichiarazioni di solidarietà con lotte in corso, in particolare quelle contro l’imperialismo e il razzismo.
Sostenere il suo rilascio è denunciare chiaramente il ruolo delle potenze imperialiste nella sua prigionia e nella colonizzazione sionista della Palestina, ma è anche combattere la complicità dell’A.N.P. e il suo “coordinamento della sicurezza” nell’oppressione del popolo e nella criminalizzazione della resistenza palestinese.

L’Autorità Nazionale Palestinese, un organismo di rappresentanza nato dopo gli accordi di Oslo, ha dato a Israele il controllo sulla maggior parte dei terreni agricoli e aperti, dove si trovano tutti i loro insediamenti le colonie, mentre le forze dell’ANP governano i principali centri abitati, come Ramallah, Nablus e Al-Khalil.

L’entità sionista persegue la negazione della resistenza palestinese con: omicidi, stragi, bombardamenti, detenzioni, arriva a incarcerare e torturare perfino i bambini, ma anche a praticare demolizioni di abitazioni, appropriazioni di fonti idriche, taglio degli ulivi e sequestro delle barche dei pescatori palestinesi. Tutto ciò per piegare la volontà di un popolo e cercare di costringerlo ad abbandonare la sua terra, per confinarlo in bandustan sempre più ristretti. Quello israeliano è uno degli esempi più feroci di ‘colonialismo di insediamento’ e rappresenta la logica dell’oppressore, cioè lo sradicamento, l’occupazione, il contenimento di forme di dissenso.

Da noi gli esempi più significativi sono rappresentati dall’utilizzo dei sistemi anti-migranti, testati sui pescatori di Gaza; oppure il modello “strade sicure”, con i militari nelle strade, ma anche i CPR. Centri di Permanenza per il Rimpatrio dove vengono richiusi migranti privandoli della libertà senza aver commesso un reato, senza una minima tutela sanitaria tanto meno quella psicologico-psichiatrica e con una detenzione che si protrae nel tempo.

SOSTENIAMO LA LOTTA DEI PRIGIONIERI PALESTINESI, LA LIBERAZIONE DI AHMAD SA’ADAT

LOTTIAMO CONTRO IL COLONIALISMO IN TUTTE LE SUE FORME
SOLIDALI CON LA PALESTINA E LA SUA RESISTENZA

Da Palestina Rossa

Polizia selvaggia a Torino.

È sabato pomeriggio. L’intero isolato che accoglie il vecchio stabilimento della Westinghouse è occupato dalle forze dell’ordine, le camionette sono schierate tra i viali e i controviali di corso Ferrucci e corso Vittorio Emanuele II. Non è inusuale vedere camionette e volanti in questa zona. Di fronte ha sede il tribunale di Torino, costantemente sorvegliato. Il lato opposto del corso, quello oggi blindato, affaccia sul giardino Artiglieri da Montagna. Da qui partono i bus a lunga percorrenza. Spesso vengono effettuati controlli a tappeto dei documenti a chi sosta prima della partenza. Solitamente le persone che incappano negli accertamenti sono straniere.

Qui si trova l’area della ex Westinghouse. Al posto dello stabilimento dismesso e del giardino si prevede ora di costruire un enorme centro congressi gestito da Fiera di Milano e un centro commerciale Esselunga. Un progetto di speculazione sognato da anni, finito in stallo numerose volte per questioni giudiziarie: l’ex sindaca Cinque Stelle Appendino è stata condannata insieme a membri del suo entourage e l’ex sindaco del Pd Fassino è tuttora indagato con altri suoi collaboratori. Il sindaco attuale, Lorusso (Pd), assessore all’urbanistica durante la giunta Fassino, è da sempre un sostenitore del progetto.

All’interno di quest’area si trova anche Comala, uno spazio polivalente gestito dall’associazione da cui prende il nome. Secondo i piani urbanistici, la costruzione del centro commerciale causerà la sparizione di Comala. Da qui è partita una campagna per salvare lo spazio e l’interesse per la questione è diventato trasversale. Istituzioni locali, vari partiti e personalità di spicco hanno speso parole di dialogo e ricerca di compromesso. Comala è un luogo di socialità, studio e iniziative molteplici e nel tempo è stato elogiato e appoggiato dal Comune, dall’Università e dall’Ente regionale per il diritto allo studio (Edisu). Comala, infatti, sopperisce alla mancanza di luoghi adatti allo studio in città e gestisce un’aula studio diffusa, finanziata dal Comune stesso e dall’Edisu. L’associazione è sostenuta da un corpo vario di cittadini e si trova in un quartiere che è una fortezza di voti per la giunta al governo. La nascita di un centro congressi e di un centro commerciale sembra dunque un pasticcio scomodo per gli amministratori al potere. Pare una grande storia d’amore tra terzo settore, amministrazione ed enti istituzionali e, come ogni relazione sentimentale, talvolta affronta delle crisi, o contraddizioni.

Da pochi mesi è nato EsseNon, un comitato eterogeneo e determinato a salvare l’area dalla speculazione edilizia. Il comitato ha organizzato per sabato pomeriggio una passeggiata nel quartiere. L’atmosfera nei giardini dove ci si ritrova è distesa: sono presenti associazioni, comitati di altri quartieri nati per contrastare progetti di cementificazione, attivisti e attiviste, residenti, famiglie e studenti. Ci sono vari capannelli di persone che chiacchierano, bambini che scorrazzano intorno ai gazebo all’esterno, mentre all’interno studenti e studentesse studiano in piena sessione d’esami. L’iniziativa è pensata per segnalare altri luoghi di speculazione tra Cit TurinCenisia e Borgo San Paolo, quartieri che confinano con questa zona. Intanto sulla strada è posizionata un Apecar che dovrebbe aprire il corteo. In disparte viene completato uno striscione a pochi metri dalla murga intenta a truccarsi e sistemare gli strumenti per accompagnare l’iniziativa con la musica.

Le intenzioni pacifiche, chiarissime anche ai più ingenui, non scoraggiano la Digos che fa intendere la volontà insindacabile di non far partire il corteo. Dicono, e lo dichiareranno a mezzo stampa, che il blocco è dovuto ai divieti di manifestazione in zona gialla. I celerini vengono schierati ai due ingressi del controviale dove sta l’Apecar, assicurandosi così di non farla partire mai. Circa trenta agenti blindano a distanza il mezzo, mentre i poliziotti in borghese si posizionano sul marciapiede e filmano ossessivamente ogni centimetro dell’isolato e dei volti di chi manifesta. La passeggiata parte con lo striscione e circa trecento persone che avanzano di sei metri prima di incontrare il cordone di polizia.

Da questo momento in poi la giornata prende una piega inaspettata, surreale e violenta. I caschi blu iniziano a manganellare le persone nelle prime file, mi volto verso l’ingresso dei giardini davanti al Comala e vedo gli sguardi allibiti dei presenti, tra questi bambini e giovanissime pre-adolescenti. I funzionari della Digos continuano a filmare i loro colleghi che aprono teste, tirano calci, insultano e colpiscono i manifestanti. Sono a volto scoperto e usano uno striscione di stoffa per fare loro del male. Questo primo quadro di abuso conta diversi contusi e due persone ferite alla testa.

Il corteo prova a raggiungere l’altra parte dei giardini rientrando nella strada interna per sbucare nel prato, ma viene intercettato dalla polizia che arriva sgommando a chiudere la strada. Ora il corteo viene spezzato in due e inizia una caccia all’uomo. Ripetutamente i celerini manganellano e spintonano via chiunque provi a opporsi. Gli agenti in borghese sembrano essere degli antropologi in osservazione e gli agenti, esaltati, agiscono in libertà, senza aspettare o ricevere ordini. Viene da pensare che oggi i “ragazzi” hanno carta bianca. Carta bianca per massacrare di botte una passeggiata di quartiere. L’umore dei presenti all’iniziativa è radicalmente cambiato: alcuni sono intimoriti, altri incazzati, molti increduli e quasi tutti determinati a non cedere di un millimetro al loro diritto di dissentire. Questa è la seconda immagine di un uso selvaggio del potere.

«L’Esselunga non la vogliamo!», «Via, via la polizia», e si continua. Pochi minuti dopo, mentre il corteo retrocede per ritornare all’ingresso principale e provare ad arrivare su corso Ferrucci, ci ritroviamo bloccati nella strada interna. Secondo una logica oscura di gestione dell’ordine pubblico, la polizia blocca trecento persone in una strada lunga dieci metri e larga cinque con nessuna via d’uscita. Il corteo non può partire per la zona gialla, secondo la questura, però si possono assembrare trecento persone in una strettoia. Sul lato sinistro abbiamo la recinzione del campo sportivo e sulla destra le inferriate che delimitano il giardino dell’associazione. Gli studenti che studiano escono dalle tensostrutture – era anche ora! – e osservano la scena salendo sulle panchine esterne, facendo filmati e urlando disgustati: «Basta!», «Vergogna!».

Chi sta nel corteo percepisce il livello altissimo di pericolo: manca il respiro, lo si ritrova appena aprendo i gomiti e probabilmente facendo male al vicino, perché siamo schiacciati dalla polizia. Gli agenti hanno sguardi fissi e dilatati accompagnati da sogghigni d’adrenalina che intravediamo sotto i caschi di coloro che si sono tolti la mascherina chirurgica. La carica arriva: per una, due, tre volte gli agenti colpiscono le persone sul viso, le spingono contro le recinzioni. Le prime file ammassate fortunatamente restano compatte e non si fanno prendere dalla paura di cadere e restare schiacciate. Questo terzo quadro è il ritratto di una mancata macelleria.

Sul momento non riesco a capire la situazione e le sue dinamiche, sono inquieta e incapace di leggere le prossime mosse della polizia. L’impasse pericolosa viene superata quando si riesce a forzare il cordone e si arriva finalmente su corso Ferrucci. Si percorrono questi venti metri scarsi come in una corsa a ostacoli, schiviamo gli agenti che ci vogliono prendere o menare. Si tenta in ogni modo di riprendere la strada per iniziare finalmente la passeggiata, ma il rancore dei poliziotti non sembra avere fine. Mentre si susseguono sequenze di caos, la mia mente si dissocia da quello che sta accadendo, per analizzarlo. Scorrono nella memoria le immagini delle cariche di piazza Santa Giulia, della critical mass, dello sgombero dell’Asilo di via Alessandria, delle cariche al Balon, dello sgombero di Corso Giulio. Lucide, insensate violenze poliziesche degli ultimi anni, ma nessuna si avvicina, nei modi e nelle strategie, a quello che sto vedendo oggi. Certo, penso, il marchio di fabbrica è lo stesso: cambiano questori, dirigenti e dichiarazioni, ma non lo stile. Eppure, c’è qualcosa di nuovo. Mi è cristallino: la carta bianca deriva dalla gestione eccezionale della pandemia.

Non mi capacito ancora del tutto, però, di questa scelta strategica perché, comunque vada, sarà un pantano da cui anche le forze dell’ordine e le istituzioni dovranno districarsi. Forse. Intanto la polizia ci insegue, prova a colpire chiunque abbia sotto tiro, tenta di spezzare il corteo più volte. Alcuni vengono bloccati agli angoli della strada e menati. Il corteo è un movimento oscillatorio: si avanza per prendersi la strada, si indietreggia per recuperare le persone incappate in agenti che si credono protagonisti di un videogioco. Intanto i residenti iniziano ad affacciarsi dalle finestre increduli anche loro. Ci ritroviamo chiusi nuovamente su via Moretta, all’angolo con via Dante di Nanni, strada nevralgica e vissuta di Borgo San Paolo e Cenisia. I passanti si fermano a guardare, sempre più persone sono affacciate dai balconi e parecchi sono in mezzo alla via perché prontamente chiusa al traffico. Qui la rabbia proterva dei blu tocca il suo apice.

Mentre una parte dei manifestanti sta di fronte al cordone di polizia, i caschi blu iniziano ad assalire le persone del corteo che stanno ai lati della via, all’altezza dei marciapiedi. Pestano forte, vogliono far male. Le persone vengono aggredite tra le vetrine, le macchine parcheggiate e i bidoni della spazzatura buttati giù. Ancora la Digos assiste immobile alla scena. Carta bianca, operazione distruggere. Mi guardo intorno e vedo una decina di persone ferite alla testa e sulle braccia, altre doloranti che si toccano il torace, la schiena o le gambe. C’è molto sangue per terra, sulle mascherine, sulle bustine di ghiaccio autoprodotte in fretta nei primi momenti di sfogo autoritario. In alcuni momenti ho pensato che potesse finire ancora peggio, ma abbiamo ancora voce, gambe e voglia di non stare a guardare. «L’Esselunga non la vogliamo!», «Tout le monde déteste la police». Vari interventi al megafono spiegano alle tante persone sgomente cosa succede in quartiere. È la prima volta, dopo due ore, che non ci caricano a ripetizione e finalmente possiamo fare quello che doveva essere in principio. Non sono riusciti nell’intento di distruggere, anzi.

Sul posto arriva un’ambulanza che medica le persone ferite più seriamente e invita chiunque voglia farsi controllare ad andare in pronto soccorso. Invito che gentilmente viene declinato: fiducia nelle istituzioni non l’ha più nessuno. La giornata si chiude con il ritorno al concentramento iniziale, in linea d’aria ci siamo spostati poco più di cinquecento metri. Il comitato che ha organizzato la passeggiata convoca una conferenza stampa per l’ora successiva. È necessario raccontare subito quello che è successo, non lasciare ad altri la narrazione facile dei “centri sociali” e delle “cariche di alleggerimento”. Bisogna raccontare come l’iniziativa di un comitato eterogeneo e con un buon seguito sia stata ostacolata con le botte.

Ora vorrei che nelle prossime settimane non si racconti solo della violenza della polizia favorita dallo stato di emergenza, ma che si rifletta anche sui timori della nuova giunta. Probabilmente il governo della città ha paura di chi ricorda che questo mostro di cemento e speculazione non è il primo in città e in questi quartieri: a pochi metri dall’area Westinghouse, per esempio, c’è l’area dell’ex Diatto dove sono appena iniziati i lavori per un’ampia residenza universitaria.

Le risposte istituzionali nei due giorni successivi sono state blande e insufficienti, eccetto una mosca bianca: Sara Diena, consigliera comunale, che ha chiesto con forza al questore le ragioni di tanta violenza. Alcuni governanti avanzano l’idea di modificare il piano per salvare il locale e l’aula studio, senza pretendere la completa cancellazione del progetto urbanistico. Altri sminuiscono la violenza cieca della polizia per ricordare che il corteo non era autorizzato e s’affrettano a precisare che il diritto di manifestare va garantito. Due giorni dopo le cariche, lunedì mattina, l’assessore alle politiche sociali – RosatelliSinistra Ecologista – davanti ai giornalisti critica l’eccessiva violenza poliziesca, sebbene i manifestanti abbiano adottato, afferma, «metodi discutibili»; infine esprime la sua fiducia verso il prefetto, il questore e le forze dell’ordine. Una passeggiata in quartiere è un “metodo discutibile”? La sinistra istituzionale, in un equilibrio ipocrita, tenta di sostenere le ragioni dei manifestanti, ma di fatto legittima la gestione violenta delle strade in nome dell’emergenza pandemica.

Il potere cammina in punta di piedi, e con imbarazzo, perché questo è un pasticciaccio. È necessario ora mettere in difficoltà l’attuale giunta che spesso discetta di città universitaria, ecologia e progetti d’opportunità, chiudendo gli occhi di fronte a evidenti speculazioni, abusi di potere, violenza e diseguaglianze. Anzi, il consumo di suolo, la cementificazione e la concessione di aree urbane a centri commerciali e ipermercati sono prassi consolidate per le forze ora al governo: Esselunga non è un’eccezione, ma la regola. Conosciamo l’altro volto della propaganda progressista, il volto reale: si è manifestato sabato pomeriggio. La pandemia dà carta bianca anche a noi: non vogliamo accettare in silenzio tutto questo e opporremo tutte le nostre forze, e i nostri corpi. (ilaria magariello)

Da napolimonitor

Abusi in divisa, parlano gli/le studenti del liceo Vico di Napoli

Il 13 gennaio il Liceo Vico aveva organizzato di fare un sit-in nel cortile di ingresso dell’istituto, decisione presa dalla maggioranza abbondante della scuola. Avevamo ripetuto più volte che si trattava di un’azione simbolica e mediatica, che non avrebbe impedito l’accesso alle lezioni. Appena arrivatx fuori all’edificio scolastico, abbiamo trovato una volante della polizia ad aspettarci all’interno con vari uomini tra poliziotti, vigilanti e digos.

Meno di dieci ragazzx hanno iniziato a sedersi distanziatx e con la mascherina, e uno studente ha iniziato un intervento al megafono. Immediatamente i poliziotti gli hanno strappato il megafono di mano e hanno minacciato di spaccarglielo in testa e di denunciarlo. Lo hanno costretto ad alzarsi e strattonato, afferrandolo dal cappuccio e portandolo verso la volante, continuando a minacciarlo di violenza. Nel frattempo, sono stati chiusi entrambi i cancelli circondandoli e impedendogli l’uscita e la preside è uscita in cortile.

Quando le abbiamo chiesto spiegazioni ci ha risposto che era stata informata di un’azione violenta da parte nostra e che questa era la conseguenza; ci ha redarguito sul rispettare le forze dell’ordine e, quando le abbiamo fatto notare che alle sue spalle uno studente era stato aggredito, ha specificato che non era sua competenza o responsabilità cosa facesse la polizia, che stava facendo il suo lavoro. Ma da quando usare il megafono è un reato? Da quando meritiamo di essere aggreditx per aver parlato?

Siamo statx costrettx a uscire dalla scuola e i cancelli sono stati chiusi con le catene. Alcuni uomini della polizia hanno cercato di parlare con noi, giustificandosi e dichiarando che “nelle rivoluzioni si mette in conto di far scorrere del sangue” e che “il ministero ha dato direttive di zero tolleranza in situazioni del genere”.

Successivamente sono rimasti dei poliziotti a presidiare l’ingresso, aprendo leggermente il cancello per far entrare unx studentx alla volta, come in un carcere, per poi richiuderlo con le catene. Siamo sconvoltx per ciò che è successo, soprattutto dopo che la dirigenza si era espressa favorevole alla protesta, ci sentiamo traditx da chi ci dovrebbe proteggere e invece ha aperto la strada alla violenza.

La protesta del sit-in, infatti, era esplicitamente non contro la scuola ma per le istituzioni, e proprio questo stava dicendo lo studente al megafono prima che intervenissero con la violenza. Nonostante tutto la lotta non finisce qui e non ci faremo fermare con la forza e con la paura: anzi. Dopo questi abusi ci siamo riunitx in assemblea per elaborare tutto quello che era appena successo, per processare la nostra rabbia e per trasformarla in qualcosa di produttivo.

Questa storia ci dimostra ciò che ormai sappiamo da tempo: gli abusi in divisa sono sempre più frequenti e stanno iniziando ad entrare anche nelle scuole. Perché nelle scuole “sicure” i cancelli sono spalancati per la polizia ma chiusi per lx studentx in protesta.

Il collettivo del liceo GB Vico dì Napoli

Da Osservatorio repressione

L’assurda detenzione in Francia del no Tav Emilio Scalzo

Emilio Scalzo è stato raggiunto da un mandato di arresto europeo, utilizzato in genere per reati di estrema gravità, richiesto dalla procura francese. I giudici italiani hanno rigettato i ricorsi del suo avvocato contro il Mae

«Giuro che non ho le ansie o il magone e non sono spaventato, sono pronto anche a una sentenza assurda, lo metto in conto. Ma ciò non toglie che delle volte mi guardo intorno e con il sorriso mi chiedo che ci faccio io qua dentro». È la lettera di Emilio Scalzo – rinchiuso da oltre un mese nel carcere francese di d’Aix Luynes per un mandato europeo – inviata a Chiara Sasso, con la quale ha scritto il libro “A testa alta”, dedicato al percorso di vita di Scalzo stesso. È pescivendolo e atleta, capace di farsi carico dei problemi dei suoi otto fratelli ( alle prese con mille peripezie, tra carcere e droga), ma prima di tutto punto di riferimento del movimento No Tav.

Ma come mai si ritrova recluso nel carcere francese? Al 67enne Emilio Scalzo viene contestato, dal Tribunale francese di Gap, il reato di violenza aggravata nei confronti di un gendarme, avvenuta il 15 maggio 2021 a Monginevro, durante una manifestazione in solidarietà con i migranti, molti dei quali sono morti e continuano a morire nel tentativo disperato di attraversare la frontiera. Sulla base del mandato europeo, il 15 settembre 2021, Emilio è stato arrestato e trasferito nella Casa Circondariale Lo Russo e Cotugno di Torino. Il 16 settembre 2021, in sede di audizione, ha dichiarato di non prestare il proprio consenso alla consegna e di non rinunciare al principio di specialità.

In data 23 settembre 2021, la custodia in carcere è stata sostituita con gli arresti domiciliari. Ma in un mese sono state avviate le procedure. Il primo dicembre gli agenti della Digos sono andati a prelevarlo nella sua abitazione di Bussoleno, in val di Susa. In quell’occasione si è svolto un comizio di solidarietà «per denunciare la vergognosa operazione e per stare a fianco a lui e alla sua famiglia», avevano fatto sapere dal Movimento No Tav. Fra i partecipanti anche Michele Rech, meglio conosciuto come Zerocalcare: «Per lui c’è un mandato d’arresto per una cosa di cui tutti si riempiono la bocca, cioè la solidarietà con i migranti al confine», ha detto il celebre fumettista, aggiungendo: «Emilio questa cosa l’ha praticata, da sempre».

Dal tre dicembre è recluso nel carcere francese. Eppure Scalzo nega di aver posto in essere l’azione che gli viene contestata. Afferma, e ritiene di poter provare, che si è semplicemente difeso dal tentativo dell’agente di colpirlo violentemente con il manganello, alzando un pezzo di legno raccolto a terra per ripararsi. Il gendarme si è fratturato il braccio, probabilmente perché aveva colpito il pezzo di legno. Ribadiamo che l’attivista è stato raggiunto da un mandato di arresto europeo (Mae), un procedimento diverso dall’estradizione. È una pratica squisitamente giudiziaria.

Nel caso di Scalzo, il mandato è stato richiesto dal Procuratore della Repubblica francese del Tribunale di Gap, sulla base di una misura cautelare. Il Mae è stato trasmesso alla Corte d’appello di Torino che, nonostante la motivata opposizione avanzata dal legale Danilo Ghia, ha ritenuto di applicare la custodia cautelare in carcere. In generale il Mae viene utilizzato per reati di estrema gravità. Ma questo non è il caso di Scalzo, al quale contestano il reato di violenza ai danni di un gendarme francese. Eppure, perfino la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal suo avvocato. Prima dell’arresto di dicembre, l’avvocato Ghia ha presentato ricorso prima alla Corte d’Appello di Torino e poi alla Corte di Cassazione per chiedere la corretta applicazione degli articoli 24 e 20 della legge 69/ 2005, che disciplina il Mae. In particolare, l’articolo 24 prevede la possibilità che il Mae venga rifiutato, nel caso in cui l’imputato abbia a suo carico un processo nel Paese di origine. Ma niente da fare, ricorso respinto.

Eppure Emilio Scalzo è sotto processo anche in Italia per l’occupazione della Casa Cantoniera di Oulx, comune dell’alta Val di Susa. Lo spazio era nato nel 2018 sotto il nome di “Chez JesOulx” dopo lo sgombero del sottoscala della chiesa di Claviere, al valico del Monginevro. Uno spazio che ha operato per tre anni, poi sgomberato, risultato fondamentale per l’assistenza dei migranti. In sostanza rispondeva a un bisogno di assistenza che la rete istituzionale composta dalla Croce Rossa e dal rifugio Fraternità Massi non riusciva a soddisfare. Ciò era reso ancora più evidente dal mutamento nella tipologia di persone che tentavano di attraversare il confine. Infatti dal 2020 la Val di Susa diventa un luogo di passaggio della cosiddetta “rotta balcanica”, ossia quel percorso di migrazione che vede l’arrivo in Europa attraverso i Balcani. Emilio Scalzo dovrà pagare anche per questo. Come ha scritto recentemente Luigi Manconi, «le sue colpe sembrano quelle che derivano inevitabilmente dal lottare contro i mulini a vento, che qui, tuttavia, corrispondono a poteri fortissimi e a politiche inique».

Da il Dubbio

Torino, cariche della polizia sulla passeggiata del comitato EsseNon

La polizia ha caricato due volte la manifestazione organizzata dal comitato EsseNon, nella quale cittadini e associazioni del quartiere San Paolo hanno espresso la netta contrarietà alla costruzione di un grande supermercato Esselunga nell’area del parco Lamarmora. Il progetto, oltre a favorite l’ennesima speculazione edilizia, minaccia l’esistenza del centro culturale Comala, uno spazio auto-costruito grazie al recupero dell’ex Caserma La Marmora

Vergognosa gestione dell’ordine pubblico da parte della questura torinese durante l’iniziativa del comitato EsseNon che si oppone all’assurdo progetto che si sta per abbattere sul Parco Artiglieri da Montagna: la costruzione di un mega supermercato dell’Esselunga.

Doveva trattarsi di una semplice passeggiata informativa tra i quartieri San Paolo e Cenischia rispetto al progetto di “riqualificazione” dell’area ex Westinghouse. Ma l’iniziativa, partecipata da giovani e giovanissimi, abitanti del quartiere, realtà ambientaliste e studenti e studentesse è stata investita dalla surreale gestione dell’ordine pubblico da parte delle forze dell’ordine, appena dopo la partenza della passeggiata la celere ha sbarrato la strada e caricato i manifestanti per impedirne il passaggio iniziando da subito a mostrare quale sarebbe stato il tenore della giornata. A questo punto in corteo ha scelto di tornare indietro ed imboccare una strada pedonale per dirigersi almeno al Parco Artiglieri da Montagna che dovrebbe lasciare il posto al supermercato. Inspiegabilmente la polizia si è nuovamente schierata all’uscita della stradina pedonale caricando e spezzando in due il corteo che si è poi ricomposto.

A questo punto i manifestanti si sono trovati stretti tra due plotoni di celere ad entrambi gli estremi della strada senza vie di fuga accessibili.

Ma la determinazione dei manifestanti ha permesso di superare lo sbarramento e provare finalmente a fare la passeggiata dopo ulteriori cariche che si sono susseguite lungo tutto il percorso, durato poche centinaia di metri prima di incontrare un’ulteriore sbarramento da entrambi i lati. Almeno sette sono state le cariche da parte delle forze dell’ordine e oltre 15 i feriti tra i manifestanti, di cui molti colpiti dai manganelli sulla testa o sulle braccia. Durante l’ultimo sbarramento è stato necessario l’intervento di un’ambulanza e di diversi residenti dei palazzi vicini a dove si svolgevano i fatti che hanno assistito increduli alle scene di violenza e sporto bottiglie d’acqua e ghiaccio ai manifestanti.

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Immagine da Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito

La questura di Torino nasconde il proprio vergognoso operato dietro le norme rispetto alla zona gialla, ma come è risaputo l’applicazione di queste norme è spesso delegata al buonsenso e all’opportunità. Non si capisce quale rischio sanitario rappresenterebbe una passeggiata di alcune centinaia di persone, tutte distanziate e con la mascherina, mentre ci si affolla sui mezzi pubblici, nei posti di lavoro e a scuola e il virus circola liberamente per difendere i profitti dei soliti noti. Una gestione della piazza disastrosa in capo ad un nuovo questore, Ciarambino, che si era presentato solo poche settimane fa come l’uomo della mediazione e del compromesso.

Non c’è che dire, al solito a Torino si tenta di impedire il dissenso legittimo con l’uso della violenza poliziesca indiscriminata.

In una città con sempre minori opportunità per i giovani, sempre meno luoghi di aggregazione e cultura, devastata dall’inquinamento e la cementificazione si fa fatica a respirare. In questi tempi di pandemia poi le possibilità di una vita dignitosa si sono ulteriormente ristrette.

Ma la giornata di oggi è anche la dimostrazione che l’accettazione ha un limite, che in molti immaginano un futuro diverso per questa città e hanno cuore, voglia e determinazione per tentare di invertire la rotta. I sorrisi, la voglia di continuare, di resistere che si sono visti in questo corteo assediato che ha dovuto conquistarsi metro per metro un minimo di praticabilità dello spazio pubblico ci dicono che il loro tentativo di instillare terrore con la violenza ha fallito. D’altronde questa lotta è una lotta che parla di molti temi diversi, dal diritto allo studio, con Comala, associazione culturale che ospita una delle più grandi aule studio di Torino e svariate altre attività per giovani e meno giovani che rischia di essere cancellata dalla strada di servizio di un supermercato. Con un parco, uno degli unici due presenti in quartiere che dovrebbe divenire l’ennesimo mostro di cemento (probabilmente figlio di un accordo illegale tra l’amministrazione Fassino ed Esselunga a quanto risulta dalle indagini giudiziarie) in piena epoca di transizione ecologica. Con un quartiere che da tempo è al centro delle mire speculative di palazzinari e cementificatori, ma vorrebbe invece avere i servizi basilari e che i propri luoghi della cultura venissero protetti.

Qui si evidenzia tutta l’ipocrisia di una città sempre più inospitale per i bisogni della maggior parte delle persone e sempre di più imperniata sulla speculazione e sul consumo. Ogni spazio per un dibattito pubblico su questi temi va conquistato con determinazione, e persino in queste condizioni una giornata come quella di oggi è una boccata d’aria perché strappa il velo sul modo in cui viene amministrato in dissenso da queste parti quando si vanno a toccare temi importanti.

Infine una notarella va destinata al Salvini di turno che come sempre si schiera dalla parte del più forte. Questa volta invece di sponsorizzare la Nutella fa una bella sviolinata ad EsseLunga, si sa d’altronde le campagne elettorali vanno finanziate e il Capitone non ha più la verve di una volta, ma il product placement è una buona alternativa.

da InfoAut

Fermiamo l’operazione fascista e genocida del governo indiano, stop Prahaar-3

Il regime fascista indiano prepara un nuovo piano militare, Prahaar-3, per schiacciare la guerra di popolo guidata dal Partito Comunista dell’India (maoista).

Il piano è una continuazione delle pratiche genocide dell’operazione “Green Hunt”, che ha visto molte organizzazioni per i diritti umani denunciare le atrocità commesse dal governo indù-fascista Modi, la detenzione di massa di attivisti per i diritti del popolo, donne, studenti, insegnanti, artisti, leaders di movimenti dalit, lavoratori e lavoratrici, contadini e adivasi. Tutti e tutte sono accusati di essere “simpatizzanti maoisti”.

La politica di sterminio dei prigionieri politici, con torture e condizioni subumane nelle carceri, l’uccisione di attivisti politici con il pretesto di falsi scontri, ha portato, dal novembre 2020 all’assassinio di centinaia di persone, tra cui leaders e attivisti maoisti.

Nel 2021 si è accentuata la repressione e la carcerazione, e sono aumentate le denunce di aggressioni sessuali da parte delle donne prigioniere. Numerosi sindacalisti e attivisti per i diritti umani sono stati arrestati e torturati dopo aver partecipato alla protesta dei contadini contro le tre leggi agricole neoliberiste del governo Modi per svendere le risorse naturali alle multinazionali e costringerli alla fame e alla morte.

Centinaia di contadini e braccianti donne sono morti in questo movimento per ragioni legate alla repressione della polizia.

Questi fatti sono chiari segnali che il governo indù-fascista Modi sta mettendo in atto una nuova offensiva dell’operazione genocida “Green Hunt”, ora chiamata “Samadhan prahaar”.

Con il pretesto dello sviluppo il governo indiano ha messo da parte tutti i problemi del popolo e investito militarmente per sradicare i maoisti.

Le conseguenze per la gente del posto si traducono in stupri, molestie sessuali su ragazze minorenni da parte di militari e polizia, falsi scontri con uccisione di militanti e attivisti, torture, violenze sessuali e morti in custodia di polizia, demolizioni di case, distruzione di raccolti e finti incidenti con investimenti letali nei confronti di lavoratori e lavoratrici in sciopero.

Il 24 novembre 2021 è stato reso un tributo internazionale ai martiri della rivoluzione indiana. Un ponte solidale tra l’India e il resto del mondo ha dato vita ad una giornata internazionale di azione in sostegno della guerra popolare in India, contro la nuova operazione genocida ‘Prahaar 3’.

Le iniziative messe in campo sono andate ben oltre il 24 novembre, a favore di una campagna prolungata di solidarietà internazionale e internazionalista, in grado di contrastare l’offensiva del regime fascista e genocida Modi e smascherarne i legami e la complicità coi suoi padrini imperialisti nel mondo.

In Italia la campagna di solidarietà è cominciata in occasione del G20, con Modi presente a Roma, ed è continuata verso e oltre il 24 novembre 2021 con varie iniziative: l’Ambasciata indiana è stata sanzionata e il Consolato di Milano attaccato con un presidio rivolto ai tanti migranti indiani presenti in Italia; sono state fatte assemblee di lavoratori e lavoratrici con i rappresentanti dei lavoratori indiani che hanno espresso la loro solidarietà alle masse contadine in lotta e alla guerra popolare in India guidata dal PCI (maoista); sono state organizzate presenze all’Università e nella grande manifestazione nazionale delle donne a Roma del 27 novembre. Altre iniziative all’ambasciata a Roma e al consolato di Milano si terranno entro il mese di gennaio.

La guerra popolare in India, guidata dal PCI (maoista), sta sviluppando un processo di liberazione delle classi oppresse, vera speranza per il proletariato e gli oppressi del mondo. Con la mobilitazione e la solidarietà internazionale e internazionalista sconfiggerà l’infame operazione repressiva ‘Prahaar 3’ così come ha sconfitto l’operazione ‘Green Hunt’.

Rilanciamo questa campagna di solidarietà, invitando tutte e tutti a sottoscrivere questa petizione e partecipando/organizzando iniziative di sostegno in tutti i territori.

Fermiamo la repressione scatenata dal governo indiano!

Solidarietà con prigionieri politici in India!

Rilascio immediato di tutti coloro che sono stati illegalmente arrestati per il caso Bhima Koregaon!

Comitato di sostegno alla guerra popolare in India (csgpindia@gmail.com)

Soccorso rosso proletario (srpitalia@gmail.com)

Cile: Nuovo caso di tortura nella prigione di La Gonzalina (Rancagua)

Venerdì 7 gennaio, il personale della gendarmeria è entrato nel modulo 2 del carcere di Rancagua, alla ricerca di telefoni cellulari e con il chiaro intento di molestare i detenuti, a causa di una loro recente protesta contro le continue violenze a cui sono sottoposti da parte del personale carcerario. Sono entrati nella cella di uno dei detenuti ed hanno tentato di immobilizzarlo. Vista la sua resistenza hanno chiamato rinforzi.

Il compagno è stato picchiato violentemente da più di 15 guardie, portato in una delle celle di isolamento dove hanno continuato a torturarlo, cospargendogli il viso di spray al peperoncino e picchiandolo finchè non ha perso i sensi. Il giorno seguente è stato portato nell’ospedale della prigione, vista la gravità delle ferite riportate ed è stato poi ricoverato d’urgenza nell’ospedale di Rancagua. Le sue condizioni di salute sono ancora sconosciute.

La tortura nelle prigioni dello Stato cileno è una realtà innegabile.
Chiediamo la fine delle molestie, dei pestaggi e delle punizioni da parte della gendarmeria!

Fonte: infernourbano