repressione antioperaia e antisindacale – info solidale

Il conto del picchetto: 211mila euro

Chiesta la condanna di 37 tra lavoratori e dirigenti sindacali di Usb per un picchettaggio durato due giorni davanti ai cancelli di Gls nell’ottobre 2017. Il pubblico ministero ha chiesto sei mesi per i facchini e un anno per uno dei sindacalisti, accusato di aver minacciato e aggredito un camionista. Il magazzino Gls, colosso internazionale del trasporto merci, è uno dei fronti caldi del conflitto tra facchini e datori di lavoro nel mondo della logistica di Piacenza. Per i due giorni di blocco dei cancelli l’azienda lamenta un danno di 211mila euro. «Il risultato del blocco è impressionante: oltre 40mila pacchi fermi su 50 Tir con disastrosi danni d’immagine e di fatturato al gruppo Gls del tutto estraneo agli accadimenti», si legge nella richiesta risarcitoria dell’azienda. Tesi smentita dal difensore degli imputati: «Nessuna violenza, solo uno sciopero per un demansionamento dei lavoratori».

Otto mesi di carcere a Nicoletta Dosio – una condanna assurda – una solidarietà scontata

Nicoletta è una farfalla di una specie particolare. Le sue ali, se tagliate, ricrescono.

Pasionaria: donna che partecipa a un movimento rivoluzionario con grande passione e tenacia, che mostra un attaccamento irriducibile ai propri valori e ideali. Così recita il vocabolario e Pasionaria è l’aggettivo più ricorrente da sempre negli articoli che riguardano l’attività di Nicoletta Dosio.

Le parole sono pietre, le parole sono importanti e, a volte (inconsapevolmente) diventano lo strumento per comprendere. In questo caso un accanimento, quello del Tribunale di Torino che ha condannato a otto mesi di carcere (l’ordine di carcerazione è al momento sospeso per trenta giorni, durante i quali Nicoletta potrebbe richiedere l’applicazione di misure alternative alla detenzione) a causa delle sue iniziative di disobbedienza civile svolte negli anni passati evadendo dagli arresti domiciliari.

I fatti che le vengono contestati risalgono al periodo tra il novembre e il dicembre del 2016 quando per protesta partecipò a diverse iniziative lasciando la sua abitazione dentro la quale stava scontando gli arresti domiciliari.
Il Movimento No Tav sul suo sito definisce questa sentenza “l’ennesima condanna politica nei confronti di chi, con tenacia e determinazione, non abbassando mai la testa di fronte alle ingiustizie, ha deciso di opporsi quotidianamente contro coloro che, in nome del profitto, hanno deciso di distruggere e corrompere la nostra Valle”. 
Sono centinaia i militanti e attivisti del Movimento No Tav che, come Nicoletta, da anni subiscono condanne dichiaratamente politiche, ma contro questa donna c’è indubbiamente una ferocia particolare. Nicoletta ha settantasei anni ed è da sempre attivista del Movimento No Tav (che ha contribuito a far nascere).
Tra le fondatrici del Comitato di Lotta Popolare di Bussoleno. fa parte dell’”Osservatorio contro la Repressione”, un’associazione svolge inchiesta sul tema della repressione, della legislazione speciale, della situazione carceraria. E il suo ingresso nel carcere  delle Vallette a Torino due anni e mezzo fa è stato per lei l’occasione per riflettere da dentro su un’istituzione obsoleta e umiliante. Da quell’esperienza nasce un libro, Fogli dal carcere, Il diario della prigionia di una militante No Tav, dedicato alle detenute che ho incontrato, nelle cui pagine Il carcere emerge nella sua cruda verità: un non luogo basato su un’idea vendicativa della giustizia e contro cui si infrange ogni diritto.
Nicoletta ha sempre partecipato alla vita politica e sociale del territorio piemontese, attraverso le sue numerose lotte. Le parole sono importanti.
Sempre, da sempre… Le parole sono pietre, le parole sono importanti, dicevamo all’inizio. Le condanne di Nicoletta sono tutte condanne politiche, che la colpiscono prima di tutto per la lotta contro il TAV, così come accade a centinaia di altri militanti ed attivisti. Contro Nicoletta però c’è la ferocia particolare, esagerata (o forse no)  di uno stato che non accetta di avere contro una professoressa di lettere con la schiena dritta e la testa alta, considerata da tante e tanti riferimento morale e civile.
E se in questi tempi bui e pieni di macerie la repressione si fa più attenta ed esigente una pasionaria diventa pericolosa e scomoda. “Non puoi essere libera quando sai che gli altri non lo sono e che potevo essere felice solo aprendo quei cancelli, per portare tutte fuori con me.”, scriveva Nicoletta uscita dal carcere delle Vallette. Contro parole come queste, contro la dignità di chi le pronuncia i mesi, gli anni di carcere sono un’arma spuntata.
Nicoletta è una farfalla di una specie particolare. Le sue ali, se tagliate, ricrescono.

Carcere di Ivrea, 8 agenti sospesi per un anno. Via direttore e comandante

 

Dopo gli interrogatori di garanzia in riferimento all’inchiesta della procura che vede, complessivamente, 45 indagati tra direttori, medici e agenti di polizia penitenziaria per le presunte botte e torture subite dai detenuti

Otto agenti della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Ivrea (Torino) sono stati sospesi dal servizio per un anno. Lo ha deciso il gip del tribunale eporediese, Ombretta Vanini, dopo gli interrogatori di garanzia che si sono svolti lunedì in riferimento all’inchiesta della procura che vede, complessivamente, 45 indagati tra direttori, medici e agenti di polizia penitenziaria per le presunte botte e torture subite dai detenuti della casa circondariale di Ivrea.

Il pubblico ministero Valentina Bossi aveva invece chiesto gli arresti domiciliari nei confronti di sedici agenti. A breve, secondo quanto si apprende, saranno probabilmente sostituti dall’amministrazione anche il direttore del carcere e il comandante della polizia penitenziaria.

soccorso rosso proletario aderisce alla Mozione operaia contro la guerra

– Contro il Governo Meloni – contro il Parlamento nero che approva il nuovo invio di armi – nuova Mozione operaia da oggi in numerosi posti di lavoro organismi proletari

 Mozione operaia 

NO alla guerra imperialista

NO alla partecipazione italiana alla guerra

NO all’aumento delle spese militari

No al carovita

Noi lavoratori e lavoratrici esprimiamo la netta opposizione al nuovo decreto del governo Meloni e alle mozioni del parlamento che supportano l’invio di armi, equipaggiamenti al teatro di guerra dell’Ucraina. Una decisione che alimenta la guerra, la corsa al riarmo e prosegue nella politica di violazione dell’Art. 11 della Costituzione, con cui l’Italia ripudia la guerra come mezzo di soluzione delle controversie tra Stati.

Noi lavoratori e lavoratrici condanniamo fermamente l’invasione imperialista di stampo neozarista della Russia di Putin dell’Ucraina, così come l’azione guerrafondaia dei governi Usa/Nato/Ue, Italia compresa, volta a portare le truppe occidentali e Basi militari ai confini della Russia, usando l’Ucraina di Zelensky, nel cui governo ed esercito sono presenti i nazisti, come ‘cavallo di Troia’ e pedina di guerra; una situazione che può sfociare in una terza guerra mondiale e nell’uso del nucleare.

Siamo contro questa guerra tra banditi capitalisti per il profitto e per il controllo mondiale delle materie prime, le fonti energetiche, le vie geostrategiche.

Siamo solidali con le masse ucraine sotto le bombe e in fuga e con chi in Russia si oppone all’invasione e alla guerra.

Siamo contro ogni scaricamento dei costi e degli effetti di questa guerra sui lavoratori e le masse popolari già colpite dalla crisi economica.

Siamo contro l’uso delle Basi militari italiane come basi di guerra e presenza di armi nucleari.

Chiamiamo tutti i lavoratori e lavoratrici e tutte le organizzazioni sindacali a sottoscrivere questa mozione e a scendere in campo con assemblee, manifestazioni, fino allo sciopero generale, per mettere fine alla partecipazione italiana alla guerra ed essere al fianco di tutti i proletari e masse popolari che si oppongono alla guerra interimperialista in tutti i paesi del mondo.

richiedila a slaicobasta@gmail.com

Domenica 18 a Bologna, assemblea nazionale sul carcere

Sono passati due anni e mezzo da quando le carceri italiane vennero attraversate da un’ondata di proteste e di rivolte, innescate dalla paura dei contagi di Covid-19 e dalle misure che per decreto appesantivano insopportabilmente le condizioni di prigionia.
Rivolte e proteste per cui è stato pagato un prezzo altissimo, con 13 detenuti morti fra l’8 e il 10 marzo 2020 a Bologna, a Rieti e al Sant’Anna di Modena. Tantissime le testimonianze sui pestaggi, non solo in quei giorni ma anche in differita, come a Santa Maria Capua Vetere che conta un’altra vita spezzata per rappresaglia.
Sono passati due anni e mezzo da quei giorni ma le ragioni delle rivolte sono ancora tutte lì, per 56.000 persone stipate in luoghi fatiscenti, che ogni giorno subiscono la negazione di diritti basilari e la violenza insita nell’istituzione carceraria.
Di carcere si muore non solo nell’eccezionalità di una rivolta, ma anche nella normale quotidianità penitenziaria, per l’assistenza sanitaria negata o – mai come quest’anno – per suicidi, indotti da un contesto capace di distruggere ogni prospettiva.
Di carcere si muore rimanendo formalmente in vita, nelle celle/tombe del 41bis.
Nel frattempo, i tribunali stendono il sudario delle archiviazioni sulla morte dei detenuti, e i governi dispensano più carcere duro e aggravano le norme sull’ostatività.
Contro tutto questo è possibile rompere il silenzio.
Lo dimostrano le numerose denunce che riescono ad attraversare i muri delle galere, lo dimostra la determinazione di Alfredo Cospito a mettere in gioco il suo corpo contro l’abominio del 41bis.
Per non dimenticare la strage del 2020, per sostenere chi ha il coraggio di denunciare, convochiamo un’assemblea nazionale.
Ex Centrale
Via di Corticella 129 Bologna
Programma:
h 10.30 – 13,30 tavoli tematici di lavoro
h 13.30 – 14,30 pranzo benefit
h 14.30 – 17,30 assemblea plenaria
Tavoli tematici della mattina:
– Carcere e salute
– Istituzioni totali e psichiatria
– Ergastolo, ostatività, 41 bis e regimi speciali di detenzione
– Reti di sostegno ai detenuti
Organizzano:
Comitato Verità e Giustizia per i morti del Sant’Anna
Associazione Bianca Guidetti Serra
Associazione Yairaiha
Ex Centrale

Per una giornata di mobilitazione in solidarietà con Alfredo Cospito

Appello del Soccorso Rosso Internazionale per una giornata di mobilitazione in solidarietà con Alfredo Cospito in sciopero della fame ad oltranza contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo

APPELLO AD UNA GIORNATA DI MOBILITAZIONE CON ALFREDO COSPITO

Il 20 ottobre, il prigioniero anarchico Alfredo Cospito ha iniziato uno sciopero della fame contro il regime carcerario del 41 bis, lotta che intende portare avanti fino alla fine. I prigionieri anarchici Ivan Alocco [il compagno ha terminato lo sciopero il 1° dicembre, ndt] e Anna Beniamino hanno aderito allo sciopero, così come Juan Sorroche che l’ha interrotto dopo un mese.

Il 41 bis è il regime di isolamento carcerario più duro d’Europa. Creato in principio per impedire ai membri (reali o presunti) della mafia di continuare le loro attività dal carcere, è stato presto esteso ai prigionieri rivoluzionari per impedire loro di interagire con il mondo esterno.

Tre prigionieri delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente (BR-PCC), Nadia Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma, vi sono sottoposti da 17 anni. Il valore della loro resistenza deve essere misurato comprendendo che sarebbe sufficiente un atto di resa politica per uscire da questo regime.

Solo comprendendo questi regimi di isolamento come mezzi di pressione, come tortura, per estorcere il pentimento, possiamo dare un vero significato al suicidio della militante delle BR-PCC Diana Blefari nel 2009, dopo quattro anni di 41 bis. Diana non poteva più sopportare il 41 bis, ma rifiutava il tradimento.

Anche questa scelta è stata una forma di resistenza e ha un precedente, quello di Luis Rodríguez Martínez, dei Grupos de Resistencia Antifascista Primero de Octubre (GRAPO), che si è suicidato nel 1983 dopo tre anni di isolamento totale in carcere.

Solo comprendendo questi regimi di isolamento come mezzo di pressione, come tortura, per estorcere il pentimento, possiamo capire il carattere politico degli scioperi della fame fino alla morte attuati dai rivoluzionari.

Quando si rifiuta l’ipotesi della resa e della collaborazione, quando si rifiuta di essere sepolti vivi, lo sciopero della fame si presenta come l’unico mezzo di lotta. È in questi scioperi che Holger Meins della Rote Armee Fraktion (RAF) ha sacrificato la sua vita nel 1974, Kepa Crespo Galende del Partido Comunista de España (reconstituido) nel 1981, Sigurd Debus in uno sciopero della fame della RAF nel 1981 e José Manuel Sevillano Martín dei GRAPO nel 1990.

Questo solo per citare l’Europa occidentale, perché in Turchia e in Kurdistan decine di prigionieri hanno dato la vita in lunghi scioperi contro l’installazione di carceri di isolamento sul modello italo-tedesco.

L’applicazione del 41 bis ad Alfredo Cospito arriva dopo ben dieci anni di carcere in alta sicurezza, in seguito alla sua condanna per la gambizzazione dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Il trasferimento al 41 bis è legato alla riqualificazione (dettata dalla Corte di Cassazione) di due ordigni esplosi di notte, senza fare danni a nessuno, davanti a una caserma dei carabinieri, come “strage contro la sicurezza dello Stato” o ancora “strage politica”.

Il cinismo di questa riqualificazione (che lo espone a una condanna all’ergastolo ostativo) è tanto più violento se si considera che proprio nel cuore dello Stato italiano si trovano mandanti e organizzatori delle stragi che hanno insanguinato l’Italia, come quella alla stazione di Bologna, e che nessuno di questi mandanti e organizzatori è stato perseguito.

Questa condanna e l’isolamento in 41 bis fanno parte di una vasta tendenza alla repressione in Europa. L’isolamento dei prigionieri rivoluzionari assume lo stesso carattere delle mutilazioni inflitte dalla polizia ai manifestanti antagonisti in Francia. Non si tratta più solo di reprimere, ma di dissuadere, terrorizzare, imporre rinunce e capitolazioni.

Il ricatto alla resa, alla collaborazione, è diventato la norma. In Italia, 16 militanti delle BR sono detenuti in alta sicurezza da 40 anni perché rifiutano di arrendersi. In Francia, Georges Abdallah affronta questo ricatto da 38 anni. La resistenza di questi/e prigionieri/e è grande, generosa.

Pagano un prezzo estremamente alto per sostenere la possibilità e la necessità della rivoluzione. A qualsiasi tendenza politica appartengano, sono una parte preziosa del movimento di liberazione.

Non si tratta di solidarietà con la loro lotta.

Si tratta di capire che la loro lotta è la nostra lotta.

Da due mesi è in corso un’intensa mobilitazione a sostegno dello sciopero della fame, in Italia ma anche in altri paesi. Sono soprattutto gli anarchici a portare il peso di questa lotta, ma in buona intesa e solidarietà con altre forze che hanno capito qual è la posta in gioco in questa battaglia: far arretrare il potere nella sua politica di terrorismo preventivo.

Mentre partecipa a diverse iniziative a sostegno di Alfredo Cospito, il Soccorso Rosso Internazionale chiama le sue sezioni e i gruppi amici a fare di sabato 17 dicembre una giornata internazionale di sostegno allo sciopero della fame di Alfredo Cospito, Ivan Alocco e Anna Beniamino.

Per un fronte di classe unito contro la repressione!

Chiusura delle sezioni 41 bis per tutti/e!

Soccorso Rosso Internazionale

8 dicembre 2022